martedì 25 aprile 2023

"Il sol dell'avvenire", film di Nanni Moretti ..... per come l'ho visto io



Ho visto l’atteso film di Nanni Moretti. Un autore sempre interessante per la capacità di riuscire ad essere attuale nel focalizzare aspetti compositi del sociale.
Prendendo a pretesto l’invasione sovietica dell’Ungheria del 1956, il film revisiona l’ideologia socialista di quel tempo, amalgamandola con la confusione ideologica che coinvolge oggi l’intera area politica della sinistra.
Come se non bastasse, si sviluppano in parallelo aspetti inerenti alla convivenza umana che toccano, talvolta solo accennandoli, problematiche che costituiscono allergie sociali diffuse, a prescindere e indipendentemente dalle convinzioni politiche.
Il regista Nanni Moretti dirige il suo film, inserendone un altro di regista - che è sempre lui – utile a sviluppare altri discorsi paralleli, fortemente proiettato all’interno di una dinamica che dipana visioni che talvolta appaiono quasi da Cinema d’essai.
Il gioco di Moretti è anche quello di cambiare e mescolare continuamente le carte del gioco, forse per confondere e lasciare al fruitore del film di leggere ciò riesce a vedere o che vuole.
Sono anche moltissimi gli argomenti affrontati o solo volutamente sfiorati, in un racconto concitato e, in alcuni momenti, stressante che mescola aspetti personali col sociale, psicanalisi e psicologia, egocentrismo e altruismo, sentimento e pragmatismo.
Ad accompagnare tutti i vari passaggi e le diverse componenti c’è anche l’utilizzo - mai casuale - di musiche e testi di canzoni che enfatizzano, anche per rafforzare di volta in volta l’aspetto che in quel momento si sta trattando.
La chiusura differente e imprevista, rispetto a quella programmata nel copione originario (del film nel film), costituisce forse anche quella che è la revisione finale raggiunta ormai dall’attuale realtà socialista, che sembra aver preso atto e assimilato quelle che sono state le tante scorie dell’utopia di un comunismo teorico, ogni volta divenuto - nella pratica umana - quasi sempre una semplice forma di dittatura.
Per chiudere, superbe, come sempre, le interpretazioni di Margherita Buy, Silvio Orlando e dello stesso Nanni Moretti.

Buona luce a tutti!


© ESSEC

domenica 23 aprile 2023

T., il ritratto dello Zio... & ...



In un contesto affollato, dalla stanza adiacente, con la coda dell'occhio vedo quanto sta accadendo nel corridoio.
La mia macchina fotografica è spenta, colgo subito la foto, spero che la situazione rimanga per qualche secondo.
Il primo scatto è veloce, così per come era impostata la mia mirrorless.
La scena perdura e allora inquadro, ritaglio attraverso il mirino per meglio raccogliere l'insieme.
Chi sta fotografando con il suo cellulare sembra che stia quasi dialogando visivamente con il ritratto esposto.
Ci si confonde tra i tanti nelle stanze affollate e dopo alcuni minuti racconto a V. di aver forse fatto la mia foto del giorno e gliela mostro.
Le chiedo anche se conosce il soggetto che ho solo inquadrato di spalle.
Mi risponde: “ma certo, è la nipote di L.”.
Durante il vernissage della mostra, con me presente, alcuni minuti dopo V. dice a T. che ho realizzato una bella fotografia con lei protagonista.
Recupero l’immagine nello schermo della mirrorless, la mostro a lei che me la racconta.
Mi dice che nel suo contemplare l’immagine da fotografare intravvedeva il volto di sua madre, sorella del soggetto ritratto.
Era forse quello il motivo che, in qualche modo, mi aveva attratto, attivando subito la mia attenzione. Oltre alla composizione estetica il mio scatto era riuscito a catturare inconsciamente lo stato di contemplazione e il dialogo che, senza parole, stava intanto accadendo fra tre soggetti. La foto dello zio collegava un dialogo sotteso tra T, e due persone a lei care che erano assenti ..... e una delle due assenze era sua madre ancora vivente.
Quel momento fissato nella mia fotografia certamente racchiudeva in un click, un altro scatto più ricco; perchè intriso di tanti ricordi che, in quell’attimo fuggente di una suggestione, erano intanto ritornati vivi.
Sono la bellezza e il mistero racchiusi nella fotografia che, specie in ritratti a noi familiari, suscitano emozioni nella sua particolarissima potenza narrativa (Roland Barthes docet).

Buona luce a tutti!


© ESSEC

giovedì 20 aprile 2023

Come a voler fare un selfie ...... editoriale



Come a voler fare un selfie ...... faccio un po' di pubblicità a due iniziative editoriali che stentano a decollare ...... non escluso anche perchè forse giudicate non sufficientemente interessanti o per il semplice fatto che ormai scrivono tutti.

Per cercare di attrarre attenzione, propongo di seguito le prefazioni e le postfazioni di entrambe le iniziative editoriali. Magari potrebbero incuriosire qualcuno che così potrebbe più facilmente leggerle. Chissà? Boh?

Nel caso qualcuno volesse procedere all'acquisto, per quanto ovvio, preciso che l'ordine diretto fatto alla casa editrice comporta un maggiore ritorno economico (importante per l'intento benefico degli eventuali utili conseguiti).
https://susiledizioni.com/autori/clemente_toti--619.html

Buona luce a tutti!


© ESSEC

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Capita talvolta di sentire il bisogno di scrivere, ma non tanto per impegnarsi a svolgere un particolare compito “intellettualoide”, bensì per rispondere a un’esigenza propria di voler raccontare o semplicemente per rispondere così alla necessità di riordinare idee su certi argomenti.
Com’è risaputo la scrittura ha molto spesso un “potere liberatorio” che consente, anche, di mettere in fila una serie di aspetti su questioni di cui si intende trattare; in queste circostanze c’è poi il vantaggio che il tutto avviene senza interlocutori diretti che possano interagire e, quindi, distrarre. Lo scrivere, infatti, coinvolge solo se stessi, allontanando dal rischio di un contraddittorio sempre più fuorviante e pretestuoso e, quindi, molto spesso inconcludente.
Del resto il vizio che pervade la società di oggi è quello di parlare, parlare, e ancora … parlare ... bla, bla, bla, ... intervallati da … io, io, io … essenzialmente proferiti per esternare solo proprie convinzioni, non sempre supportate da analisi sufficienti, spesso basate sul sentito dire o da letture/ascolti di titoli di media, generici e privi di documentazioni valide o, ancor di più, da necessarie verifiche o approfondimenti.
Oggi sono pochi e sempre meno gli individui propensi a esercitare il buon ascolto. Minoranze praticano le letture e altre, se leggono, distorcono talvolta l’essenza dei messaggi o, peggio, non riescono a comprendere pienamente il senso reale di quanto hanno appena letto e il vero significato delle informazioni che credono di aver appreso.
Nella fotografia, che è anch’esso un fenomeno sociale sempre più praticato, oggi di moda e su cui emergono nugoli di “esperti”, accade pressappoco la stessa cosa.
Allora, da qualche tempo, ho trovato più utile dissertare, scrivendo su mie convinzioni, piuttosto che avventurarmi e perdermi in dialoghi con altri che – generalmente prevenuti e ricchi di certezze - quasi mai consentono di approdare a un utile costrutto.
Sulle cose che scrivo tempo fa un amico ebbe a osservare che “scrivo come parlo”; io l’ho preso da subito come un complimento e anche per questo ho continuato, divertendomi pure in questa mia nuova sperimentazione.
Nei capitoli che seguono, il lettore non potrà quindi attendersi di trovare specificità o testimonianze di conoscenze dottrinali, volte ad arricchire il “bagaglio nozionistico” sulla fotografia; per questo rimando a consultazioni di manuali specifici di taglio squisitamente scientifico o ad avventurarsi in altri libri particolari, magari scritti da professionisti bravi e ampiamente riconosciuti come tali.
Le mie dissertazioni, che l’amico Pippo definisce elegantemente “nugae”, costituiscono quindi una serie di appunti, dei veri e propri post-it sui quali ho annotato considerazioni semplici che talvolta non riguardano solo il mondo della fotografia; opinioni su questioni mai date per scontate o volte esclusivamente a essere pienamente condivise. Per questo motivo, intitolandolo, per l’appunto: “Fotogazzeggiando”, ho voluto attribuire al volume un titolo un po’ bizzarro, che vuole invitare principalmente il lettore a delle sue personali riflessioni e che non assegna agli argomenti trattati un valore definitivo o troppo impegnativo. Considerazioni opinabili e più dedite al cazzeggio insomma.
Buona lettura.
Salvatore Francesco Clemente

Ringraziamenti al lettore.

Da sempre, quando vado a visitare un luogo espositivo, non cerco mai di leggere le indicazioni sull’autore prima di averne contemplato l’opera, passando in rassegna per intero la proposta.
Di taluni artisti famosi si riconosce subito la mano, magari alla luce di reminiscenze scolastiche o nuovi studi, in altri casi si rimane subito attratti dall’efficacia del messaggio visivo.
Un analogo atteggiamento mi accade quando vado a scegliere un libro da leggere, specie se si tratta di uno scrittore a me sconosciuto.
In questi casi non mi lascio neanche catturare completamente dalla visione della figura che è stata apposta in bella mostra in copertina, per rendere accattivante il libro, e nemmeno dalla veloce lettura di quanto è generalmente riportato sinteticamente nella quarta di copertina, che in qualche modo tende a fornire gli elementi che secondo l’editore caratterizzano lo scritto.
La scelta che da subito mi fa capire l’eventuale affinità dell’autore ai miei gusti letterari è legata alla fluidità nella lettura della sola prima pagina, del saggio o del romanzo che sia.
La chiave di qualunque libro, a mio parere, sta nel fatto che leggerlo deve in ogni caso costituire in primo luogo un piacevole diletto, a prescindere quindi dal contenuto, e se poi anche lo scritto riesce pure ad arricchirci con un qualcosa che resti o che ci induca a riflettere è ancora meglio.
Se tu lettore sei arrivato fino in fondo a questa raccolta di semplici considerazioni e di piccoli aneddoti, mi ritengo lusingato, a prescindere da ogni eventuale messaggio che sono riuscito a trasmettere.
In conclusione trovo utile e mi piace ricordare quanto ha scritto, riferendosi al mondo dell’arte nel suo complesso, il famoso critico e curatore Francesco Bonami, nel suo libro “incontri ravvicinati nella giungla contemporanea”. Nell’argomentare sui tanti artisti che ha incontrato nel corso degli anni, tra le tante cose evidenzia tre aspetti. In particolare osserva che “il mondo dell’arte è un mondo a parte, è una piccola famiglia incestuosa, dove quasi tutti vogliono poche cose, sempre le stesse: successo, visibilità, soldi.” Inoltre dice che “il mondo dell’arte è come la sala degli specchi” dove “ognuno vede la propria immagine riflessa.” Infine afferma che “la giungla dell’arte, più che pericolosa è fastidiosa, molti dei suoi abitanti non mordono, ma pungono come insetti.”
Tutti i concetti sopra esposti dal Bonami mi sembrano pienamente condivisibili e, in qualche modo, abbastanza in sintonia con i contenuti, talvolta bizzarri, di questa raccolta.

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Parafrasando il tormentone di Natale in casa Cupiello “te piace ‘o presepe?” (Luca lo chiede al figlio Nennillo infinite volte. La risposta è sempre la stessa: NO!), sarebbe qui il caso di esordire chiedendo al lettore: “te piace ‘a street art?” Ma, perseguendo l’intento di voler sempre sperimentare coinvolgendo nell’operazione anche altri amici, ho avviato questo progetto che si aggancia con l’arte fotografica.
Da qualche tempo amo fotografare la street art che, come genere, in qualche modo si avvicina al reportage di strada, oggi più noto come street photography.
Diversi amici mi hanno più volte sollecitato a realizzare qualcosa utilizzando parte delle innumerevoli fotografie che continuo a raccogliere sul tema. Ma poiché ritengo che scrivere su materie che si conoscono poco, può risultare presuntuoso e che qualsiasi cosa si possa venire a dire potrebbe rimanere sempre parziale, esponendosi a posizionamenti di parte limitati, ho pensato di affrontare la questione, raccogliendo il suggerimento dell’amico Pippo, vestendomi cioè da “Flâneur”. È un termine francese, reso celebre dal poeta simbolista Charles Baudelaire, che indica il gentiluomo che vaga oziosamente per le vie cittadine, senza fretta, sperimentando e provando emozioni nell’osservare il paesaggio. Pertanto ho cercato di coinvolgere nell’operazione altri autori, cercando di raggruppare idee e impressioni variegate senza censure, su un fenomeno che ormai imperversa come un’affermata espressione artistica, ancorché oggetto di discussioni.
In progetti del genere, riuscire a trovare adesioni, con programmi peraltro indefiniti, risulta assai complicato ma, battendo e ribattendo, alcuni ci hanno creduto e hanno accettato di collaborare. Il tema fisso era per tutti, quindi, “la street art”, senza vincoli, indirizzamenti o suggerimenti. Ciascuno completamente libero di poter esprimere il proprio pensiero e di spaziare a proprio modo, mettendo magari a frutto esperienze e peculiarità specifiche, professionali e di vita.
Nessuna pretesa artistica dottrinale, quindi, o alcun inquadramento scientifico è stato previsto nell’approccio all’argomento e, come regola comune, quanto raccolto è stato lasciato integro secondo il conferimento originario.
A prodotto ultimato mi ritengo oggi soddisfatto del risultato sviluppato, perché ricco di varietà nei contributi, risultati pienamente rispondenti alle originarie aspettative. Credo, quindi, che l’operazione possa ritenersi riuscita, almeno per l’intento immaginato, avviato, come detto, con un largo canovaccio progettuale via via maturato in divenire.
Penso che, altresì, chi ha partecipato potrà ritenersi anch’esso soddisfatto nell’aver contribuito con un suo prodotto testuale, che ha consentito di costruire l’insieme pensato. Un ringraziamento va quindi a tutti i coautori, con l’auspicio di poter magari condividere una prossima analoga avventura che andremo a trovare, con idee e contributi nuovi meritevoli di sviluppo collettivo.

Postfazione

Cercando sul web, inserendo il termine “origine”, ci si imbatte su uno scritto articolato su Wikipedia, secondo cui “in ambito religioso e teologico, con il termine creazione si indica l’opera di una o più divinità che, per propria volontà, dà luogo al creato, ossia con un atto deliberato porta all’esistenza ciò che prima non esisteva. Questo processo potrebbe essere concepito come istantaneo, oppure esplicandosi in un cammino evolutivo più o meno complesso, riferibile sia all’origine del mondo che dei singoli esseri viventi”.
Escludendo l’accezione “divinità” e riconducendo il tutto a un aspetto laico, è bastato buttare una piccola pietra nel grande lago culturale in cui quotidianamente ci si abbevera e si naviga, per ottenere da un folto gruppo di amici i contributi necessari per realizzare un’opera, seguendo degli schemi meditati da tempo, che forse necessitava soltanto che qualcuno l’avviasse.
Quanto fin qui proposto vuole, in qualche modo, costituire un esempio sperimentale che intende mettere a confronto opinioni diverse su un fenomeno comune come quello individuato.
La scelta sulla tematica Street Art ha voluto anche essere un pretesto per facilitare la stesura di testi liberi, su un argomento oggi popolare che non ha ancora consolidato delle basi dottrinali e definito delle solide scuole di pensiero.
Qualcuno mi ha fatto notare che il modello assunto si sarebbe pure potuto anche applicare alla fotografia, alla creatività e all’arte in genere.
Forse, a mio parere, in questi altri casi sarebbero potuti venir meno le spontaneità di esprimere le proprie opinioni, muovendosi in campi e materie che già risultano dibattuti e definiti con ricche bibliografie di studiosi e critici d’ogni tempo.
La Street Art è un fenomeno molto attuale e relativamente giovane che, seppur oggetto di approfondimenti scolastici in tesi di laurea e in qualche sparuto libro, offre ancora ampissimi spazi per approfondimenti e discussioni.
Ringrazio vivamente, quindi, tutti i coraggiosi che hanno voluto cimentarsi, assecondando la mia idea di scrivere sulla materia e che non si sono creati alcuna inibizione nel manifestare un proprio punto di vista, pur consapevoli del rischio di esporsi a critiche e confronti.
A lavoro fatto, la sintesi di tutti i testi scritti, a mio parere, alla fine è riuscita a illustrare un argomento abbastanza ampio attraverso esposizioni variegate di idee e punti di vista liberi, concordati solo sulla indicazione del tema comune che si era chiamati a svolgere.
Il risultato della composita operazione può, ad ogni modo, tornare utile sia a chi è intrigato dal fenomeno che a coloro che non hanno mai osservato con attenzione le tante nuove correnti di pensiero artistico e le varie forme espressive non ancora definite, moderne e – anche per questo - in continua evoluzione.

P.S. Tutti i testi pubblicati in questo volume, come pure le fotografie sono state offerte gratuitamente dai rispettivi autori.
Chi ha aderito all’iniziativa condivide pure la proposta che, in caso di pubblicazione, sia prevista la devoluzione dei proventi economici netti, con versamenti periodici, all’organizzazione Onlus Emergercy (https://www.emergency.it/), una volta assorbiti i costi anticipati per le produzioni editoriali.

sabato 15 aprile 2023

Fotografia: Menabò di un portfolio intitolato “Pasqua”



Ogni volta che si accendono tanti piccoli flash verrebbe voglia di andare a scrivere reminiscenze che affiorano in modo naturale dalla mente; ricordi che focalizzano momenti del passato e che per ognuno costituiscono tessere del puzzle di un’esistenza.
Le tematiche di una vita sono sempre molte, variegate e per dare un senso compiuto ad ogni tema, occorre partire da punti ben precisi: i famosi incipit di base che avviano gli sviluppi di una narrazione.
La composizione dei fattori di una esistenza è articolata e variabile, dipinti con l’uso dei diversi colori dell'iride, corrispondente all’umore e al calore dei singoli momenti.
Variando si alternano e scompongono, infatti, tutti i raggi di luce che attraversano ogni goccia di quel flusso zampillante, irruento, calmo, che scorre e che si avvia per sfociare in un mare.
Monet, con la sua serie di celebri dipinti realizzati in diverse ore del giorno e in diverse stagioni, andava a raffigurare uno stesso particolare della Cattedrale di Rouen per evidenziare come le diverse condizioni di luce, che si andavano a riflettere sullo stesso punto del portale, con delle differenti temperature di colore riuscivano a creare immagini differenti.
Sono anche le varietà di colore che dipingono le tonalità di tutto quello che ci circonda, che danno un senso al reale e che connotano anche le fotografie per noi più rappresentative; che inglobano tante luci, con chiari e scuri, linee ed ombre, di disegni vari abbozzati, corretti, cancellati, definiti.
Nel corso di una vita, quel che rimane, come sintesi di ogni stagione, sono i tanti quadri che rappresentano periodi colorati e la ricchezza della collezione di ogni raccolta dipende dal vissuto rivisitato da ciascuno, con gli elementi descrittivi e l’uso dei colori deliberatamente scelti, casuali o più spesso indotti.
Alla fine della fiera, la mostra delle singole opere costituisce il portfolio fotografico reale di ciascuno; con le brillantezze, i contrasti, gli sfocati e i mossi che fanno da elementi di congiunzione nel filo concettuale che costituisce l’estrema sintesi di un libro scritto con la serie d’immagini proposte e che formano l’album dei ricordi.
In questi casi però, autore e lettore del portfolio si identificano nello stesso soggetto, per il semplice fatto che il creatore delle immagini si ritroverà a leggere fotogrammi di un percorso che racchiude un unicum dei suoi tanti eventi vissuti, compattatisi nel tempo.
Gioie, tristezze, valori, ideali, fortune, sfortune, consapevolezze o semplici casualità, opportunità, accadimenti, rappresentano i pretesti delle tante pasque rigeneranti, mentre le separazioni fra le fotografie - modellate nelle inquadrature, nel taglio, nell’editing o nelle episodiche scelte editoriali – sono le punteggiature che intervallano la grammatica e la sintassi d’ una serie complessa di esperienze.

Buona luce a tutti!

© ESSEC

venerdì 14 aprile 2023

ARVIS Palermo - Incontro con l’Autore: Tony Gentile



Accogliendo l’invito dell’Arvis di Palermo, per presentare l’ultimo suo libro fotografico "Sicilia 1992 - Luce e memoria", edito da Silvana Editoriale, Tony Gentile – palermitano DOC – ha intrattenuto i tanti appassionati presenti regalando aneddoti e tanti aspetti della sua navigata professione di fotografo.
L’incontro con Tony Gentile è stato in realtà una Lectio Magistralis e le due ore di conferenza, risultate coinvolgenti, hanno suscitato un’attenzione che ha visto trascorrere molto velocemente il tempo.
L’atmosfera che caratterizzava l’ambiente ha forse pure condizionato l’esposizione, apparsa pacata e amicale, ricca e generosa di molteplici dettagli e particolari.
Nei dialoghi finali non è potuto certamente mancare anche un accenno alla diatriba giudiziaria che lo ha coinvolto e che ha riguardato la tutela dei diritti d’autore per la famosissima immagine di Falcone e Borsellino. Una fotografia, facente parte di una serie di scatti con un unico rullino analogico di trentasei pose e realizzata nel 1992, che è divenuta di fatto un’icona internazionale, utilizzata dai media (e non soltanto) per ogni manifestazione antimafia o a supporto d’ideali di giustizia.
Lo stesso 1992 è anche l’anno in cui Gentile inizia a collaborare con l’agenzia di stampa internazionale Reuters. La sua attività professionale di fotografo aveva preso avvio presso il Giornale di Sicilia di Palermo nel 1989.
Per gli appassionati di fotografia e chi avrà curiosità di ascoltare i variegati e interessanti argomenti trattati nell’incontro potrà accedere al documento integrale che è stato postato su You Tube.
Personalmente ho avuto l’impressione di cogliere nell’atteggiamento rilassato di Gentile ostentato durante l’evento, lo stesso animo generoso mostrato da Ferdinando Scianna durante l’incontro con quest’ultimo avuto con gli studenti all’Università di Palermo. Momenti della famosa empatia. Anche qui, infatti, Tony Gentile si è manifestato come un fiume in piena, desideroso di trasmettere quanto più possibile a chi era interessato ad approfondire e cogliere i risvolti che ispirano e condizionano l’arte fotografica.
Anche la sua vecchia amicizia con i fondatori dell’ARVIS avrà forse agevolato la sua ampia disponibilità al racconto, ma pure la composizione dell’auditorio, fatto prevalentemente da concittadini, invitava a far riesumare tante vicissitudini e ricordi.
Dopo aver raccontato il percorso che aveva ispirato la edizione rivisitata del suo primo libro ("La Guerra, una storia siciliana" edito da Postcart), Gentile ha ampliato il suo discorso, proponendo un ricco carosello fatto di tante sue altre immagini celebri, molte delle quali realizzate da inviato per la Roiters, una delle principali agenzie fotografiche a livello mondiale.
Come accennato all’inizio, anche per l’atmosfera venutasi a creare, nel corso delle due ore d’incontro che sono sembrate volare, Tony Gentile è riuscito a mostrare in modo palpabile l’entusiasmo che lo ha sempre ispirato e animato nell'attività di fotografo.
Nelle conclusioni, mostrando in una slide gli oggetti che costituiscono il suo armamentario fisso, le sue parole sono pure perfettamente coincise con affermazioni in più occasioni enunciate da Ferdinando Scianna, incentrate sul fatto che il fotografo, in quanto tale e a prescindere delle sue eventuali preferenze, non potrà mai porsi come uno “specialista di settore”; perché, per definizione, deve sempre saper rispondere e affrontare qualsiasi genere fotografico, per riuscire a produrre ciò che la professione - di volta in volta o solo occasionalmente – necessita e richiede.

Buona luce a tutti!

© ESSEC

mercoledì 12 aprile 2023

"Fiori di Campo" di Marina Galici - Fino al 22 aprile in mostra alla Biblioteca Storica Comunale di Palermo



L’articolo di Nuccio Condorelli su Lisetta Carmi, pubblicato nella rubrica “Raccontare per Immagini”, potrebbe pienamente adattarsi a descrivere l’essenza della personale fotografica “Fiori di Campo” di Marina Galici, inaugurata ieri dal “CollettivoF” e che permarrà fino al 22 aprile alla Biblioteca storica comunale di Palermo (mostra visitabile dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13, il mercoledì dalle 9 alle 17).
Sono infatti moltissimi i punti che accomunano la narrazione per immagini proposta dalla Galici rispetto al modo di raccontare usato dalla Carmi.
Le fotografie di Marina Galici esposte rappresentano in modo esaustivo un ampio panorama dell'ormai stanziale popolo Rom, descrittive del loro mondo e non solo.
Gli apparenti semplici scatti in mostra, accomunano sintesi di estetiche e sentimenti che formano, di fatto, un tutt’uno esaustivo dell’identitario di una comunità complessa quale quella degli Zingari. 
Ogni fotografia esposta viene a costituire, pertanto, la pagina di un racconto ricco di dettagli e spesso intriso di significati.
Le figure e gli ambienti non vengono colti per enfatizzare apparenze, poiché quanto fotografato di regola va oltre quello che il nostro occhio riesce a vedere.
La lettura di chi osserva è costantemente portata ad ampliare il discorso che, volutamente, il più delle volte rimane solo accennato; mentre l’editing dell’intera operazione è confezionato in modo tale che ciascuno venga chiamato a implementare il racconto, seguendo l’istinto della propria sensibilità e le conoscenze della propria cultura.
“Fiori di Campo”, con il termine “campo” inteso, come riferito dalla stessa Galici quale “estensione piana” o “ghetto”, è pertanto una mostra fatta sì d’immagini esplicite ma che, al contempo, intrigano molto.
La visita della mostra coinvolge, inducendo a vedere e rivedere ogni fotografia più volte (peraltro nella location espositiva, forse non a caso, il circuito quasi simbolico del percorso di lettura induce proprio a questo), per poi riscoprire ad ogni passaggio sempre nuovi dettagli, che avviano a riflettere e, magari pure, a ripensare ai tanti preconcetti che nell’ordinario condizionano il nostro vissuto quotidiano.
Più in generale, in merito ai contenuti e ai significati espliciti e concettuali dell’arte fotografica, se è vero che la fotografia è stata inventata in Francia e ha avuto pieno sviluppo negli Stati Uniti d’America del primo novecento, è anche vero che la cultura fotografica era già da molto tempo presente e pienamente applicata (in forma pittorica, almeno) nella più antica iconografia europea, con tutto quello che ciò comporta.
Le realizzazioni prevalentemente scientifiche e documentaristiche che hanno caratterizzato l’evoluzione americana non potranno pertanto mai costituire un unico punto di riferimento quale incipit d’espressione artistica e gli utilizzi tecnologici fatti dai fotografi europei ne testimoniano del resto lo spessore e la valenza.
Al riguardo, nella presentazione della mostra di Marina Galici è ben esplicitata la sua componente autoriale che, con le sue sequenze, ha quasi innescato un rito teologico e mistico proposto in chiave decisamente laica.
La narrazione fatta del suo lavoro - nato quasi per caso nel 2011, ultimato con lo sgombero del Campo Rom di Palermo avvenuto nel 2019 e solo in apparenza leggero - include introspezioni e rivisitazioni di convinzioni assunte per certe; risultando gradevole e comprensibile, perché intenta a raccontare ambienti che, ancorché pensati con diffidenza, con le sue foto mostrano la realtà raccolta, con fotografie mai rubate ovvero viste dal buco della serratura.
Una recensione sul libro “Le cinque vite di Lisetta Carmi” di Giovanna Calvenzi, tratta alcuni degli argomenti accennati e che sono stati ampiamente esposti dalla Galici durante il vernissage della mostra.

Buona luce a tutti!

© ESSEC