giovedì 12 settembre 2024

Ho visitato una sola volta Israele



Ho visitato una sola volta Israele, approfittando di un periodo politico non turbolento.
Un giorno il mio amico G, molto lontano dal Signor G di Gaber perché pragmatico e sostanzialmente cinico, mi propose un viaggio insieme in quella terra tanto decantata e storicamente importante per la mostra cultura occidentale.
Tra noi c’era un certo affiatamento collaudato e la sua padronanza delle lingue, specie l’inglese, era per me sicuramente un vantaggio.
Ci volle poco per decidere e, in quattro e quattr’otto, convenimmo d’andarci. Stabilimmo percorso rivolgendoci a una nostra sperimentata agenzia che si mise subito all’opera. 
Per come ci stavamo organizzando in pratica affrontavamo l’avventura quasi come turisti fai da te, senza cioè l’ausilio di una guida che ci accompagnasse, ma con itinerario e ogni aspetto logistico perfettamente programmato.  
La stessa agenzia, ovviamente, ebbe ad attivarsi per l’ottenimento dei visti e ogni cosa venne predisposta per la data di partenza fissata. Tutto fatto quindi. Prenotati voli, alberghi e trasferimenti interni. E vaiiii!
Preparato in ogni minimo dettaglio per corrispondenza, stante le residenze di entrambi in regioni diverse.
Il giorno di partenza ci ritrovammo per tempo all’aeroporto di Fiumicino con carte d’imbarco alla mano e bagagli al seguito. Le istruzioni prevedevano una presentazione al gate d’imbarco in tempi abbastanza anticipati.
Arrivati sul luogo entrambi fummo chiamati separatamente per colloqui preventivi alternati che, a quanto pare, costituivano usuali rituali di sicurezza.
Sarà stato per le sembianze del mio amico, somaticamente vicine ad un arabo, ma i colloqui cominciavano ad andare per le lunghe e in breve si trasformarono in due veri e propri interrogatori inquisitori incrociati.
“Come mai avete scelto per questo viaggio in così breve tempo?”
“Perché avete deciso di visitare Israele?”
“Come mai non avete scelto come fanno tanti nei pacchetti di viaggio programmati da agenzie turistiche?”
“Che grado di conoscenza c’è col suo amico? Da quanto tempo vi conoscete? Che lavoro svolge?”
“Come si chiamano i genitori del suo amico? Che età anno? E loro che professione fanno?”
“Dove è ubicato il luogo di lavoro del suo amico? Quale è il suo domicilio?”
In relazione alle quanto acquisito ci facevano ruotare ogni cinque minuti per verificare il reciproco grado di conoscenza e sondare l’attendibilità delle nostre risposte.
Fino ad allora non mi era mai capitato un preambolo simile nel preludio di un viaggio.
Le domande continuavano con sempre maggiore insistenza e esagerata invadenza, tanto da travalicare ogni logica e cominciare ad assumere aspetti irritanti.
Per cercare di chiudere cominciai a mostrarmi intollerante e a contrappormi in modo scortese. Al punto tale da sbottare e dire loro che questo modo di fare era inconcepibile, che avevano ormai superato ogni limite e che, anzi, avevano proprio rotto e che se avessero continuato con questi toni avrei tranquillamente rinunciato all’imbarco e messo anche una croce definitiva sull’eventuale visita in futuro del loro paese.
L’indisponibilità esternata a non voler continuare e l’evidente incazzatura procurarono il loro effetto. Fummo rilasciati con un visto sui bagagli e ci mettemmo in attesa per le procedure d’imbarco.
Una volta in aereo scoprimmo con sorpresa che i conduttori degli interrogatori incrociati erano anche membri dell’equipaggio che, evidentemente, tra i loro compiti avevano anche quel ruolo poliziesco. Una volta decollati in breve tempo arrivammo a Tel Aviv. Spostandoci poi a Gerusalemme e successivamente a girare la Galilea con un pacchetto turistico locale.
Il Mar Morto è un’esperienza unica che consiglio a tutti, il Giordano vive del mito, Betlemme rievoca le storie del cristianesimo. Tutti i luoghi risultavano interessanti, anche le Alture del Golan che sovrastano la Siria. La chiusura del viaggio prevedeva un soggiorno marino ad Eilat, sul Mar Rosso.
Tutto il percorso per terra ferma si svolse senza intoppi, unica costante furono solo i ripetuti terzi gradi ogni qualvolta dovevamo procedere con i voli interni.
Girare per Gerusalemme è anch’essa un’esperienza unica che non si può descrivere. Si deve solo vivere in prima persona.
Un giorno prendemmo pure il loro bus di linea per visitare la parte residenziale esterna degli ebrei ortodossi. Fu l’unica volta che rischiai fotograficamente di brutto, solo per avere inquadrato con la mia reflex un gruppetto locale ma senza scattare la fotografia. Divertente era stato anche fotografare i passeggeri che accedevano al bus per recarsi sul posto, ma dopo un giro del percorso l’autista, che da subito era infastidito della nostra presenza e non approvando il fatto che scattassimo foto all’interno del veicolo, ci espulse in malo modo, lasciandoci letteralmente in mezzo a una strada e fuori dalle mura. Tutto questo comunque rientra negli imprevisti e delle causalità che si creano nel corso di qualunque viaggio.
Costante a Gerusalemme era continuare a recarsi al muro del pianto o andare a posizionarsi nella panoramica che dominava la spianata delle moschee. Gli ebrei di quei luoghi cittadini che incontravamo si dimostravano molto cortesi e sempre disponibili. Certo facevano impressione tutti quei militari e i continui presidi che vigilavano l’accesso alla città vecchia.
Oggi Israele sta vivendo un momento terribile e posso anche comprendere il terrore che questo popolo nutre. Forse nel loro intimo il loro sentirsi perennemente in pericolo. Deriva all’aver avuto attribuito quel territorio stato per una convenzione, come risarcimento e compensazione alla Shoah nazista subita. Di certo nel modo di rapportarsi con gli altri, specie se arabi o palestinesi, manifestano tutta la loro insicurezza. La parte ebraica laica, diviene sempre più minoranza nel paese, messa in minoranza dalla proliferazione continua degli ebrei religiosi e condizionata dall’intransigenza degli ortodossi e dai coloni che, invadendo sempre più territori della Cisgiordania, complicano ogni possibilità di dialogo con gli altri coabitanti della frazionata terra promessa.
Il nazionalismo autoritario li pone da tempo e sempre più nella parte del torto, ma tutti gli israeliani non hanno certamente le stesse idee e, come si usa dire, di loro non si può fare di tutta l’erba un fascio.
Cultura e tradizioni sono punti di riferimento della nostra civiltà. La soluzione del conflitto tra Israele e Palestina non piò continuare in questo modo, oggi occorre di certo una mediazione neutrale e medicamentale esterna con un tutoraggio adeguato dell’ONU volto ad avvire un processo di pacificazione e il ritorno alla democrazia.
Israele vive una sindrome costante dalla sua fondazione come stato e vede nel prossimo un potenziale terrorista. La patologia che li affligge e li terrorizza è la fottuta paura di essere costantemente esposti a un attentato.

Buona luce a tutti!


© ESSEC

1 commento:

  1. L'autore dell'articolo descrive la sua esperienza israeliana con dovizia di particolari che suggellano il suo pensiero... Complimenti di cuore ❤️

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