Come ho già avuto modo di ricordare, il mitico Antonio Billeci, durante un ricevimento di professori, nel descrivermi dal punto di vista scolastico ebbe a dire di me .... “in una classe di ciechi lui ci vede con un occhio solo”. Per me, anche per la stima nei confronti di quel mio “professore filosofo” (amante appunto di filosofia e che insegnava ragioneria), quello rimase e rimane ancora uno dei maggiori complimenti ricevuti nella mia vita.
In questi giorni mi sono accompagnato con l’amico SID nel popolare quartiere Capo di Palermo, poiché aveva programmato la realizzazione di un murales su una parete fatiscente che qualche giorno prima gli si rivelò vagando per i luoghi.
Gli artisti hanno il privilegio di osservare la realtà attraverso dei filtri per loro naturali che aggiungono e sottraggono alle loro personali visioni.
Mi ricordava momenti creativi che mi capitavano da ragazzo, nel realizzare disegni mai programmati prima, che discendevano da elaborazioni successive di linee e rette precedentemente accennate e tracciate senza alcun raziocinio.
Attraverso letture successive – che fotograficamente potremmo pure assimilare alla stregua della postproduzione – le tracce abbozzate costituivano di per sé degli elementi idonei ad ispirare figure, contesti, ambienti che a posteriori necessitavano solo di essere definiti.
Si trattava quasi di un gioco che, con elaborazioni spontanee, generavano forme frutto di diletto, anche per una creatività’ grafica che era in continuo divenire.
Tornando a SID e al suo progetto, dalla fotografia del muro aveva poi definito un bozzetto dell’opera che si era proposto di realizzare. L’arte, però, ha la peculiarità di rimanere mutevole, pure in fase realizzativa.
Soffermandosi ad osservare il muro SID, già tracciando le prime linee di contorno della figura, mi rendeva partecipe di una sorta di visione suggestiva che intanto ci accomunava.
Le macchie di colore, gli scrostamenti, le tante linee e le variegate tonalità delle tinte presenti e frutto d’intemperie tendevano a uscir fuori, a mettersi di per sé in evidenza, come fossero dei disegni sedimentati, preesistenti, dormienti.
Succedeva, in sostanza, che l’opera da realizzare era già presente sul muro e che a SID era quasi solo demandato il compito di farla uscire fuori dal letargo.
Si trattava insomma di un appuntamento inconscio, tra l’artista e la sua opera, che si era già palesata alcuni giorni prima, con la scoperta del muro.
Man mano che il pennello, la vernice nera e la scala di grigi tirava fuori l’immagine, si capiva perfettamente che la figura veniva quasi fuori da sola.
Capitava perfettamente la stessa cosa che accade in camera oscura. Quando, dopo aver impressionato la carta, viene ad emergere l’immagine nella bacinella di sviluppo. Compito del fotografo, che ha già catturato in pellicola la sua luce, nella successiva sua veste di stampatore (almeno nel ruolo classico di una volta) rimane quello di governare l’effetto reattivo del “Rodinal” e bloccarlo con il liquido di fissaggio nel momento opportuno.
Bastarono non più di un paio d’ore perché l’opera di SID fosse completata.
A commento del suo time-lapse pubblicato su FB l’autore ha scritto: “Quando un muro si esprime da solo, i colori e le imperfezioni diventano già arte. Il mio compito è cercare di coprire il meno possibile la parete e interagire con essa”.
La figura era venuta fuori senza resistenze e con il messaggio che si accostava molto alla massima a me cara e proferita dal professor Billeci.
Mi fu pertanto naturale suggerire a SID il titolo che poteva essere attribuibile al suo bellissimo murale: “Punti di vista” e che con mio piacere ha raccolto.
Un breve slide show pubblicato su You Tube, musicata con parte di un brano del 2006 dello stesso SID, evidenzia l'evoluzione creativa dell'opera.
Buona luce a tutti!
© Essec
martedì 29 aprile 2025
mercoledì 16 aprile 2025
Il talento e il ballo
La prima volta che ho ascoltato Elisa è stata durante una trasmissione su RAI 3, in un programma in cui Caterina Caselli si proponeva come talent scout.
Elisa a quel tempo non era ancora maggiorenne, ma già mostrava pienamente il suo talento; cantava le sue canzoni in inglese e, pur non comprendendo le parole, le sue interpretazioni andavano oltre.
Fortunatamente nella musica sono in tanti i talenti creativi che riescono a introdurre in ambiti sospesi, attraverso melodie che costituiscono sintesi di sensazioni, sentimenti, che riescono, come detto ad andare oltre, a penetrare l’anima.
Da Battiato a Paoli, da De Gregori a De Andrè, da Dalla a Guccini, per non parlare del combinato Mogol/Battisti, sono già moltissimi gli esempi italiani di cantautori con caratteristiche simili ad Elisa e i citati sono alcune delle vette di iceberg comparabili al riguardo.
Così come nelle generazioni si sono succedute diversificate genialità palesatesi eccelse in vari campi, ogni forma artistica ha visto un turbinio di soggetti che hanno avuto occasione di manifestare il loro talento, lasciandone tracce.
Con i quattro termini “m’illumino d’immenso” Ungaretti ha lasciato un messaggio d’intensità che non presenta confini. John Lennon, dal canto suo, con la sua straordinaria melodia di “imagine” ha musicato una poesia utopica sull’obiettivo supremo dell’esistenza umana.
Se provassimo a pensare a quante generazioni si sono succedute nelle sequenze esistenziali, ovviamente relazionandole ai loro tempi, emergerebbe una folla di geni (manifesti, riconosciuti, compresi, incompresi) che hanno saputo illuminare l’avventura umana. Con tutti i possibili pregi e difetti derivati o ad essi collegati.
Anche in un campo artistico relativamente giovane, quale quello costituito dalla fotografia, sono moltissimi gli esempi di coloro che, ottimizzando l’utilizzo del mezzo disponibile per lo scopo, sono riusciti a illustrare e a raccontare fissando, su una pellicola sensibile prima o su pixel adesso, la luce.
Ciascuno di noi, assecondando i gusti, la sensibilità e il proprio bagaglio culturale, sarà facilmente in grado di crearsi una scala di valori, distinguendo tra i vari autori; ma è sufficiente accedere ad internet per constatare quante centinaia di migliaia di personaggi e relativi scatti vengono proposti. Questo interrogando con la sola parola fotografie o fotografi.
Si vedrà anche qui un crescendo temporale legato alla democratizzazione del fenomeno, prima prerogativa quasi esclusiva per pochi agiati, anche per la non indifferente incidenza dei costi da dover sostenere, e oggi accessibile a tutti tramite l’utilizzo di un semplice cellulare, alla portata di tutti.
Al riguardo sbaglia chi denuncia e lamenta un’eccessiva produzione o enfatizza utilizzi a mo’ di giocattolo (selfie) dello strumento. Le quantità pur producendo per lo più tanta spazzatura non impedisce, infatti, l’emergere di talenti.
È pur vero che anche l’indole mercantile presente in ogni essere umano contribuisce ad inquinare qualità. Per lo più attraverso l’attività di critici e galleristi che pilotano tendenze e mode per evidenti tornaconti economici o aspettative di glorie, ma questo rappresenta un altro capitolo e costituisce un’altra storia.
Dopo questa lunga premessa veniamo però al dunque di questo articolo, ovvero accingiamoci a concentrarci su un determinato scatto e a disquisire sui tanti aspetti della fotografia prodotta.
L’immagine che in questo caso si viene a proporre è una foto in bianco e nero che, nella sua semplicità compositiva, può ben rappresentare una sintesi estrema di simboli e concetti,
Il ballo che ne è ritratto rappresenta quello di una coppia, ma potrebbe pure riferirsi ad uno degli incontri che il lui o il lei (e comunque importa poco il genere) viene a intrattenere con i propri simili in ogni attimo dell’esistenza.
Le figure, volutamente mosse e forse un po’ sfocate, vogliono rappresentare il fluttuare o il turbinio (scelga autonomamente l’osservatore) del suo rapporto con gli altri.
Paradossalmente si potrebbe intendere anche come un ballare da soli, pur ritrovandosi con tanti soggetti immersi in una affollata sala.
In ogni caso chi ha la fortuna di nascere e vivere l’avventura della vita si troverà a dover ballare nei meandri più nascosti d’ambienti che andranno a costituire il proprio mondo. Dopo il primo vagito, si cerca di capire e di adattarsi a ogni possibile ballo.
Nell’immagine, il bianco e nero scelto dall’autore per il suo racconto introduce anche alla nebulosa atmosfera dell’onirico, mescolando il reale con fantasie e ricordi.
La musica, che non è ovviamente udibile, in verità c’è; sottintesa e ciascuno potrà sentire il suo brano.
Conseguenzialmente individuare il ritmo del ballo, convenzionale, codificato o legato a una estemporaneità coreografica del momento che rimane pure esso interpretabile, secondo l’umore e la predisposizione del momento.
La fotografia che è stata scelta come esempio potrà anche essere intesa e, quindi, essere letta in vari modi. Come un auspicio o come documento che racconti il momento di un vissuto. Altresì come un’attesa o un desiderio agognato insito al momento creativo dell’autore. In ultimo anche come un epitaffio rappresentativo di un’intera esistenza.
In qualsiasi di questi casi i colori non occorrono per enfatizzare l’idea, per il semplice fatto che ogni scelta resta personalizzata ed ognuno sarà in grado di selezionare i propri; non trascurando che anche il bianco e nero presentano delle gradazioni interne, fatte d’infiniti grigi che, comunque, rientrano anch’essi nella gamma intera dei miliardi di colori possibili.
Buona luce a tutti!
© Essec
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P.S. Come mi capita spesso l'amico P. soffermandosi sulla fotografia suggerisce .... "Il bianco e nero esalta il contrasto tra l’anonimato della città e il calore dell’abbraccio: è un tango di strada rubato al cemento e alla frenesia urbana?" .... Una considerazione aggiuntiva anche questa appropriata!
mercoledì 9 aprile 2025
Marzia Rizzo, in arte Zazie
L’instancabile Arturo Safina questa volta ha organizzato un incontro streaming che ha consentito, ai soci di Colori di Sicilia e a me come ospite, di conoscere il pensiero e le variegate produzioni di Marzia Rizzo, in arte Zazie.
Durante l’interessantissima serata, che ha pure visto interventi, considerazioni e quesiti appropriati dei partecipanti, abbiamo avuto modo di conoscere l’ampio raggio produttivo della fotografa milanese, facendo emergere innumerevoli spunti, utili a comprendere quanti possibili motivazioni possono indurre all'approccio dei tanti appassionati nelle sfaccettate forme di fotografia.
Più volte la Rizzo ha sottolineato come per lei la fotografia rappresenti un mezzo, un’occasione, quasi un pretesto per allargare le sue conoscenze e procurare occasioni di confronto. Poiché gli incontri, specie quelli rivolti alla ritrattistica o alla street, presuppongono approcci finalizzati ad apprendere, nell'ascoltare storie, nell'essere disposti ad acquisire visioni altrui, alla ricerca di possibili empatie.
Conoscevo Marzia per le sue innumerevoli iniziative intraprese in tempo di Covid, dove veniva a proporsi come conduttrice di incontri con fotografi - o addetti ai lavori del settore – più o meno conosciuti.
In una veste, quindi, d'intrattenitrice per lo più impegnata a valorizzare e a far conoscere lo spirito degli artisti e personaggi coinvolti.
Un’attività, quindi generosa, cioè non volta a mettere sé stessa in un piedistallo, per mostrare attività e produzioni personali, bensì rivolta a far conoscere e valorizzare quelli che fungevano da ospiti.
In breve tempo, i suoi incontri riscossero successo, talvolta pure fidelizzando, e costituirono una serie d’interessanti appuntamenti che periodicamente permisero a tanti di poter evadere dalla potenziale paranoia causata dalla pandemia.
Tornando alla serata d’ieri, Zazie questa volta è stata chiamata a porre al centro dell'attenzione la sua figura, i suoi progetti, le sue fotografie, la sua filosofia artistica, i fondamentali che da sempre l’hanno spinta a questa attività, non escluso il suo impegno didattico.
Con grande mia sorpresa, sono venute fuori tante Marzie, differenziate dalle diverse epoche temporali, dalle occasioni, dagli stimoli, dalle esperienze. Tutto quanto - e sempre - con un comune denominatore: in ogni rapporto, ovvero il desiderio perenne di sperimentare, senza paura di rimettersi ogni volta in gioco.
Ne è scaturito che la sua attività di fotografa è sempre stata e continua a essere varia, mutevole; calamitata da voglia e curiosità di conoscere il nuovo; senza mai adagiarsi a quelle potenziali formule di successo che spesso ingessano tanti artisti (con l'illusione d'essere arrivati) e che tendono a mutare irrimediabilmente la passione in mestiere, fatto di semplici routine artigianali spacciate come "pseudo novità creative".
Quanto postato su Instagram, oltre che nel suo sito web, costituiscono validi esempi di tutto quanto Zazie ha voluto trasmettere durante la serata.
In alcuni momenti adattata agli sviluppi che si venivano a prospettare in base a quanto detto, da lei o dagli spettatori presenti all’incontro. Tutto quanto raccordato dalla sapiente cucitura dell’amico Arturo.
In conclusione posso affermare che l’incontro è stato un’occasione utile per tutti i presenti.
Le articolate discussioni e i tanti lavori definiti o work in progress, nel loro insieme infatti, hanno consentito di andare a focalizzare l’aspetto artistico-sociale che - anche a nostra insaputa – avvolge il mondo della fotografia.
Roba non di poco conto direi.
Buona luce a tutti!
© Essec
lunedì 7 aprile 2025
L’orologio alla parete segna le 10,10 ma non si capisce se sono a.m. o p.m.
Sono stato più volte invitato a soffermarmi su una fotografia e disquisire su di essa, utilizzando l’approccio con il quale normalmente mi accosto alle cose e che più mi risulta spontaneo.
Nel libero vagare, con la leggera filosofia del cazzeggio, mi piace affrontare e analizzare quasi esclusivamente ciò che m‘intriga, m’impressiona.
Messaggi che appaiono evidenti, impliciti ed espliciti, quindi più o meno nascosti, che ciascuno osservatore vuole vedere, anche attraverso personali filtri creati da esperienze, o solo frutto di fantasie, o dei retaggi di tabù o persistenti tare e insopprimibili fissazioni.
Da tenere conto, in questa operazione, che non tutti sono però disponibili a esporsi pubblicamente, forse anche per dei limiti nel cercare di manifestare pienamente il proprio pensiero o per la difficoltà di venire a parlare di cose e aspetti di cui si continua ad avere paura.
In relazione alla premessa appena fatta, mi avventuro a cercare di sviluppare delle mie impressioni su questa pittura realizzata da SID, un artista a tutto tondo che esprime con invidiabile padronanza la sua arte concettuale, perfettamente consona al complesso e variegato contesto sociale in cui ci troviamo tutti quanti a vivere.
Il quadro in questione, realizzato nel 2014, infatti, è una fotografia emblematica dei nostri giorni.
Se l’opera sia stata realizzata con oli, tempere o altro materiale e su una tela o una carta, piuttosto che post prodotta visivamente attraverso una reflex, un cellulare, per realizzare una fotografia e “scrivere con la luce” non mi è dato a parere e, comunque, avrebbe poca importanza.
All’espressione artistica, a mio parere, non possono mai essere posti paletti.
Tutte le formule idonee ed ogni mezzo prescelto dall’artista o occasionalmente utilizzati per poter narrare rimane legittimo e assolutamente valido. Talvolta anche nel voler dire di se stessi, dando la falsa impressione di parlare d'altri.
In ogni caso, per mettere d’accordo chi teorizza limiti e barriere, facciamo conto che in questo caso si stia parlando di una fotografia, realizzata dallo stesso autore o da qualcuno che non conosciamo.
Al riguardo è anche bene tenere conto, nei tempi attuali che vedono crescere l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale, che se fotografia è linguaggio malleabile e che reflex (o cellulari) sono lo strumento per scrivere con la luce. Occorre entrare in qualche modo anche nell’ordine d’idee nuove e assecondare la logica di poter realizzare e proporre fotografie attraverso l’utilizzo della IA; disponibili a mescolare i termini nei processi produttivi d’immagini; financo aprendo anche alla potenziali creatività concettuali di disabili anche non vedenti.
Tornando al quadro, sono moltissimi i simboli in esso rappresentati, evidenti o meno a secondo di quanto viene da ciascun osservatore attenzionato.
Sono, infatti, innumerevoli i dettagli collegati all’atmosfera che aleggia nella stanza rappresentata, dove sono disseminati tanti oggetti simboli o che inducono ad allegorie.
Il sipario del palcoscenico raffigurato nell’interno di un teatro è ancora chiuso, ma le luci accese, poggiato a terra, potrebbe lasciare presagire l’inizio imminente dell'evento e il soggetto in primo piano o quello accanto a lui (forse l’animo nascosto o solo la sua controfigura) potrebbe essere il protagonista della rappresentazione scenica.
Bottiglie piene, non ancora aperte e altre più numerose poste accanto e messe alla rinfusa vogliono dare anch’esse il messaggio di aver fatto da tramite per superare ipotetiche paure.
L’orologio alla parete segna le 10,10 ma non si capisce se sono a.m. o p.m., pertanto non si riesce a comprendere se la rappresentazione deve iniziare o se il sipario si è appena chiuso. Prima ipotesi e seconda ipotesi restano entrambe associate all’attonito personaggio posto in chiara evidenza in primo piano.
Un impatto immediato rimandava da subito all’urlo di Munch che fa da sfondo e che si bilancia col somigliante omino sofferente che fa da protagonista (presente/assente) e che rende drammatica l’intera scena.
Una macchina fotografica posta a margine, ma al centro, dell’intera scena non è un dettaglio da poco, almeno per l'autore del quadro, e tende forse a fornire forse la chiave di lettura dell’insieme del dipinto.
Probabilmente il tutto è il risultato di un selfie (dall'inglese self-portrait photograph) ovvero "autoritratto fotografico", che racchiude i tanti elementi vissuti dal protagonista.
SID potrà pertanto certamente essere l’unico depositario delle sue vere intenzioni creative, ma ciò non toglie che l’osservatore potrà certamente fantasticare e andare anche oltre; forse pure intuire e leggere anche il subconscio (suo o dell’artista), usando il passepartout che consente di leggere l'arte.
Buona luce a tutti!
© Essec
venerdì 4 aprile 2025
“Venghino, signori venghino” (Tempo di seconda mano)
Se l'algoritmo ti scopre come fotoamatore non potrai certo sfuggire a tante emai allettanti. Non credo, infatti, di essere l’unico a ricevere ogni giorno e da ogni dove una miriade di messaggi per andare a partecipare ai più vari concorsi fotografici.
Montepremi in denaro, attestati per le tante articolate tematiche ……. Con un approccio sottinteso del tipo “venghino, signori venghino” ….. medaglie abbondanti e premi e cotillon per tutti.
L’obolo previsto non è mai tanto esoso, atteso che con pochi euro si potranno ricevere diplomi e riconoscimenti utili ad appagare spesso attese e alleviare frustrazioni competitive patite.
Ormai, muovendoci in un sistema volto principalmente a lucrare anche nel dispesare benessere, torna anche conveniente venire a gratificare e concedere prestigi a tutti, quindi: encomi democratici, stellette, like e opportunità per successi virtuali.
Tutto sommato accade quanto in parallelo da tempo succede nel conseguimento di titoli accademici, dove scuole private, attraverso rette accessibili, consentono a chi lo vuole facili conseguimenti di diplomi e lauree.
Scappati di casa potranno così esibire agognati attestati di lauree brevi o specialistiche o diplomi, per un mercato del lavoro politicizzato dove più che il merito prevale il titolo acquisito (o acquistato, fate voi) nei tanti proliferanti centri nazionali ed esteri.
Riguardo all’abbondanza di titoli di studio possono essere d’esempio già gli Stati Uniti d’America, dove le differenze di classe sono spesso indipendenti e non proprio conseguenti al livello sociale di nascita o dai possibili acculturamenti conseguiti.
Rimangono per questo di tutta evidenza le condizioni celle quali ci si trova a vivere: Limousine, tran tran anonimi, homeless, drogati, cocainomani o poveri cristi a seconda del censo d'appartenenza.
Tutto è alla luce del sole, con lussi sfrenati e miserie evidenti che convivono in parallelo in una società sempre più abituata all’indifferenza; con una partecipazione sempre più minoritaria a democrazie arcaiche e leader che si inabissano e ritornano assecondando i cicli umorali della gente.
“Tempo di seconda mano” con sottotitolo “La vita in Russia dopo il crollo del comunismo”, scritto da Svetlana Aleksievic nel 2013 e premio Nobel per la letteratura nel 2015, rappresenta uno spaccato realistico di un’altra umanità. Dove la confusione succedutasi al crollo dell’Unione Sovietica sta evidenziando tutti i caratteri che affollano la specie umana.
Incredibili esistenze, crisi di valori, aspetti nichilistici, barbarie naturali, cattiverie diffuse, generosità senza limiti, abbondano nelle oltre settecento pagine dove la Aleksievic si limita a riportare ciò che la gente spontaneamente vuole che lei scriva.
Nessun giudizio o aggettivazione accompagna le storie, riportare quasi in modo asettico come se fosse la scrivana di lettere per conto di soggetti confusi ma quasi mai analfabeti. Anche nella realtà narrata appare, ad un certo punto dell'evoluzione sociale, l'inconsistenza e la valenza pratica dei titoli di studio conseguiti in quel sistema pseudo comunista, che pure assicurava cultura a tutti per l'ideale socialista, a prescindere dall'appartenere a un ceto.
La trasversalità dei racconti interessa i vari angoli della convivenza umana, evidenzia un filo rosso che sottende ad ogni organizzazione sociale. Pseudo democrazie e totalitarismi si confondono nei rispettivi contesti amministrati secondo progetti politici o pseudo anarchici dell’uomo.
Negli USA, in Europa, nello smembrato impero ex comunista e in ogni angolo del mondo si sviluppano esistenze che annoverano stessi sentimenti; fatti d'innamoramenti, convivenze, vite parallele, tradimenti saltuari, compromessi, più o meno civili abbandoni definitivi, riconciliazioni frutto di ripensamenti o convenienze. Il tutto in modo più o meno esplicito, secondo le convenzionali vigenti nei reciproci assetti sociali e le relative regole di convivenza.
Forse è questa la chiave di lettura che permette di capire l’attribuzione del premio Nobel fatta a questa opera letteraria. Intensa, coinvolgente, significativa, a tratti monumentale e quasi enciclopedica delle possibili espressioni della natura umana.
Un’opera che potremmo definire "sempreverde" per l'attualità estrema che manifesta; un lavoro che rimane assai difficile da raccontare a parole per le molteplici sfaccettature di realtà poliedriche.
Un Caleidoscopio che miscela esistenze apparentemente semplici e dove convivono il male e il bene, l’assolutismo e i valori ideali, la generosità e l’egoismo estremo, l’assenza di colori tenui e il prevalere dei contrasti accesi. Bianchi e neri che, dominando tendono a occultare la valenza delle tonalità di grigio.
Il libro è anche una raccolta delle tante realtà post comuniste che si sono messe in luce nei vari specifici contesti tempèorali, condizionati anche da ataviche e confuse lotte etniche, sempre sottotraccia, di dominio e indipendenze, traspaiono dai tanti soggetti intervistati e chiamati a raccontare le loro storie.
La maggior parte delle storie derivano da delle registrazioni curate direttamente dall’autrice, realizzate con il consenso degli interessati, ma nelle pagine si alternano anche molteplici frasi, quasi frutto di estemporanee e veloci stenografie, poste volutamente in modo frammentario, come a voler maggiormente sottolineare concetti, le storie collegate ai contesti.
In conclusione, dopo aver letto quest’opera, dura e composita, rimane più che valida considerazione che Erasmo Da Rotterdam esprimeva sull’umanità, riportata in copertina del libro “Banche d’Italia & …. Quando la burocrazia è ottusa, stravolge e condiziona”, che recita: “E in definitiva la vita degli uomini nient’altro è che un gioco della pazzia”.
Buona luce a tutti!
© Essec