lunedì 8 settembre 2025

"Siamo anche ciò che non sentiamo" di Raffaella Tava

A tutti noi capitano talvolta delle cose strane che sembrano dettate da sensazioni inconsce.
Può succede, quindi, che in un giorno particolarissimo si viene a realizzare una strana fotografia, che sembra voglia corrispondere alla sintesi di un avvenimento e di un sentimento complesso ad esso correlato.
Fisicamente, come nel caso in questione, frutto magari di causalità imprevedibili, di occasionali situazioni di una miscellanea irradiante di luce ombre, che all’autore generano un’illuminazione, sintesi di concetti filosofici complessi, che inducono a scrivere.
È quanto è accaduto all’amica Raffaella, nel realizzare - in un giorno per lei particolare - la foto posta in testa al suo articolo, suscitato dall’ennesima riflessione sui massimi sistemi; che sembrano assopirsi ma che restano perennemente latenti, sempre pronti a riaccendersi.
Si rilancia di seguito l’immagine in questione e il relativo articolo ad essa abbinato, che l'autrice ha provveduto a pubblicare nel suo spazio web del sito Fotoportal gestito da Salvatore Picciuto.

Buona luce a tutti!

© Essec

--

Siamo anche ciò che non sentiamo
rendendocene conto unicamente quando lo percepiamo

Siamo stati dotati di un corpo stupendo, una macchina complessa, dotata di più sistemi assemblati apparentemente indipendenti; in un’armonica e primordiale sinergia, che ci dà forma esteriore e potenzialità, permettendoci di vivere.
Un corpo che diamo per scontato, non sostituibile, amato o ripudiato ed a volte purtroppo dannato. Un corpo effimero se rapportato all’immensità dell’universo, inevitabilmente reale e carico di illusorietà. Si, perché nei susseguissi degli hic et nunc, qui e ora, della nostra vita ci sentiamo fondamentalmente potenti ed immortali, finché non arriva un qualcosa che scardina le nostre certezze.
Quando siamo impegnati in gesti di routine, azioni compiute in automatico e, ancor di più, quando la mente viaggia solitaria, ci dimentichiamo di avere un corpo, così come ci dimentichiamo della sua complessità. Abbiamo modo di scoprirlo al manifestarsi di una minima avaria fisica, quando scopriamo i limiti che diventano occasione per percepire la nostra fisicità. Quando mai percepiamo distinti, ad esempio, il fegato, i timpani, i menischi, i polmoni?... Esatto: solo quando dolgono. Ecco che, in quel presente, emerge tutta la nostra vulnerabilità, il senso di impotenza e la caducità del corpo che lo caratterizza. È li che cominciamo a sentire il corpo, a percepire in modo più conscio che la sua funzionalità unitaria non è scontata, a sentire ciò che non sentivamo.
Il rapporto innato che abbiamo con il nostro corpo rispecchia il rapporto che abbiamo con la nostra anima: non la sentiamo ma è li, parcheggiata in latente attesa del suo hic et nunc pronta ad esplodere tumultuosamente per farsi sentire nel momento in cui siamo fermati dalle emozioni e dai dolori. Si, perché quando ci troviamo di fronte ai nostri limiti fisici, in qualche modo entriamo inevitabilmente in contatto con la nostra anima; in quel momento scattano una serie di domande, tra cui le “Domande ancestrali” a cui l’uomo, dalla notte dei tempi, non sa dare risposte.
Da queste fermate non programmate, in prossimità della nostra anima, ripartiamo normalmente con una consapevolezza maggiore di noi stessi, una migliorata sensibilità e comprensione degli altri, consci della piccolezza dell’homo sapiens nell’infinito, senza poter darsi alcuna risposta sull’esistenza del tutto.
Tralasciando l’universo e tutti i suoi misteri inaccessibili, ciò che mi sovviene è la consapevolezza che corpo e anima viaggiano interconnessi: o entrambi non sentiti o entrambi sentiti. Quando un hic et nunc è segnato da un dolore fisico, sentiamo il corpo e, di riflesso, l’anima; viceversa, alcune battaglie intraprese dall’ anima ci fanno sentire, attraverso il dolore, la materialità del corpo.
Non è raro costatare come le persone che hanno sofferto molto fisicamente o coloro dall’animo tormentato abbiano sviluppato una maggiore empatia verso il prossimo e una sensibilità profonda.
E qui sorgono le domande, come: è plausibile asserire che ciò derivi da una battaglia combattuta contestualmente su due piani, quello il fisico e quello dell’anima, bisognosa di pace e serenità?
Inoltre, quando i limiti fisici, la malattia o la sofferenza sfociano in intolleranza, rabbia, astio o addirittura rifiuto della vita, può essere attribuito ad un’anima irrisolta e travagliata che rende il corpo dannato?

Infine, dal punto di vista mistico, in quale cinico disegno può mai rientrare la sofferenza gratuita, come quella sofferta dagli ammalati terminali o succubi di malattie degenerative fortemente disabilitanti? Come potrebbe mai l’anima trovare la pace? Eppure, ci sono testimonianze che ciò avvenga.
In tutto questo divagare di pensieri trovo solo una certezza palese: non esistono risposte certe o argomentazioni che possano illuminarci sul significato della Vita.

© Raffaella Tava

[07/09/2025]

Nessun commento:

Posta un commento

Tutto quanto pubblicato in questo blog è coperto da copyright. E' quindi proibito riprodurre, copiare, utilizzare le fotografie e i testi senza il consenso dell'autore.