sabato 3 gennaio 2009

Potere Benedetto

Fra gli intellettuali è oggi motivo di vanto aver tenuto un convegno col Papa e in politica dilaga il partito ratzingeriano. Finita l'epoca dei mangiapreti, i «compagni di strada» della sinistra di ieri sono diventati i compagni di processione di oggi. Con poche, isolate, eccezioni. L'Italia di Benedetto XVI ha cambiato sarto. È il tipico segno di chi è arrivato quello del cambiare sarto: in un mondo di stoffe qual è quello del braccio secolare di Santa Romana Chiesa (sia esso l'alta burocrazia, la finanza, il Centro studi ciceroniani, qualche stanza della Rai o il delizioso Giardino della veranda, il ristorante dei cardinali), l'esatto rigore s'impone nella scelta tra tessuti inglesi, mentre invece Ermenegildo Zegna già vanta nel proprio campionario la «tela vaticana». È una lana fredda ritorta, dal peso leggero, ad alta tenuta. Pare sia eccellente. Non era prevista una notizia simile, ma nella conta di 200 e passa giorni di regno di Joseph Ratzinger c'è anche questa del cambio di forbici (il fornitore della Santa Sede è l'Euroclero) e un'altra ancora: l'aver acquisita tra le cronache una scelta definitiva sulle scarpe. I calzari di Sua santità, infatti, sono di Miuccia Prada, la stessa azienda che fornisce sandali alle signore dei girotondi per la democrazia. Alle 17.51 di martedì 19 aprile (un pomeriggio di pioggia, a Roma) nessuno immaginava di dover aggiornare l'iconologia profana, né tanto meno di farne un innesto nella vaticanologia, scienza per eccellenza orba di verificabilità, ma l'Italia di questo Papa che miete negli Angelus della domenica più folla del suo predecessore, questo timido dalla faccia da monello, così inviso agli omosessuali immediatamente per conquistarseli subito dopo, sfoderando, diremmo con Franco Grillini, «la fragorosa bellezza del rito». Questo Dirimpettaio di là dal Tevere così tedesco da «dire poco e molto fare» ha incontrato un'Italia tutta sua (e tutta per sé) che ha deviato dal suo radicato sentimento popolare e materialista e molto democristiano. Non ci sono più i mangiapreti di una volta perché questa volta il prete è fatto di una pasta elaborata, sofisticata, perfino ambita al punto di essere diventato un gioco di società «l'aver fatto un convegno col Papa». Papa Benedetto XVI in udienza. I testimonial della fede più demodè e caricaturali (nella migliore delle ipotesi il solo Antonino Zichichi, ancora fotografato in copertina con Karol Wojtyla) sono stati sostituiti dai Cacciari, dai Severino, dai Mieli, da Paolo Flores d'Arcais persino, il laico dell'eccellenza laicista, primo per virtù della sua prestigiosa rivista, Micromega, ad aver avuto confidenza con l'allora capo della Sacra congregazione per la fede. Tutti amici del Papa per virtù intellettuale, alcuni gratificati dalla confidenza del darsi del tu. «Mi sento percorrere da brividi di commozione all'idea che Ratzinger possa diventare papa»: così diceva un altro amico dell'intelletto, ossia Marcello Pera, non a caso filosofo, quando il teologo raggiungeva la fumata bianca dal comignolo della Cappella Sistina. E chissà che non sia invece Flores quello che più di ogni altro possa godere il lusso di dire: «Come stai Santità?». L'Italia di Benedetto XVI ha cambiato registro, l'eterno spettro laico della nazione «in fondo massonica», quello che celebrava i suoi riti da Napoli con Benedetto Croce, da Torino con Norberto Bobbio, e che oggi guarda la bandiera dello Stato laico tenuta orgogliosamente in alto dal solo Eugenio Scalfari, a 200 giorni e passa di regno sembra rassegnarsi al pontificato di questo teologo che da sempre ha saputo corrodere il pregiudizio dell'establishment guadagnandosi la patente di filosofo; di filosofo tedesco soprattutto, affascinante interlocutore culturale con tanto di passaporto germanico. «È sempre la cultura tedesca che detta legge» dice Antonio Socci, lo strano cristiano di una stagione culturale che s'è lasciata alle spalle la clandestinità clericale: «Me lo spiegava Franco Fortini: possiamo anche avere le rimasticature dalla Francia, ma è sempre la Germania che affascina». Anche Geminello Alvi, bella testa di pensatore fuori dall'ordinario, indulge sulla natura tutta tedesca di questo pontefice, «più obbedito di Giovanni Paolo II». La «rivoluzione di Dio» propugnata da questo Papa è per forza di cose il revolvere, il ritornare alla tradizione ininterrotta, la sua Italia s'imbarazza delle schitarrate sull'altare. Franco Battiato che ha composto una messa solenne sostiene questa non insolita battaglia del Santo padre, indice di una volontà che si fa forte del bello e non della scipita cena moralistica cui s'era ridotto il rito senza più il latino. E a proposito di latino è stato Ratzinger a scrivere le parole più pesanti: «Come si può pensare di proibire la lingua con cui s'è celebrato per quasi 2 mila anni?». Ama la musica e la liturgia, come tutti i tedeschi. A Trastevere, quartiere limitrofo all'aura della Città santa, c'è un pub, precisamente il Ma che ce siete venuti a fa', dove viene servita la birra del papa. Forse non è proprio una deriva secolare perché c'era il torrone di Pio XII, ma alla guerra al relativismo ognuno partecipa per come può. Sua santità, poi, riceve quelle che un tempo sarebbero state definite le sue divisioni. Pier Ferdinando Casini, il presidente della Camera, s'è visto passare sotto il naso Clemente Mastella che già ha visto due volte il pontefice: una prima così, chiedendo udienza, la seconda imbucandosi in una delegazione di parlamentari partenopei. Ma la Chiesa non cerca privilegi. Così ha ricordato il Santo padre lunedì scorso nell'indirizzo di saluto a Montecitorio, proclamando «la legittima laicità dello Stato» ma rivendicando il diritto di pronunciarsi «a favore della persona». Sul versante tragico dei valori trovano spazio quelli che Filippo Ceccarelli sulla «Repubblica» definisce «i valori all'italiana». C'è Claudia Koll che ha fatto il lifting spirituale al cuore; c'è monsignor Rino Fisichella che prepara due distinte penitenze per Romano Prodi e Casini (uno chiamato per via della scelta a favore dei Pacs, l'altro per la sua storia d'amore); c'è la fiction simoniaca di santi e papi per rinforzare i palinsesti di Rai e Mediaset; e c'è la balconata mistica, i décolleté corredati di croce fotografati da Umberto Pizzi. E l'Italia di Benedetto è la stessa che magari non ridiscute la via crucis della scristianizzazione, ma scommette politicamente sulla mobilitazione dei teocon. E che, per rispetto reverenziale, non trova lontani, oltre i leader cattolici, Massimo D'Alema, leader dei riformisti, e Roberto Capezzone, segretario radicale, già seguaci del negromante Giordano Bruno. Quel che non può riuscire al più paziente dei santi, mettere d'accordo un Carlo Caffarra con un Carlo Maria Martini, un Angelo Scola con un Severino Poletto, riesce solo con i laici, in verità tutti amici per virtù intellettuale, alcuni perfino sotto contratto là dove la Chiesa, grazie al prestigio dell'Università San Raffaele a Milano, ieri con Massimo Cacciari, oggi con Ernesto Galli della Loggia nel ruolo di rettore, riesce a ripetere uno schema già collaudato ai tempi del Pci: la cooptazione del ceto colto. Si sta facendo insomma con i professori quello che Palmiro Togliatti faceva con gli indipendenti di sinistra, «i compagni di strada» di ieri, oggi «compagni di processione», un capolavoro di strategia machiavellica che spiazza le ragioni di un conflitto ormai remoto, quello che Sergio Romano nel nuovo saggio descrive tra «la libera Chiesa» e il «libero Stato», non mancando di aggiungere a quest'ultimo un definitivo punto di domanda. Appunto: «Libero Stato?».

Potere Benedetto di Pietrangelo Buttafuoco (PANORAMA | Attualità Italiana | Vaticano - 18/11/2005)

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