Tutto cominciò per colpa del toner. Ma, a proposito, lo sapete che cos’è il toner? È una sostanza inventata dal demonio: una vera e propria calamità naturale, una minaccia alla salute di chiunque si avvicini nei suoi paraggi! Il toner è più sottile dell'aria, si espande come una nuvola e macchia tutto quello con cui viene a contatto. Guai a respirare in presenza del toner! Lui vi penetra nei polmoni e vi resta per sempre, per i secoli dei secoli. E non basta: sono convinto che, volendo, potrebbe macchiarvi anche l'anima. Detto con parole più semplici, il toner è quella polverina nera che si mette nella stampante di un computer per farla funzionare. Caricarlo non dovrebbe essere nemmeno un problema. C'è però un rischio: se poco poco vi sfugge di mano precipitate in men che non si dica in una situazione disperata. Un giorno, a casa mia, me ne uscì fuori un tantinello. Ebbene, non ci crederete, ma quel tantinello bastò per macchiare tutto il parato dello studio per almeno un metro quadro. «Pazienza!» dissi tra me e me. «Vuol dire che cambierò parato.» D'altra parte non ne potevo più di tutti quei fiorellini celesti che mi ricordavano i tempi della guerra, di quando sfollai con la famiglia a Cassino. La stanza di noi ragazzi aveva quello stesso parato e Dio solo sa quanta paura ci mettemmo il giorno in cui le fortezze volanti americane bombardarono l'abbazia. Ricordo ancora i pavimenti che sobbalzavano e i vetri delle finestre che tintinnavano come bicchieri. Ma chissà, forse eravamo noi De Crescenzo a tremare nel sentire le bombe così vicine. Per cambiare parato gli operai furono costretti a spostare una libreria carica di libri e fu così che scoprii alle spalle della stessa una porta di legno chiusa a chiave, priva di maniglia, tutta screpolata: una porta bianca che non avevo mai visto prima. Ora, provate a figurarvi la mia faccia: ero sbalordito! Non credevo ai miei occhi! Che c'era dietro quella porta? Dove portava? Non riuscivo nemmeno a immaginarlo. Così, una volta andati via gli operai, mi precipitai ad aprirla. Prima tentai con un cacciavite, poi con un martello, poi con un Black & Decker, poi con delle spallate, e infine con un paio di calci riuscii a buttarla giù. Dopodiché entrai in una stanza di pochi metri quadri di cui, giuro, dovessi morire in questo stesso momento se dico una bugia, non conoscevo l’esistenza. La casa l'avevo acquistata nel marzo del '71. Ero appena arrivato a Roma e la comprai già ammobiliata. Non mi era mai venuto in mente di spostare quella libreria, né sulla piantina del contratto d'acquisto compariva un altro vano. Fin dal primo giorno ero convinto che l'appartamento finisse lì, lì dov'era piazzata la libreria. Ora, invece, venivo a sapere che la casa era nove metri quadri più grande. Dio solo sa perché le signorine Buzzi, le ex proprietarie, non me ne avevano parlato! Forse nemmeno loro ne sapevano nulla Per giunta, era anche arredata. A parte l'odore di muffa e la polvere sparsa dappertutto, aveva sulla sinistra un lettino con un materasso e una coperta di lana, al centro un tavolino con quattro sedie, e sulla destra un vecchio armadio con un'unica grossa anta rivestita da uno specchio. Insomma, una stanzetta ideale per un ospite di passaggio e il tutto senza aver speso una lira. Dal giorno della scoperta presi l'abitudine di andarmi a rintanare nella Stanza misteriosa. Non a caso l'avevo battezzata il mio «pensatoio», se non altro per il silenzio in cui era immersa. Non c'erano radio, apparecchi televisivi, telefoni o altro marchingegno che potesse in qualche modo disturbarmi. Una volta rimessa in sesto la famosa porta, nemmeno il citofono di casa si riusciva a sentire. Una sera, poi, accadde un fatto incredibile: erano le 22.30 e io ero incerto se sdraiarmi sul lettino per leggermi Finzioni di Borges, o se rivedere su Rai Tre Lo sceicco bianco di Fellini. Alla fine optai per Finzioni ed enorme fu il mio stupore quando, dopo due ore di buona lettura, mi resi conto che erano ancora le 22.30 e che, volendo, mi sarei potuto vedere Lo sceicco fin dal principio. In un primo momento pensai che il mio orologio si fosse fermato, oppure che la RAI avesse mandato in onda il film con due ore di ritardo; poi, però, ripetei l'esperimento con un altro libro e mi resi conto che «in quella Stanza il tempo non passava». Lo so: è difficile da credere, eppure è accaduto.
Luciano De Crescenzo (Tale e quale)
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