sabato 22 agosto 2009

Succede

E mi è successo. Dopo anni di sbattimenti, spettacoli nelle bettole e trasmissioni invedibili (in tutti i sensi), le cose sono cambiate. Le persone giuste si sono accorte finalmente di me e adesso moltissimi apprezzano il mio talento. Da imbecille a genio. Ma io non mi sento affatto cambiata. Sarà che sono rimasta imbecille o sono sempre stata un genio? Tant'è. Adesso mi capitano le cose più strane. Prima fra tutte mi si chiede il parere su qualsiasi cosa. Dai movimenti della tettonica a zolle al calo della libido. E io quasi mai ho qualcosa di veramente interessante da dire. Mi viene da rispondere: «Mah?». E mi rendo conto che è un po' pochino. Poi ricevo un sacco di inviti. Dal gran gala della trifola alla festa privata in disco dove: «Minchia, se vuoi puoi fare tutto lo spettacolo, noi ti diamo la cena, bibite comprese». Poi godo di un notevole fenomeno di riconoscibilità stradale che, a ragion del vero, mi fa un sacco piacere. Lo dice sempre anche mia zia: «Di sentirci amati non ne abbiamo mai a basta». L'abbordaggio tipico avviene più o così: «Nooo! Ma tu sei la Littizzello? La pervertita della televisione?». Oppure: «Guardaaa! C'è la Trippizzetto! Mi dici bastardo?». O ancora: «Mi scrivi sulla carta d'identità "Ti amo bastardo"? Grazie, sei gentilissima». O quando proprio si esagera: «Tu sei la Zippittetto, vero? Ci ho qui la videocassetta del matrimonio di mio cugino Ettore dove ho fatto l'imitazione di Wess e Dori Ghezzi contemporaneamente... puoi mica farla avere a Gori? A proposito: ma la Marcuzzi ce le ha vere o rifatte?» Una volta un tipo a Porta Susa con incontenibile gioia mi ha chiesto: «Ma tu sei Minchia Sabbri? Ma ti chiami Minchia di cognome?». Quello è stato un momento pesante. Ma la vera perla è successa durante la cena di un dopo spettacolo. Il gestore del ristorante mi ha accolta a braccia aperte e, dopo essersi sdilinquito in un miele di complimenti, con l'occhio pazzo da Jocker di Batman, ha zittito la compagnia con queste parole: «Silenzio, ordina prima la cantante! E poi incredibile dictu: ho fatto il cinema. Io. La nana di Cit Turin. Il cinema quello vero, non quello che evoca mia madre quando vuole che la pianti e urla: «Luciana, fa' nen tant cine!». Quello che non mi spiego è perch‚, in dieci anni di mestiere, il trucco cinematografico, teatrale o televisivo non mi sia mai servito a migliorare esteticamente. E quando dico mai dico mai. Mi peggiora sempre. Mi esalta i difetti. Si impegna a ridare vita al mostro che riposa in me. Tanto che poi la gente, quando mi incontra per strada, generalmente sbotta con apprezzamenti del tipo: «Ma non sei così racchia, in fondo...» che, vi assicuro, non fanno certo bene al mio amor proprio. Devo dire che anche i ruoli che mi scelgo son quelli che sono. In due film su tre ho fatto la moglie cornuta e nel terzo la prostituta. Mi sembra un bilancio di tutto rispetto. Si vede che ispiro. In un cortometraggio per Cinema Giovani, qualche tempo fa, sono stata conciata da prostituta picchiata. La truccatrice mi ha riempito di bozzi e graffi, poi mi ha unto e scompigliato i capelli e, dubitando ancora della buona riuscita del suo lavoro, ha chiesto a una comparsa: «Così è credibile come prostituta?». E lei: «No, per me era più credibile prima!». Praticamente come ero arrivata da casa. E avanti. Ho girato la mia prima, e suppongo ultima, scena di sesso. Ho la credibilità di Topo Gigio. Io e lui a letto. In mutande, naturalmente, sotto le lenzuola. La macchina da presa appesa al soffitto. Io sotto e lui sopra. Roba da missionario. Io l'espressione tipica del rettile. Lui l'occhio da batrace. Io che per coprirmi le tette gesticolavo col risvolto del lenzuolo come la Mondaini in Casa Vianello. Lui che cercava di distrarsi per il terrore che il suo ammennicolo potesse da un momento all'altro prendere vita. Abbiamo girato sei ciak. Poi ho deragliato di testa. Al settimo. Quando il direttore della fotografia ha urlato all'operatore: «Bene, adesso mettiamo il diaframma!». E poi. Un esercito di pazzi furiosi è stato assoldato apposta per cambiarmi il look. «Mica si può fare il tuo mestiere con 'nu jeans e' na maglietta?» Ah, no? Eppure mi sembra che Nino D'Angelo ci sia riuscito... o sbaglio? Niente. Non sentono ragioni. Ma se sono arrivata fin qui con questo muso che, certo lascia un po' il tempo che trova, perch‚ cambiarlo? Perchè la parola d'ordine è svecchiare e allora... si comincia con l'abito che a quanto pare fa un casino il monaco. Via il comodo pantalone ascellare e pronti col calzone vita bassa, cavallo mezza coscia, maglietta stretch e golfino di lana di cane. «Importante, mi raccomando, l'ombelico di fuori, meglio con l'orecchino.» No. L'orecchino non me lo sparo nella pancia! C'ho un neo. Va bene lo stesso? Eppoi, posso tirare un po' giù 'sto golf che sento freddo alle budella e mi viene la colite? «Sei pazza? Non ci hai mica sessanta anni?» Sì, ma ne ho trentasei e soffro ancora di acetone, come si spiega 'sto fatto? «Silenzio.» Passiamo alla scarpa. Ecco. «Un bei sandalo aperto (tanto siamo a marzo) con tacco a Toblerone e calzino corto, meglio se di lam‚.» Mi cade la prima lacrima. Ma Milano non era la capitale della moda? «Zitta.» Siamo alla fase capelli. «Non si discute: bionda.» No. Bionda no. «Qualche colpo di sole? Una botta di luce? Una frangia di luna?» Piuttosto mi ammazzo. «Ma il biondo è un colore molto televisivo, è per questo che fioccano le Mare Venier, le Antonelle Elie, le Marie Terese Rute!» E chisse nefrega! «Anche la mitica Marilyn è passata da questo tunnel.» Infatti io non ho niente in comune con lei. E state giù con quelle forbici. «Te li sfiliamo un po', vuoi mica tenerti 'sta chioma a raperonzolo?» E così eccomi qua. Un bell'incrocio tra Ringo Starr e La fata Fior di melo. «E per quella cellulite lì sui fianchi?» Ah no! Giù le mani! Quella sta lì. Dio me l'ha data e guai a chi me la tocca!

Littizzetto Luciana (SOLA COME UN GAMBO DI SEDANO - 2001 - Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.)

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