Penso che la televisione vada guardata, ma non accesa. Ho paura della televisione, ne ho sempre fatta poca, anche perché non la so fare, e questo vedo però che non colpisce tutti, perché ce ne sono molti che non la sanno fare, ma non ne hanno paura, allora io preferisco continuare ad avere paura, ed essere sia coda che codardo.
Coda perché sono in fondo, si tratta di vedere poi se in fondo o a fondo, e anche pauroso. Sono orgoglioso di essere pauroso. Io oggi, adesso, non lo so da quanto ho cominciato a parlare ma non credo che siano passate quattro ore, anche se ho una strana cognizione del tempo; io credo che si sia parlato non di parola, ma del mantello della parola, cioè abbiamo visto Superman, che secondo me è la parola, e abbiamo detto che bel mantello, ecco sì, è importante il mantello, però non ho sentito sanguinare, pulsare? si dice sangue pulsante perché quasi accende e spegne, pulsante anche da un punto di vista di apertura e chiusura, di energia.
Ho sentito dell'energia dei numeri; ho sentito dell'energia delle forze; ho sentito della sinergia; ho sentito anche della passione, che non è sempre sinonimo di giustezza o di profondità, io non ho sentito pensiero, però? non ho sentito fantasia, non ho sentito immaginazione, ho sentito citare Ionesco, ho sentito parlare di Gandhi... Mio figlio ha conosciuto Gandhi, per colpa mia, attraverso uno spot di un telefono, allora io che credo nella reincarnazione sono sicuro che Gandhi è là che gira, gira, gira senza sosta. Io non sarei molto orgoglioso di aver messo Gandhi in una pubblicità, a meno che non si fossero fatti anni di trasmissioni sulla spiritualità, ma questo non è richiesto in nessuna rete e a nessuna televisione. Il discorso della parola... perché sei qui? Perché la parola tu la usi fai teatro, fai radio, anche il citofono faccio, che credo interessi molto, può essere uno sviluppo per Italia Uno, fare spettacoli al citofono, cioè uno suona e non gli fa solo "Italia Uno ciao", gli fa tutto lo spettacolo, può essere un'idea, quello del palazzo dice "Venga a vedere c'è...", "No, io sto guardando un altro citofono perché da dietro c'è uno che fa dello sport e fa una partitina piccola nel pianerottolo" dove io consiglierei al calcio italiano di rivolgersi, fare partite in pianerottolo, meno casino, meno gente, la palla va giù, ogni tanto si interrompe.
Ho sentito parlare anche di Ungaretti, però non ho sentito parlare di poesia, ho sentito parlare di parole, ma non ho sentito la parola... per me è la punta dell'iceberg; riusciamo anche ad andare a veder cosa c'è attaccato sotto alla parola?
C'è l'impossibile, c'è l'oltre, c'è l'inaudito, l'inaspettato, c'è il curioso, c'è il furioso, il malato, il contagioso, secondo me la parola è lì... ho sentito parlare anche di Gaber che dice che la libertà è partecipazione; un altro che insieme a Gandhi è là che frulla come un pazzo; io ho paura di questo, ho paura perché ho sentito dire anche da alti pubblicitari che noi comici siamo gli spalloni di una certa pubblicità, ma e se fossimo anche solo dei pensatori? Fossimo anche solo dei creatori di qualcosa? Perché si deve sempre pensare a ringiovanire, Camila giustamente diceva "Forse i giovani non guardano la tv, forse non parliamo a loro...", no, forse gli parliamo troppo a loro, ci vogliono delle idee a prescindere dai giovani, ho sentito parlare di italiani, ma gli italiani non esistono, esistono le persone, cosa c'entrano gli italiani? Uno scrittore di parole non scrive al giovane, uno non scrive un libro sul calcio, uno scrive un libro! Se è sul calcio è un problema suo, grave che gli passerà. Non riesco più a ridere di Mike Bongiorno. Per me è un problema dentro. È un problema di ambulanza, è un problema clinico, con tutto il rispetto per un uomo e per una professionalità.
Proprio per questo ho paura. E ho tanta paura. Ho paura della tv dell'obbligo, dell'internet dell'obbligo, ho paura del giornalismo dell'obbligo, anche della radio dell'obbligo.
La parola, non so chi, perché io i nomi li ricordo poco e male, la tv si può affrontare, diceva, o con exit, uscita, oppure fidelity, fedeltà. Poi puoi decidere di non farla, "Non la fai, vai via e non ne parli con chi la fa!", io ho detto "Mi fa piacere parlarne con chi la fa", perché mi rendo conto che non farla non basta. Non farla non serve, è come quello che dice io vado in bicicletta in autostrada? non mi fottete! Tu vai in bicicletta in autostrada, però fondamentalmente a 250 all'ora ti passano di fianco e il gas che c'è te lo becchi. Tu dici: "Io torno a casa e vado in bicicletta", ma quando poi esci quell'aria lì è la tua.
Anch'io credevo che si potesse fare a meno di televisione, come tanta gente, gli amici, Stefano Benni, tanti amici, però dico: "Provare ad andare a raccontare", perché non ci vai? L'ho fatto in un incontro all'Università di Bologna; lo faccio certe volte aderendo allo sciopero del telespettatore, voglio provare a capire.
Uno sceneggiato è veramente il racconto della storia? Ma ci crediamo? Perché ho paura di credere questo. Ho paura di credere che il cinema attinga dalla televisione e la televisione dal cinema. Il cinema è un'arte altina, altina, altina. La televisione è un servizio. Non è altro. Non riesco a pensare a una pubblicità, come è stato detto, che parla anche delle cose trash ma vere, facendo vedere magari, non dico un handicappato, ma una persona così? io non ci posso pensare a questo, io non ce la faccio fisicamente. E ho bisogno di un "Bumper", cioè di un pannolone che divida una parte dall'altra, non posso pensare, faccio fatica a pensare.
Cos'è il successo? Se dire un telegiornale significhi giornalismo, se essere conosciuti significhi essere famosi, io ho problemi in questo senso, molti. Abbiamo parlato della parola fuori, e della parola dentro? Come si fa a leggere Sanguineti, Scialoja, Manganelli dopo aver guardato la televisione, io non ce la faccio, ho paura di una contaminazione, di una corruzione, per colpa mia, forse non sono capace di scindere, però la lotta è dura?
Allora passo ad altro, parlo del dolore del nano, che vede crescere solo le unghie e i... capelli, parlo del sudore degli angeli, parlo della claustrofobia dei mattoni, parlo dei pestaggi di una scala che riceve tutti i giorni, ho voglia di pensare ad altro, e il teatro mi insegna una parola che parla d'altro. La radio, quando faccio Radiotre, quando faccio determinate cose che non hanno in sé e per sé la parodia è tutto parodia, è tutto imitazione dell'imitazione, invece di creare secondo me situazioni di osservazione? create situazioni di osservazione. Osservare qualcosa che non si è mai visto.
Credo che la parola abbia questa necessità. La parola della pubblicità serve per vendere: è già l'uccisione della parola. La parola se vende, vende perché decide di vendere. Un poeta la vende la parola. Uno scrittore, un pittore, i colori li vende, ma perché fa un'opera artistica. Mi dispiace ma io alla parola abbino un concetto artistico, un concetto mentale, vero... Confondiamo costume con cultura. Allora parliamo di costume e non parliamo di cultura, questo è fondamentale. Vogliamo parlare di comunicare, non tocchiamo la parola conoscere. L'importante è comunicare. Abbiamo comunicato tramite Gandhi un telefono che verrà comprato... ohhh, ma conoscere... no! Allora la parola è stanca, la parola va via, si ritira, è infelice, è handicappata, la parola è in carrozzina ed è felice di esserlo e se ne va lentamente inesorabilmente, non per colpa della televisione, ma per una forma di sana solitudine in quella insicurezza. La parola è insicurezza. È sfiducia, la parola, è potere di annullarsi.
Manganelli diceva "La parola non ha neanche bisogno di uno che la dica" quindi mi ha ucciso, però ha ragione, la parola è già nata, la parola è nella mente, la parola vola, questa è la forza. Se qualcuno la vuole incanalare... ma tutti abbiamo fatto i matrimoni, tutti si sono sposati, tutti hanno fatto il bambino che cade, tutti hanno messo le dita nel naso, io non ce l'ho con questo, non ce l'ho con chi... solo che queste parole, queste immagini, vengono prese per profondo, vengono prese per la nostra società, vengono prese per umanità, e la gente le svilisce, e non ci sono più.
La parola eroe ha delle vocali di troppo, dovrebbe restare solo la consonante. Un eroe è un giocatore che ha fatto un gol. Ma non ci gioco più! Non mi interessa più! È la fine della parola. Allora chiedo alla televisione, se ce le fa, non per fiducia in lei, non ce l'ho, ma per dimostrare che forse è un bene pubblico, di dire le cose chiaramente, fai una trasmissione il pomeriggio perché vuoi cazzeggiare, vendi il cazzeggio... non mi dici sto traducendo la cultura... basta! Non mi interessa nulla! E chiudo.
Vuoi fare un gioco fai il gioco, ma non deve essere la fotografia di un momento ludico, perché ludus è un'altra cosa. Ho sentito al Salone del Libro di Torino l'anno scorso una presentatrice, un produttore di un programma e un giornalista critico televisivo che hanno detto come Zavattini anni fa fotografava l'Italia che c'era. Oggi certe trasmissioni fotografano l'Italia che c'è, e allora sento che, assieme, Gaber, Gandhi e Zavattini stanno costituendo una community per chiedervi di smettere!
Alessandro Bergonzoni Attore - Autore teatrale
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