domenica 31 marzo 2013
Evviva la noia culla della fantasia
Teresa
Belton, una scienziata inglese esperta di problemi dell'infanzia,
dell'adolescenza e dell'apprendimento, sostiene, in uno studio, che la
noia è «la linfa segreta della creatività». E' vero in due sensi solo
apparentemente contradditori. La noia ti spinge a uscirne e nello stesso
tempo ti aiuta. Non è un caso se alcuni genietti della Tv (Carlo
Freccero, Antonio Ricci, Fabio Fazio, Aldo Grasso, Tatti Sanguinetti),
il più moderno dei mezzi di comunicazione prima dell'avvento di Internet
e del web, siano originari di Savona (o dintorni), una delle città più
torpide d'Italia, dove non accade mai nulla. Mi ha detto una volta
Antonio Ricci: «Tu capisci che quando il massimo dei tuoi orizzonti sono
i Bagni Sirena, d'estate, per non dire del lungo, immobile inverno, fai
di tutto per uscirne». Del resto se si vanno a leggere le biografie dei
più importanti artisti italiani (registi, attori, scrittori) si vede
che la maggioranza è nata in provincia, solo dopo la prima giovinezza si
sono trasferiti in una grande città e hanno raggiunto il successo. Ma
prima hanno goduto dei ritmi lenti, e sia pur noiosi, della provincia,
avendo il tempo per riflettere, pensare, assimilare. C'è un bel libro,
pubblicato una ventina d'anni fa, «La scoperta della lentezza» di Sten
Nadolny. Racconta la storia di un ragazzino che pare ritardato rispetto
hai suoi coetanei, lento nei riflessi, meno abile nei giochi. Diventerà
un famoso esploratore, John Franklin, che contribuirà a scoprire e ad
aprire il mitico 'passaggio a Nord Ovest' fra i ghiacci dell'Artico,
mentre chi, da adolescente, lo superava in tutto non andrà oltre la
soglia di una vita banale. Il fatto è che mentre i suoi compagni si
lasciavano andare alla frenesia dell'età, Franklin, isolato, lento,
fuori dai giochi, introiettava e assimilava profondamente le conoscenze
che gli sarebbero servite in futuro ( cio' che ti ha detto, una sola
volta, tuo nonno ti rimane impresso per tutta la vita, mentre non
riusciamo a trattenere che per poco le migliaia di informazioni che
quotidianamente ci attraversano). Che, nell'apprendimento, la lentezza
sia un vantaggio lo conferma l'osservazione del comportamento delle
specie. Un gattino di tre mesi è già svezzato, un cucciolo d'uomo ci
mette anni per essere autosufficente. Ma il gatto resta un gatto,
l'altro diventa, almeno intellettualmente, un animale superiore. Lo
conferma anche il confronto fra i sessi. Fra un bambino e una bambina di
sei anni c'è una distanza siderale. Lei è molto più sveglia, più
pronta, in tutto e, fra le altre cose, ha già le malizie della donna.
Lui è un tontolone. Con la crescita la distanza gradualmente diminuisce
fino ad annullarsi e, nell'età adulta, è lui che supera lei. Questo,
almeno, è quanto storicamente avvenuto finora (le femministe del Fatto
non me ne vogliano, hanno già Battiato cui pensare).
Noi
oggi bambini o adulti che si sia, andiamo di fretta. Frenetici.
Anticipiamo in ogni campo l'apprendimento. Ci manca il tempo per
riflettere, di pensare. Non è dovuto al caso se, in Occidente, l'ultimo,
vero, grande filosofo sia stato Martin Heidegger, attivo negli anni
Trenta, quasi un secolo fa.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 30 marzo 2013)
sabato 30 marzo 2013
Napolitano sceglie dieci saggi per riformare il Paese, ma vince la vecchia politica - Nuovo governo, i saggi dell’inciucio e la salvezza di Berlusconi
Altro che dieci “saggi”. Quelli che ha tirato fuori Napolitano dal cilindro per scrivere la road map di riforme essenziali per il Paese sono i soliti noti. Forse il peggio dei soliti noti, se possibile. Eppure, sorprendentemente, saranno loro a dover costituire il “tesoro” di idee e provvedimenti su cui il prossimo Presidente della Repubblica si dovrà basare per formare (forse) un nuovo governo. C’è di che restare senza parole. Sono nomi che rappresentano gli assi portanti di quell’antico sistema politico e istituzionale che ha portato l’Italia nel baratro in cui si trova oggi. Lentamente ma sistematicamente. E adesso siamo di nuovo nelle loro mani.
A destare scandalo è soprattutto la commissione cosidetta “politico-istituzionale”. E fatto salvo il nome di Valerio Onida, costituzionalista di area piddina, sugli altri corre rapido un brivido lungo la schiena. A partire da Luciano Violante, con tutto il suo passato partitocratico alle spalle, simbolo della storia più antica (e non sempre limpida) del Nazareno (ma nel suo caso si potrebbe parlare meglio di Botteghe Oscure). E poi Mario Mauro, uomo di Monti (e di Cl vicinissmo a Roberto Formigoni) che qualcuno voleva a presidente del Senato al posto di Pietro Grasso, di cui non si ricordano negli anni particolari exploit legislativi nel segno del cambiamento.
Ma soprattutto Gaetano Quagliariello, ex vicecapogruppo del Pdl al Senato, uomo delle leggi ad personam di Silvio sulla giustizia, dunque personaggio di stretta osservanza berlusconiana, primo tra i soldati di prima fila del Cavaliere e (anche lui) personalità su cui l’intero centrodestra si sarebbe speso per fargli avere una carica istituzionale. Dopo quello che ha fatto per loro. E per il suo Capo. Ecco, Mauro è l’uomo di un Monti che continuerà a governare l’Italia nonostante i disastri economici e le figuracce cosmiche internazionali (i Marò) e Quagliariello è un portabandiera di Arcore. Davvero non c’era nulla di meglio sul mercato? Davvero è questo la summa della intellighenzia politica che Giorgio Napolitano ha saputo esprimere in un momento tanto drammatico per la democrazia? Cosa potranno mai studiare di nuovo queste cariatidi politiche del sistema? Che avranno mai da tessere e rinnovare elementi che mai sarebbero stati eletti davvero dal popolo se non ci fosse stato il Porcellum? L’unica cosa che possono partorire, a ben guardare, è un inciucio codificato sotto forma di programma da servire freddo sul piatto del prossimo presidente della Repubblica come unica via per avere un nuovo governo. D’inciucio, s’intende, non certo di rinnovamento.
Ma anche l’altra commissione, quella chiamata a studiare le emergenze economiche e sociali del Paese, non è meno inquietante. Si parte da Enrico Giovannini, presidente dell’Istat, istituto che continua a fotografare lo stato del Paese senza aver mai suggerito una misura utile al suo sviluppo neppure per sbaglio e di Giovanni Pitruzzella, presidente del’autorità garante della concorrenza e del mercato, istituto abbastanza inutile se si considera che in Italia, com’è noto, non c’è una legge sul conflitto d’interessi degna di questo nome, per cui l’operato del Garante è stato fino a oggi abbastanza oscuro. Ma si resta ancora senza parole quando lo sguardo arriva ai nomi di due degli altri membri della commissione; uomini strettamente legati uno a Monti e l’altro alla storia del Pci, ovvero ministro Moavero Milanesi e il senatore Filippo Bubbico. E che anche il terzo, Salvatore Rossi, membro del Direttorio della Banca D’Italia, è “cresciuto” dopo l’entrata in scena del governo Monti. Insomma, il “sistema” al potere che viene chiamato a rinnovare se stesso. Un paradosso
Napolitano, proponendo questi nomi, ha certamente deluso le aspettative di chi, soprattutto tra i giovani della politica anche in Parlamento (e non stiamo parlando solo dei grillini) si aspettavano una scossa. Invece, Napolitano oggi è tornato ad essere quel “Mofeo” di grillesca memoria, che trovandosi nell’impossibilità di fare alcunchè per partorire un nuovo governo, ha deciso di “addormentare” il sistema con questa sorta di “bicamerale ghiacciata” composta da chi, come si diceva, è in alcuni casi l’emblema di tutti ciò che gli italiani vorrebbero lasciarsi alle spalle. Insomma, il capolavoro di Napolitano è questo: Monti resta al suo posto (e chissà per quanto tempo) e per il resto è stata mandata letteralmente la palla in tribuna, fermando il gioco. Un’astuzia da antico politico, quale certamente Napolitano è, che ha anche archiviato senza scosse l’era Bersani, facendolo uscire di scena in modo netto, senza appello. Per quanto molto morbido.
Intanto, si è aperta ufficialmente la crisi del Pd, i cui esiti saranno certamente drammatici, ma non è questo certo il punto. Il vero scontro, quello più acceso, si giocherà sulla successione al Qurinale. E il Parlamento si trasformerà in un Vietnam. Insomma, il Capo dello Stato, ancora una volta, ha messo la sordina al cambiamento, fischiando il “tutti negli spogliatoi” e lasciando la patata bollente di riscattare, in qualche modo, il Paese dal torpore all’uomo del Colle che verrà. I supplementari, se ci saranno, li giocheranno (loro, i partiti) tutti con un altro arbitro. Che si troverà però vincolato al suo predecessore dal patto di sistema che verrà sancito in questa “bicamerale”. E sarà ancora un inciucio. Senza sbocco. Ma il prezzo di questo stallo e di questo “nuovo” che avanza e continua a dettar legge puzzando di polvere e di muffa ci costerà (a noi, cittadini) ancora moltissimo.
Sara Nicoli (Il Fatto Quotidiano - 30 marzo 2013)
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E’ difficile dire se i nomi proposti da Napolitano per le due “commissioni” costituiscano una indecenza o una esplicita provocazione contro milioni e milioni di cittadini che chiedono che si volti pagina.
Si tratta infatti di “commissioni” per l’inciucio più spudorato, non per la soluzione dei problemi del paese. La commissione “istituzionale” vede il sen. Mario Mauro (cioè Monti), il sen. Gaetano Quagliariello (cioè Berlusconi) e il prof. Luciano Violante (che non rappresenta neppure il Pd, ma solo l’ala più becera del Pd). Secondo Napolitano il M5S non fa parte del Parlamento?
Una
epurazione del genere è al limite del golpismo. Quanto all’unico
“intellettuale” o “tecnico”, l’ultima esternazione del professor Onida è
avvenuta sul Giornale (di Berlusconi) per sostenere che Berlusconi è perfettamente eleggibile
(ma pensa un po’). Avevo sostenuto che Napolitano stava disputando a
Cossiga il titolo di peggior Presidente della Repubblica, ma è ormai
palese che lo ha definitivamente superato.
Spero che una
grande ventata di democratica indignazione sia già cominciata a soffiare
tra i cittadini italiani che hanno ancora a cuore la Costituzione e i
suoi valori di giustizia e libertà.
Sia chiaro, Grillo
e Casaleggio hanno fatto malissimo a non proporre loro un nome per la
Presidenza del Consiglio, limitandosi a ripetere che “deve dare il
governo a noi” (se non fate un nome per il Presidente del Consiglio
nessuno può dare al M5S nessun incarico), ma è ormai lapalissiano che
Napolitano vuole semplicemente salvare Berlusconi, malgrado in
Parlamento vi sia per la prima volta una maggioranza potenziale che
potrebbe decretarne l’ineleggibilità,
liberando il paese dai miasmi di un quasi ventennio di illegalità,
rendendo possibile una inedita soluzione governativa e consentendo
all’Italia di tornare ad essere credibile in Europa.
Autoscacco a 5 Stelle
Fino a ieri mattina, checché se ne dicesse, il movimento 5 Stelle non aveva sbagliato una mossa. A parte le trascurabili defezioni sulla presidenza del Senato,
aveva mantenuto compatti i suoi variopinti ed eterogenei gruppi
parlamentari, sfuggendo a tutte le trappole che i partiti e i
giornalisti al seguito avevano seminato sul suo cammino. Aveva messo
all’angolo il Pdl con l’annuncio del sì all’ineleggibilità e a un’eventuale richiesta d’arresto di B. (spingendo il Pd ad allinearsi). Aveva costretto il Pd a rottamare i candidati di partito per le due Camere e a inventarsi in fretta e furia i nuovi arrivati Boldrini e Grasso, a loro volta obbligati a esordire col taglio degli emolumenti che, per quanto modesto, avrebbe innescato l’effetto valanga. Infine aveva cucinato a fuoco lento Bersani, fino alla figuraccia in diretta streaming e alla resa sul Colle camuffata da congelamento.
Intanto i dogmi pidini dei rimborsi elettorali e del Tav Torino-Lione
venivano rimessi in discussione. Insomma, pur avendo vinto solo
moralmente le elezioni, 5Stelle era diventato in pochi giorni il dominus
della politica italiana. Se Grillo avesse chiesto a Bersani le chiavi
di casa e della macchina, quello gliele avrebbe consegnate senza fiatare
e con tante scuse per il ritardo. Insomma, da oggi un movimento nato
appena tre anni fa avrebbe avuto l’ultima parola sul nuovo governo e sul
nuovo presidente della Repubblica. Con notevoli benefici per gli
italiani, visto che alcuni punti del programma pentastelluto, al netto
delle follie e delle utopie, sono buoni e giusti e realizzabili in poco
tempo. E visto che B. sarebbe rimasto irrimediabilmente all’angolo.
Sarebbe bastato che ieri i capigruppo fossero saliti al Quirinale
con una proposta chiara e netta: un paio di nomi autorevoli per un
governo politico guidato e composto da personalità estranee ai partiti
(parrà strano, ma ne esistono parecchie, anche fuori dalla Bocconi,
dalle gran logge, dai caveau delle banche e dalle sagrestie vaticane).
Siccome Bersani, anche in versione findus, era rimasto fermo all’asse
con M5S, secondo la volontà dei due terzi degli elettori, i grilli
avrebbero dovuto sfidarlo ad appoggiare quel tipo governo. Che
naturalmente non può essere né a guida Bersani, né tantomeno a guida
M5S. Di qui la necessità di una rosa di personalità che
potessero incarnare, per la loro storia e le loro idee, alcuni dei
punti chiave del movimento. Sarebbe stato lo scacco matto al re. Invece
lo scacco i grilli se lo son dato da soli. Col rischio di perdere un
treno che potrebbe non ripassare più; di accreditare le peggiori
leggende nere sul loro conto; e di gettare le basi per drammatiche
spaccature.
Ieri infatti al Colle non hanno fatto nomi, ma solo
allusioni, anche perché Napolitano non vuole sentir parlare di nomi
extra-parti. Poi hanno chiesto ciò che non potevano avere: l’incarico.
Ha prevalso l’inesperienza, o la supponenza, o la paura di essere
incastrati in giochi più grandi e inafferrabili. Paura infondata, visto
che i partiti sono alla canna del gas e non sono più in grado di
incastrare nessuno, se non se stessi. E in ogni caso la mossa era a
rischio zero e a vantaggio mille (per loro e per il Paese). É vero, come
sospettavano i complottisti (che spesso ci azzeccano) che Napolitano e
parte del Pd sono già d’accordo col Pdl per l’inciucio: ma, a maggior ragione, la proposta di un governo Settis o Zagrebelsky
li avrebbe messi tutti con le spalle al muro. E li avrebbe costretti
alla ritirata, non foss’altro che per non assumersi la responsabilità di
aver bocciato il miglior governo degli ultimi 15 anni (almeno sulla
carta). Ora invece l’unica alternativa alle urne, che tutti invocano ma
tutti temono, sarà un inciucissimo con B., più o meno mascherato. Che
magari era nella testa di Napolitano e dei partiti fin dal primo giorno.
Ma che ora ricadrà sulla testa dei 5 Stelle. E naturalmente degli
italiani. Bel risultato, complimenti a tutti.
Marco Travaglio (Il Fatto Quotidiano, 30 Marzo 2013)
Marco Travaglio difende Battiato
Oggi sono Boldrini e Grasso a strillare come vergini violate contro Franco Battiato
che ha avuto l'ardire di dichiarare: "Mi rallegro quando un essere non è
così servo dei padroni, come queste troie in giro per il Parlamento che
farebbero qualunque cosa, invece di aprirsi un casino". Apriti cielo!
Proteste unanimi da destra, centro e sinistra, mobilitazione generale,
emergenza nazionale, manca soltanto la dichiarazione dello stato
d'assedio con coprifuoco, cavalli di frisia e sacchi di sabbia alle
finestre. Boldrini: "Respingo nel modo più fermo l'insulto alla dignità
del Parlamento, stento a credere" ecc. Grasso: "Esprimeremo il nostro
disagio al governatore della Sicilia per le frasi dell'assessore
Battiato".
Sui cinquanta fra condannati, imputati e inquisiti che infestano il Parlamento, invece, nemmeno un monosillabo. Invece giù fiumi di parole e inchiostro contro il cantautore-assessore che osa chiamare troie le troie. Pronta la mossa conformista del governatore Crocetta, un tempo spiritoso e controcorrente specie sulle questioni di sesso, ora ridotto alla stregua dell'ultimo parruccone politically correct, che mette alla porta il fiore all'occhiello della sua giunta, financo equiparandolo a uno Zichichi qualunque. Si risente pure la Fornero, che è pure ministro delle Pari Opportunità (infatti s'è scordata solo 390 mila esodati). Certo, il linguaggio usato da Battiato è da pugno nello stomaco, tipico dell'intellettuale indignato che vuol "épater" un Paese cloroformizzato. Ed è facile dire che ci si poteva esprimere in termini meno generici, o aggiungere subito e non dopo che la denuncia riguarda anche le troie-maschio, pronte a vendersi al miglior offerente.
Ma andiamo al sodo: è vero o non è vero che il Parlamento, anche questo, è pieno di comprati, venduti, ricomprati e rivenduti? È lo spirito losco del Porcellum (nomen omen) che porta alla prostituzione della politica, alla nomina dei servi dei partiti e innesca la corsa sfrenata al servaggio e al leccaggio per un posto al sole. E come li vogliamo chiamare questi servi, che si vendono la prima volta per farsi candidare in cima a una lista e poi magari si rivendono per voltar gabbana a seconda delle convenienze? Passeggiatrici? Lucciole? Mondane? Falene? Peripatetiche? Chi voleva capire ha capito benissimo: accade a tutti di dare della "troia" a chi, maschio o femmina, è disposto a tradire e a tradirsi per un piatto di lenticchie o a vendersi per far carriera. Ma, nel Paese di Tartuffe, che con buona pace di Molière è l'Italia e non la Francia, ci si straccia le vesti appena qualcuno squarcia il velo dell'ipocrisia e dice pane al pane: ieri sui ricatti della Bicamerale, oggi sulla mignottocrazia (copyright Paolo Guzzanti).
Battiato è come il bambino che urla "il re è nudo" e la regina è troia. Tutta la corte intorno sa benissimo che è vero, ma arrota la boccuccia a cul di gallina e prorompe in urletti sdegnati. Lo sa tutto il mondo come e perché sono stati/e eletti/e certi/e cosiddetti/e onorevoli. Persino in India, dove la Ford si fa pubblicità con un cartoon che ritrae lo statista di Hardcore col bagagliaio dell'auto pieno di mignotte. I primi a saperlo sono i nostri giornali, che han pubblicato centinaia di intercettazioni sulle favorite del Cainano e sulla compravendita dei parlamentari, e ora menano scandalo perché Battiato, dopo averci scritto una splendida canzone Inneres Auge), li chiama per nome. E non si accorgono neppure che il loro finto sdegno non fa che confermare le parole di Franco. Se uno accenna ad alcune troie e si offendono tutti/e, la gente penserà: "Però, guarda quante sono! Credevo di meno...".
Sui cinquanta fra condannati, imputati e inquisiti che infestano il Parlamento, invece, nemmeno un monosillabo. Invece giù fiumi di parole e inchiostro contro il cantautore-assessore che osa chiamare troie le troie. Pronta la mossa conformista del governatore Crocetta, un tempo spiritoso e controcorrente specie sulle questioni di sesso, ora ridotto alla stregua dell'ultimo parruccone politically correct, che mette alla porta il fiore all'occhiello della sua giunta, financo equiparandolo a uno Zichichi qualunque. Si risente pure la Fornero, che è pure ministro delle Pari Opportunità (infatti s'è scordata solo 390 mila esodati). Certo, il linguaggio usato da Battiato è da pugno nello stomaco, tipico dell'intellettuale indignato che vuol "épater" un Paese cloroformizzato. Ed è facile dire che ci si poteva esprimere in termini meno generici, o aggiungere subito e non dopo che la denuncia riguarda anche le troie-maschio, pronte a vendersi al miglior offerente.
Ma andiamo al sodo: è vero o non è vero che il Parlamento, anche questo, è pieno di comprati, venduti, ricomprati e rivenduti? È lo spirito losco del Porcellum (nomen omen) che porta alla prostituzione della politica, alla nomina dei servi dei partiti e innesca la corsa sfrenata al servaggio e al leccaggio per un posto al sole. E come li vogliamo chiamare questi servi, che si vendono la prima volta per farsi candidare in cima a una lista e poi magari si rivendono per voltar gabbana a seconda delle convenienze? Passeggiatrici? Lucciole? Mondane? Falene? Peripatetiche? Chi voleva capire ha capito benissimo: accade a tutti di dare della "troia" a chi, maschio o femmina, è disposto a tradire e a tradirsi per un piatto di lenticchie o a vendersi per far carriera. Ma, nel Paese di Tartuffe, che con buona pace di Molière è l'Italia e non la Francia, ci si straccia le vesti appena qualcuno squarcia il velo dell'ipocrisia e dice pane al pane: ieri sui ricatti della Bicamerale, oggi sulla mignottocrazia (copyright Paolo Guzzanti).
Battiato è come il bambino che urla "il re è nudo" e la regina è troia. Tutta la corte intorno sa benissimo che è vero, ma arrota la boccuccia a cul di gallina e prorompe in urletti sdegnati. Lo sa tutto il mondo come e perché sono stati/e eletti/e certi/e cosiddetti/e onorevoli. Persino in India, dove la Ford si fa pubblicità con un cartoon che ritrae lo statista di Hardcore col bagagliaio dell'auto pieno di mignotte. I primi a saperlo sono i nostri giornali, che han pubblicato centinaia di intercettazioni sulle favorite del Cainano e sulla compravendita dei parlamentari, e ora menano scandalo perché Battiato, dopo averci scritto una splendida canzone Inneres Auge), li chiama per nome. E non si accorgono neppure che il loro finto sdegno non fa che confermare le parole di Franco. Se uno accenna ad alcune troie e si offendono tutti/e, la gente penserà: "Però, guarda quante sono! Credevo di meno...".
Marco Travaglio (Il Fatto Quotidiano - 28 marzo 2013)
venerdì 29 marzo 2013
Prof. Gaetano Basile: I Mercati di Palermo (Vucciria, Capo e Ballarò)
Lectio Magistralis: Intervento del giornalista Gaetano Basile nella tavola rotonda del 7 marzo 2013 sui Mercati di Palermo - tenutasi presso l'ERSU (Ente Regionale per il Diritto allo Studio Universitario - http://www.ersupalermo.it/) - in occasione dell'inaugurazione della Mostra Fotografica Collettiva UIF (Unione Italiana Fotoamatori) "I Mercati", curata da Maria Pia Coniglio, Nino Giordano, Nino Bellia e Domenico Pecoraro.
La mostra si compone di 80 scatti fotografici realizzati dai fotoamatori UIF: Manlio Agrifoglio, Giuseppe Aiello, Salvo Aiello, Franco Alloro, Maurizio Anselmo, Elio Avellone, Angelo Battaglia, Nino Bellia, Paolo Carollo, Lino Castronovo, Salvatore Clemente, Elisa Chiarello, Maria Pia Coniglio, Salvo Cristaudo, Vincenzo Cucco, Ennio De Mori, Ester Di Stefano, Domenico Di Vincenzo, Maria Rita Di Vincenzo, Irene Foldi, Giorgio Gambino, Francesco Gianferrara, Stefano Giannalia, Giovanni Giordano, Nino Giordano, Alessandro Gristina , Nicola Gullifa, Pietro Longo, Francesco Magro, Enza Marchica, Piero Meli, Giuseppe Monti, Antonino Munafò, Domenico Pecoraro, Vincenzo Piazza, Carlo Pollaci, Giuseppe Romano, Lia Rosato, Maria Scaglione, Pino Sunseri, Francesco Terranova, Paolo Terruso, Paolo Tomeo e Salvo Zanghì.
La mostra si compone di 80 scatti fotografici realizzati dai fotoamatori UIF: Manlio Agrifoglio, Giuseppe Aiello, Salvo Aiello, Franco Alloro, Maurizio Anselmo, Elio Avellone, Angelo Battaglia, Nino Bellia, Paolo Carollo, Lino Castronovo, Salvatore Clemente, Elisa Chiarello, Maria Pia Coniglio, Salvo Cristaudo, Vincenzo Cucco, Ennio De Mori, Ester Di Stefano, Domenico Di Vincenzo, Maria Rita Di Vincenzo, Irene Foldi, Giorgio Gambino, Francesco Gianferrara, Stefano Giannalia, Giovanni Giordano, Nino Giordano, Alessandro Gristina , Nicola Gullifa, Pietro Longo, Francesco Magro, Enza Marchica, Piero Meli, Giuseppe Monti, Antonino Munafò, Domenico Pecoraro, Vincenzo Piazza, Carlo Pollaci, Giuseppe Romano, Lia Rosato, Maria Scaglione, Pino Sunseri, Francesco Terranova, Paolo Terruso, Paolo Tomeo e Salvo Zanghì.
martedì 26 marzo 2013
Thailandia, un milione e 700 mila tablet per gli studenti di ogni ordine e grado
Surapol Navamavadhana, consulente governativo che è tra i
responsabili del progetto chiamato ‘one laptop per child’, cioè un computer
portatile per ogni bambino, ha spiegato che a giorni, in aprile, nove
produttori di tablet di diversi paesi, compresi tra gli altri Cina, India,
Germania, si riuniranno su invito dell’esecutivo thai per unirsi in un
capitolato per la fornitura, secondo le caratteristiche che Bangkok chiederà
per i computer per tutta l’infanzia.
Chi ha saputo trasformare in corsa la propria economia
industriale, punta tutto sull’istruzione. Sempre di più. Tipico soprattutto di
alcuni paesi asiatici, sia potenze consolidate (Cina, Giappone, Corea) sia
potenze nuove. Una di queste, la Thailandia, ha appena annunciato un grosso
investimento per modernizzare la pubblica istruzione. Fornirà 1milione e
700mila tablet ad altrettanti studenti. E’probabilmente uno dei più grandi
progetti mai lanciati per l’educazione digitale nel mondo in cui viviamo.
E’stato il Ministero per la tecnologia
dell’informazione e della comunicazione, un nuovo dicastero del governo reale
(e già la dice lunga che un tale dicastero così mirato esista) ad annunciare
l’iniziativa. Che parte subito nel concreto, con una specie di gara d’appalto
postmoderna a livello mondiale. Surapol Navamavadhana, consulente governativo
che è tra i responsabili del progetto chiamato ‘one laptop per child’, cioè un
computer portatile per ogni bambino, ha spiegato che a giorni, in aprile, nove
produttori di tablet di diversi paesi, compresi tra gli altri Cina, India,
Germania, si riuniranno su invito dell’esecutivo thai per unirsi in un
capitolato per la fornitura, secondo le caratteristiche che Bangkok chiederà
per i computer per tutta l’infanzia.
I thailandesi scommettono sulle capacità digitali
imparate fin dall’infanzia per dare un futuro migliore alle nuove generazioni,
all’economia nazionale, alla società. Negli ultimi anni, l’industria è
talmente cresciuta nel regno del Sudest asiatico da fornire ormai circa il 32
per cento del prodotto interno lordo, percentuale paragonabile alla nostra o a
quella francese, ma in crescita, non in declino. Elettronica, componenti ad
alto contenuto tecnologico per i big giapponesi e coreani, componenti
aeronautiche sono i comparti di punta. La voglia di rimboccarsi le maniche,
lavorar sodo e modernizzarsi senza sosta, come in Cina, Giappone, Corea e
Indonesia ha da tempo contagiato anche il regno delle loro maestà Bhumibol e
Sirikit.
Considerata all’inizio del mandato una creatura del
potentissimo e ricchissimo fratello maggiore Thaksin, la giovane (e graziosa)
premier Yingluck Shinawatra si sta invece rivelando un personaggio forte, che
manda avanti idee giuste. Il paese cresce, fino all’attenzione ai dettagli e al
gusto. La capitale è un centro mondiale del design, e dispone di una rete di
metro e ‘skytrain’ (metro sopraelevata) fornita da Siemens, che in città come Roma
o Napoli sarebbe solo un sogno.
E sta anche attento ai soldi pubblici: per rinnovare la
linea di volo militare, scelta necessaria viste le mille tensioni regionali e
il riarmo dei vicini, l’efficiente Royal Thai Air Force ha ordinato non jet
costosissimi e pieni di difetti come gli F-35, bensì i semplici ma
efficacissimi Saab 39 Gripen, il supercaccia low cost svedese. Soldi
risparmiati (un F-35 costerebbe più di dieci Gripen), e spesi poi anche per il
programma ‘un tablet per ogni bambino’.
ANDREA TARQUINI (La
Repubblica - 23 marzo 2013)
lunedì 25 marzo 2013
Non ci parliamo coi giornalisti!
Caro Severgnini,
si è mai chiesto perché Grillo non parla con i giornalisti italiani? A
proposito ha dimenticato di chiarire che invece rilascia
tranquillamente interviste ai giornalisti stranieri.
Forse perché dopo 30 anni di ossequi alla POLITICA che ha riempito
giornali, talk show, programmi TV e quotidiani di cialtronesche
interviste e dichiarazioni ipocrite non li ritiene più credibili. E lo
ha anche affermato più volte nel corso degli ultimi anni.
La mia opinione è che ha in gran parte ragione. Trovo i giornalisti
italiani, tranne qualche raro esempio di indipendenti che occorre
cercare nei blog, una casta ossequiosa al potere di chi li paga, senza
neanche la necessità di essere direttamente comandati. Certo ci sono le
eccezioni e su questo sono in disaccordo con Grillo. Parlare in maniera
selezionata con chi, indipendentemente da come la pensa, ha dimostrato
di essere autonomo e indipendente sarebbe cosa buona e giusta. Gli altri
se ne vadano affan… con buona pace per i principi illuminati che
professano, ma non mettono in pratica.
Mauro Barberi,
Aggiungo: in una democrazia normale, questo atteggiamento sarebbe considerato inaccettabile. In una democrazia superficiale di tifosi (tifocrazia?) viene tollerato questo sillogismo: “i giornalisti sono antipatici, quindi noi non ci parliamo”.
http://italians.corriere.it/2013/03/25/giornalisti/
Zaccagnini, M5S: «Non abbiamo il personale adeguato»
Adriano Zaccagnini, deputato del Movimento 5 Stelle, ha scritto domenica un lungo post su Facebook
spiegando, tra le altre cose, che in questa fase il Movimento 5 Stelle
non ha personale adeguato alla presentazione di proposte di legge, e se
vuole assumerlo è obbligato a sceglierlo tra due elenchi prestabiliti di
persone, già dipendenti delle camere.
«Non abbiamo il personale adeguato per espletare le nostre attività. In particolare la presentazione delle proposte di legge ci è stata difficile senza adeguato personale legislativo»
Il post intero di seguito:
«Ragazzi/e sono stato fuori dai social network per due settimane, immerso nel lavoro tutto il giorno, oggi ritrovo un pò il fiato,ho trascurato questo aspetto del lavoro parlamentare, la comunicazione continua con l'esterno, riversandomi nel cercare di capire come meglio muoverci e ottenere almeno gli spazi e trovare dei collaboratori del gruppo parlamentare e organizzare meglio il lavoro. Vi assicuro che ero in buona fede al ristorante, nn sapevo dei costi ulteriori come dichiarato, ma soprattutto ci andavamo la prima settimana perchè alla mensa i dipendenti si lamentavano del fatto che gli creavamo fila a cui non erano abituati e che rallentava molto la loro pausa pranzo. Perciò per sbrigarmi sono andato al ristorante (che nn avevo manco capito che si chiamava bouvette, tanto non me ne frega un cazzo di queste cose) e mi sono servito al self service senza mai richiedere cibo dalla cucina. Cioè ma vi rendete conto di che attacco riesce a creare una foto gossippara? ok la bouvette è un posto da evitare, ma non avevo l'attenzione a dove mangiavo in quei giorni, ho mangiato tramezzini, qualche panino e frutta portata da casa e alla mensa, ora abbiamo capito che alla mensa è meglio andarci alle 12 o alle 14. Ora ho anche fatto richiesto per la contrattualistica del bar, bouvette, mensa e macchinette nei corridoi. Vediamo i prossimi giorni quanto ostruzionismo faranno per darci i dati e se ce li daranno potremo contestare eventuali sprechi. Mi hanno assicurato che lunedì dovrei averli, vediamo e insistiamo. Un pò alla volta tornerò a usare sempre più spesso i social network, a comunicarvi cosa stiamo scoprendo e come ci stiamo muovendo. Vi spiegherò per filo e per segno perchè non abbiamo il personale adeguato per espletare le nostre attività. In particolare la presentazione delle proposte di legge ci è stata difficile senza adeguato personale legislativo. Personale che gli altri partiti hanno. A noi spetta un contributo di 4,2 ml euro. Ce lo decurteranno fino a farci rimanere con poco meno di 1 ml, se non assumiamo il nostro personale legislativo (drafting) e amministrativo da due liste che alla Camera si chiamano....rullo di tamburi.....: Allegato A e Allegato B Delibera2012. Roba da pazzi. Senza alcun Concorso Pubblico, ma con l'amicizia dei politici, da anni persone di infima provenienza sono state mescolate ad altre di grande professionalità in queste due liste. Nell'allegato A ci sono persone stabilizzate, ovvero hanno garantito il reddito a prescindere se li assumiamo o meno, se fossero professionisti forse nulla da eccepire, dato che alcuni sono veramente dei fenomeni, ma il punto è che a noi ci decurtano 65000 euro a persona per ognuna delle 17 persone che dovremmo obbligatoriamente assumere da questa lista di poco più di 100 persone. Più il 25% del Contributo Unico! Roba da pazzi! O assumi la gente delle liste, che non puoi contattare,o ti tolgono il contributo per il personale! Quindi essendo queste liste di nomi senza telefoni nè corredati di curricula siamo all'oscuro di chi sono e di come assumerli. Stiamo denunciando tutto da giorni, ma i giornalai parlano d'altro. Dov'è il sacro giornalismo d'inchiesta. O meglio gli organi di libera e consapevole informazione?? L'allegato B invece è composto da persone non stabilizzate, circa 500, anch'esse sono solo una lista di nomi (con anche parlamentari rieletti), senza contatti nè curricula. Liste di nomi di amici e parenti, ma anche di professionisti, un macello creato dai partiti del potere e dal Palazzo della Camera, che ha autonomia finanziaria e che è forse una parte della Casta quanto le lobby che governano attraverso i politici dei partiti la situazione del paese, dalla mia impressione a primo impatto in queste settimane. Passaparola. Trasparenza e condivisione.http://www.allourideas.org/legge-elettorale?locale=it».Adriano Zaccagnini - 25 marzo 2013
domenica 24 marzo 2013
Confronto con Grasso, simpatico Formigli, la mia ricostruzione è vera
Naturalmente la mia ricostruzione è vera e ringrazio il simpatico Formigli, cui sono felice di aver regalato un quarto d’ora di celebrità, per averla confermata con l’aria di smentirla.
1) Formigli si è intromesso eccome, e molto scorrettamente, fra Servizio Pubblico e La7,
il cui direttore Paolo Ruffini, chiamato da Santoro e dal suo staff
intorno a mezzanotte di giovedì sera, aveva dato ampia disponibilità a
modificare i palinsesti per consentire a Grasso di ottenere il faccia a
faccia con me prima di giovedì prossimo. A questi accordi ero rimasto,
illudendomi che Ruffini avesse una parola sola, quando venerdì mattina –
ignaro degli affettuosi cinguettii via twitter fra Formigli e Grasso –
ho ricevuto l’sms di Formigli. L’idea che Formigli temesse che “il
confronto si tenesse su una rete concorrente di La7” fa ridere i polli:
il direttore Ruffini sapeva fin da giovedì sera che il confronto
l’avremmo allestito alla prima data disponibile noi di Servizio
Pubblico; e già giovedì sera a Servizio Pubblico avevo dichiarato che,
trattandosi di una rettifica di Grasso a quanto da me detto a Servizio
Pubblico, la sede naturale del confronto era quella, o in subordine la
web tv del Fatto (che può allestire un confronto in streaming in
qualsiasi momento, senza spostare palinsesti televisivi, ed è
naturalmente collegata col sito di Servizio Pubblico visto che il Fatto
ne è azionista). Immaginiamo che accadrebbe se Gian Antonio Stella del
Corriere della sera scrivesse un articolo su Grasso che non piace a
Grasso e accettasse di confrontarsi con lui per proseguire la polemica
sulle pagine di Repubblica: verrebbe licenziato in tronco. Lo stesso
credo accadrebbe se un collaboratore di Formigli (ipotetica del terzo
tipo) polemizzasse con Grasso e poi i due venissero a confrontarsi a
Servizio Pubblico.
2) Non ho mai “chiuso la comunicazione” telefonica con Formigli,
né due volte, né una. Semplicemente ero in treno fra Roma e Bologna, in
zona “scoperta”, e quando ho visto le chiamate di Formigli gli ho
scritto un sms. Dalla risposta ho capito esattamente quel che c’era
scritto: e cioè che mi convocava nel suo programma: “Ciao Marco allora
lunedì sei con noi a Piazzapulita per il confronto con Grasso? Se vuoi
ne parliamo appena ti liberi”. Non riuscendo a capire perché diavolo
avrei dovuto essere “con loro a Piazzapulita” lunedì, visto che Santoro
aveva concordato col direttore di La7 il confronto in un’edizione
speciale di Servizio Pubblico (si parlava di domenica sera), ho ribadito
a Formigli quanto avevo detto in trasmissione, casomai gli fosse
sfuggito. Ho poi saputo, visto che non seguo twitter avendo di meglio da
fare, che Grasso e Formigli si erano già amorevolmente accordati alle
mie spalle. Poi ho anche scoperto che Ruffini, dimentico di quel che
aveva concordato con Santoro, aveva cambiato idea. Ah, dimenticavo: non
ho una colf, dunque non posso trattarla né bene né male.
3) Conservo gli sms importanti,
dunque non quelli di e con Formigli. Comunque la mia risposta fu
esattamente quella che avevo riassunto io, peraltro identica a quel che
avevo subito detto a Servizio Pubblico: la sede naturale del confronto è
Servizio Pubblico oppure il sito di Servizio Pubblico collegato in
streaming con la web tv del Fatto. Quanto all’esclusiva, che mi lega a
Servizio Pubblico, a Formigli risulta male: nell’ultima stagione ho
partecipato ad altri programmi (che scelgo io, non Formigli) solo nei
periodi in cui Servizio Pubblico non andava in onda. Lo possono
testimoniare Lilli Gruber, Enrico Mentana, Victoria Cabello e gli amici di SkyNews,
dei quali sono felice di essere ogni tanto ospite, ma dei quali ho
declinato alcuni inviti (con Mentana anche il giorno delle elezioni)
perché sono legato in esclusiva a Servizio Pubblico. Aggiungo, visto che
Formigli mi provoca, che a Piazza Pulita non metterei piede neppure se
fossi libero da vincoli: e credo che lui sappia bene il perché. Ho tanti
difetti, ma non la smemoratezza, e non dimentico com’è nato Piazza
Pulita. Mentre Santoro e tutti noi, due anni fa, Formigli compreso, ci
battevamo contro una proposta indecente di contratto con La7 che
prevedeva la censura preventiva della rete e la manleva legale alla
rete, lui si proponeva per condurre un talk show il giovedì sera al
posto nostro. Anche a me fu offerta da Stella e Bernabè la conduzione di
un programma alternativo su La7, ma naturalmente rifiutai. Così ce ne
andammo, ci mettemmo in proprio e, grazie anche alle sottoscrizioni di
100 mila cittadini, creammo un rischiosissimo network di tv locali a cui
poi si aggiunse Sky-Cielo. Qualcuno sperava che scomparissimo, invece
riuscimmo egregiamente a sopravvivere con Servizio Pubblico, che anche
dall’iperuranio era più visto di Piazza Pulita (intanto Formigli
dichiarava elegantemente a Libero: “Non darei 10 euro a Santoro per
Servizio Pubblico”). Tanto che quest’anno La7 è tornata sui suoi passi e
ha acquistato Servizio Pubblico, per il giovedì sera e alle nostre
condizioni di libertà.
4) La difesa che fa Formigli del suo direttore è commovente.
Ma se Formigli e Ruffini non volevano essere accusati di essersi
accordati con Grasso alle mie spalle, non avevano che da propormi il
confronto a Piazza Pulita quando lo proposero a Grasso. Invece Ruffini
ha detto una cosa e poi il suo contrario nel breve volgere di una notte.
E Formigli ha contattato Grasso giovedì sera, ne ha incassato
l’adesione venerdì alle 7.31, poi con comodo s’è ricordato di avvertire
anche me verso le 11. Bella premessa per un confronto ad armi pari.
Quanto alle “maniere forti” e ai “manganelli”, vorrei rassicurare
Formigli: non le ho mai usate né invocate in vita mia, e comunque lui è
talmente servizievole che nessuno gli torcerà mai un capello, tantomeno
il suo direttore (lo stesso che dirigeva Rai3 quando mi attaccò perché
da Fazio avevo scoperchiato alcuni altarini di Renato Schifani,
ex socio di suo zio, Enrico La Loggia, dopodiché guardacaso da quelle
parti diventai un appestato per qualche anno). “Mettere a posto
Formigli” significa semplicemente fare quel che farebbe un direttore:
dirgli di stare al suo posto, senza impicciarsi in faccende che non lo
riguardano, tantopiù che Santoro, con l’avallo di Ruffini, stava preparando uno speciale per il confronto fra Grasso e me.
5) Attendo con ansia di conoscere le mie “bugie” e le mie “ricostruzioni”
che “da un po’ di tempo” farebbero “acqua da tutte le parti”. Su Piero
Grasso scrivo e dico cose molto più pesanti di quelle dell’altra sera da
almeno dieci anni, dunque se sono false lo sono da parecchio tempo.
Peccato che Grasso non le abbia mai ritenute tali, visto che non mi ha
mai querelato. Mi auguro che Formigli abbia buone fonti in materia,
anche se non le ha mai tirate fuori.
6) L’invito finale a Piazza Pulita,
dopo due pagine di insulti, è un capolavoro degno di Tartuffe.
Formigli, domani sera, se le può cantare e suonare tranquillamente con
Grasso (che poi era il loro scopo fin dall’inizio), così come ha fatto
ultimamente con Monti, Bersani e altri big che, guarda un po’, a
Servizio Pubblico non mettono piede. E potrà anche scoprire per la prima
volta mondi finora inesplorati dal suo programma, succhiando la ruota
al nostro. Personalmente non vedo l’ora di confrontarmi con Grasso: ho
già pronte tutte le carte per dimostrare ciò che ho detto giovedì e
anche tante altre cose. Lo farò volentieri giovedì sera a Servizio
Pubblico, se Grasso accetterà il nostro invito. Se non lo farà, e
spiegherà convincentemente perché il programma più visto di La7 non può
ospitare il confronto su una polemica nata proprio lì, sarò lieto di
incontrarlo – se otterrò una deroga alla mia esclusiva – in altre
trasmissioni di La7 da lui proposte (da Lilli Gruber, da Mentana, da
Lerner), purché siano garantiti un minimo di agibilità, di equilibrio e
di decenza. Possibilmente senza che il conduttore si accordi con Grasso
alle mie spalle e poi mi chiami a cose fatte. Possibilmente con la
rinuncia, da parte del presidente del Senato, dell’insindacabilità
parlamentare, visto che lui è immune per qualunque cosa dica, mentre io
rispondo penalmente e civilmente di tutti i miei scritti e di tutte le
mie parole. Per la data e l’orario non ho problemi né veti: giovedì
Grasso aveva una gran fretta, salvo poi dirsi impegnato fino alle 21.15
di lunedì. Ma, se riesce a liberarsi un’ora prima, ci possiamo vedere
anche domani sera al Tg de La7 o a Otto e Mezzo. Mentana e Gruber
permettendo.
Questa mattina sul Fatto Quotidiano è stato pubblicato l’articolo di seguito cui era seguita la replica di Corrado Formigli sul suo blog.
Siccome sulla polemica del presidente del Senato Piero Grasso
si è subito attivata la macchina della disinformazione, è il caso di
mettere qualche altro puntino sulle i. Sul merito del duello. Finale di
Champions League, poniamo, tra Juventus e Barcellona. All’ultimo momento
l’Uefa cambia le regole e stabilisce che la Juve non può giocare.
Anziché rifiutarsi di disputare la partita senz’avversario per un
elementare principio di sportività, il Barça scende ugualmente in campo
da solo, tira 90 volte (una al minuto) nella porta vuota, vince 90 a
zero e si aggiudica la coppa. Alle comprensibili proteste della Juve,
giocatori, dirigenti e tifosi del Barcellona rispondono che sì, in
effetti, cambiare le regole del gioco all’ultimo momento non è stato il
massimo. In ogni caso la loro vittoria è valida, dunque ritirano il
trofeo e se lo portano a casa. L’indomani, sui giornali, si legge che la
finalissima è stata comunque regolare: infatti chi ci assicura che la
Juventus, se avesse potuto battersi contro il Barcellona, avrebbe vinto
la partita?
La stessa cosa accade nel concorso del 2005 al Csm per il posto di procuratore nazionale antimafia: i candidati sono due, Grasso e Caselli, ma all’ultimo momento il governo Berlusconi fa tre leggi che vietano a Caselli di concorrere, così vince l’altro, unico candidato rimasto: Grasso.
Il quale, anziché ritirare la sua candidatura finché la Consulta non
abbia cancellato quelle norme incostituzionali, non dice una parola,
rimane in corsa da solo e incassa la poltrona. Gli piace vincere facile.
Quando poi la Consulta fulmina le norme incostituzionali, Grasso
riconosce che, certo, non erano proprio il massimo. Pazienza, cosa fatta
capo ha. In un paese serio quella macchia indelebile sporcherebbe per
sempre il curriculum di Grasso e tutti si domanderebbero cos’abbia fatto
per guadagnarsi quell’abuso di potere illegale da parte del governo
Berlusconi.
Invece ancora ieri, sui giornali, era tutta una
gara a minimizzare lo scandalo, con la decisiva argomentazione che non è
affatto detto che Caselli, se avesse potuto giocare la partita, avrebbe
prevalso su Grasso. Anzi, secondo Claudia Fusani dell’Unità, è certo
che avrebbe vinto comunque Grasso. La prova? L’ultima legge anti-Caselli
fu approvata il 30 luglio 2005, mentre già il 12 luglio la commissione
Incarichi direttivi del Csm aveva tributato 3 voti a Grasso e 2 a
Caselli. Già, peccato che dovesse ancora pronunciarsi il Plenum, dove
capita spesso che la maggioranza raggiunta in commissione venga
ribaltata. E in ogni caso il Csm già sapeva che, votando Caselli,
avrebbe scelto un candidato che di lì a poco sarebbe stato escluso per
legge, oltre a sfidare apertamente il governo in carica. Dunque la prova
Fusani è una panzana. Anche il Corriere della Sera accenna alla prova
che non prova nulla, con lo sragionamento di cui sopra: “Non c’è la
prova che, se Caselli fosse rimasto in gara, il Csm avrebbe scelto lui e
non Grasso”. Scusate, ma se era così scontato che il Csm avrebbe scelto
Grasso anche senza le leggi anti-Caselli, perché mai il governo B. varò
ben tre leggi in sei mesi per escludere Caselli?
Sul metodo del duello. Appena Grasso, giovedì sera al telefono con Santoro, mi lancia il guanto di sfida, rispondo subito che non vedo l’ora. Trattandosi di cose dette a Servizio Pubblico, è naturale che il duello si disputi a Servizio Pubblico.
Grasso però, chissà perché, non vuole aspettare fino a giovedì. Per
venire incontro alle sue esigenze, Santoro fa chiamare durante il
programma dal suo staff e alla fine chiama personalmente il direttore di
La7 Paolo Ruffini, che si dice d’accordo per realizzare uno speciale di Servizio Pubblico fin da domenica sera, in diretta o in differita.
Ma negli stessi minuti s’intromette nottetempo il simpatico Corrado Formigli,
che non c’entra nulla di nulla, invitando Grasso via twitter a tenere
il duello a Piazza Pulita. Alle 7.31 di venerdì Grasso risponde con un
tweet al “gentile Corrado” che accetta volentieri il suo invito. Poi,
con comodo, verso le 11, Formigli mi convoca con un gentile sms per
lunedì nel suo programma già bell’e pronto, manco fossi la sua colf.
Rispondo che il confronto, come ho detto in diretta e come Santoro ha
concordato con Ruffini, avverrà nel programma che ha originato la
polemica e con cui collaboro in esclusiva. Santoro
avvia contatti con lo staff di Grasso dando disponibilità per ogni
giorno e ogni sera da domenica in poi, disposto anche a cedere il passo a
un altro “arbitro” casomai la sua figura fosse ritenuta troppo
sbilanciata dalla mia parte. Ma Grasso, che prima aveva tanta fretta,
può soltanto lunedì alle 21.15, guardacaso l’orario d’inizio di Piazza
Pulita. Spetterebbe al direttore di rete Ruffini mettere a posto
Formigli e tutelare la dignità del programma di punta di La7 (che fa
ascolti doppi rispetto a Piazza Pulita). Invece scopro che s’è già
accordato alle mie spalle con Formigli e Grasso per bypassare Servizio Pubblico
e trasferire tutto a Piazza Pulita, in uno strano duello dove lo
sfidante sceglie luogo, giorno, ora, padrini e arbitro, mentre lo
sfidato resta all’oscuro di tutto e deve soltanto subire le decisioni
altrui prese altrove. Altrimenti viene pure accusato di sfuggire al
confronto. Ruffini è lo stesso che, nominato direttore di Rai3 dal
centrosinistra, chiuse Raiot di Sabina Guzzanti dopo la prima puntata di
grande successo; poi, nel 2008, mi attaccò per aver raccontato da Fazio
le liaisons dangereuses del predecessore di Grasso, Schifani;
e ora delegittima Servizio Pubblico e il suo gruppo di lavoro,
trattandolo come un programma inaffidabile. Io continuo a sperare che il
confronto con Grasso si faccia, in un luogo concordato da entrambi: non
certo in un programma dove – per contratto, per correttezza e per
decenza – non posso metter piede. Se invece il presidente del Senato
continua a fare giochetti coi suoi compagnucci di partito, viene il
sospetto che abbia già optato, un’altra volta, per la fuga. Insomma,
come già con Caselli, gli piace vincere facile: giocando le partite
senza l’avversario.
Ps. Tutto questo non è, come credono in
molti, un gossip televisivo senza importanza. È una questione politica
cruciale, riconosciuta dallo stesso Grasso quando, dal secondo scranno
della Repubblica, ha telefonato in diretta a Servizio Pubblico,
manifestando una gran fretta di chiarire tutto. Una fretta che non si
spiega se non con la speranza di diventare premier se l’esplorazione di
Bersani fallisca. In quel caso potrebbe essere lui l’uomo giusto per un
governissimo che metta d’accordo Pd e Pdl. Perciò i suoi rapporti con B.
e il Pdl vanno chiariti fino in fondo. E perciò si tenta di
delegittimare uno dei pochi programmi che ancora disturbano i
manovratori.
Marco Travaglio (Il Fatto Quotidiano, 24 Marzo 2013)
venerdì 22 marzo 2013
L'onore perduto della democrazia
Dignità voleva
che questi nostri poveri marò tornassero in India rispettando la parola
data perché pacta sunt servanda soprattutto per i soldati scelti.
Massimiliano Latorre e Salvatore Girone ci tornano invece sbertucciati,
piegati dal fardello di un disastro diplomatico. Esposti alla gogna per
colpa soprattutto di un ministro degli Esteri che ha cercato di
costruire sulla loro fuga un futuro politico, ed eventualmente anche
elettorale, a destra. E non stiamo parlando della destra dei valori e
della patria, la destra dei tratti eroici, che so?, del duca d'Aosta o
di Cesare Battisti o di Enrico Toti, ma della destra badogliana del
"tutti a casa".
Il ministro Terzi e il suo sodale Di Paola, ministro della Difesa, - nientemeno un ammiraglio che ha studiato al Morosini! - hanno infatti trasformato questi due apprendisti eroi in una coppia di esodati, esponendoli adesso, con il ritorno obbligato, al pericolo vero, il pericolo peggiore per un soldato e per un governo: il disonore.
Solo ora infatti il processo diventa a rischio, perché i nostri due "marines", vale a dire il meglio delle nostre forze armate, non saranno più considerati come due fucilieri di Marina di un Paese amico, due militari in attesa di giudizio, ma come due prove sfacciate e schiaccianti non di omicidio ma di furbizia umiliata, i rappresentanti di un'Italia volgare e truffaldina, subito piegata però dalla forza di un brutto atto di rappresaglia.
Sino a un mese fa i truffaldini sembravano gli indiani. Perché i due poveri pescatori morti forse non erano pescatori. Perché le acque in cui sono morti erano internazionali. E perché i nostri soldati si erano sempre comportati da soldati. E i soldati non sparano sui pescatori e, più in generale, sui lavoratori, in mare come in terra. E che fossero soldati lo avevano dimostrato non scappando subito dopo l'incidente, ma presentandosi alle autorità di polizia locali. E ancora, ottenuta e goduta la licenza per il Natale in patria, riconsegnandosi puntualmente ai loro giudici, benché sia controversa la legittimità del tribunale indiano.
Adesso che invece tornano perché gli indiani hanno sequestrato il nostro ambasciatore, violando a loro volta le regole internazionali, i due soldati diventano davvero prigionieri, e non più della Giustizia indiana e dei suoi tribunali ma di un'arroganza da ritorsione. L'India che li accoglierà non è infatti la stessa India che diede loro il permesso di partire: è un'India che si è sporcata con un sequestro di persona che non ha precedenti nel mondo diplomatico civile e che l'Italia furbastra di Terzi e di Di Paola non sa più come affrontare se non con la resa, la cosiddetta calata di braghe.
C'è purtroppo una parte dell'Italia che pensa all'India come a una terra di straccioni in costume esotico dimenticando che è invece la più grande democrazia, una potenza nucleare, un mastino dell'economia internazionale e, assieme alla Cina, agli Stati Uniti e alla Russia, uno dei paesi più importanti dello scacchiere mondiale. È inoltre uno dei principali membri delle nazioni emergenti del Brics che insidiano il primato occidentale (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica e presto anche la Turchia).
Ebbene, l'idea razzistoide che gli indiani siano selvaggi, diffusa sgangheratamente dai giornali di Berlusconi, fa il paio, per stupidità, solo con l'idea che la fuga possa essere una vittoria e che il tradimento diventi un blasone. Ancora ieri sera Alfano e la Santanché definivano "orgoglio nazionale" quella fuga dalla responsabilità dei due marò che nei codici della destra a cui si richiamano è invece fellonia. È una maionese impazzita di valori: pretendono di vestire la bandiera di viltà e fondano il patriottismo sulla figuraccia internazionale.
Spiace che Mario Monti, chiamato alla massima responsabilità proprio in virtù del suo prestigio internazionale, concluda la sua vicenda di statista con questo desolante pasticcio di politica estera. In fondo, il caso dei marò è stato l'unico episodio di risonanza mondiale del governo dei tecnici. Ed è stato un episodio in due atti. Primo: darsela a gambe fedifraghe. Secondo: arrendersi senza condizioni al primo "bau". Il tutto a conferma del pregiudizio che da sempre l'Italia si porta dietro: è la nazione vaso di coccio, è il paese di don Abbondio e del miles "vana-gloriosus", è lo Stato dello sbruffone che si infila a letto con un occhio rosso per evitare un processo, è l'esercito del capitano vanitoso e fellone che abbandona la Concordia nel momento del naufragio, è la Marina di "navi e poltrone", è il governo astuto e ganzo che maramaldeggia con l'India...
Fossimo in altri tempi e con altre grammatiche, onore, buon senso e fegato vorrebbero che il nobile Giulio Terzi di Sant'Agata e l'ammiraglio Giampaolo Di Paola si consegnassero agli indiani al posto dei due marò.
Il ministro Terzi e il suo sodale Di Paola, ministro della Difesa, - nientemeno un ammiraglio che ha studiato al Morosini! - hanno infatti trasformato questi due apprendisti eroi in una coppia di esodati, esponendoli adesso, con il ritorno obbligato, al pericolo vero, il pericolo peggiore per un soldato e per un governo: il disonore.
Solo ora infatti il processo diventa a rischio, perché i nostri due "marines", vale a dire il meglio delle nostre forze armate, non saranno più considerati come due fucilieri di Marina di un Paese amico, due militari in attesa di giudizio, ma come due prove sfacciate e schiaccianti non di omicidio ma di furbizia umiliata, i rappresentanti di un'Italia volgare e truffaldina, subito piegata però dalla forza di un brutto atto di rappresaglia.
Sino a un mese fa i truffaldini sembravano gli indiani. Perché i due poveri pescatori morti forse non erano pescatori. Perché le acque in cui sono morti erano internazionali. E perché i nostri soldati si erano sempre comportati da soldati. E i soldati non sparano sui pescatori e, più in generale, sui lavoratori, in mare come in terra. E che fossero soldati lo avevano dimostrato non scappando subito dopo l'incidente, ma presentandosi alle autorità di polizia locali. E ancora, ottenuta e goduta la licenza per il Natale in patria, riconsegnandosi puntualmente ai loro giudici, benché sia controversa la legittimità del tribunale indiano.
Adesso che invece tornano perché gli indiani hanno sequestrato il nostro ambasciatore, violando a loro volta le regole internazionali, i due soldati diventano davvero prigionieri, e non più della Giustizia indiana e dei suoi tribunali ma di un'arroganza da ritorsione. L'India che li accoglierà non è infatti la stessa India che diede loro il permesso di partire: è un'India che si è sporcata con un sequestro di persona che non ha precedenti nel mondo diplomatico civile e che l'Italia furbastra di Terzi e di Di Paola non sa più come affrontare se non con la resa, la cosiddetta calata di braghe.
C'è purtroppo una parte dell'Italia che pensa all'India come a una terra di straccioni in costume esotico dimenticando che è invece la più grande democrazia, una potenza nucleare, un mastino dell'economia internazionale e, assieme alla Cina, agli Stati Uniti e alla Russia, uno dei paesi più importanti dello scacchiere mondiale. È inoltre uno dei principali membri delle nazioni emergenti del Brics che insidiano il primato occidentale (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica e presto anche la Turchia).
Ebbene, l'idea razzistoide che gli indiani siano selvaggi, diffusa sgangheratamente dai giornali di Berlusconi, fa il paio, per stupidità, solo con l'idea che la fuga possa essere una vittoria e che il tradimento diventi un blasone. Ancora ieri sera Alfano e la Santanché definivano "orgoglio nazionale" quella fuga dalla responsabilità dei due marò che nei codici della destra a cui si richiamano è invece fellonia. È una maionese impazzita di valori: pretendono di vestire la bandiera di viltà e fondano il patriottismo sulla figuraccia internazionale.
Spiace che Mario Monti, chiamato alla massima responsabilità proprio in virtù del suo prestigio internazionale, concluda la sua vicenda di statista con questo desolante pasticcio di politica estera. In fondo, il caso dei marò è stato l'unico episodio di risonanza mondiale del governo dei tecnici. Ed è stato un episodio in due atti. Primo: darsela a gambe fedifraghe. Secondo: arrendersi senza condizioni al primo "bau". Il tutto a conferma del pregiudizio che da sempre l'Italia si porta dietro: è la nazione vaso di coccio, è il paese di don Abbondio e del miles "vana-gloriosus", è lo Stato dello sbruffone che si infila a letto con un occhio rosso per evitare un processo, è l'esercito del capitano vanitoso e fellone che abbandona la Concordia nel momento del naufragio, è la Marina di "navi e poltrone", è il governo astuto e ganzo che maramaldeggia con l'India...
Fossimo in altri tempi e con altre grammatiche, onore, buon senso e fegato vorrebbero che il nobile Giulio Terzi di Sant'Agata e l'ammiraglio Giampaolo Di Paola si consegnassero agli indiani al posto dei due marò.
Francesco Merlo (La Repubblica - 22 marzo 2013)
L'importanza di chiamarsi Francesco
L'aspetto
più interessante del nuovo Papa non è tanto che sia il primo Pontefice
non europeo, latino-americano (anche se ha il suo significato), ma,
com'è stato notato da molti, il nome che, con una certa temerarietà,
Jorge Mario Bergoglio ha scelto di darsi: Francesco. San Francesco è
infatti attuale e inattuale nello stesso tempo. E' attuale perchè
predica un rapporto d'amore e di rispetto per la natura «Laudato sie,
mi' Signore.... per messor lo frate sole...per sora luna...per frate
vento...per sor'acqua...per sora nostra matre terra»-Laudes
Creaturarum).
E'
insomma un ecologista 'ante litteram' ( dove il termine 'ecologia' va
inteso in un senso più ampio, spirituale), e oggi finalmente, anche se
con fortissime opposizioni, ci si sta rendendo conto che se continuiamo
sul passo preso a partire dalla Rivoluzione industriale finiremo per
distruggere il pianeta e, con esso, noi stessi.
E'
inattuale perchè predica la povertà e non si tratta semplicemente della
solita attenzione agli 'umiliati e offesi', tipo, modernamente, Madre
Teresa di Calcutta o Dame di San Vincenzo, ma è un invito alla sobrietà,
a spogliarsi dei beni materiali che è rivolto a tutti. San Francesco è
insomma un pauperista e il pauperismo va in direzione diametralmente
opposta all'attuale modello di sviluppo basato sull'accumulo continuo
della ricchezza. San Francesco, come ho scritto più volte, anche su
questo giornale, sarebbe oggi molto più rivoluzionario di Marx e di Adam
Smith.
Tornando
sulla terra, cioè al Francesco oggi Papa, che il popolo cattolico, con
una fretta e una superficialità tutta moderna, vorrebbe 'subito santo' ,
è chiaro che la scelta di un Papa non europeo, non nord-americano, ha
un significato preciso. Vuol dire che la Chiesa considera l'Occidente
propriamente detto completamente desacralizzato, secolarizzato, ormai
irrecuperabile e cerca miglior sorte in altri lidi. Quando nel 1880
Friederich Nietzsche proclama « la morte di Dio » non fa che constatare,
con un certo anticipo poichè era un genio, che Dio è morto nella
coscienza dell'uomo occidentale. Una volta che è morto, spiritualmente,
Dio non è resuscitabile.
Un'altra
cosa mi è piaciuta nell'uomo Jorge Mario Bergoglio diventato Papa
Francesco. I giorni precedenti l'elezione del Pontefice e quelli del
Conclave sono stati ammorbati da un'assordante grancassa dei mass media,
soprattutto televisivi, mentre sulla piazza si faceva un tifo
nazionalistico altrettanto rumoroso e non molto dissimile da quello per
Barcellona-Milan (non per nulla un quotidiano argentino ha paragonato
Bergoglio a Messi). Nel suo breve discorso Papa Francesco ha chiesto,
nel chiasso generale, un momento di silenzio e lo ha ottenuto. E anche
questo è del tutto inattuale in una società che non sa più sopportare il
silenzio, che applaude, grottescamente, persino i suoi morti e dove gli
uomini e le donne pur di non rimanere soli con se stessi si
rimbambiniscono ascoltando le musichette dei giochini dell'iPhone.
Se poi Papa Francesco sarà in grado di realizzare i propri intenti, questo solo Dio, se mai esiste, lo puo' sapere.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 16 marzo 2013)
lunedì 18 marzo 2013
L'anarchia della balena
Beppe Grillo ha buttato la rete nel malcontento italiano, e la pesca
elettorale è stata abbondante. Perché il malcontento è grande e
giustificato; perché il pescatore è stato abile a manovrare la barca. Ha
saputo mescolare rivendicazioni e rimostranze, solidarietà e sarcasmo,
tempismo e tecnologia. Non è il primo a esercitarsi in questo tipo di
attività, nella politica italiana ed europea. Ma nessuno aveva ottenuto
risultati così clamorosi. Perché nella rete di Grillo non c'è pesce: c'è
una balena. Come definire, altrimenti, quasi nove milioni di elettori
che hanno investito nel Movimento 5 Stelle molte speranze, lo hanno
incaricato di rappresentare le proprie delusioni e ora s'aspettano che
trovi soluzioni? Come classificare un numero di parlamentari capace di
rendere difficilissima una maggioranza di governo?
Per il gran pescatore politico,
passata l'euforia, si pone un problema. Gigantesco, come la sua
conquista. La balena non si può tirare a bordo: la barca si
rovescerebbe. Ma non si può lasciare lì a lungo, prigioniera nella rete.
Perché prima o poi il cetaceo elettorale si sveglia. E allora, per chi
sta in superficie, sono guai. I primi segni del risveglio della balena
sono evidenti. I voti che hanno consentito a Pietro Grasso di arrivare
alla presidenza del Senato erano prevedibili. La psicologia, talvolta,
può più della strategia: chi era tanto orgoglioso di mostrarsi alle
famiglie nel Parlamento degli italiani, non poteva avallare il «Tanto
peggio, tanto meglio!» invocato dal pescatore-capo chiuso nella sua
villa sul mare. E poi diciamolo. Se Beppe Grillo è un «portavoce» - così
si definisce - il suo ruolo è comunicare la volontà degli eletti; non
imporre la propria.
Il segnale inequivocabile del risveglio della
balena è però un altro. Dopo il comunicato di centosedici parole
(«Trasparenza e voto segreto»), con cui Grillo rimette bruscamente in
riga gli eletti del M5S, il blog s'è rivoltato. Moltissimi hanno
protestato, anche per la rinuncia alla diretta-video della discussione
alla vigilia del voto. Altrettanti si sono detti delusi e amareggiati.
Vogliamo un movimento nuovo dove si decide insieme, hanno scritto (prima
di essere in parte rimossi). Non un partito dove il capo emette
comunicati, non risponde alle critiche e lascia intendere: pensatela
come volete, basta che la pensiate come me.
La balena s'è svegliata, e
dimostra di avere una certa personalità, come il capitano Achab imparò a
sue spese con Moby Dick. Cosa farà il mastodonte, è presto per dirlo.
Mentre Mario Monti mulina la piccozza, dimostrando di conoscere poco le
tecniche di pesca, Silvio Berlusconi e il Pdl appaiono preoccupati. Ma
come potevano pensare che la balena dormisse a lungo? Il problema è che
nessuno ha idea, oggi, di quale direzione prenderà. Non Bersani, non
Monti, non Berlusconi. Neppure Beppe Grillo. Non basta aver l'aspetto
del lupo di mare. Bisogna esserlo davvero.
sabato 16 marzo 2013
Il testo del discorso di insediamento di Laura Boldrini (Roma - Camera dei Deputati - 16 marzo 2013)
"Care deputate e cari deputati, permettetemi di esprimere il mio più
sentito ringraziamento per l’alto onore e responsabilità che comporta il
compito di presiedere i lavori di questa assemblea.
Vorrei innanzitutto rivolgere il saluto rispettoso e riconoscente di
tutta l’assemblea e mio personale al Presidente della Repubblica Giorgio
Napolitano che è custode rigoroso dell’unità del Paese e dei valori
della costituzione repubblicana.
Vorrei inoltre inviare un saluto cordiale al Presidente dalla Corte costituzionale e al Presidente del consiglio.
Faccio a tutti voi i miei auguri di buon lavoro, soprattutto ai più
giovani, a chi siede per la prima volta in quest’aula. Sono sicura che
in un momento così difficile per il nostro paese, insieme, insieme
riusciremo ad affrontare l’impegno straordinario di rappresentare nel
migliore dei modi le istituzioni repubblicane.
Vorrei rivolgere inoltre un cordiale saluto a chi mi ha preceduto, al
presidente Gianfranco Fini che ha svolto con responsabilità la sua
funzione costituzionale.
Arrivo a questo incarico dopo aver trascorso tanti anni a difendere e
rappresentare i diritti degli ultimi in Italia come in molte periferie
del mondo. E’ un’esperienza che mi accompagnerà sempre e che da oggi
metto al servizio di questa Camera. Farò in modo che questa istituzione
sia anche il luogo di cittadinanza di chi ha più bisogno.
Il mio pensiero va a chi ha perduto certezze e speranze. Dovremmo
impegnarci tutti a restituire piena dignità a ogni diritto. Dovremo
ingaggiare una battaglia vera contro la povertà, e non contro i poveri.
In questa aula sono stati scritti i diritti universali della nostra
Costituzione, la più bella del mondo. La responsabilità di questa
istituzione si misura anche nella capacità di saperli rappresentare e
garantire uno a uno.
Quest’Aula dovrà ascoltare la sofferenza sociale. Di una generazione
cha ha smarrito se stessa, prigioniera della precarietà, costretta
spesso a portare i propri talenti lontano dall’Italia.
Dovremo farci carico dell’umiliazione delle donne che subiscono
violenza travestita da amore. Ed è un impegno che fin dal primo giorno
affidiamo alla responsabilità della politica e del Parlamento.
Dovremo stare accanto a chi è caduto senza trovare la forza o l’aiuto
per rialzarsi, ai tanti detenuti che oggi vivono in una condizione
disumana e degradante come ha autorevolmente denunziato la Corte europea
dei diritti umani di Strasburgo.
Dovremo dare strumenti a chi ha perso il lavoro o non lo ha mai
trovato, a chi rischia di smarrire perfino l’ultimo sollievo della cassa
integrazione, ai cosiddetti esodati, che nessuno di noi ha dimenticato.
Ai tanti imprenditori che costituiscono una risorsa essenziale per
l’economia italiana e che oggi sono schiacciati dal peso della crisi,
alle vittime del terremoto e a chi subisce ogni giorno gli effetti della
scarsa cura del nostro territorio.
Dovremo impegnarci per restituire fiducia a quei pensionati che hanno
lavorato tutta la vita e che oggi non riescono ad andare avanti.
Dovremo imparare a capire il mondo con lo sguardo aperto di chi
arriva da lontano, con l’intensità e lo stupore di un bambino, con la
ricchezza interiore inesplorata di un disabile.
In Parlamento sono stati scritti questi diritti, ma sono stati
costruiti fuori da qui, liberando l’Italia e gli italiani dal fascismo.
Ricordiamo il sacrificio di chi è morto per le istituzioni e per
questa democrazia. Anche con questo spirito siamo idealmente vicini a
chi oggi a Firenze, assieme a Luigi Ciotti, ricorda tutti i morti per
mano mafiosa. Al loro sacrificio ciascuno di noi e questo Paese devono
molto.
E molto, molto dobbiamo anche al sacrificio di Aldo Moro e della sua scorta che ricordiamo con commozione oggi nel giorno in cui cade l’anniversario del loro assassinio.
E molto, molto dobbiamo anche al sacrificio di Aldo Moro e della sua scorta che ricordiamo con commozione oggi nel giorno in cui cade l’anniversario del loro assassinio.
Questo è un Parlamento largamente rinnovato. Scrolliamoci di dosso
ogni indugio, nel dare piena dignità alla nostra istituzione che saprà
riprendersi la centralità e la responsabilità del proprio
ruolo. Facciamo di questa Camera la casa della buona politica. Rendiamo
il Parlamento e Il nostro lavoro trasparenti, anche in una scelta di
sobrietà che dobbiamo agli italiani.
Sarò la presidente di tutti, a partire da chi non mi ha votato, mi
impegnerò perché la mia funzione sia luogo di garanzia per ciascuno di
voi e per tutto il Paese.
L’Italia fa parte del nucleo dei fondatori del processo di
integrazione europea, dovremo impegnarci ad avvicinare i cittadini
italiani a questa sfida, a un progetto che sappia recuperare per intero
la visione e la missione che furono pensate, con lungimiranza, da
Altiero Spinelli.
Lavoriamo perché l’Europa torni ad essere un grande sogno, un
crocevia di popoli e di culture, un approdo certo per i diritti delle
persone, un luogo della libertà, della fraternità e della pace.
Anche i protagonisti della vita spirituale religiosa ci spronano ad
osare di più: per questo abbiamo accolto con gioia i gesti e le parole
del nuovo pontefice, venuto emblematicamente “dalla fine del mondo”. A
papa Francesco il saluto carico di speranze di tutti noi.
Consentitemi un saluto anche alle istituzioni internazionali, alle
associazioni e alle organizzazioni delle Nazioni Unite in cui ho
lavorato per 24 anni e permettetemi – visto che questo è stato fino ad
oggi il mio impegno – un pensiero per i molti, troppi morti senza nome
che il nostro Mediterraneo custodisce. Un mare che dovrà sempre più
diventare un ponte verso altri luoghi, altre culture, altre religioni.
Sento forte l’alto richiamo del Presidente della Repubblica
sull’unità del Paese, un richiamo che questa aula è chiamata a
raccogliere con pienezza e con convinzione.
La politica deve tornare ad essere una speranza, un servizio, una passione.
Stiamo iniziando un viaggio, oggi iniziamo un viaggio. Cercherò di
portare assieme a ciascuno di voi, con cura e umiltà, la richiesta di
cambiamento che alla politica oggi rivolgono tutti gli italiani,
soprattutto in nostri figli. Grazie."