Evviva la noia culla della fantasia

Teresa Belton, una scienziata inglese esperta di problemi dell'infanzia, dell'adolescenza e dell'apprendimento, sostiene, in uno studio, che la noia è «la linfa segreta della creatività». E' vero in due sensi solo apparentemente contradditori. La noia ti spinge a uscirne e nello stesso tempo ti aiuta. Non è un caso se alcuni genietti della Tv (Carlo Freccero, Antonio Ricci, Fabio Fazio, Aldo Grasso, Tatti Sanguinetti), il più moderno dei mezzi di comunicazione prima dell'avvento di Internet e del web, siano originari di Savona (o dintorni), una delle città più torpide d'Italia, dove non accade mai nulla. Mi ha detto una volta Antonio Ricci: «Tu capisci che quando il massimo dei tuoi orizzonti sono i Bagni Sirena, d'estate, per non dire del lungo, immobile inverno, fai di tutto per uscirne». Del resto se si vanno a leggere le biografie dei più importanti artisti italiani (registi, attori, scrittori) si vede che la maggioranza è nata in provincia, solo dopo la prima giovinezza si sono trasferiti in una grande città e hanno raggiunto il successo. Ma prima hanno goduto dei ritmi lenti, e sia pur noiosi, della provincia, avendo il tempo per riflettere, pensare, assimilare. C'è un bel libro, pubblicato una ventina d'anni fa, «La scoperta della lentezza» di Sten Nadolny. Racconta la storia di un ragazzino che pare ritardato rispetto hai suoi coetanei, lento nei riflessi, meno abile nei giochi. Diventerà un famoso esploratore, John Franklin, che contribuirà a scoprire e ad aprire il mitico 'passaggio a Nord Ovest' fra i ghiacci dell'Artico, mentre chi, da adolescente, lo superava in tutto non andrà oltre la soglia di una vita banale. Il fatto è che mentre i suoi compagni si lasciavano andare alla frenesia dell'età, Franklin, isolato, lento, fuori dai giochi, introiettava e assimilava profondamente le conoscenze che gli sarebbero servite in futuro ( cio' che ti ha detto, una sola volta, tuo nonno ti rimane impresso per tutta la vita, mentre non riusciamo a trattenere che per poco le migliaia di informazioni che quotidianamente ci attraversano). Che, nell'apprendimento, la lentezza sia un vantaggio lo conferma l'osservazione del comportamento delle specie. Un gattino di tre mesi è già svezzato, un cucciolo d'uomo ci mette anni per essere autosufficente. Ma il gatto resta un gatto, l'altro diventa, almeno intellettualmente, un animale superiore. Lo conferma anche il confronto fra i sessi. Fra un bambino e una bambina di sei anni c'è una distanza siderale. Lei è molto più sveglia, più pronta, in tutto e, fra le altre cose, ha già le malizie della donna. Lui è un tontolone. Con la crescita la distanza gradualmente diminuisce fino ad annullarsi e, nell'età adulta, è lui che supera lei. Questo, almeno, è quanto storicamente avvenuto finora (le femministe del Fatto non me ne vogliano,  hanno già Battiato cui pensare).
Noi oggi bambini o adulti che si sia, andiamo di fretta. Frenetici.  Anticipiamo in ogni campo l'apprendimento. Ci manca il tempo per riflettere, di pensare. Non è dovuto al caso se, in Occidente, l'ultimo, vero, grande filosofo sia stato Martin Heidegger, attivo negli anni Trenta, quasi un secolo fa.



sabato 30 marzo 2013

Napolitano sceglie dieci saggi per riformare il Paese, ma vince la vecchia politica - Nuovo governo, i saggi dell’inciucio e la salvezza di Berlusconi


Altro che dieci “saggi”. Quelli che ha tirato fuori Napolitano dal cilindro per scrivere la road map di riforme essenziali per il Paese sono i soliti noti. Forse il peggio dei soliti noti, se possibile. Eppure, sorprendentemente, saranno loro a dover costituire il “tesoro” di idee e provvedimenti su cui il prossimo Presidente della Repubblica si dovrà basare per formare (forse) un nuovo governo. C’è di che restare senza parole. Sono nomi che rappresentano gli assi portanti di quell’antico sistema politico e istituzionale che ha portato l’Italia nel baratro in cui si trova oggi. Lentamente ma sistematicamente. E adesso siamo di nuovo nelle loro mani.
A destare scandalo è soprattutto la commissione cosidetta “politico-istituzionale”. E fatto salvo il nome di Valerio Onida, costituzionalista di area piddina, sugli altri corre rapido un brivido lungo la schiena. A partire da Luciano Violante, con tutto il suo passato partitocratico alle spalle, simbolo della storia più antica (e non sempre limpida) del Nazareno (ma nel suo caso si potrebbe parlare meglio di Botteghe Oscure). E poi Mario Mauro, uomo di Monti (e di Cl vicinissmo a Roberto Formigoni) che qualcuno voleva a presidente del Senato al posto di Pietro Grasso, di cui non si ricordano negli anni particolari exploit legislativi nel segno del cambiamento.
Ma soprattutto Gaetano Quagliariello, ex vicecapogruppo del Pdl al Senato, uomo delle leggi ad personam di Silvio sulla giustizia, dunque personaggio di stretta osservanza berlusconiana, primo tra i soldati di prima fila del Cavaliere e (anche lui) personalità su cui l’intero centrodestra si sarebbe speso per fargli avere una carica istituzionale. Dopo quello che ha fatto per loro. E per il suo Capo. Ecco, Mauro è l’uomo di un Monti che continuerà a governare l’Italia nonostante i disastri economici e le figuracce cosmiche internazionali (i Marò) e Quagliariello è un portabandiera di Arcore. Davvero non c’era nulla di meglio sul mercato? Davvero è questo la summa della intellighenzia politica che Giorgio Napolitano ha saputo esprimere in un momento tanto drammatico per la democrazia? Cosa potranno mai studiare di nuovo queste cariatidi politiche del sistema? Che avranno mai da tessere e rinnovare elementi che mai sarebbero stati eletti davvero dal popolo se non ci fosse stato il Porcellum? L’unica cosa che possono partorire, a ben guardare, è un inciucio codificato sotto forma di programma da servire freddo sul piatto del prossimo presidente della Repubblica come unica via per avere un nuovo governo. D’inciucio, s’intende, non certo di rinnovamento.
Ma anche l’altra commissione, quella chiamata a studiare le emergenze economiche e sociali del Paese, non è meno inquietante. Si parte da Enrico Giovannini, presidente dell’Istat, istituto che continua a fotografare lo stato del Paese senza aver mai suggerito una misura utile al suo sviluppo neppure per sbaglio e di Giovanni Pitruzzella, presidente del’autorità garante della concorrenza e del mercato, istituto abbastanza inutile se si considera che in Italia, com’è noto, non c’è una legge sul conflitto d’interessi degna di questo nome, per cui l’operato del Garante è stato fino a oggi abbastanza oscuro. Ma si resta ancora senza parole quando lo sguardo arriva ai nomi di due degli altri membri della commissione; uomini strettamente legati uno a Monti e l’altro alla storia del Pci, ovvero ministro Moavero Milanesi e il senatore Filippo Bubbico. E che anche il terzo, Salvatore Rossi, membro del Direttorio della Banca D’Italia, è “cresciuto” dopo l’entrata in scena del governo Monti. Insomma, il “sistema” al potere che viene chiamato a rinnovare se stesso. Un paradosso
Napolitano, proponendo questi nomi, ha certamente deluso le aspettative di chi, soprattutto tra i giovani della politica anche in Parlamento (e non stiamo parlando solo dei grillini) si aspettavano una scossa. Invece, Napolitano oggi è tornato ad essere quel “Mofeo” di grillesca memoria, che trovandosi nell’impossibilità di fare alcunchè per partorire un nuovo governo, ha deciso di “addormentare” il sistema con questa sorta di “bicamerale ghiacciata” composta da chi, come si diceva, è in alcuni casi l’emblema di tutti ciò che gli italiani vorrebbero lasciarsi alle spalle. Insomma, il capolavoro di Napolitano è questo: Monti resta al suo posto (e chissà per quanto tempo) e per il resto è stata mandata letteralmente la palla in tribuna, fermando il gioco. Un’astuzia da antico politico, quale certamente Napolitano è, che ha anche archiviato senza scosse l’era Bersani, facendolo uscire di scena in modo netto, senza appello. Per quanto molto morbido.
Intanto, si è aperta ufficialmente la crisi del Pd, i cui esiti saranno certamente drammatici, ma non è questo certo il punto. Il vero scontro, quello più acceso, si giocherà sulla successione al Qurinale. E il Parlamento si trasformerà in un Vietnam. Insomma, il Capo dello Stato, ancora una volta, ha messo la sordina al cambiamento, fischiando il “tutti negli spogliatoi” e lasciando la patata bollente di riscattare, in qualche modo, il Paese dal torpore all’uomo del Colle che verrà. I supplementari, se ci saranno, li giocheranno (loro, i partiti) tutti con un altro arbitro. Che si troverà però vincolato al suo predecessore dal patto di sistema che verrà sancito in questa “bicamerale”. E sarà ancora un inciucio. Senza sbocco. Ma il prezzo di questo stallo e di questo “nuovo” che avanza e continua a dettar legge puzzando di polvere e di muffa ci costerà (a noi, cittadini) ancora moltissimo.

Sara Nicoli (Il Fatto Quotidiano - 30 marzo 2013)

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E’ difficile dire se i nomi proposti da Napolitano per le due “commissioni” costituiscano una indecenza o una esplicita provocazione contro milioni e milioni di cittadini che chiedono che si volti pagina.
Si tratta infatti di “commissioni” per l’inciucio più spudorato, non per la soluzione dei problemi del paese. La commissione “istituzionale” vede il sen. Mario Mauro (cioè Monti), il sen. Gaetano Quagliariello (cioè Berlusconi) e il prof. Luciano Violante (che non rappresenta neppure il Pd, ma solo l’ala più becera del Pd). Secondo Napolitano il M5S non fa parte del Parlamento?
Una epurazione del genere è al limite del golpismo. Quanto all’unico “intellettuale” o “tecnico”, l’ultima esternazione del professor Onida è avvenuta sul Giornale (di Berlusconi) per sostenere che Berlusconi è perfettamente eleggibile (ma pensa un po’). Avevo sostenuto che Napolitano stava disputando a Cossiga il titolo di peggior Presidente della Repubblica, ma è ormai palese che lo ha definitivamente superato.
Spero che una grande ventata di democratica indignazione sia già cominciata a soffiare tra i cittadini italiani che hanno ancora a cuore la Costituzione e i suoi valori di giustizia e libertà.
Sia chiaro, Grillo e Casaleggio hanno fatto malissimo a non proporre loro un nome per la Presidenza del Consiglio, limitandosi a ripetere che “deve dare il governo a noi” (se non fate un nome per il Presidente del Consiglio nessuno può dare al M5S nessun incarico), ma è ormai lapalissiano che Napolitano vuole semplicemente salvare Berlusconi, malgrado in Parlamento vi sia per la prima volta una maggioranza potenziale che potrebbe decretarne l’ineleggibilità, liberando il paese dai miasmi di un quasi ventennio di illegalità, rendendo possibile una inedita soluzione governativa e consentendo all’Italia di tornare ad essere credibile in Europa.
Paolo Flores d'Arcais (Il Fatto Quotidiano - 30 marzo 2013

Autoscacco a 5 Stelle

Fino a ieri mattina, checché se ne dicesse, il movimento 5 Stelle non aveva sbagliato una mossa. A parte le trascurabili defezioni sulla presidenza del Senato, aveva mantenuto compatti i suoi variopinti ed eterogenei gruppi parlamentari, sfuggendo a tutte le trappole che i partiti e i giornalisti al seguito avevano seminato sul suo cammino. Aveva messo all’angolo il Pdl con l’annuncio del sì all’ineleggibilità e a un’eventuale richiesta d’arresto di B. (spingendo il Pd ad allinearsi). Aveva costretto il Pd a rottamare i candidati di partito per le due Camere e a inventarsi in fretta e furia i nuovi arrivati Boldrini e Grasso, a loro volta obbligati a esordire col taglio degli emolumenti che, per quanto modesto, avrebbe innescato l’effetto valanga. Infine aveva cucinato a fuoco lento Bersani, fino alla figuraccia in diretta streaming e alla resa sul Colle camuffata da congelamento.
Intanto i dogmi pidini dei rimborsi elettorali e del Tav Torino-Lione venivano rimessi in discussione. Insomma, pur avendo vinto solo moralmente le elezioni, 5Stelle era diventato in pochi giorni il dominus della politica italiana. Se Grillo avesse chiesto a Bersani le chiavi di casa e della macchina, quello gliele avrebbe consegnate senza fiatare e con tante scuse per il ritardo. Insomma, da oggi un movimento nato appena tre anni fa avrebbe avuto l’ultima parola sul nuovo governo e sul nuovo presidente della Repubblica. Con notevoli benefici per gli italiani, visto che alcuni punti del programma pentastelluto, al netto delle follie e delle utopie, sono buoni e giusti e realizzabili in poco tempo. E visto che B. sarebbe rimasto irrimediabilmente all’angolo.
Sarebbe bastato che ieri i capigruppo fossero saliti al Quirinale con una proposta chiara e netta: un paio di nomi autorevoli per un governo politico guidato e composto da personalità estranee ai partiti (parrà strano, ma ne esistono parecchie, anche fuori dalla Bocconi, dalle gran logge, dai caveau delle banche e dalle sagrestie vaticane). Siccome Bersani, anche in versione findus, era rimasto fermo all’asse con M5S, secondo la volontà dei due terzi degli elettori, i grilli avrebbero dovuto sfidarlo ad appoggiare quel tipo governo. Che naturalmente non può essere né a guida Bersani, né tantomeno a guida M5S. Di qui la necessità di una rosa di personalità che potessero incarnare, per la loro storia e le loro idee, alcuni dei punti chiave del movimento. Sarebbe stato lo scacco matto al re. Invece lo scacco i grilli se lo son dato da soli. Col rischio di perdere un treno che potrebbe non ripassare più; di accreditare le peggiori leggende nere sul loro conto; e di gettare le basi per drammatiche spaccature.
Ieri infatti al Colle non hanno fatto nomi, ma solo allusioni, anche perché Napolitano non vuole sentir parlare di nomi extra-parti. Poi hanno chiesto ciò che non potevano avere: l’incarico. Ha prevalso l’inesperienza, o la supponenza, o la paura di essere incastrati in giochi più grandi e inafferrabili. Paura infondata, visto che i partiti sono alla canna del gas e non sono più in grado di incastrare nessuno, se non se stessi. E in ogni caso la mossa era a rischio zero e a vantaggio mille (per loro e per il Paese). É vero, come sospettavano i complottisti (che spesso ci azzeccano) che Napolitano e parte del Pd sono già d’accordo col Pdl per l’inciucio: ma, a maggior ragione, la proposta di un governo Settis o Zagrebelsky li avrebbe messi tutti con le spalle al muro. E li avrebbe costretti alla ritirata, non foss’altro che per non assumersi la responsabilità di aver bocciato il miglior governo degli ultimi 15 anni (almeno sulla carta). Ora invece l’unica alternativa alle urne, che tutti invocano ma tutti temono, sarà un inciucissimo con B., più o meno mascherato. Che magari era nella testa di Napolitano e dei partiti fin dal primo giorno. Ma che ora ricadrà sulla testa dei 5 Stelle. E naturalmente degli italiani. Bel risultato, complimenti a tutti.


Marco Travaglio difende Battiato

Oggi sono Boldrini e Grasso a strillare come vergini violate contro Franco Battiato che ha avuto l'ardire di dichiarare: "Mi rallegro quando un essere non è così servo dei padroni, come queste troie in giro per il Parlamento che farebbero qualunque cosa, invece di aprirsi un casino". Apriti cielo! Proteste unanimi da destra, centro e sinistra, mobilitazione generale, emergenza nazionale, manca soltanto la dichiarazione dello stato d'assedio con coprifuoco, cavalli di frisia e sacchi di sabbia alle finestre. Boldrini: "Respingo nel modo più fermo l'insulto alla dignità del Parlamento, stento a credere" ecc. Grasso: "Esprimeremo il nostro disagio al governatore della Sicilia per le frasi dell'assessore Battiato".
Sui cinquanta fra condannati, imputati e inquisiti che infestano il Parlamento, invece, nemmeno un monosillabo. Invece giù fiumi di parole e inchiostro contro il cantautore-assessore che osa chiamare troie le troie. Pronta la mossa conformista del governatore Crocetta, un tempo spiritoso e controcorrente specie sulle questioni di sesso, ora ridotto alla stregua dell'ultimo parruccone politically correct, che mette alla porta il fiore all'occhiello della sua giunta, financo equiparandolo a uno Zichichi qualunque. Si risente pure la Fornero, che è pure ministro delle Pari Opportunità (infatti s'è scordata solo 390 mila esodati). Certo, il linguaggio usato da Battiato è da pugno nello stomaco, tipico dell'intellettuale indignato che vuol "épater" un Paese cloroformizzato. Ed è facile dire che ci si poteva esprimere in termini meno generici, o aggiungere subito e non dopo che la denuncia riguarda anche le troie-maschio, pronte a vendersi al miglior offerente.
Ma andiamo al sodo: è vero o non è vero che il Parlamento, anche questo, è pieno di comprati, venduti, ricomprati e rivenduti? È lo spirito losco del Porcellum (nomen omen) che porta alla prostituzione della politica, alla nomina dei servi dei partiti e innesca la corsa sfrenata al servaggio e al leccaggio per un posto al sole. E come li vogliamo chiamare questi servi, che si vendono la prima volta per farsi candidare in cima a una lista e poi magari si rivendono per voltar gabbana a seconda delle convenienze? Passeggiatrici? Lucciole? Mondane? Falene? Peripatetiche? Chi voleva capire ha capito benissimo: accade a tutti di dare della "troia" a chi, maschio o femmina, è disposto a tradire e a tradirsi per un piatto di lenticchie o a vendersi per far carriera. Ma, nel Paese di Tartuffe, che con buona pace di Molière è l'Italia e non la Francia, ci si straccia le vesti appena qualcuno squarcia il velo dell'ipocrisia e dice pane al pane: ieri sui ricatti della Bicamerale, oggi sulla mignottocrazia (copyright Paolo Guzzanti).
Battiato è come il bambino che urla "il re è nudo" e la regina è troia. Tutta la corte intorno sa benissimo che è vero, ma arrota la boccuccia a cul di gallina e prorompe in urletti sdegnati. Lo sa tutto il mondo come e perché sono stati/e eletti/e certi/e cosiddetti/e onorevoli. Persino in India, dove la Ford si fa pubblicità con un cartoon che ritrae lo statista di Hardcore col bagagliaio dell'auto pieno di mignotte. I primi a saperlo sono i nostri giornali, che han pubblicato centinaia di intercettazioni sulle favorite del Cainano e sulla compravendita dei parlamentari, e ora menano scandalo perché Battiato, dopo averci scritto una splendida canzone Inneres Auge), li chiama per nome. E non si accorgono neppure che il loro finto sdegno non fa che confermare le parole di Franco. Se uno accenna ad alcune troie e si offendono tutti/e, la gente penserà: "Però, guarda quante sono! Credevo di meno...". 

Marco Travaglio (Il Fatto Quotidiano - 28 marzo 2013)

venerdì 29 marzo 2013

Prof. Gaetano Basile: I Mercati di Palermo (Vucciria, Capo e Ballarò)



Lectio Magistralis: Intervento del giornalista Gaetano Basile nella tavola rotonda del 7 marzo 2013 sui Mercati di Palermo - tenutasi presso l'ERSU (Ente Regionale per il Diritto allo Studio Universitario - http://www.ersupalermo.it/) - in occasione dell'inaugurazione della Mostra Fotografica Collettiva UIF (Unione Italiana Fotoamatori) "I Mercati", curata da Maria Pia Coniglio, Nino Giordano, Nino Bellia e Domenico Pecoraro.
La mostra si compone di 80 scatti fotografici realizzati dai fotoamatori UIF: Manlio Agrifoglio, Giuseppe Aiello, Salvo Aiello, Franco Alloro, Maurizio Anselmo, Elio Avellone, Angelo Battaglia, Nino Bellia, Paolo Carollo, Lino Castronovo, Salvatore Clemente, Elisa Chiarello, Maria Pia Coniglio, Salvo Cristaudo, Vincenzo Cucco, Ennio De Mori, Ester Di Stefano, Domenico Di Vincenzo, Maria Rita Di Vincenzo, Irene Foldi, Giorgio Gambino, Francesco Gianferrara, Stefano Giannalia, Giovanni Giordano, Nino Giordano, Alessandro Gristina , Nicola Gullifa, Pietro Longo, Francesco Magro, Enza Marchica, Piero Meli, Giuseppe Monti, Antonino Munafò, Domenico Pecoraro, Vincenzo Piazza, Carlo Pollaci, Giuseppe Romano, Lia Rosato, Maria Scaglione, Pino Sunseri, Francesco Terranova, Paolo Terruso, Paolo Tomeo e Salvo Zanghì. 

martedì 26 marzo 2013

Thailandia, un milione e 700 mila tablet per gli studenti di ogni ordine e grado



Surapol Navamavadhana, consulente governativo che è tra i responsabili del progetto chiamato ‘one laptop per child’, cioè un computer portatile per ogni bambino, ha spiegato che a giorni, in aprile, nove produttori di tablet di diversi paesi, compresi tra gli altri Cina, India, Germania, si riuniranno su invito dell’esecutivo thai per unirsi in un capitolato per la fornitura, secondo le caratteristiche che Bangkok chiederà per i computer per tutta l’infanzia.
Chi ha saputo trasformare in corsa la propria economia industriale, punta tutto sull’istruzione. Sempre di più. Tipico soprattutto di alcuni paesi asiatici, sia potenze consolidate (Cina, Giappone, Corea) sia potenze nuove. Una di queste, la Thailandia, ha appena annunciato un grosso investimento per modernizzare la pubblica istruzione. Fornirà 1milione e 700mila tablet ad altrettanti studenti. E’probabilmente uno dei più grandi progetti mai lanciati per l’educazione digitale nel mondo in cui viviamo.
E’stato il Ministero per la tecnologia dell’informazione e della comunicazione, un nuovo dicastero del governo reale (e già la dice lunga che un tale dicastero così mirato esista) ad annunciare l’iniziativa. Che parte subito nel concreto, con una specie di gara d’appalto postmoderna a livello mondiale. Surapol Navamavadhana, consulente governativo che è tra i responsabili del progetto chiamato ‘one laptop per child’, cioè un computer portatile per ogni bambino, ha spiegato che a giorni, in aprile, nove produttori di tablet di diversi paesi, compresi tra gli altri Cina, India, Germania, si riuniranno su invito dell’esecutivo thai per unirsi in un capitolato per la fornitura, secondo le caratteristiche che Bangkok chiederà per i computer per tutta l’infanzia.
I thailandesi scommettono sulle capacità digitali  imparate fin dall’infanzia per dare un futuro migliore alle nuove generazioni, all’economia nazionale, alla società. Negli ultimi anni, l’industria è talmente cresciuta nel regno del Sudest asiatico da fornire ormai circa il 32 per cento del prodotto interno lordo, percentuale paragonabile alla nostra o a quella francese, ma in crescita, non in declino. Elettronica, componenti ad alto contenuto tecnologico per i big giapponesi e coreani, componenti aeronautiche sono i comparti di punta. La voglia di rimboccarsi le maniche, lavorar sodo e modernizzarsi senza sosta, come in Cina, Giappone, Corea e Indonesia ha da tempo contagiato anche il regno delle loro maestà Bhumibol e Sirikit.
Considerata all’inizio del mandato una creatura del potentissimo e ricchissimo fratello maggiore Thaksin, la giovane (e graziosa) premier Yingluck Shinawatra si sta invece rivelando un personaggio forte, che manda avanti idee giuste. Il paese cresce, fino all’attenzione ai dettagli e al gusto. La capitale è un centro mondiale del design, e dispone di una rete di metro e ‘skytrain’ (metro sopraelevata) fornita da Siemens, che in città come Roma o Napoli sarebbe solo un sogno.
E sta anche attento ai soldi pubblici: per rinnovare la linea di volo militare, scelta necessaria viste le mille tensioni regionali e il riarmo dei vicini, l’efficiente Royal Thai Air Force ha ordinato non jet costosissimi e pieni di difetti come gli F-35, bensì i semplici ma efficacissimi Saab 39 Gripen, il supercaccia low cost svedese. Soldi risparmiati (un F-35 costerebbe più di dieci Gripen), e spesi poi anche per il programma ‘un tablet per ogni bambino’.

ANDREA TARQUINI  (La Repubblica - 23 marzo 2013)


lunedì 25 marzo 2013

Non ci parliamo coi giornalisti!

Caro Severgnini,
si è mai chiesto perché Grillo non parla con i giornalisti italiani? A proposito ha dimenticato di chiarire che invece rilascia tranquillamente interviste ai giornalisti stranieri.
Forse perché dopo 30 anni di ossequi alla POLITICA che ha riempito giornali, talk show, programmi TV e quotidiani di cialtronesche interviste e dichiarazioni ipocrite non li ritiene più credibili. E lo ha anche affermato più volte nel corso degli ultimi anni.
La mia opinione è che ha in gran parte ragione. Trovo i giornalisti italiani, tranne qualche raro esempio di indipendenti che occorre cercare nei blog, una casta ossequiosa al potere di chi li paga, senza neanche la necessità di essere direttamente comandati. Certo ci sono le eccezioni e su questo sono in disaccordo con Grillo. Parlare in maniera selezionata con chi, indipendentemente da come la pensa, ha dimostrato di essere autonomo e indipendente sarebbe cosa buona e giusta. Gli altri se ne vadano affan… con buona pace per i principi illuminati che professano, ma non mettono in pratica.

Mauro Barberi
 
TUTTI non credibili, dunque? Troppo comodo. Io lo chiamo, invece, un modo astuto per evitare controlli, obiezioni e domande. Tanto c’è chi la beve, caro Barberi! Beata ingenuità.

Aggiungo: in una democrazia normale, questo atteggiamento sarebbe considerato inaccettabile. In una democrazia superficiale di tifosi (tifocrazia?) viene tollerato questo sillogismo: “i giornalisti sono antipatici, quindi noi non ci parliamo”.

http://italians.corriere.it/2013/03/25/giornalisti/


 

Zaccagnini, M5S: «Non abbiamo il personale adeguato»

Adriano Zaccagnini, deputato del Movimento 5 Stelle, ha scritto domenica un lungo post su Facebook spiegando, tra le altre cose, che in questa fase il Movimento 5 Stelle non ha personale adeguato alla presentazione di proposte di legge, e se vuole assumerlo è obbligato a sceglierlo tra due elenchi prestabiliti di persone, già dipendenti delle camere.
«Non abbiamo il personale adeguato per espletare le nostre attività. In particolare la presentazione delle proposte di legge ci è stata difficile senza adeguato personale legislativo»
Il post intero di seguito:
«Ragazzi/e sono stato fuori dai social network per due settimane, immerso nel lavoro tutto il giorno, oggi ritrovo un pò il fiato,ho trascurato questo aspetto del lavoro parlamentare, la comunicazione continua con l'esterno, riversandomi nel cercare di capire come meglio muoverci e ottenere almeno gli spazi e trovare dei collaboratori del gruppo parlamentare e organizzare meglio il lavoro. Vi assicuro che ero in buona fede al ristorante, nn sapevo dei costi ulteriori come dichiarato, ma soprattutto ci andavamo la prima settimana perchè alla mensa i dipendenti si lamentavano del fatto che gli creavamo fila a cui non erano abituati e che rallentava molto la loro pausa pranzo. Perciò per sbrigarmi sono andato al ristorante (che nn avevo manco capito che si chiamava bouvette, tanto non me ne frega un cazzo di queste cose) e mi sono servito al self service senza mai richiedere cibo dalla cucina. Cioè ma vi rendete conto di che attacco riesce a creare una foto gossippara? ok la bouvette è un posto da evitare, ma non avevo l'attenzione a dove mangiavo in quei giorni, ho mangiato tramezzini, qualche panino e frutta portata da casa e alla mensa, ora abbiamo capito che alla mensa è meglio andarci alle 12 o alle 14. Ora ho anche fatto richiesto per la contrattualistica del bar, bouvette, mensa e macchinette nei corridoi. Vediamo i prossimi giorni quanto ostruzionismo faranno per darci i dati e se ce li daranno potremo contestare eventuali sprechi. Mi hanno assicurato che lunedì dovrei averli, vediamo e insistiamo. Un pò alla volta tornerò a usare sempre più spesso i social network, a comunicarvi cosa stiamo scoprendo e come ci stiamo muovendo. Vi spiegherò per filo e per segno perchè non abbiamo il personale adeguato per espletare le nostre attività. In particolare la presentazione delle proposte di legge ci è stata difficile senza adeguato personale legislativo. Personale che gli altri partiti hanno. A noi spetta un contributo di 4,2 ml euro. Ce lo decurteranno fino a farci rimanere con poco meno di 1 ml, se non assumiamo il nostro personale legislativo (drafting) e amministrativo da due liste che alla Camera si chiamano....rullo di tamburi.....: Allegato A e Allegato B Delibera2012. Roba da pazzi. Senza alcun Concorso Pubblico, ma con l'amicizia dei politici, da anni persone di infima provenienza sono state mescolate ad altre di grande professionalità in queste due liste. Nell'allegato A ci sono persone stabilizzate, ovvero hanno garantito il reddito a prescindere se li assumiamo o meno, se fossero professionisti forse nulla da eccepire, dato che alcuni sono veramente dei fenomeni, ma il punto è che a noi ci decurtano 65000 euro a persona per ognuna delle 17 persone che dovremmo obbligatoriamente assumere da questa lista di poco più di 100 persone. Più il 25% del Contributo Unico! Roba da pazzi! O assumi la gente delle liste, che non puoi contattare,o ti tolgono il contributo per il personale! Quindi essendo queste liste di nomi senza telefoni nè corredati di curricula siamo all'oscuro di chi sono e di come assumerli. Stiamo denunciando tutto da giorni, ma i giornalai parlano d'altro. Dov'è il sacro giornalismo d'inchiesta. O meglio gli organi di libera e consapevole informazione?? L'allegato B invece è composto da persone non stabilizzate, circa 500, anch'esse sono solo una lista di nomi (con anche parlamentari rieletti), senza contatti nè curricula. Liste di nomi di amici e parenti, ma anche di professionisti, un macello creato dai partiti del potere e dal Palazzo della Camera, che ha autonomia finanziaria e che è forse una parte della Casta quanto le lobby che governano attraverso i politici dei partiti la situazione del paese, dalla mia impressione a primo impatto in queste settimane. Passaparola. Trasparenza e condivisione.http://www.allourideas.org/legge-elettorale?locale=it».
 Adriano Zaccagnini - 25 marzo 2013


domenica 24 marzo 2013

Confronto con Grasso, simpatico Formigli, la mia ricostruzione è vera

Naturalmente la mia ricostruzione è vera e ringrazio il simpatico Formigli, cui sono felice di aver regalato un quarto d’ora di celebrità, per averla confermata con l’aria di smentirla.
1) Formigli si è intromesso eccome, e molto scorrettamente, fra Servizio Pubblico e La7, il cui direttore Paolo Ruffini, chiamato da Santoro e dal suo staff intorno a mezzanotte di giovedì sera, aveva dato ampia disponibilità a modificare i palinsesti per consentire a Grasso di ottenere il faccia a faccia con me prima di giovedì prossimo. A questi accordi ero rimasto, illudendomi che Ruffini avesse una parola sola, quando venerdì mattina – ignaro degli affettuosi cinguettii via twitter fra Formigli e Grasso – ho ricevuto l’sms di Formigli. L’idea che Formigli temesse che “il confronto si tenesse su una rete concorrente di La7” fa ridere i polli: il direttore Ruffini sapeva fin da giovedì sera che il confronto l’avremmo allestito alla prima data disponibile noi di Servizio Pubblico; e già giovedì sera a Servizio Pubblico avevo dichiarato che, trattandosi di una rettifica di Grasso a quanto da me detto a Servizio Pubblico, la sede naturale del confronto era quella, o in subordine la web tv del Fatto (che può allestire un confronto in streaming in qualsiasi momento, senza spostare palinsesti televisivi, ed è naturalmente collegata col sito di Servizio Pubblico visto che il Fatto ne è azionista). Immaginiamo che accadrebbe se Gian Antonio Stella del Corriere della sera scrivesse un articolo su Grasso che non piace a Grasso e accettasse di confrontarsi con lui per proseguire la polemica sulle pagine di Repubblica: verrebbe licenziato in tronco. Lo stesso credo accadrebbe se un collaboratore di Formigli (ipotetica del terzo tipo) polemizzasse con Grasso e poi i due venissero a confrontarsi a Servizio Pubblico.
2) Non ho mai “chiuso la comunicazione” telefonica con Formigli, né due volte, né una. Semplicemente ero in treno fra Roma e Bologna, in zona “scoperta”, e quando ho visto le chiamate di Formigli gli ho scritto un sms. Dalla risposta ho capito esattamente quel che c’era scritto: e cioè che mi convocava nel suo programma: “Ciao Marco allora lunedì sei con noi a Piazzapulita per il confronto con Grasso? Se vuoi ne parliamo appena ti liberi”. Non riuscendo a capire perché diavolo avrei dovuto essere “con loro a Piazzapulita” lunedì, visto che Santoro aveva concordato col direttore di La7 il confronto in un’edizione speciale di Servizio Pubblico (si parlava di domenica sera), ho ribadito a Formigli quanto avevo detto in trasmissione, casomai gli fosse sfuggito. Ho poi saputo, visto che non seguo twitter avendo di meglio da fare, che Grasso e Formigli si erano già amorevolmente accordati alle mie spalle. Poi ho anche scoperto che Ruffini, dimentico di quel che aveva concordato con Santoro, aveva cambiato idea. Ah, dimenticavo: non ho una colf, dunque non posso trattarla né bene né male.
3) Conservo gli sms importanti, dunque non quelli di e con Formigli. Comunque la mia risposta fu esattamente quella che avevo riassunto io, peraltro identica a quel che avevo subito detto a Servizio Pubblico: la sede naturale del confronto è Servizio Pubblico oppure il sito di Servizio Pubblico collegato in streaming con la web tv del Fatto. Quanto all’esclusiva, che mi lega a Servizio Pubblico, a Formigli risulta male: nell’ultima stagione ho partecipato ad altri programmi (che scelgo io, non Formigli) solo nei periodi in cui Servizio Pubblico non andava in onda. Lo possono testimoniare Lilli Gruber, Enrico Mentana, Victoria Cabello e gli amici di SkyNews, dei quali sono felice di essere ogni tanto ospite, ma dei quali ho declinato alcuni inviti (con Mentana anche il giorno delle elezioni) perché sono legato in esclusiva a Servizio Pubblico. Aggiungo, visto che Formigli mi provoca, che a Piazza Pulita non metterei piede neppure se fossi libero da vincoli: e credo che lui sappia bene il perché. Ho tanti difetti, ma non la smemoratezza, e non dimentico com’è nato Piazza Pulita. Mentre Santoro e tutti noi, due anni fa, Formigli compreso, ci battevamo contro una proposta indecente di contratto con La7 che prevedeva la censura preventiva della rete e la manleva legale alla rete, lui si proponeva per condurre un talk show il giovedì sera al posto nostro. Anche a me fu offerta da Stella e Bernabè la conduzione di un programma alternativo su La7, ma naturalmente rifiutai. Così ce ne andammo, ci mettemmo in proprio e, grazie anche alle sottoscrizioni di 100 mila cittadini, creammo un rischiosissimo network di tv locali a cui poi si aggiunse Sky-Cielo. Qualcuno sperava che scomparissimo, invece riuscimmo egregiamente a sopravvivere con Servizio Pubblico, che anche dall’iperuranio era più visto di Piazza Pulita (intanto Formigli dichiarava elegantemente a Libero: “Non darei 10 euro a Santoro per Servizio Pubblico”). Tanto che quest’anno La7 è tornata sui suoi passi e ha acquistato Servizio Pubblico, per il giovedì sera e alle nostre condizioni di libertà.
4) La difesa che fa Formigli del suo direttore è commovente. Ma se Formigli e Ruffini non volevano essere accusati di essersi accordati con Grasso alle mie spalle, non avevano che da propormi il confronto a Piazza Pulita quando lo proposero a Grasso. Invece Ruffini ha detto una cosa e poi il suo contrario nel breve volgere di una notte. E Formigli ha contattato Grasso giovedì sera, ne ha incassato l’adesione venerdì alle 7.31, poi con comodo s’è ricordato di avvertire anche me verso le 11. Bella premessa per un confronto ad armi pari. Quanto alle “maniere forti” e ai “manganelli”, vorrei rassicurare Formigli: non le ho mai usate né invocate in vita mia, e comunque lui è talmente servizievole che nessuno gli torcerà mai un capello, tantomeno il suo direttore (lo stesso che dirigeva Rai3 quando mi attaccò perché da Fazio avevo scoperchiato alcuni altarini di Renato Schifani, ex socio di suo zio, Enrico La Loggia, dopodiché guardacaso da quelle parti diventai un appestato per qualche anno). “Mettere a posto Formigli” significa semplicemente fare quel che farebbe un direttore: dirgli di stare al suo posto, senza impicciarsi in faccende che non lo riguardano, tantopiù che Santoro, con l’avallo di Ruffini, stava preparando uno speciale per il confronto fra Grasso e me.
5) Attendo con ansia di conoscere le mie “bugie” e le mie “ricostruzioni” che “da un po’ di tempo” farebbero “acqua da tutte le parti”. Su Piero Grasso scrivo e dico cose molto più pesanti di quelle dell’altra sera da almeno dieci anni, dunque se sono false lo sono da parecchio tempo. Peccato che Grasso non le abbia mai ritenute tali, visto che non mi ha mai querelato. Mi auguro che Formigli abbia buone fonti in materia, anche se non le ha mai tirate fuori.
6) L’invito finale a Piazza Pulita, dopo due pagine di insulti, è un capolavoro degno di Tartuffe. Formigli, domani sera, se le può cantare e suonare tranquillamente con Grasso (che poi era il loro scopo fin dall’inizio), così come ha fatto ultimamente con Monti, Bersani e altri big che, guarda un po’, a Servizio Pubblico non mettono piede. E potrà anche scoprire per la prima volta mondi finora inesplorati dal suo programma, succhiando la ruota al nostro. Personalmente non vedo l’ora di confrontarmi con Grasso: ho già pronte tutte le carte per dimostrare ciò che ho detto giovedì e anche tante altre cose. Lo farò volentieri giovedì sera a Servizio Pubblico, se Grasso accetterà il nostro invito. Se non lo farà, e spiegherà convincentemente perché il programma più visto di La7 non può ospitare il confronto su una polemica nata proprio lì, sarò lieto di incontrarlo – se otterrò una deroga alla mia esclusiva – in altre trasmissioni di La7 da lui proposte (da Lilli Gruber, da Mentana, da Lerner), purché siano garantiti un minimo di agibilità, di equilibrio e di decenza. Possibilmente senza che il conduttore si accordi con Grasso alle mie spalle e poi mi chiami a cose fatte. Possibilmente con la rinuncia, da parte del presidente del Senato, dell’insindacabilità parlamentare, visto che lui è immune per qualunque cosa dica, mentre io rispondo penalmente e civilmente di tutti i miei scritti e di tutte le mie parole. Per la data e l’orario non ho problemi né veti: giovedì Grasso aveva una gran fretta, salvo poi dirsi impegnato fino alle 21.15 di lunedì. Ma, se riesce a liberarsi un’ora prima, ci possiamo vedere anche domani sera al Tg de La7 o a Otto e Mezzo. Mentana e Gruber permettendo.

Questa mattina sul Fatto Quotidiano è stato pubblicato l’articolo di seguito cui era seguita la replica di Corrado Formigli sul suo blog.
Siccome sulla polemica del presidente del Senato Piero Grasso si è subito attivata la macchina della disinformazione, è il caso di mettere qualche altro puntino sulle i. Sul merito del duello. Finale di Champions League, poniamo, tra Juventus e Barcellona. All’ultimo momento l’Uefa cambia le regole e stabilisce che la Juve non può giocare. Anziché rifiutarsi di disputare la partita senz’avversario per un elementare principio di sportività, il Barça scende ugualmente in campo da solo, tira 90 volte (una al minuto) nella porta vuota, vince 90 a zero e si aggiudica la coppa. Alle comprensibili proteste della Juve, giocatori, dirigenti e tifosi del Barcellona rispondono che sì, in effetti, cambiare le regole del gioco all’ultimo momento non è stato il massimo. In ogni caso la loro vittoria è valida, dunque ritirano il trofeo e se lo portano a casa. L’indomani, sui giornali, si legge che la finalissima è stata comunque regolare: infatti chi ci assicura che la Juventus, se avesse potuto battersi contro il Barcellona, avrebbe vinto la partita?
La stessa cosa accade nel concorso del 2005 al Csm per il posto di procuratore nazionale antimafia: i candidati sono due, Grasso e Caselli, ma all’ultimo momento il governo Berlusconi fa tre leggi che vietano a Caselli di concorrere, così vince l’altro, unico candidato rimasto: Grasso. Il quale, anziché ritirare la sua candidatura finché la Consulta non abbia cancellato quelle norme incostituzionali, non dice una parola, rimane in corsa da solo e incassa la poltrona. Gli piace vincere facile. Quando poi la Consulta fulmina le norme incostituzionali, Grasso riconosce che, certo, non erano proprio il massimo. Pazienza, cosa fatta capo ha. In un paese serio quella macchia indelebile sporcherebbe per sempre il curriculum di Grasso e tutti si domanderebbero cos’abbia fatto per guadagnarsi quell’abuso di potere illegale da parte del governo Berlusconi.   
Invece ancora ieri, sui giornali, era tutta una gara a minimizzare lo scandalo, con la decisiva argomentazione che non è affatto detto che Caselli, se avesse potuto giocare la partita, avrebbe prevalso su Grasso. Anzi, secondo Claudia Fusani dell’Unità, è certo che avrebbe vinto comunque Grasso. La prova? L’ultima legge anti-Caselli fu approvata il 30 luglio 2005, mentre già il 12 luglio la commissione Incarichi direttivi del Csm aveva tributato 3 voti a Grasso e 2 a Caselli. Già, peccato che dovesse ancora pronunciarsi il Plenum, dove capita spesso che la maggioranza raggiunta in commissione venga ribaltata. E in ogni caso il Csm già sapeva che, votando Caselli, avrebbe scelto un candidato che di lì a poco sarebbe stato escluso per legge, oltre a sfidare apertamente il governo in carica. Dunque la prova Fusani è una panzana. Anche il Corriere della Sera accenna alla prova che non prova nulla, con lo sragionamento di cui sopra: “Non c’è la prova che, se Caselli fosse rimasto in gara, il Csm avrebbe scelto lui e non Grasso”. Scusate, ma se era così scontato che il Csm avrebbe scelto Grasso anche senza le leggi anti-Caselli, perché mai il governo B. varò ben tre leggi in sei mesi per escludere Caselli? 
Sul metodo del duello. Appena Grasso, giovedì sera al telefono con Santoro, mi lancia il guanto di sfida, rispondo subito che non vedo l’ora. Trattandosi di cose dette a Servizio Pubblico, è naturale che il duello si disputi a Servizio Pubblico. Grasso però, chissà perché, non vuole aspettare fino a giovedì. Per venire incontro alle sue esigenze, Santoro fa chiamare durante il programma dal suo staff e alla fine chiama personalmente il direttore di La7 Paolo Ruffini, che si dice d’accordo per realizzare uno speciale di Servizio Pubblico fin da domenica sera, in diretta o in differita.
Ma negli stessi minuti s’intromette nottetempo il simpatico Corrado Formigli, che non c’entra nulla di nulla, invitando Grasso via twitter a tenere il duello a Piazza Pulita. Alle 7.31 di venerdì Grasso risponde con un tweet al “gentile Corrado” che accetta volentieri il suo invito. Poi, con comodo, verso le 11, Formigli mi convoca con un gentile sms per lunedì nel suo programma già bell’e pronto, manco fossi la sua colf. Rispondo che il confronto, come ho detto in diretta e come Santoro ha concordato con Ruffini, avverrà nel programma che ha originato la polemica e con cui collaboro in esclusiva. Santoro avvia contatti con lo staff di Grasso dando disponibilità per ogni giorno e ogni sera da domenica in poi, disposto anche a cedere il passo a un altro “arbitro” casomai la sua figura fosse ritenuta troppo sbilanciata dalla mia parte. Ma Grasso, che prima aveva tanta fretta, può soltanto lunedì alle 21.15, guardacaso l’orario d’inizio di Piazza Pulita. Spetterebbe al direttore di rete Ruffini mettere a posto Formigli e tutelare la dignità del programma di punta di La7 (che fa ascolti doppi rispetto a Piazza Pulita). Invece scopro che s’è già accordato alle mie spalle con Formigli e Grasso per bypassare Servizio Pubblico e trasferire tutto a Piazza Pulita, in uno strano duello dove lo sfidante sceglie luogo, giorno, ora, padrini e arbitro, mentre lo sfidato resta all’oscuro di tutto e deve soltanto subire le decisioni altrui prese altrove. Altrimenti viene pure accusato di sfuggire al confronto. Ruffini è lo stesso che, nominato direttore di Rai3 dal centrosinistra, chiuse Raiot di Sabina Guzzanti dopo la prima puntata di grande successo; poi, nel 2008, mi attaccò per aver raccontato da Fazio le liaisons dangereuses del predecessore di Grasso, Schifani; e ora delegittima Servizio Pubblico e il suo gruppo di lavoro, trattandolo come un programma inaffidabile. Io continuo a sperare che il confronto con Grasso si faccia, in un luogo concordato da entrambi: non certo in un programma dove – per contratto, per correttezza e per decenza – non posso metter piede. Se invece il presidente del Senato continua a fare giochetti coi suoi compagnucci di partito, viene il sospetto che abbia già optato, un’altra volta, per la fuga. Insomma, come già con Caselli, gli piace vincere facile: giocando le partite senza l’avversario.   
Ps. Tutto questo non è, come credono in molti, un gossip televisivo senza importanza. È una questione politica cruciale, riconosciuta dallo stesso Grasso quando, dal secondo scranno della Repubblica, ha telefonato in diretta a Servizio Pubblico, manifestando una gran fretta di chiarire tutto. Una fretta che non si spiega se non con la speranza di diventare premier se l’esplorazione di Bersani fallisca. In quel caso potrebbe essere lui l’uomo giusto per un governissimo che metta d’accordo Pd e Pdl. Perciò i suoi rapporti con B. e il Pdl vanno chiariti fino in fondo. E perciò si tenta di delegittimare uno dei pochi programmi che ancora disturbano i manovratori.



venerdì 22 marzo 2013

L'onore perduto della democrazia

Dignità voleva che questi nostri poveri marò tornassero in India rispettando la parola data perché pacta sunt servanda soprattutto per i soldati scelti. Massimiliano Latorre e Salvatore Girone ci tornano invece sbertucciati, piegati dal fardello di un disastro diplomatico. Esposti alla gogna per colpa soprattutto di un ministro degli Esteri che ha cercato di costruire sulla loro fuga un futuro politico, ed eventualmente anche elettorale, a destra. E non stiamo parlando della destra dei valori e della patria, la destra dei tratti eroici, che so?, del duca d'Aosta o di Cesare Battisti o di Enrico Toti, ma della destra badogliana del "tutti a casa".

Il ministro Terzi e il suo sodale Di Paola, ministro della Difesa,  -  nientemeno un ammiraglio che ha studiato al Morosini!  -  hanno infatti trasformato questi due apprendisti eroi in una coppia di esodati, esponendoli adesso, con il ritorno obbligato, al pericolo vero, il pericolo peggiore per un soldato e per un governo: il disonore.

Solo ora infatti il processo diventa a rischio, perché i nostri due "marines", vale a dire il meglio delle nostre forze armate, non saranno più considerati come due fucilieri di Marina di un Paese amico, due militari in attesa di giudizio, ma come due prove sfacciate e schiaccianti non di omicidio ma di furbizia umiliata, i rappresentanti di un'Italia volgare e truffaldina, subito piegata però dalla forza di un brutto atto di rappresaglia.

Sino a un mese fa i truffaldini sembravano gli indiani. Perché i due poveri pescatori morti forse non erano pescatori. Perché le acque in cui sono morti erano internazionali. E perché i nostri soldati si erano sempre comportati da soldati. E i soldati non sparano sui pescatori e, più in generale, sui lavoratori, in mare come in terra. E che fossero soldati lo avevano dimostrato non scappando subito dopo l'incidente, ma presentandosi alle autorità di polizia locali. E ancora, ottenuta e goduta la licenza per il Natale in patria, riconsegnandosi puntualmente ai loro giudici, benché sia controversa la legittimità del tribunale indiano.

Adesso che invece tornano perché gli indiani hanno sequestrato il nostro ambasciatore, violando a loro volta le regole internazionali, i due soldati diventano davvero prigionieri, e non più della Giustizia indiana e dei suoi tribunali ma di un'arroganza da ritorsione. L'India che li accoglierà non è infatti la stessa India che diede loro il permesso di partire: è un'India che si è sporcata con un sequestro di persona che non ha precedenti nel mondo diplomatico civile e che l'Italia furbastra di Terzi e di Di Paola non sa più come affrontare se non con la resa, la cosiddetta calata di braghe.

C'è purtroppo una parte dell'Italia che pensa all'India come a una terra di straccioni in costume esotico dimenticando che è invece la più grande democrazia, una potenza nucleare, un mastino dell'economia internazionale e, assieme alla Cina, agli Stati Uniti e alla Russia, uno dei paesi più importanti dello scacchiere mondiale. È inoltre uno dei principali membri delle nazioni emergenti del Brics che insidiano il primato occidentale (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica e presto anche la Turchia).

Ebbene, l'idea razzistoide che gli indiani siano selvaggi, diffusa sgangheratamente dai giornali di Berlusconi, fa il paio, per stupidità, solo con l'idea che la fuga possa essere una vittoria e che il tradimento diventi un blasone. Ancora ieri sera Alfano e la Santanché definivano "orgoglio nazionale" quella fuga dalla responsabilità dei due marò che nei codici della destra a cui si richiamano è invece fellonia. È una maionese impazzita di valori: pretendono di vestire la bandiera di viltà e fondano il patriottismo sulla figuraccia internazionale.

Spiace che Mario Monti, chiamato alla massima responsabilità proprio in virtù del suo prestigio internazionale, concluda la sua vicenda di statista con questo desolante pasticcio di politica estera. In fondo, il caso dei marò è stato l'unico episodio di risonanza mondiale del governo dei tecnici. Ed è stato un episodio in due atti. Primo: darsela a gambe fedifraghe. Secondo: arrendersi senza condizioni al primo "bau". Il tutto a conferma del pregiudizio che da sempre l'Italia si porta dietro: è la nazione vaso di coccio, è il paese di don Abbondio e del miles "vana-gloriosus", è lo Stato dello sbruffone che si infila a letto con un occhio rosso per evitare un processo, è l'esercito del capitano vanitoso e fellone che abbandona la Concordia nel momento del naufragio, è la Marina di "navi e poltrone", è il governo astuto e ganzo che maramaldeggia con l'India...

Fossimo in altri tempi e con altre grammatiche, onore, buon senso e fegato vorrebbero che il nobile Giulio Terzi di Sant'Agata e l'ammiraglio Giampaolo Di Paola si consegnassero agli indiani al posto dei due marò.  

 

L'importanza di chiamarsi Francesco

L'aspetto più interessante del nuovo Papa non è tanto che sia il primo Pontefice non europeo, latino-americano (anche se ha il suo significato), ma, com'è stato notato da molti, il nome che, con una certa temerarietà, Jorge Mario Bergoglio ha scelto di darsi: Francesco. San Francesco è infatti attuale e inattuale nello stesso tempo. E' attuale perchè predica un rapporto d'amore e di rispetto per la natura «Laudato sie, mi' Signore.... per messor lo frate sole...per sora luna...per frate vento...per sor'acqua...per sora nostra matre terra»-Laudes Creaturarum).
E' insomma un ecologista 'ante litteram' ( dove il termine 'ecologia' va inteso in un senso più ampio, spirituale), e oggi finalmente, anche se con fortissime opposizioni, ci si sta rendendo conto che se continuiamo sul passo preso a partire dalla Rivoluzione industriale finiremo per distruggere il pianeta e, con esso, noi stessi.
E' inattuale perchè predica la povertà e non si tratta semplicemente della solita attenzione agli 'umiliati e offesi', tipo, modernamente, Madre Teresa di Calcutta o Dame di San Vincenzo, ma è un invito alla sobrietà, a spogliarsi dei beni materiali che è rivolto a tutti. San Francesco è insomma un pauperista e il pauperismo va in direzione diametralmente opposta all'attuale modello di sviluppo basato sull'accumulo continuo della ricchezza. San Francesco, come ho scritto più volte, anche su questo giornale, sarebbe oggi molto più rivoluzionario di Marx e di Adam Smith.
Tornando sulla terra, cioè al Francesco oggi Papa, che il popolo cattolico, con una fretta e una superficialità tutta moderna, vorrebbe 'subito santo' , è chiaro che la scelta di un Papa non europeo, non nord-americano, ha un significato preciso. Vuol dire che la Chiesa considera l'Occidente propriamente detto completamente desacralizzato, secolarizzato, ormai irrecuperabile e cerca miglior sorte in altri lidi. Quando nel 1880 Friederich Nietzsche proclama « la morte di Dio » non fa che constatare, con un certo anticipo poichè era un genio, che Dio è morto nella coscienza dell'uomo occidentale. Una volta che è morto, spiritualmente, Dio non è resuscitabile.
Un'altra cosa mi è piaciuta nell'uomo Jorge Mario Bergoglio diventato Papa Francesco. I giorni precedenti l'elezione del Pontefice e quelli del Conclave sono stati ammorbati da un'assordante grancassa dei mass media, soprattutto televisivi, mentre sulla piazza si faceva un tifo nazionalistico altrettanto rumoroso e non molto dissimile da quello per Barcellona-Milan (non per nulla un quotidiano argentino ha paragonato Bergoglio a Messi). Nel suo breve discorso Papa Francesco ha chiesto, nel chiasso generale, un momento di silenzio e lo ha ottenuto. E anche questo è del tutto inattuale in una società che non sa più sopportare il silenzio, che applaude, grottescamente, persino i suoi morti e dove gli uomini e le donne pur di non rimanere soli con se stessi si rimbambiniscono ascoltando le musichette dei giochini dell'iPhone.
Se poi Papa Francesco sarà in grado di realizzare i propri intenti, questo solo Dio, se mai esiste, lo puo' sapere.


lunedì 18 marzo 2013

L'anarchia della balena

Beppe Grillo ha buttato la rete nel malcontento italiano, e la pesca elettorale è stata abbondante. Perché il malcontento è grande e giustificato; perché il pescatore è stato abile a manovrare la barca. Ha saputo mescolare rivendicazioni e rimostranze, solidarietà e sarcasmo, tempismo e tecnologia. Non è il primo a esercitarsi in questo tipo di attività, nella politica italiana ed europea. Ma nessuno aveva ottenuto risultati così clamorosi. Perché nella rete di Grillo non c'è pesce: c'è una balena. Come definire, altrimenti, quasi nove milioni di elettori che hanno investito nel Movimento 5 Stelle molte speranze, lo hanno incaricato di rappresentare le proprie delusioni e ora s'aspettano che trovi soluzioni? Come classificare un numero di parlamentari capace di rendere difficilissima una maggioranza di governo?
Per il gran pescatore politico, passata l'euforia, si pone un problema. Gigantesco, come la sua conquista. La balena non si può tirare a bordo: la barca si rovescerebbe. Ma non si può lasciare lì a lungo, prigioniera nella rete. Perché prima o poi il cetaceo elettorale si sveglia. E allora, per chi sta in superficie, sono guai. I primi segni del risveglio della balena sono evidenti. I voti che hanno consentito a Pietro Grasso di arrivare alla presidenza del Senato erano prevedibili. La psicologia, talvolta, può più della strategia: chi era tanto orgoglioso di mostrarsi alle famiglie nel Parlamento degli italiani, non poteva avallare il «Tanto peggio, tanto meglio!» invocato dal pescatore-capo chiuso nella sua villa sul mare. E poi diciamolo. Se Beppe Grillo è un «portavoce» - così si definisce - il suo ruolo è comunicare la volontà degli eletti; non imporre la propria.
Il segnale inequivocabile del risveglio della balena è però un altro. Dopo il comunicato di centosedici parole («Trasparenza e voto segreto»), con cui Grillo rimette bruscamente in riga gli eletti del M5S, il blog s'è rivoltato. Moltissimi hanno protestato, anche per la rinuncia alla diretta-video della discussione alla vigilia del voto. Altrettanti si sono detti delusi e amareggiati. Vogliamo un movimento nuovo dove si decide insieme, hanno scritto (prima di essere in parte rimossi). Non un partito dove il capo emette comunicati, non risponde alle critiche e lascia intendere: pensatela come volete, basta che la pensiate come me.
La balena s'è svegliata, e dimostra di avere una certa personalità, come il capitano Achab imparò a sue spese con Moby Dick. Cosa farà il mastodonte, è presto per dirlo. Mentre Mario Monti mulina la piccozza, dimostrando di conoscere poco le tecniche di pesca, Silvio Berlusconi e il Pdl appaiono preoccupati. Ma come potevano pensare che la balena dormisse a lungo? Il problema è che nessuno ha idea, oggi, di quale direzione prenderà. Non Bersani, non Monti, non Berlusconi. Neppure Beppe Grillo. Non basta aver l'aspetto del lupo di mare. Bisogna esserlo davvero.

sabato 16 marzo 2013

Il testo del discorso di insediamento di Laura Boldrini (Roma - Camera dei Deputati - 16 marzo 2013)

"Care deputate e cari deputati, permettetemi di esprimere il mio più sentito ringraziamento per l’alto onore e responsabilità che comporta il compito di presiedere i lavori di questa assemblea.
Vorrei innanzitutto rivolgere il saluto rispettoso e riconoscente di tutta l’assemblea e mio personale al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che è custode rigoroso dell’unità del Paese e dei valori della costituzione repubblicana.
Vorrei inoltre inviare un saluto cordiale al Presidente dalla Corte costituzionale e al Presidente del consiglio.
Faccio a tutti voi i miei auguri di buon lavoro, soprattutto ai più giovani, a chi siede per la prima volta in quest’aula. Sono sicura che in un momento così difficile per il nostro paese, insieme, insieme riusciremo ad affrontare l’impegno straordinario di rappresentare nel migliore dei modi le istituzioni repubblicane.
Vorrei rivolgere inoltre un cordiale saluto a chi mi ha preceduto, al presidente Gianfranco Fini che ha svolto con responsabilità la sua funzione costituzionale.
Arrivo a questo incarico dopo aver trascorso tanti anni a difendere e rappresentare i diritti degli ultimi in Italia come in molte periferie del mondo. E’ un’esperienza che mi accompagnerà sempre e che da oggi metto al servizio di questa Camera. Farò in modo che questa istituzione sia anche il luogo di cittadinanza di chi ha più bisogno.
Il mio pensiero va a chi ha perduto certezze e speranze. Dovremmo impegnarci tutti a restituire  piena dignità a ogni diritto. Dovremo ingaggiare una battaglia vera contro la povertà, e non contro i poveri. In questa aula sono stati scritti i diritti universali della nostra Costituzione, la più bella del mondo. La responsabilità di questa istituzione si misura anche nella capacità di saperli rappresentare e garantire uno a uno.
Quest’Aula dovrà ascoltare la sofferenza sociale. Di una generazione cha ha smarrito se stessa, prigioniera della precarietà, costretta spesso a portare i propri talenti lontano dall’Italia.
Dovremo farci carico dell’umiliazione delle donne che subiscono violenza travestita da amore. Ed è un impegno che fin dal primo giorno affidiamo alla responsabilità della politica e del Parlamento.
Dovremo stare accanto a chi è caduto senza trovare la forza o l’aiuto per rialzarsi, ai tanti detenuti che oggi vivono in una condizione disumana e degradante come ha autorevolmente denunziato la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo.
Dovremo dare strumenti a chi ha perso il lavoro o non lo ha mai trovato, a chi rischia di smarrire perfino l’ultimo sollievo della cassa integrazione, ai cosiddetti esodati, che nessuno di noi ha dimenticato.
Ai tanti imprenditori che costituiscono una risorsa essenziale per l’economia italiana e che oggi sono schiacciati dal peso della crisi, alle vittime del terremoto e a chi subisce ogni giorno gli effetti della scarsa cura del nostro territorio.
Dovremo impegnarci per restituire fiducia a quei pensionati che hanno lavorato tutta la vita e che oggi non riescono ad andare avanti.
Dovremo imparare a capire il mondo con lo sguardo aperto di chi arriva da lontano, con l’intensità e lo stupore di un bambino, con la ricchezza interiore inesplorata di un disabile.
In Parlamento sono stati scritti questi diritti, ma sono stati costruiti fuori da qui, liberando l’Italia e gli italiani dal fascismo.
Ricordiamo il sacrificio di chi è morto per le istituzioni e per questa democrazia. Anche con questo spirito siamo idealmente vicini a chi oggi a Firenze, assieme a Luigi Ciotti, ricorda tutti i morti per mano mafiosa. Al loro sacrificio ciascuno di noi e questo Paese devono molto.
E molto, molto dobbiamo anche al sacrificio di Aldo Moro e della sua scorta che ricordiamo con commozione oggi nel giorno in cui cade l’anniversario del loro assassinio.
Questo è un Parlamento largamente rinnovato. Scrolliamoci di dosso ogni indugio, nel dare piena dignità alla nostra istituzione che saprà riprendersi la centralità e la responsabilità del proprio ruolo. Facciamo di questa Camera la casa della buona politica. Rendiamo il Parlamento e Il nostro lavoro trasparenti, anche in una scelta di sobrietà che dobbiamo agli italiani.
Sarò la presidente di tutti, a partire da chi non mi ha votato, mi impegnerò perché la mia funzione sia luogo di garanzia per ciascuno di voi e per tutto il Paese.
L’Italia fa parte del nucleo dei fondatori del processo di integrazione europea, dovremo impegnarci ad avvicinare i cittadini italiani a questa sfida, a un progetto che sappia recuperare per intero la visione e la missione che furono pensate, con lungimiranza, da Altiero Spinelli.
Lavoriamo perché l’Europa torni ad essere un grande sogno, un crocevia di popoli e di culture, un approdo certo per i diritti delle persone, un luogo della libertà, della fraternità e della pace.
Anche i protagonisti della vita spirituale religiosa ci spronano ad osare di più: per questo abbiamo accolto con gioia i gesti e le parole del nuovo pontefice, venuto emblematicamente “dalla fine del mondo”. A papa Francesco il saluto carico di speranze di tutti noi.
Consentitemi un saluto anche alle istituzioni internazionali, alle associazioni e alle organizzazioni delle Nazioni Unite in cui ho lavorato per 24 anni e  permettetemi – visto che questo è stato fino ad oggi il mio impegno – un pensiero per i molti, troppi morti senza nome che il nostro Mediterraneo custodisce. Un mare che dovrà sempre più diventare un ponte verso altri luoghi, altre culture, altre religioni.
Sento forte l’alto richiamo del Presidente della Repubblica sull’unità del Paese, un richiamo che questa aula è chiamata a raccogliere con pienezza e con convinzione.
La politica deve tornare ad essere una speranza, un servizio, una passione.
Stiamo iniziando un viaggio, oggi iniziamo un viaggio. Cercherò di portare assieme a ciascuno di voi, con cura e umiltà, la richiesta di cambiamento che alla politica oggi rivolgono tutti gli italiani, soprattutto in nostri figli. Grazie."