Ormai lo capiscono anche i fessi che c'è qualcosa di non detto nel matrimonio Pdl-Pd. Di non detto ai rispettivi elettori, si capisce. Prima, quando la relazione era clandestina e gli amanti consumavano fugaci sveltine bicamerali nei Motel Agip, abbindolare gli elettori era molto più semplice. Ora che i concubini han fatto coming out e vivono more uxorio a Palazzo Chigi, è sempre più mission impossible.
I tre o quattro dissidenti interni e i giornali amici, quando azzardano
qualche pallida critica, presentano ogni servizietto del Pd a B. come
un "errore", un "autogol", uno "scivolone", uno "sbaglio" per sbadataggine o ingenuità. Ma si può sbagliare una, due, massimo tre volte. Quando l'errore si ripete per vent'anni, è una scelta. E i servizietti a B. sono scelte consapevoli e volute secondo una concezione della politica che cumula il cinismo compromissorio del Pci togliattiano, l'impunitarismo democristiano e il sovversivismo craxian-berlusconiano,
reimpastati alla meglio con la scusa del "primato della politica",
traduzione eufemistica che nasconde il motto del Marchese del Grillo:
"Io so' io e voi nun siete un cazzo". Il politico può fare tutto quel
che gli pare: delinquere, rubare, mafiare, abusare del suo potere, usare
cariche pubbliche per farsi gli affari suoi. E, se qualcuno osa
controllare, è un intruso e va ricacciato indietro. Su questa vasta
piattaforma condivisa è nato il governo Lettusconi e
sarebbe ora che il trio B., Letta Zio e Letta Nipote che siglarono il
patto davanti a Napolitano lo confessassero una volta per tutte: B. ha
inventato il governo di larghe intese, dopo aver personalmente scelto il
presidente Napolitano e il premier Letta, in cambio del voto sulla sua
eleggibilità e dell'amnistia o della grazia prossima ventura
(Napolitano, furibondo per le voci in proposito, strilla contro gli
"analfabeti" perché la grazia è per i condannati definitivi e B. non lo è
ancora: ma allora perché il suo portavoce, quando Sallusti fu
condannato in appello, fece sapere che il Colle "si riserva di acquisire
tutti gli elementi utili di valutazione" e appena fu condannato in
Cassazione gli commutò la pena? Per analfabetismo?). Siccome però qualche ingenuo spera ancora che il Pd si sbagli
ogni santo giorno - ieri su Quirinale e governo, oggi sul blocco delle
Camere contro la Cassazione, domani sull'ineleggibilità - è forse il
momento dell'ultima confessione: "Ebbene sì, ci amiamo, non possiamo stare l'uno senza l'altro.
Se viene giù lui, veniamo giù anche noi, quindi l'abbiamo sempre
salvato e sempre lo salveremo". Così gli elettori se ne fanno una
ragione e capiscono qualcosa in quello che altrimenti pare un manicomio.
Prendete l'ineleggibilità di B., sancita senz'ombra di dubbio dall'articolo 10 della legge 361/1957. A marzo, appena il capogruppo M5S Crimi sfida il Pd a votarla, il capogruppo al Senato Zanda
annuncia che voterà come lui. Sembra fatta, anche perché Pd, Sel e M5S
hanno un'ampia maggioranza sia alla Camera sia al Senato. L'altroieri,
quando finalmente la giunta del Senato inizia a discuterne con quattro
mesi e mezzo di ritardo, lo stesso Zanda presenta con Mucchetti e altri 23 una legge
che dà un anno di tempo ai parlamentari titolari di azioni in società
concessionarie o regolate dallo Stato per venderle o lasciare il seggio.
Cioè: ora che finalmente una legge violata per vent'anni rischia di
essere applicata, va subito cancellata e sostituita con un'altra che dice più o meno le stesse cose. Ma sana automaticamente l'illegalità passata e presente e rinvia tutto sine die, cioè a mai. La legge del '57, operativa da subito, diventa un ferrovecchio
(non sia mai che i 5Stelle votino l'ineleggibilità di B. da soli e gli
elettori del Pd aprano gli occhi). E quella nuova non passerà mai: per
l'ineleggibilità di B. la maggioranza c'è, per la Mucchetti-Zanda non ci
sarà mai. Ditelo, per favore, che non potete fare a meno di B. Meglio passare per complici che per coglioni.
Marco Travaglio (Il Fatto Quotidiano, 14 luglio 2013)
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