mercoledì 4 giugno 2014

I partiti e la coscienza dell’elettorato: se non mi piaci non ti voto!

Campagna elettorale finita, Dudù è salvo, la disoccupazione per i giovani è al 46%, nel mondo è uno sfacelo e noi siamo qui che giochiamo al Grande Fratello con i partiti e i movimenti immaginando di avere diritto di “nominare” chi entra o chi esce e chi prosegue fino alla vittoria.
La politica è una cosa un po’ più seria di quel che ho visto in queste settimane. Più seria di una lista di sinistra che si rivela come somma di sigle rette con lo sputo per superare la soglia di sbarramento e quando l’hanno superata, come puntualmente per la sinistra avviene, eccoli a scazzarsi su chi dovrà cedere il posto alla garante che forse ci ripensa. Infine circolano due petizioni per dire alla garante di prendere o rinunciare e leggo che c’è chi immagina che lo sfavorito sia il candidato eletto della zona centro perché così, evviva, la Lista Tsipras porta due donne nel Parlamento europeo. Discorsi da cortile, ovviamente, nulla di ufficiale, riferisco solo umori letti qui e là a partire da gente che immagina di avere voce in capitolo.
Poi c’è la faccenda di Grillo e quel partito di destra inglese che se leggi il programma, parli con i suoi elettori, chiedi informazioni agli amici a Londra, si capisce che è di destra. Il M5S ha già il suo bel da fare a difendersi dalle accuse di destrismi attribuite da chi non vede l’ora di schiacciarli tra gli indesiderati della attività politica italiana: sicuro che volete passare il tempo a ridare verginità a un partito che sta altrove?
In effetti, però, la questione non mi riguarda perché io non credo alla balla della partecipazione a 360° che la politica attuale sta svendendo come fosse vera. ‘Sti leader che pare che li puoi toccare, ti ci fai i selfie in piazza nelle giornate di sole e poi pensi che siano accessibili, li trovi con un twett anche se in realtà stai parlando con l’influencer e l’addetto ai social network che gli cura la comunicazione, sono in generale una involuzione rispetto a quel che era un tempo. Almeno prima sapevi qual era il loro ruolo e il tuo. Non votavi per le primarie pensando di poter incidere su un risultato che dipende da come vanno i correntoni interni ai partiti e non pensavi che bastasse un clic in rete per dire che oggi è già la democrazia. Se vuoi partecipare al gioco della politica istituzionale ti candidi e concorri, altrimenti fai politica altrove, perché esiste anche quell’altrove che dei partiti non sa che farsene, e poi c’è la zona in cui se non sei candidato fai semplicemente l’elettore (o la elettrice), fosse anche solo per scrivere “Suka” sulla scheda elettorale.
Il punto è che la comunicazione politica attuale pretende di rappresentare la voce dei candidati e dei votanti. L’investitura avverrebbe per mano di un “popolo” che sborsa due euri per metterti a fare il segretario di partito, ovvero quello che ti basta un clic e ti illudi di decidere le sorti del mondo come se di colpo non ci fosse più nessuna mediazione, gerarchia o alcun dispositivo di potere. Così il gesto “autonomo” dell’elettore attivo, o di chi almeno ha voglia di essere tale, viene fagocitato, confuso, vanificato. L’elettore finisce per non saper dire una cosa molto semplice: se non mi piaci non ti voto. Perché non è mica obbligatorio.
Capisco che così com’è messa la politica attuale c’è chi pensa che le strategie comunicative del terrore possano tornare utili, ma i tempi in cui si diceva che se non votavi la Dc arrivavano i pericolosi mangiatori di bambini sono finiti e questo sollecitare ripetutamente gli elettori sulla base dell’emergenza è diventato un trucco intollerabile. La gente non è stupida, tant’è che s’è rotta le scatole e non va neanche più a votare. Allora la questione è semplice. Chi ha votato movimenti e partiti, in special modo quelli per cui vale il voto d’opinione più che la clientela, se arriva una delusione, semplicemente non rinnoverà quel voto. Chiariamo poi il fatto che va risolta la crisi d’identità di varie personalità politiche perché quando tu diventi un rappresentante istituzionale smetti di essere “uno di noi” e non devi dare per scontato nulla.
Parliamo allora di autoreferenzialità. Ottima se fai opinione senza aspettarti consenso. Se è quel consenso che vuoi, invece, puoi usare tutte le tecniche di marketing che conosci ma come i migliori pubblicitari sanno, ci si rivolge a un target/clienti per volta. Se ne becchi uno ti perdi quell’altro e poi c’è chi semplicemente non ti compra. Ecco cos’è la coscienza dell’elettore, un po’ come quando, da acquirente, boicotti il prodotto tal dei tali perché finanzia armi, dice qualcosa di razzista o sfrutta il lavoro minorile nei paesi del terzo mondo. Coscienza di classe dell’elettorato è quella di chi ha la consapevolezza di stare in basso e contare molto poco nelle decisioni di chi è più su nella gerarchia. L’elettorato pensa, sceglie, vota. Quando si stanca di fare queste cose fa la rivoluzione.
Puoi considerarli fastidiosi disturbatori della “democrazia” e puoi anche ritenere che il tuo partito o movimento esistano perché hai ottenuto una investitura direttamente da Dio, ma sei tu ad aver bisogno di loro, come l’industriale ha bisogno di operai e consumatori. Non è il contrario. A meno che, come i cattivi industriali fanno, non pensi che l’elettore/operaio non possa fare altro che dirti di si perché è alla fame e non è in grado di assumere decisioni autonome. Chi fa politica dovrà perciò fare una scelta: manutentori del controllo sociale o liberatori di scelte autonome attribuendo ad esse valore anche se non ti corrispondono?

 

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