Una
settimana fa c'è stato uno scambio di prigionieri fra Talebani e
americani. Il sergente Bowe Bergdahl, catturato in Afghanistan nel 2009,
è stato liberato in cambio di cinque capi talebani detenuti a
Guantanamo, Abdul Washid, ex numero due dell'intelligence talebana, il
mullah Norullah Nori, responsabile a Mazar-e-Sharif, Mohammed Nabi, capo
della sicurezza a Qalat, Mohammad Fazl e Khairrullah Khairkhwa uno
degli uomini più vicini, a suo tempo, al 'famigerato' (termine di Guido
Olimpio) Mullah Omar. I media occidentali hanno preferito sputtanare
Bergdhal raccontando che si era fatto catturare mentre cacava in una
latrina, piuttosto che riferire le sue parole al momento del rilascio:
«Compatibilmente con la situazione in cui ci trovavamo, io e i miei
carcerieri, sono stato trattato bene e con rispetto». Dichiarazione in
linea con quelle di tutti i prigionieri rilasciati dai Talebani, dal
giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo, a Céline Cordelier, operatrice della Ong francese Terre d'enfance
che, liberata dopo 25 giorni dirà: «Non dimenticherò mai che mi hanno
nutrito e trattata con delicatezza e rispetto», alla giornalista inglese
Yvonne Ridley che, intrufolatasi di nascosto in Afghanistan e
catturata, fu così stupita che i suoi giovani carcerieri, tanto
malfamati, non solo la rispettassero ma fossero sinceramente preoccupati
perché, in preda a un comprensibile timore, le era venuto un blocco
allo stomaco e non riusciva a mangiare e, poi appurato che non era una
spia, l'avessero scortata, sotto i bombardamenti americani, fino alla
frontiera del Pakistan perché potesse mettersi al sicuro, che, poco
dopo, si fece musulmana. In quanto al fotoreporter Gabriele Torsello
rapito nell'aprile del 2006, Oari Yousuf Ahmadi, il principale portavoce
del Mullah Omar, dichiarerà all'agenzia di stampa afgana, Paihwok:
«Chiediamo ai rapitori di liberare l'ostaggio, perché pensiamo che non
sia corretto colpire l'Italia uccidendo un cittadino innocente. I
sequestratori di Torsello sono ladri che agiscono solo per denaro
diffamando il movimento talebano. Li trascineremo davanti a un nostro
tribunale se riusciremo a prenderli» (Corriere della Sera 25/10/2006) .
Sappiamo
come sono stati trattati i prigionieri talebani a Guantanamo. Rinchiusi
in gabbie di ferro, esposti notte e giorno alla luce dei riflettori,
alla pioggia, al freddo, al sole (trattamento già riservato, dopo la
seconda guerra, al grande poeta Ezra Pound, mallevadore di molti
letterati statunitensi, esposto alla curiosità della canaglia, come una
bestia, perché colpevole, vivendo in Italia, di non aver osteggiato il
fascismo). Torturati col waterboarding, con la deprivazione del sonno,
con temperature al di là di ogni sopportazione, torture considerate
giuridicamente legittime perché fuori dal territorio Usa (suprema
ipocrisia, quella che ha portato a rapire, in Italia, in una
'extraordinary rendition', con la complicità italiana, il predicatore
Abu Omar e a trasferirlo, via Aviano, nell'Egitto dell'allora alleato
Mubarak perché fosse 'trattato' come si deve). Prigionieri portati in
giro in carriola per renderli ridicoli, mentre già nel viaggio
dall'Afghanistan a Guantanamo, che dura una quindicina di ore,
inchiodati al sedile, erano stati muniti di pannoloni, per umiliarli
ancora di più.
E
allora dov'è la 'cultura superiore'? Dov'è l' 'eccezionalismo'
americano rievocato anche l'altro giorno da Obama? 'Eccezionalismo' una
mascheratura terminologica del razzismo classico, poiché quello
esplicito, dopo Hitler, non è più presentabile. Se questo è
'l'eccezionalismo americano' io ci sputo sopra. Mi fa schifo. A me non
interessano le ideologie, non mi interessa la democrazia, mi interessa
il comportamento degli uomini. E fra lo pseudonero Obama, la giudiziosa
mogliettina Michelle, dedita a opere di bene, e il truce Mullah scelgo
Omar. Io mi sento, io sono talebano.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 7 giugno 2014)
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