lunedì 29 dicembre 2014

Sull'Intolleranza e sulla tolleranza

Sull’intolleranza
Un vizio attraversa tutte le culture: l'intolleranza, quella individuale e quella sociale. In nome di principi etici, di fondamenti religiosi, di concezioni del mondo diverse, di ingiustificati pregiudizi, gli uomini si aggrediscono fra loro, irrazionalmente. Nelle sue forme estreme, l'intolleranza si intreccia al fanatismo. Una razza si ritiene superiore ad un’altra e si genera il razzismo. Più che di razzismo è legittimo parlare di razzismi, basati su pregiudizi e discriminazioni e di forme di negazione del dialogo fra gruppi titolari di culture diverse, fondato sull’incomunicabilità delle culture.
Come fermare la storia? Dalla depenalizzazione dell’omosessualità, dai tempi del divorzio e dell’aborto ad oggi, molte cose sono cambiate. Diritti ed equità non possono essere più disattesi in una civiltà e società cosiddetta evoluta. Non esiste alcun motivo razionale per il quale i cittadini con caratteristiche sessuali diverse non possano avere gli stessi diritti degli altri. In tale ottica sia l’intolleranza sessuale che la morale religiosa vanno di pari passo per impedire che ciò avvenga. Di contro il sistema consumistico basato sui processi economici scopre che la tolleranza, in tal senso, è fonte di un grande profitto. E non per ragioni di rispetto dei diritti dei singoli ma per interessi di mercato, sostengono la parcellizzazione della famiglia, sostengono le associazioni di lesbiche, gay, transessuali, bisessuali poiché sottendono nuovi mercati. “La tolleranza è un buon affare”, dicono gli esperti di marketing e di vendite. I maggiori istituti finanziari del mondo sostengono manifestazioni ed iniziative di gay pride a New York, a Londra e in molte città italiane.
I problemi che si sono sviluppati negli ultimi decenni diventano dibattiti, interrogazioni parlamentari, discussioni senza fine e politici e non, sono impegnati a cercare nuove regole, nuovi compromessi, pari opportunità, quote rosa, quote gay. La Chiesa diventa intollerante, rivendica i cosiddetti “valori non negoziabili”, sostenuti da politici conservatori e bigotti che si fingono democratici ma nella realtà difendono l’indifendibile. Secondo le convinzioni religiose i “valori non negoziabili”, in termini morali, determinano l’orientamento delle scelte individuali e pubbliche. Non ammettono compromessi, deroghe, interpretazioni sul diritto alla vita dall’origine al termine dell’esistenza, il valore della famiglia fondata sull’unione perenne tra uomo e donna, il valore della giustizia sociale, il valore della pace. I legislatori, dovendo affrontare tali problematiche, devono, secondo questa ottica, essere guidati dalla morale umana. Ma in una società laica e pluralista, multiculturale e per ciò indipendente da una morale di tipo religioso, su quali basi autenticamente democratiche si baserebbe il principio d’eguaglianza dei diritti umani se nei termini morali che sono le basi delle convinzioni religiose, si discute di “valori non negoziabili” palesemente equivocando sui valori e diritti cattolici come valori e diritti umani? Perchè sconoscere che il destino dell’umanità è unico? Come non riconoscere che il rispetto, (nelle diversità culturali prodotte dalla storia e dalla sua memoria) di ogni uomo, del suo pensiero, della sua identità culturale è il vero insostituibile e condivisibile patrimonio dell’umanità?
Che dire delle convinzioni di altre confessioni religiose fondamentaliste e intolleranti, anch’esse basate sulla morale, che rifiutano ciò che contrasta con le convinzioni di verità rivelate, ovviamente non dimostrabili, che tanti disastri e dolore regalano? Ma questo è un altro discorso.
Queste brevi considerazioni, basate sulla verità di ragione, contrapposte alla verità di fede e che attivano il fenomeno dell’intolleranza che tanta parte ha negli assetti e negli equilibri dell’uomo e del cittadino. In Italia l'intolleranza sta diventando un problema sempre più grave. Lo riscontriamo giorno dopo giorno. L’uno contro l’altro sia nella sfera privata che nel pubblico, asserragliati nelle proprie convinzioni e certezze senza se e senza ma. La politica è gridata, si esprime ad insulti,  per diffamazioni; è diffusa l’ostilità preconcetta con la tifoseria per le proprie convinzioni di parte e i problemi di qualsivoglia natura creano discussioni continue con un’intolleranza individuale di fondo insostenibile. In Italia per qualsiasi cosa non si discute ma si polemizza.
La gente dice di non sentirsi a suo agio, tende a chiudersi sempre più nel privato, è sospettosa degli altri, si autodifende, litiga su ogni cosa contro tutto e tutti, non dialoga ritenendo di essere sempre da un’altra parte. Giudica gli altri senza conoscere. Appare chiaro che tutto ciò esprime un disagio sociale collettivizzato prodotto da un sistema generalizzato che esprime differenze, stili di vita, modelli diversi sempre più incomprensibili. Un ruolo fondamentale è imputabile alla mancanza di cultura e alla perdita progressiva di valori che hanno sostenuto per secoli la gente. Su questo accidentato terreno sociale i pregiudizi, gli stereotipi mentali determinano l’intolleranza collettiva, discriminazioni gratuite sempre più radicali.
Nel nostro paese in un momento come questo che stiamo attraversando, di crisi economica, politica, morale e culturale si va assottigliando sempre più il senso della solidarietà, della reciprocità che rendono nazione un popolo. Prevale l’indifferenza ad ogni cosa. Prevale il rifiuto dell’altro. Perdiamo progressivamente la memoria del nostro percorso culturale millenario. Tutto si concentra sull’incertezza politica, sul catastrofismo, sui dissesti economici sempre più gravi. Incombe una grande paura del futuro. Si coltiva così un territorio conflittuale di insofferenza diffusa che si manifesta in una vera e propria cultura dell’intolleranza. Non è facile trovare soluzioni immediate. Si aggirano i problemi, non li si affronta. Non se ne parla, si esprimono disagio e intolleranza.
Eppure il concetto di tolleranza enunciato da Voltaire nel suo Dizionario filosofico dovrebbe far riflettere. “Siamo tutti deboli, incoerenti, volubili, soggetti all'errore. Una canna piegata dal vento nel fango dice forse alla canna vicina, piegata in senso contrario: Prostrati come me, miserabile, o presenterò istanza perché ti strappino e ti brucino? ... perdoniamoci reciprocamente i nostri errori; la discordia è il grande male del genere umano, e la tolleranza ne è il solo rimedio”.

Sulla tolleranza
Cos'è la tolleranza? Ci vieneancora in aiuto Voltaire, nel suo “Dizionariofilosofico” del 1763: “Che cosa è la tolleranza? È l'appannaggio dell'umanità. Noi siamo tutti impastati di debolezza e di errori: perdoniamoci reciprocamente le nostre balordaggini, è la prima legge di natura”.
I grandi filosofi dell’era moderna Voltaire, padre dell’illuminismo e John Locke, nella celeberrima Lettera sulla tolleranza condannano tutte quelle Chiese che tentano di imporre il proprio culto agli altri, appellandosi alla coscienza di ognuno. A distanza di due secoli le parole di tolleranza sono sempre più attuali ed urgenti. Quelle di Voltaire: “Odio quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di dirlo”.Quelle di Locke: “Nessuno può dirsi Cristiano se impone ad altri la sua religione con la forza e la violenza”. Tra le numerose affermazioni del Trattato, dai toni provocanti e spesso graffianti, molto eloquente è quella tratta dal ventiduesimo capitolo: “...Questo piccolo globo, che non è che un punto, ruota nello spazio come tanti altri globi; noi siamo sperduti in tanta immensità. L’uomo, alto circa cinque piedi, è certamente poca cosa nella creazione. Uno di questi impercettibili dice a qualcuno dei suoi vicini, nell’Arabia o sulla terra dei Cafri: “Ascoltatemi, perché il Dio di tutti questi mondi mi ha illuminato! Ci sono novecento milioni di piccole formiche come noi sulla Terra, ma non c’è che il mio formicaio ad essere caro a Dio; tutti gli altri Egli li ha in orrore fin dall’Eternità; solo il mio formicaio sarà beato, tutti gli altri saranno dannati in eterno!”. I miei interlocutori allora mi catturerebbero e mi domanderebbero chi è il folle che ha affermato questa stupidaggine. Sarei costretto a rispondere: voi stessi. Cercherei in seguito di placarli, ma sarebbe troppo difficile...”.
In verità non è semplice, affrontando queste problematiche, ipotizzare soluzioni concrete. Come comunemente avviene nei momenti di maggior pericolo e difficoltà dell’esistere, in questi anni confusi e drammatici ci affidiamo, come riflessione ad alta voce, alla metaforica “Preghiera a Dio” di Voltaire: Non è più dunque agli uomini che mi rivolgo ma a te, Dio di tutti gli esseri, di tutti i mondi, di tutti i tempi: se è lecito che delle deboli creature, perse nell'immensità e impercettibili al resto dell'universo, osino domandare qualche cosa a te, che tutto hai donato, a te, i cui decreti sono e immutabili e eterni, degnati di guardare con misericordia gli errori che derivano dalla nostra natura. Fa sì che questi errori non generino la nostra sventura. Tu non ci hai donato un cuore per odiarci l'un l'altro, né delle mani per sgozzarci a vicenda; fa che noi ci aiutiamo vicendevolmente a sopportare il fardello di una vita penosa e passeggera. Fa sì che le piccole differenze tra i vestiti che coprono i nostri deboli corpi, tra tutte le nostre lingue inadeguate, tra tutte le nostre usanze ridicole, tra tutte le nostre leggi imperfette, tra tutte le nostre opinioni insensate, tra tutte le nostre convinzioni così diseguali ai nostri occhi e così uguali davanti a te, insomma che tutte queste piccole sfumature che distinguono gli atomi chiamati “omini” non siano altrettanti segnali di odio e di persecuzione. Fa in modo che coloro che accendono ceri in pieno giorno per celebrarti sopportino coloro che si accontentano della luce del tuo sole; che coloro che coprono i loro abiti di una tela bianca per dire che bisogna amarti, non detestino coloro che dicono la stessa cosa sotto un mantello di lana nera; che sia uguale adorarti in un gergo nato da una lingua morta o in uno più nuovo. Fa che coloro il cui abito è tinto in rosso o in violetto, che dominano su una piccola parte di un piccolo mucchio di fango di questo mondo, e che posseggono qualche frammento arrotondato di un certo metallo, gioiscano senza inorgoglirsi di ciò che essi chiamano “grandezza” e “ricchezza”, e che gli altri li guardino senza invidia: perché tu sai che in queste cose vane non c'è nulla da invidiare, niente di cui inorgoglirsi. Possano tutti gli uomini ricordarsi che sono fratelli! Abbiano in orrore la tirannia esercitata sulle anime, come odiano il brigantaggio che strappa con la forza il frutto del lavoro e dell'attività pacifica! Se sono inevitabili i flagelli della guerra, non odiamoci, non laceriamoci gli uni con gli altri nei periodi di pace, ed impieghiamo il breve istante della nostra esistenza per benedire insieme in mille lingue diverse, dal Siam alla California, la tua bontà che ci ha donato questo istante.
Questa lunga, ma ritengo non troppo gratuita, chiacchierata introduttiva potrebbe servire per identificare alcuni spunti di riflessione collettiva, sulle problematiche particolarmente complesse circa i rischi sociali, rispetto al passato, che stiamo vivendo con difficoltà e che costituiscono le motivazioni culturali.  Bisogna promuovere l’indispensabile “cultura del rispetto” della persona,  dei diritti dell’uomo e delle differenze e sollecitare la consapevolezza della dignità della persona umana.  
 
(Una parte del  mio testo tratto dalla  presentazione per la mostra fotografica di Francesco Seggio: “Rispetto” 100 faccecontro l’intolleranza", gennaio 2013)


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