Sull’intolleranza
Un vizio
attraversa tutte le culture: l'intolleranza, quella individuale e quella
sociale. In nome di principi etici, di fondamenti religiosi, di
concezioni del mondo diverse, di ingiustificati pregiudizi, gli uomini
si aggrediscono fra loro, irrazionalmente. Nelle sue forme estreme,
l'intolleranza si intreccia al fanatismo. Una razza si ritiene superiore
ad un’altra e si genera il razzismo. Più che di razzismo è legittimo
parlare di razzismi, basati su pregiudizi e discriminazioni e di forme
di negazione del dialogo fra gruppi titolari di culture diverse, fondato
sull’incomunicabilità delle culture.
Come fermare la storia?
Dalla depenalizzazione dell’omosessualità, dai tempi del divorzio e
dell’aborto ad oggi, molte cose sono cambiate. Diritti ed equità non
possono essere più disattesi in una civiltà e società cosiddetta
evoluta. Non esiste alcun motivo razionale per il quale i cittadini con
caratteristiche sessuali diverse non possano avere gli stessi diritti
degli altri. In tale ottica sia l’intolleranza sessuale che la morale
religiosa vanno di pari passo per impedire che ciò avvenga. Di contro il
sistema consumistico basato sui processi economici scopre che la
tolleranza, in tal senso, è fonte di un grande profitto. E non per
ragioni di rispetto dei diritti dei singoli ma per interessi di
mercato, sostengono la parcellizzazione della famiglia, sostengono le
associazioni di lesbiche, gay, transessuali, bisessuali poiché
sottendono nuovi mercati. “La tolleranza è un buon affare”, dicono gli
esperti di marketing e di vendite. I maggiori istituti finanziari del
mondo sostengono manifestazioni ed iniziative di gay pride a New York, a Londra e in molte città italiane.
I
problemi che si sono sviluppati negli ultimi decenni diventano
dibattiti, interrogazioni parlamentari, discussioni senza fine e
politici e non, sono impegnati a cercare nuove regole, nuovi
compromessi, pari opportunità, quote rosa, quote gay. La Chiesa diventa intollerante, rivendica
i cosiddetti “valori non negoziabili”, sostenuti da politici
conservatori e bigotti che si fingono democratici ma nella realtà
difendono l’indifendibile. Secondo le convinzioni religiose i “valori
non negoziabili”, in termini morali, determinano l’orientamento delle
scelte individuali e pubbliche. Non ammettono compromessi, deroghe,
interpretazioni sul diritto alla vita dall’origine al termine
dell’esistenza, il valore della famiglia fondata sull’unione perenne tra
uomo e donna, il valore della giustizia sociale, il valore della pace. I
legislatori, dovendo affrontare tali problematiche, devono, secondo
questa ottica, essere guidati dalla morale umana. Ma in una società
laica e pluralista, multiculturale e per ciò indipendente da una morale
di tipo religioso, su quali basi autenticamente democratiche si
baserebbe il principio d’eguaglianza dei diritti umani se nei termini
morali che sono le basi delle convinzioni religiose, si discute di
“valori non negoziabili” palesemente equivocando sui valori e diritti
cattolici come valori e diritti umani? Perchè sconoscere che il destino
dell’umanità è unico? Come non riconoscere che il rispetto, (nelle
diversità culturali prodotte dalla storia e dalla sua memoria) di ogni
uomo, del suo pensiero, della sua identità culturale è il vero
insostituibile e condivisibile patrimonio dell’umanità?
Che
dire delle convinzioni di altre confessioni religiose fondamentaliste e
intolleranti, anch’esse basate sulla morale, che rifiutano ciò che
contrasta con le convinzioni di verità rivelate, ovviamente non
dimostrabili, che tanti disastri e dolore regalano? Ma questo è un altro
discorso.
Queste brevi considerazioni, basate sulla verità di
ragione, contrapposte alla verità di fede e che attivano il fenomeno
dell’intolleranza che tanta parte ha negli assetti e negli equilibri
dell’uomo e del cittadino. In Italia l'intolleranza sta diventando un
problema sempre più grave. Lo riscontriamo giorno dopo giorno. L’uno
contro l’altro sia nella sfera privata che nel pubblico, asserragliati
nelle proprie convinzioni e certezze senza se e senza ma. La politica è
gridata, si esprime ad insulti, per diffamazioni; è diffusa l’ostilità
preconcetta con la tifoseria per le proprie convinzioni di parte e i
problemi di qualsivoglia natura creano discussioni continue con
un’intolleranza individuale di fondo insostenibile. In Italia per
qualsiasi cosa non si discute ma si polemizza.
La gente dice di
non sentirsi a suo agio, tende a chiudersi sempre più nel privato, è
sospettosa degli altri, si autodifende, litiga su ogni cosa contro tutto
e tutti, non dialoga ritenendo di essere sempre da un’altra parte.
Giudica gli altri senza conoscere. Appare chiaro che tutto ciò esprime
un disagio sociale collettivizzato prodotto da un sistema generalizzato
che esprime differenze, stili di vita, modelli diversi sempre più
incomprensibili. Un ruolo fondamentale è imputabile alla mancanza di
cultura e alla perdita progressiva di valori che hanno sostenuto per
secoli la gente. Su questo accidentato terreno sociale i pregiudizi, gli
stereotipi mentali determinano l’intolleranza collettiva,
discriminazioni gratuite sempre più radicali.
Nel nostro paese in
un momento come questo che stiamo attraversando, di crisi economica,
politica, morale e culturale si va assottigliando sempre più il senso
della solidarietà, della reciprocità che rendono nazione un popolo.
Prevale l’indifferenza ad ogni cosa. Prevale il rifiuto dell’altro.
Perdiamo progressivamente la memoria del nostro percorso culturale
millenario. Tutto si concentra sull’incertezza politica, sul
catastrofismo, sui dissesti economici sempre più gravi. Incombe una
grande paura del futuro. Si coltiva così un territorio conflittuale di
insofferenza diffusa che si manifesta in una vera e propria cultura
dell’intolleranza. Non è facile trovare soluzioni immediate. Si aggirano
i problemi, non li si affronta. Non se ne parla, si esprimono disagio e
intolleranza.
Eppure il concetto di tolleranza enunciato da Voltaire nel suo Dizionario filosofico dovrebbe far riflettere. “Siamo
tutti deboli, incoerenti, volubili, soggetti all'errore. Una canna
piegata dal vento nel fango dice forse alla canna vicina, piegata in
senso contrario: Prostrati come me, miserabile, o presenterò istanza
perché ti strappino e ti brucino? ... perdoniamoci reciprocamente i
nostri errori; la discordia è il grande male del genere umano, e la
tolleranza ne è il solo rimedio”.
Sulla tolleranza
Cos'è la tolleranza? Ci vieneancora in aiuto Voltaire, nel suo “Dizionariofilosofico” del 1763: “Che
cosa è la tolleranza? È l'appannaggio dell'umanità. Noi siamo tutti
impastati di debolezza e di errori: perdoniamoci reciprocamente le
nostre balordaggini, è la prima legge di natura”.
I grandi filosofi dell’era moderna Voltaire, padre dell’illuminismo e John Locke, nella celeberrima Lettera sulla tolleranza
condannano tutte quelle Chiese che tentano di imporre il proprio culto
agli altri, appellandosi alla coscienza di ognuno. A distanza di due
secoli le parole di tolleranza sono sempre più attuali ed urgenti.
Quelle di Voltaire: “Odio quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di dirlo”.Quelle di Locke: “Nessuno può dirsi Cristiano se impone ad altri la sua religione con la forza e la violenza”. Tra le numerose affermazioni del Trattato, dai toni provocanti e spesso graffianti, molto eloquente è quella tratta dal ventiduesimo capitolo: “...Questo
piccolo globo, che non è che un punto, ruota nello spazio come tanti
altri globi; noi siamo sperduti in tanta immensità. L’uomo, alto circa
cinque piedi, è certamente poca cosa nella creazione. Uno di questi
impercettibili dice a qualcuno dei suoi vicini, nell’Arabia o sulla
terra dei Cafri: “Ascoltatemi, perché il Dio di tutti questi mondi mi ha
illuminato! Ci sono novecento milioni di piccole formiche come noi
sulla Terra, ma non c’è che il mio formicaio ad essere caro a Dio; tutti
gli altri Egli li ha in orrore fin dall’Eternità; solo il mio formicaio
sarà beato, tutti gli altri saranno dannati in eterno!”. I miei
interlocutori allora mi catturerebbero e mi domanderebbero chi è il
folle che ha affermato questa stupidaggine. Sarei costretto a
rispondere: voi stessi. Cercherei in seguito di placarli, ma sarebbe
troppo difficile...”.
In verità non è semplice,
affrontando queste problematiche, ipotizzare soluzioni concrete. Come
comunemente avviene nei momenti di maggior pericolo e difficoltà
dell’esistere, in questi anni confusi e drammatici ci affidiamo, come
riflessione ad alta voce, alla metaforica “Preghiera a Dio” di Voltaire: Non
è più dunque agli uomini che mi rivolgo ma a te, Dio di tutti gli
esseri, di tutti i mondi, di tutti i tempi: se è lecito che delle deboli
creature, perse nell'immensità e impercettibili al resto dell'universo,
osino domandare qualche cosa a te, che tutto hai donato, a te, i cui
decreti sono e immutabili e eterni, degnati di guardare con misericordia
gli errori che derivano dalla nostra natura. Fa sì che questi errori
non generino la nostra sventura. Tu non ci hai donato un cuore per
odiarci l'un l'altro, né delle mani per sgozzarci a vicenda; fa
che noi ci aiutiamo vicendevolmente a sopportare il fardello di una vita
penosa e passeggera. Fa sì che le piccole differenze tra i vestiti che
coprono i nostri deboli corpi, tra tutte le nostre lingue inadeguate,
tra tutte le nostre usanze ridicole, tra tutte le nostre leggi
imperfette, tra tutte le nostre opinioni insensate, tra tutte le nostre
convinzioni così diseguali ai nostri occhi e così uguali davanti a te,
insomma che tutte queste piccole sfumature che distinguono gli atomi
chiamati “omini” non siano altrettanti segnali di odio e di
persecuzione. Fa in modo che coloro che accendono ceri in pieno giorno
per celebrarti sopportino coloro che si accontentano della luce del tuo
sole; che coloro che coprono i loro abiti di una tela bianca per dire
che bisogna amarti, non detestino coloro che dicono la stessa cosa sotto
un mantello di lana nera; che sia uguale adorarti in un gergo nato da
una lingua morta o in uno più nuovo. Fa che coloro il cui abito è tinto
in rosso o in violetto, che dominano su una piccola parte di un piccolo
mucchio di fango di questo mondo, e che posseggono qualche frammento
arrotondato di un certo metallo, gioiscano senza inorgoglirsi di ciò che
essi chiamano “grandezza” e “ricchezza”, e che gli altri li guardino
senza invidia: perché tu sai che in queste cose vane non c'è nulla da
invidiare, niente di cui inorgoglirsi. Possano tutti gli uomini
ricordarsi che sono fratelli! Abbiano in orrore la tirannia esercitata
sulle anime, come odiano il brigantaggio che strappa con la forza il
frutto del lavoro e dell'attività pacifica! Se sono inevitabili i
flagelli della guerra, non odiamoci, non laceriamoci gli uni con gli
altri nei periodi di pace, ed impieghiamo il breve istante della nostra
esistenza per benedire insieme in mille lingue diverse, dal Siam alla
California, la tua bontà che ci ha donato questo istante.
Questa
lunga, ma ritengo non troppo gratuita, chiacchierata introduttiva
potrebbe servire per identificare alcuni spunti di riflessione
collettiva, sulle problematiche particolarmente complesse circa i rischi
sociali, rispetto al passato, che stiamo vivendo con difficoltà e che
costituiscono le motivazioni culturali. Bisogna promuovere
l’indispensabile “cultura del rispetto” della persona, dei diritti
dell’uomo e delle differenze e sollecitare la consapevolezza della
dignità della persona umana.
(Una parte del mio testo
tratto dalla presentazione per la mostra fotografica di Francesco
Seggio: “Rispetto” 100 faccecontro l’intolleranza", gennaio 2013)
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