sabato 23 gennaio 2016

Capaci, ecco i segreti della pista russa: Brusca tace e Ingroia…



Il procuratore generale della Russia, Valentin Stepankov, avrebbe dovuto incontrare Giovanni Falcone il 25 maggio 1992 a Mosca. L’attentato avviene quando tutto era pronto per la partenza di Falcone per Mosca. Quando Valentin Stepankov apprese che Falcone, allora direttore generale degli affari penali al Ministero della Giustizia, era stato assassinato, dichiarò che gli attentatori avevano raggiunto il loro obiettivo, impedire il suo viaggio a Mosca. La strage di Capaci, spiegò “non poteva essere messa in atto da semplici mafiosi, senza una regia occulta”.
Gli specialisti russi osservarono che la qualità e la quantità dell’esplosivo impiegato per compiere l’attentato lasciava presagire che Cosa Nostra potesse essersi avvalsa di conoscenze “provenienti dall’ambito militare”. Tutto questo ed altro si trova nelle carte degli investigatori, coperte dalla polvere. La pista russa, però, non ha mai goduto di credito nelle indagini sulla strage di Capaci.
Sulla morte del magistrato, la moglie e la sua scorta ormai si sa tutto sugli esecutori, ma è come se non si sapesse niente. Antonio Ingroia, ex pm della Procura di Palermo sostiene in una intervista rilasciata al periodico “Oggi” che “Giovanni Brusca non ha raccontato tutta la verità su come si svolsero i fatti”. Dopo avere letto l’intervista di Ingroia, Anna e Maria Falcone, sorelle del magistrato assassinato, che in passato non sono mai intervenute sulla “presunta collaborazione di Giovanni Brusca”, hanno rilasciato, a loro volta, una dichiarazione con la quale esprimono inquietudine per i misteri ancora non svelati e adombrati dall’ex pm, e hanno posto a tutte le Procure che si occupano della strage di Capaci un quesito: “Giovanni Brusca ha detto tutto quello che sa?”
Probabilmente no. La pista russa, finora inesplorata, induce a credere che la verità potrebbe finalmente salire a galla se si seguissero scelte investigative diverse dal passato. Il nodo che ancora deve essere sciolto riguarda il movente delle stragi che insanguinarono il Paese e lo destabilizzarono mentre infuriava Tangentopoli. Cosa nostra siciliana avrebbe avuto molto da perdere per i prevedibili guai alle “famiglie” siciliane che “gesta” così eclatanti avrebbero provocato. L’ipotesi dunque che Cosa nostra abbia agito anche per conto terzi, su mandato, dunque, è rimasta sempre sullo sfondo di ogni investigazione.
La pista russa rivelerebbe retroscena ancora oggi sconosciuti. Sono carte che meriterebbero di essere lette o rilette. La Procura della Federazione russa aveva fornito parecchio materiale sui rapporti e le attività intercorse tra enti statali sovietici e personaggi politici e del mondo delle cooperative italiani. Stepankov indagava anche sui fondi segreti con cui il Kgb, attraverso banche di San Marino, pagava i suoi informatori italiani. Per questa ragione era venuto in Italia e aveva incontrato Falcone, acquisendo grazie alla collaborazione italiana documenti riservati e segreti. Dalla direzione generale per gli Affari penali presso il ministero della Giustizia dipendevano infatti le rogatorie internazionali.
Il procuratore generale russo aveva preso appuntamento con Falcone per il 25 maggio, due giorni dopo la strage. E di questo appuntamento erano a conoscenza anche le maggiori autorità italiane, tra gli altri il presidente della Repubblica Giuseppe Cossiga e il presidente del Consiglio, Giulio Andreotti. L’ambasciata italiana a Mosca teneva informati puntualmente le autorità italiane. L’ambasciatore italiano Ferdinando Salleo, fece pervenire a Palazzo Chigi copia dei telex che si erano scambiati Giovanni Falcone e Valentin Stepankov.
Il collegamento fra Giovanni Falcone e i magistrati sovietici risale ad alcuni anni prima dell’attentato. Probabilmente nel gennaio del 1987, quando Falcone si reca a Mosca con una delegazione italiana in occasione di una iniziativa del Cesme, (Centro mediterraneo di promozione culturale e di studi economici e sociali), su invito dell’Associazione degli scrittori russi.
Nel corso del Convegno organizzato dal Cesme a Mosca venne affrontato il tema della infiltrazione della mafia nei paesi dell’Europa orientale e nelle ex repubbliche sovietiche. In quel periodo era in corso la dissoluzione dell’Urss e nascevano le grandi fortune che avrebbero poi segnato il futuro della Russia.
Giovanni Falcone fu sollecitato dal presidente della Repubblica Cossiga ad accertare i legami tra il Pci e il Pcus ed i finanziamenti sovietici a Botteghe oscure. Cossiga avrebbe chiesto a Falcone di indagare sulla destinazione di risorse a movimenti eversivi in Italia, voleva sapere anche se i rubli russi fossero serviti per finanziare le Brigate Rosse. Valentin Stepankov, dal canto suo, sospettava che per il riciclaggio delle ingenti somme provenienti dall’Urss e inviate in Italia si svolgesse grazie anche alla criminalità organizzata.



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