Il procuratore generale della Russia, Valentin
Stepankov, avrebbe dovuto incontrare Giovanni Falcone il 25 maggio
1992 a Mosca. L’attentato avviene quando tutto era pronto per la partenza di
Falcone per Mosca. Quando Valentin Stepankov apprese che Falcone, allora
direttore generale degli affari penali al Ministero della Giustizia, era stato
assassinato, dichiarò che gli attentatori avevano raggiunto il loro obiettivo,
impedire il suo viaggio a Mosca. La strage di Capaci, spiegò “non poteva
essere messa in atto da semplici mafiosi, senza una regia occulta”.
Gli specialisti russi osservarono che la qualità e la
quantità dell’esplosivo impiegato per compiere l’attentato lasciava presagire che Cosa Nostra
potesse essersi avvalsa di conoscenze “provenienti dall’ambito militare”.
Tutto questo ed altro si trova nelle carte degli investigatori, coperte dalla
polvere. La pista russa, però, non ha mai goduto di credito nelle indagini
sulla strage di Capaci.
Sulla morte del magistrato, la moglie e la sua scorta ormai si sa tutto sugli esecutori,
ma è come se non si sapesse niente. Antonio Ingroia, ex pm della Procura
di Palermo sostiene in una intervista rilasciata al periodico “Oggi” che
“Giovanni Brusca non ha raccontato tutta la verità su come si svolsero i
fatti”. Dopo avere letto l’intervista di Ingroia, Anna e Maria Falcone, sorelle
del magistrato assassinato, che in passato non sono mai intervenute sulla
“presunta collaborazione di Giovanni Brusca”, hanno rilasciato, a loro volta,
una dichiarazione con la quale esprimono inquietudine per i misteri ancora
non svelati e adombrati dall’ex pm, e hanno posto a tutte le Procure che si
occupano della strage di Capaci un quesito: “Giovanni Brusca ha detto tutto
quello che sa?”
Probabilmente no. La pista russa, finora inesplorata, induce a credere che la verità
potrebbe finalmente salire a galla se si seguissero scelte investigative
diverse dal passato. Il nodo che ancora deve essere sciolto riguarda il movente
delle stragi che insanguinarono il Paese e lo destabilizzarono mentre
infuriava Tangentopoli. Cosa nostra siciliana avrebbe avuto molto da perdere
per i prevedibili guai alle “famiglie” siciliane che “gesta” così eclatanti
avrebbero provocato. L’ipotesi dunque che Cosa nostra abbia agito anche per conto
terzi, su mandato, dunque, è rimasta sempre sullo sfondo di ogni
investigazione.
La pista russa rivelerebbe retroscena ancora oggi
sconosciuti. Sono carte
che meriterebbero di essere lette o rilette. La Procura della Federazione russa
aveva fornito parecchio materiale sui rapporti e le attività intercorse tra enti
statali sovietici e personaggi politici e del mondo delle cooperative italiani.
Stepankov indagava anche sui fondi segreti con cui il Kgb, attraverso banche di
San Marino, pagava i suoi informatori italiani. Per questa ragione era venuto
in Italia e aveva incontrato Falcone, acquisendo grazie alla collaborazione
italiana documenti riservati e segreti. Dalla direzione generale per gli
Affari penali presso il ministero della Giustizia dipendevano infatti le
rogatorie internazionali.
Il procuratore generale russo aveva preso appuntamento
con Falcone per il 25
maggio, due giorni dopo la strage. E di questo appuntamento erano a conoscenza
anche le maggiori autorità italiane, tra gli altri il presidente della
Repubblica Giuseppe Cossiga e il presidente del Consiglio, Giulio Andreotti.
L’ambasciata italiana a Mosca teneva informati puntualmente le autorità
italiane. L’ambasciatore italiano Ferdinando Salleo, fece pervenire a Palazzo
Chigi copia dei telex che si erano scambiati Giovanni Falcone e Valentin
Stepankov.
Il collegamento fra Giovanni Falcone e i magistrati
sovietici risale ad
alcuni anni prima dell’attentato. Probabilmente nel gennaio del 1987, quando
Falcone si reca a Mosca con una delegazione italiana in occasione di una
iniziativa del Cesme, (Centro mediterraneo di promozione culturale e di studi
economici e sociali), su invito dell’Associazione degli scrittori russi.
Nel corso del Convegno organizzato dal Cesme a Mosca venne affrontato il tema della
infiltrazione della mafia nei paesi dell’Europa orientale e nelle ex
repubbliche sovietiche. In quel periodo era in corso la dissoluzione dell’Urss
e nascevano le grandi fortune che avrebbero poi segnato il futuro della Russia.
Giovanni Falcone fu sollecitato dal presidente della
Repubblica Cossiga ad
accertare i legami tra il Pci e il Pcus ed i finanziamenti sovietici a Botteghe
oscure. Cossiga avrebbe chiesto a Falcone di indagare sulla destinazione di risorse
a movimenti eversivi in Italia, voleva sapere anche se i rubli russi
fossero serviti per finanziare le Brigate Rosse. Valentin Stepankov, dal canto
suo, sospettava che per il riciclaggio delle ingenti somme provenienti
dall’Urss e inviate in Italia si svolgesse grazie anche alla criminalità organizzata.
Salvatore Parlagreco (Sicilia Informazioni – 23 gennaio 2016)
Nessun commento:
Posta un commento
Tutto quanto pubblicato in questo blog è coperto da copyright. E' quindi proibito riprodurre, copiare, utilizzare le fotografie e i testi senza il consenso dell'autore.