sabato 9 aprile 2016

Con gli stivali, nella palude

Quel che mancava a Piercamillo Davigo per essere acclamato al vertice dell'associazione nazionale magistrati glielo ha servito, ovviamente senza volerlo, su un piatto di argento Matteo Renzi.
L'attacco frontale del premier alla magistratura come reazione ad un'inchiesta che ha coinvolto pezzi importanti del suo governo, non poteva che generare un serrate le fila tra le toghe, dissipando i distinguo che pure non mancavano sulla candidatura per il vertice dell'ANM, del giudice che dopo la deriva politica di Di Pietro e le diverse scelte di Colombo, è rimasto il simbolo di mani pulite, la sua quintessenza.
È così oggi quell'elezione c'è stata e per acclamazione. Qui al premier suo malgrado e' riuscito il miracolo di mettere insieme componenti interne ai magistrati che, come dimostrato dagli scontri di oggi sulla composizione della nuova giunta, sono tutt'altro che omogenee.
Ma non era stato difficile in sede di analisi, nelle scorse settimane, segnalare che già le sole prime indiscrezioni sulla possibile scelta di Davigo, non potevano non far fischiare le orecchie al premier e al partito democratico.
Ora con logica consequenzialità dobbiamo domandarci di cosa sia indice, al fondo, l'elezione di oggi. Le risposte possibili a bene vedere sono tre, molto lontane le une dalle altre ma tutte di grandissima importanza per i tempi che ci attendono.
1. Un prima risposta un po' rassegnata e' quella di chi pensa che sia il segnale di un'Italia eternamente al punto di partenza che non muove dalla palude della corruzione e dagli scontri degli anni 90, prima Craxi - Di Pietro oggi Davigo - Renzi. Con qualche maggiore ipocrisia di facciata ma con la stessa sostanza.
2. C'è chi in una chiave di convinto favore per l'attuale governo e di critica per la magistratura, ritiene si tratti della resistenza di quest'ultima al mondo che cambia. Un qualche "timore" delle toghe che trovi spazio una politica rilegittimata in tesi capace di riformare se' stessa , riacquistando così una centralità nel sistema paese.
3. C'è infine chi crede o spera che quella di Davigo sia più semplicemente una benvenuta scelta di eccellenza come c'è da augurarsi che avvenga in tutti i corpi intermedi e nelle rappresentanze di ogni ordine e grado. Qui valorizzandosi anche il rilievo interno al sistema giustizia della nomina di Davigo, che è tema niente affatto secondario come ancora una volta dimostrato dal feroce scontro consumatosi sulla restante formazione della giunta e dall'invero singolare patto di rotazione appena annule al vertice.
Come spesso avviene c'è probabilmente del vero in tutte e tre le risposte. Quale scenario prevarrà dipenderà dalla reale volontà dei protagonisti e da più ampi contesti di sistema che trascendono le grandi o piccole beghe di casa di nostra.
Partendo dalla prima risposta, se è senz'altro vero che bisogna rifuggire qualunquismi e moralismi di maniera e non prendere per oro colato gli stessi ricorrenti dati che enfatizzano una specifica inclinazione corruttiva italiana, è pero ugualmente innegabile che un quadro politico che si è voluto costruire senza alternative, rischia di essere terreno propizio per il riaffermarsi di malcostume e patologiche deviazioni della pubblica funzione.
Non c'era bisogno di inchieste e intercettazioni per sapere quanto inopportuna sul versante di un'autentica politica riformista, lontana dai conflitti di interesse, fosse la nomina di Federica Guidi in un governo che si dichiarava di svolta.
Non c'è da prendersela con la magistratura se si vuole e si cerca come perno parlamentare delle riforme il senatore Verdini con i macigni in termini di uso personale della politica che esibisce il suo curriculum personale e di alfiere del peggior stagione berlusconiana.
Ma scelte così grossolanamente indifendibili sono potute avvenire per l'assenza assoluta di alternativa, ed anche per un clamoroso sonno delle coscienze critiche, un pensiero unico che ha prodotto non pochi danni, così riproponendosi, sia pur con ingredienti diversi, quella situazione bloccata che finisce con l'affidare (nostro malgrado) solo al controllo giudiziario ogni serio contraltare e bilanciamento.
Ci si trova così costretti a dire che almeno un contro potere funzioni e si affidi ad un guardiano occhiuto e autorevole come Davigo è comunque una buona notizia.
Certo e' anche vero e in qualche modo riposa nella fisiologica competizione tra i poteri, che quello giudiziario avverta un sia pur ostentato e a volte un po' parolaio, rialzarsi in piedi della politica e anche per questo le toghe vogliano dare una loro risposta sul versante rappresentativo e della comunicazione. Magari pure per una più forte difesa delle loro esigenze più spiccatamente sindacali a partire dalla stucchevole (da ambo le parti) questione della riduzione delle ferie.
E qui si incrocia la terza risposta. Finito il tempo della rappresentanza seria ma grigia, è giunto il momento che tutti i corpi intermedi si dotino di leader forti, autorevoli come pure la politica, al fine ultimo di un virtuoso incontro-scontro tra poteri e funzioni.
Ma il tutto a nostro avviso ad una irrinunciabile condizione. Che queste forti leadership non siano corporative a tutti i livelli.Così come Renzi ha sbagliato in modo persino grossolano nel porre pur giuste questioni sul funzionamento della giustizia ma proprio in rapporto a inchieste che riguardavano direttamente il suo governo, e non quando il malfunzionamento della macchina giudiziaria si manifesta anche lontano dai colletti bianchi, allo stesso modo Piercamillo Davigo nel suo nuovo ruolo non darebbe quello che può al paese se non utilizzasse la sua autorevolezza e irreprensibilità per riconoscere sul serio ciò che si può e si deve riformare anche nelle aule dei tribunali e pure in quelle penali.
E qui anche in un certo uso della funzione inquirente. Cominciando dal riconoscere ad esempio che la piaga della prescrizione accontenta insieme delinquenti e cattivi inquirenti, i primi lieti infine di farla franca, i secondi potendo sempre sfuggire al vero esame del processo, dopo i clamori delle fasi cautelari.
Palude da affrontare c'è ne e' tanta e servono buoni stivali ma per farlo credibilmente nei rapporti con gli altri poteri, bisogna saperlo fare anche in casa propria. Altrimenti avremo solo dibattiti più pirotecnici e magari di livello; forse anche nuovi clamorosi processi, ma sempre fermi nello stagno saremo.

 Gianluigi Pellegrino (huffingtonpost.it - 9 sprile 2016)


Nessun commento:

Posta un commento

Tutto quanto pubblicato in questo blog è coperto da copyright. E' quindi proibito riprodurre, copiare, utilizzare le fotografie e i testi senza il consenso dell'autore.