Non è certo uno che le manda a dire Piercamillo Davigo, nuovo presidente dell’Associazione nazionale dei magistrati ed ex pm del pool di Mani pulite. E così, dopo aver già “rimproverato” il premier a elezione appena avvenuta, arriva un’altra stilettata: “Renzi dice che in Italia ci sono tante inchieste e poche sentenze? Certo, c’è la prescrizione“. Rispondendo così, dopo una settimana, alla frase del presidente del Consiglio sull’inchiesta di Potenza e sui tempi “con cadenza da Olimpiadi“.
Davigo, famoso per aver detto tra le altre cose “non esistono
innocenti, ma solo colpevoli che non sono stati ancora scoperti”, nel
corso della registrazione delle puntata di Otto e Mezzo mette sale su un
nervo scoperto del governo: quella della prescrizione. La cui riforma, per stessa ammissione del ministro di Giustizia Andrea Orlando, è inchiodata un anno e mezzo. Gioco
facile per Davigo usare il fioretto dell’ironia: “I processi finiscono
sempre con una sentenze di condanna, di assoluzione o con la
prescrizione. Forse voleva dire che ci sono poche sentenze di condanna“. Per
il magistrato quello della prescrizione è uno dei problemi della
giustizia italiana perché “decorre anche dopo il primo grado. La
prescrizione è indispensabile fino al processo. Ma, acquisite le prove,
non si capisce perché deve continuare a decorrere”. Anche sulla
lunghezza di processi Davigo ha la risposta: “I processi durano troppo?
Perché sono troppi se fossero meno durerebbero meno”.
Il ddl sulla riforma del processo penale è insabbiato da più di un anno in commissione al Senato e prevede di fatto un allungamento dei termini di estinzione del reato, che si interrompono per due anni dopo una condanna di primo grado e per un anno dopo una condanna in appello.
Eppure la riforma annunciata come una priorità del governo già nel 2014
non esce dalla commissione perché come, ha ricordato il Guardasigilli,
gli alleati (leggi Alfano e i centristi) non collaborano. Sulla attuale ex Cirielli si era espresso solo poche settimane fa anche il presidente dell’Anac Raffaele Cantone definendola un incentivo alla corruzione. Anche perché i dati, forniti alle aperture dell’anno giudiziario, sono “preoccupanti” con il 49% dei procedimenti definiti a Venezia e del 30 a Roma che finiscono al macero.
Esaurita la questione prescrizione Davido parla di diffamazione a
mezzo stampa e intercettazioni. Altri due temi che, ciclicamente,
ritornano nelle priorità della politica. Le pene sul primo reato “non
sono sufficientemente dissuasive” dice. Mentre sull’argomento
intercettazioni segue il nuovo trend delle procure più importanti: “Si
può discutere dell’idea di obbligare al segreto anche
dopo il deposito dell’intercettazioni”. Il leader del sindacato delle
toghe ritiene che abbia “ragione” il presidente del Consiglio quando, in
tema di intercettazioni, dice che sarebbe meglio non leggere i
pettegolezzi sui giornali ma “c’è un errore di fondo. Se davvero le intercettazioni non sono pertinenti c’è già il reato di diffamazione”.
Un duello a distanza quello tra Davigo e Renzi, una tensione che
potrebbe sciogliersi chissà con una chiacchierata. Alla domanda se fosse
arrivata una chiamata da Palazzo Chigi Davigo risponde: “Renzi non mi ha chiamato, ma di abitudine io non mi aspetto telefonate da nessuno.
Rispondo però con cortesia, è un dovere connesso alla mia funzione”.
Del resto lo stesso presidente, riferendosi all’esecutivo, aveva
sottolineato: “Bisogna dialogare ma nel rispetto della nostra dignità“. Ma
solo due giorni fa il segretario del Pd ribadiva; “Io non accuso i pm,
io li sprono, ma la politica è una cosa bella e non accetteremo mai di
renderla subalterna a niente e nessuno”.
Il Fatto Quotidiano (11 aprile 2016)
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