Il
mio primo incontro con Gianroberto Casaleggio fu astrale. Alcuni anni
fa i ragazzi di Grillo mi chiesero un’intervista televisiva su un
argomento internazionale, credo l’Afghanistan. Mi dissero che dovevo
andare alla Casaleggio Associati di cui io allora avevo una contezza
molto vaga, in via Morone 6 nel pieno centro di Milano fra via Manzoni e
piazza Meda e al cui angolo c’è la casa del Manzoni. Andai. Mi
introdussero in un locale piuttosto squallido con un lungo tavolo
rettangolare tipo riunione. Entrò un tipo alto, magro, allampanato, con
degli incredibili capelli che gli scendevano come spaghetti lungo le
guance. Mi fu presentato. Ma io non ne capii il nome o meglio mi parve
che si chiamasse Zé Roberto che era allora un importante mezzala del
Bayer Leverkusen. Lo strano individuo cominciò un discorso abbastanza
lunare di cui capii poco o nulla, interloquendo pochissime volte.
Intanto friggevo e pensavo “Ma quando mi fanno questa intervista? Non ho
tanto tempo da perdere”. Alla fine lo strano soggetto si decise a
portarmi nello studio televisivo, chiamiamolo così. In realtà era un
bugigattolo e gli strumenti tecnici erano ridotti al minimo, una modesta
telecamera. Le domande però furono precise e puntuali. Quando
l’individuo se ne andò chiesi al suo assistente: “Ma davvero quello si
chiama Zé Roberto come la mezzala del Bayer Leverkusen?”. “No. E’
Gianroberto. Gianroberto Casaleggio”.
Rividi
Casaleggio poco dopo, sempre in via Morone. Ma c’ero andato insieme
alla mia fidanzata per cazzeggiare un po’ con Beppe Grillo che parlò
quasi tutto il tempo con lei di tecnoecologia, appallandomi
mostruosamente. Casaleggio fece capolino e restò nella stanza solo un
paio di minuti.
In
seguito l’ho rivisto molte volte ma sempre in via Morone e per motivi
professionali, mai in ambienti conviviali cui mi sembrava refrattario.
Pensò anche di coinvolgermi in un libro sulla ‘democrazia diretta’
insieme ad Aldo Giannuli, una sorta di improvvisato maitre à penser dei Cinque Stelle, insopportabile per la sua logorrea. Pensava di ripetere la formula de Il Grillo canta sempre al tramonto,
libro firmato da Beppe, Dario Fo e lo stesso Casaleggio. Ma la cosa non
funzionò. Un po’ per colpa mia, che non credo alla democrazia né
indiretta né diretta, un po’ per il narcisismo di Giannuli che se la
dava, infastidendolo, da grande amico di Gianroberto pur conoscendolo
solo da un anno, e un po’ anche per l’incapacità di Casaleggio di
governare la discussione. “Non è scattata l’alchimia” mi disse un
Casaleggio parecchio imbarazzato.
Era
una persona timida, chiusa, estremamente riservata. Solo una volta,
negli ultimissimi tempi, si lasciò un po’andare e mi raccontò qualcosa
del suo privato, del pezzo di terra che aveva comprato in Piemonte dove
si distraeva producendo olio e altri prodotti agricoli e dove aveva
intenzione di ritirarsi. Purtroppo, poiché Dio non ama i sogni degli
uomini, non ne ha avuto il tempo.
Aldilà
di qualche spericolata ‘fuga in avanti’ non era solo un formidabile
organizzatore ma una testa fina che compensava il temperamento casinaro
di Grillo che un po’ confusionario lo è.
La
sua perdita è grave per i Cinque Stelle ma forse, sia detto col dovuto
cinismo, viene al momento opportuno perché anche per i giovani del
movimento è venuto il momento di lasciare i padri e di diventare adulti.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 12 aprile 2016)
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