venerdì 20 maggio 2016

Riforma costituzionale il NO degli studenti di Giurisprudenza a Catania: Alessio Grancagnolo






 Pubblicato il 19 mag 2016
L’intervento critico sulla riforma costituzionale rivolto alla ministra Boschi da uno studente di Giurisprudenza, Alessio Grancagnolo membro del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale di Catania, durante un incontro presso l’Università di Catania. L’intervento viene interrotto dal Rettore quando il ragazzo parla di “tour propagandistici negli atenei” della ministra in vista del referendum costituzionale di ottobre. “Questo incontro non prevede contraddittorio” - replica il Rettore - "chi non gradisce questo format può anche non partecipare".
L’intervento dello studente critica:
l’approvazione della riforma da parte di un parlamento eletto con una legge elettorale dichiarata incostituzionale;
l’iniziativa del Governo nel DDL costituzionale;
l’accentramento dei poteri nelle mani del Governo a scapito del Parlamento, con un mutamento della forma di Governo e potenziali derive autoritarie;
il Senato non elettivo;
il confuso processo legislativo previsto dalla riforma;
l’assenza di un progetto complessivo di riforma costituzionale;
la personalizzazione del dibattito intorno al referendum come un plebiscito sul Governo
Il testo integrale e la registrazione dell'iniziativa al link:

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Testo integrale del coraggioso intervento del giovane Alessio Grancagnolo, membro del Coordinamento per la democrazia costituzionale di Catania, studente di giurisprudenza della Scuola Superiore, un centro universitario di eccellenza che lui frequenta e che il 13 scorso ha ospitato la ministra Boschi. Possa essere questo di sprono per molti altri giovani che hanno qualcosa da dire in merito alle riforme che il Paese si avvia a discutere con i referendum. Il CDC e i Comitati referendari saranno pronti a dare spazio a tutti coloro i quali vorranno unirsi a noi nella lotta in difesa della democrazia.

L’intervento critico sulla riforma costituzionale rivolto alla ministra Boschi da Alessio Grancagnolo, durante un incontro presso l’Università di Catania, viene interrotto dal Rettore quando il ragazzo parla di “tour propagandistici negli atenei” della ministra in vista del referendum costituzionale di ottobre. “Questo incontro non prevede contraddittorio” – replica il Rettore – “chi non gradisce questo format può anche non partecipare”.
L’intervento dello studente critica:
  • l’approvazione della riforma da parte di un parlamento eletto con una legge elettorale dichiarata incostituzionale;
  • l’iniziativa del Governo nel DDL costituzionale;
  • l’accentramento dei poteri nelle mani del Governo a scapito del Parlamento, con un mutamento della forma di Governo e potenziali derive autoritarie;
  • il Senato non elettivo;
  • il confuso processo legislativo previsto dalla riforma;
  • l’assenza di un progetto complessivo di riforma costituzionale;
  • la personalizzazione del dibattito intorno al referendum come un plebiscito sul Governo.
Noi abbiamo deciso di pubblicarlo in versione integrale

Il Paese ha bisogno di piccoli atti di coraggio, a partire dal quotidiano
"Buonasera, sono Alessio Grancagnolo e sono uno studente di Giurisprudenza.
In premessa vorrei dire che negli ultimi giorni molte amiche e molti amici mi hanno caldamente suggerito di rivedere il mio intervento, ritenuto troppo critico, chiedendomi di ammorbidirne i contenuti.
Tuttavia, credo che questo Paese abbia bisogno di piccoli atti di coraggio, a partire dal quotidiano, così ho deciso di non ascoltare consigli che erano certamente dati in buona fede, e il mio intervento sarà esattamente come era stato ideato. Modificarlo avrebbe rappresentato una mancanza di rispetto nei confronti di me stesso e di questo Ateneo, che è luogo di dibattito e critica, fondato sulla libertà di espressione e sulla libera dialettica che auspicabilmente dovrebbe animare per primi proprio i luoghi della cultura e della formazione. Spero, a conclusione del mio intervento, di non essere additato come un vecchio “parruccone”, anche in considerazione della mia età, per riprendere l’espressione che è stata utilizzata negli scorsi mesi per etichettare alcuni critici della vostra riforma da parte di esponenti della maggioranza di Governo. Le critiche che muovo alla riforma costituzionale sono di due ordini: di metodo e di merito.
Sul metodo; prescindendo dalle continue forzature dei Regolamenti parlamentari operate in questa legislatura sulla quasi totalità dei provvedimenti (continue questioni di fiducia, canguri, ghigliottine, sostituzione dei membri della minoranza PD in Commissione, discussione della stessa riforma costituzionale anche in seduta notturna, Costituzione approvata a colpi di maggioranza, velati ricatti al Parlamento di andare a elezioni anticipate in caso di mancata approvazione dei provvedimenti), c’è un elemento che spesso sfugge a molti, e che sta a monte, rappresentando un po’ la madre di tutte le forzature: la sent. n. 1/2014 della Consulta. Il Parlamento della XVII legislatura della Repubblica italiana è stato eletto con una legge elettorale (il celebre Porcellum) che la Corte costituzionale ha giudicato parzialmente illegittima (per l’abnorme premio di maggioranza svincolato da una soglia minima di voti e per l’assenza del voto di preferenza). La Corte non mette in dubbio la legittimità giuridica delle Camere (sebbene qualche costituzionalista obietti che le attuali Camere non possano spingersi fino a una revisione costituzionale). Ma il vero problema è un altro: che legittimità politica ha un Parlamento eletto con una legge incostituzionale? E soprattutto: che legittimità politica ha questo Parlamento di nominati nell’attuare la più grande riforma della Costituzione della storia di questo Paese, che con la modifica di 51 articoli della Carta va ben oltre l’ordinaria amministrazione? La vostra riforma è stata approvata con una maggioranza parlamentare artificialmente costruita, drogata da un premio di maggioranza dichiarato incostituzionale, che ha originato un vulnus di rappresentanza politica.
Sempre sul metodo, un fatto che mi ha lasciato stupito è l’iniziativa governativa nel DDL che porta il suo nome. Non è questione di mera forma, ministra, è questione di sostanza. In Assemblea Costituente Piero Calamandrei ebbe a dire: “Durante la discussione in aula sulla Costituzione, siano vuoti i banchi del Governo”. Il potere esecutivo non dovrebbe avere nessun potere in merito alla revisione costituzionale, materia da sempre considerata di stretta competenza delle Camera, sono inopportune (sebbene giuridicamente legittime) le ingerenze del Governo in tale ambito. La Costituzione non è a disposizione del Governo e della maggioranza di turno. È un patto che si pone a un livello superiore, che fonda la nostra comunità politica, che dovrebbe essere sottratto alle contingenze del momento. Invece il suo Governo ha assunto un ruolo di primo piano in questa riforma presentata alle Camere, e mi perdoni ministra, con un’arroganza inedita nella storia repubblicana.
Passo al merito.
Il combinato disposto tra la legge elettorale nota come “Italicum” e il progetto di revisione costituzionale produce un mutamento surrettizio della nostra forma di governo e persino della forma di Stato. Il nostro ordinamento passerà da una democrazia parlamentare (spesso svuotata di contenuto nella prassi governista degli ultimi decenni) a una democrazia d’investitura (un premierato assoluto secondo la definizione datane da alcuni giuristi). Si tratta di una legge che secondo alcuni rievoca momenti bui della storia del nostro Paese, con inquietanti analogie con la legge Acerbo di epoca fascista. Come se non bastasse, l’Italicum secondo molti non risolve le criticità costituzionali sollevate dalla sent. n. 1/2014: di fatto se nessuna forza politica raggiunge al primo turno il 40% dei voti, al turno di ballottaggio la lista vincente otterrà il premio di maggioranza, senza riguardo dei voti ottenuti alla prima tornata, senza alcuna soglia minima. Peraltro il ballottaggio per l’elezione di un organo rappresentativo costituisce un unicum giuridico nel panorama internazionale, dove il ballottaggio si adotta esclusivamente per gli organi monocratici. In nome della stabilità del governo, si sacrifica la rappresentatività. Il Governo diventa il vero dominus del processo legislativo. Il progetto di riforma costituzionalizza la prassi seguita nella Seconda Repubblica dai Governi, una prassi che si impone anche in altri Paesi: supremazia degli esecutivi sui parlamenti, in sfregio alla natura della democrazia rappresentativa e alla stessa forma di governo, che solo formalmente resterà quella di una repubblica parlamentare. Si costruirà invece una democrazia immediata, fondata sul carisma del leader, in un rapporto diretto tra questi e il popolo: con una siffatta Costituzione sarebbero favoriti regimi personalisti e potenziali derive plebiscitarie. Il Governo, con la legge elettorale, potrà comodamente ottenere maggioranze utili anche per l’elezione degli organi di garanzia, con conseguenze che potrebbero essere devastanti per il nostro ordinamento costituzionale. Trovo assai curioso il fatto che lei vada alla Camera e dichiari che chi ravvede in questa riforma una possibile futura svolta autoritaria abbia le allucinazioni. Evidentemente in questo Paese siamo in molti ad avere le visioni, e mi consolo pensando che sono in buona compagna, con alcuni dei massimi giuristi italiani.
Nel caso in cui passi la riforma, il futuro Senato sarà composto da consiglieri regionali e sindaci eletti con un’elezione di seconda livello, prefigurando una Camera non elettiva, costituita da amministratori locali che acquisteranno tutte le prerogative parlamentari (tra le altre, l’autorizzazione della Camera di appartenenza in caso di arresto o intercettazioni). Il livello locale rappresenta, come anche i recenti episodi di cronaca giudiziaria dimostrano, la dimensione più esposta al malaffare e alla corruzione.
Peccato poi che la legge sia scritta abbastanza male, e a causa di una espressione ambigua nel testo non si capisce che ruolo debbano avere gli elettori nell’elezione dei futuri senatori. Il Consiglio regionale si limiterà a ratificare la scelta compiuta dagli elettori al momento del voto o assisteremo alla lottizzazione delle cariche all’interno dei consigli regionali? Non sarebbe stato meglio abrogare totalmente il Senato, compensandone l’eliminazione con appositi contrappesi, piuttosto che mantenere questo mostro giuridico in vita? L’iter legis con questa riforma diventerebbe molto più complesso rispetto ad oggi. Basta confrontare l’attuale art. 70 della Costituzione, che disciplina il procedimento legislativo, e quello previsto dalla riforma. Ci saranno, in base alla materia trattata, leggi approvate da entrambe le Camere e leggi approvate dalla sola Camera con la possibilità per il Senato di proporre modifiche su cui la Camera si esprimerà in via definitiva. Ne viene fuori un sistema confuso e pasticciato, con ben 9 procedimenti legislativi e un elevato rischio di contenzioso tra le Camere davanti la Corte costituzionale, che avrà presumibilmente l’effetto di rallentare il procedimento legislativo. Riporto un dato oggettivo: il testo vigente dell’art. 70 consta di 9 parole. Il testo dell’art. 70 come riformato dal suo governo conta ben 438 parole! Altro che semplificazione!
L’art. 138 della Costituzione che disciplina il procedimento di revisione costituzionale è stato immaginato dal Costituente, come sottolineato da autorevole dottrina, per interventi puntuali, per operazioni di manutenzione costituzionale, non per la modifica di intere parti della Costituzione (come è già stato fatto in passato, a onor del vero). Il referendum costituzionale in tal modo si trasforma in una sorta di pacchetto: prendere o lasciare il progetto di revisione costituzionale, in blocco, limitando la libertà di scelta dell’elettore.
A me sembra che questa riforma provochi una modifica netta di quella “forma repubblicana” che l’art. 139 della Carta individua come limite assoluto alla revisione costituzione, con effetti al limite dell’eversivo (anche il potere di revisione della Costituzione è un potere costituito, e non costituente). Voi continuate a ripetere che la prima parte della Costituzione non viene modificata. Formalmente è vero, ma sarebbe sciocco pensare che una modifica della seconda parte della Costituzione (quella sull’edificio istituzionale dello Stato) non incida inevitabilmente anche sulla parte dei principi. La Costituzione è un corpo vivo e unitario, e le sue parti vivono in un rapporto osmotico, immaginare una Costituzione a compartimenti stagni è fuorviante e pericoloso. La Costituzione vive di delicati equilibri, di pesi e contrappesi: modificarla senza un progetto lungimirante, ma in forme dettate dall’esigenza di una (in realtà solo immaginaria) rottamazione dell’esistente (magari utilizzando specchietti per le allodole come il taglio dei costi della politica) è assai rischioso. Questa riforma sembra scritta, sulla base degli accordi politici del momento. Questa è una copia anastatica della Costituzione, scritta da personaggi di elevata caratura culturale e morale, che mi consenta ministra, non è neanche lontanamente paragonabile a quella di alcuni esponenti di questa maggioranza. Addossare alla Costituzione tutti i problemi di questo Paese è pura demagogia costituzionale, un’operazione intellettualmente disonesta indice di una classe politica inadeguata ad affrontare le sfide del presente, e bisognosa di trovare un capro espiatorio da accusare come responsabile di ogni male.
E poi, a ottobre, c’è il referendum costituzionale oppositivo (e non confermativo come si continua ad affermare ultimamente). La campagna referendaria è cominciata, come dimostra anche il suo tour propagandistico negli atenei italiani. Il Governo vuole trasformare questa importante consultazione in un plebiscito sul Premier. Credo che questa sia la massima espressione dell’idea di democrazia che questo governo ha dimostrato in questi due anni di mandato. Si tratta, nei fatti, di un voto di fiducia dinnanzi al popolo sulla riforma, che ostacola un autentico dibattito sul merito, puntando invece a personalizzarlo. Come se stessimo parlando di una riforma qualsiasi, e non di una riforma costituzionale che potrebbe riguardare l’assetto istituzionale del nostro Paese per i prossimi decenni. Ormai siamo al populismo costituzionale. Qualche giorno fa lei, con una imbarazzante dichiarazione, ha assimilato chi voterà NO al referendum a Casapound. Mi sembra un indice del nervosismo, o forse della carenza di argomenti di questo Governo. In ogni caso è un’offesa all’intelligenza dei cittadini e un’affermazione piuttosto becera. Le ricordo che con il fronte del NO si è schierata anche l’ANPI, che rappresenta un pezzo importantissimo dell’antifascismo di questo Paese.
Voi continuate a dire che chi si oppone al vostro progetto è un conservatore. Personalmente mi sento offeso da questa definizione. Io credo che dobbiamo interrogarci sul percorso che stiamo imboccando. Se il cambiamento è un regresso, lottare per arrestarlo non equivale a essere conservatori. Io non credo che la Costituzione sia intoccabile e che non debba essere modificata, anzi: alcune modifiche (anche radicali) devono essere fatte, ma penso che debbano andare in una direzione diversa rispetto a quella prevista dalla riforma, verso una valorizzazione del Parlamento come centro del sistema, come organo rappresentativo che è espressione della sovranità popolare. Il fatto che la riforma triplichi il numero di firme necessarie per le proposte di legge di iniziativa popolare, portandole a 150 mila, dimostra quanto questo Governo reputi importante la partecipazione popolare al processo legislativo.
Un’ultima considerazione: nel 2013 un report di JP Morgan, una delle più grandi banche d’affari al mondo, evidenziava come ostacoli alla competitività dei Paesi del meridione europeo le Costituzioni antifasciste, in quanto presenterebbero caratteristiche sgradite e sarebbero troppo influenzate dagli ideali socialisti. Cito testualmente i punti criticati: “esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti; governi centrali deboli nei confronti delle regioni; tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori, e la licenza di protestare se vengono proposte sgradite modifiche dello status quo”. Lo stesso report individua l’Italia dell’allora Governo Letta come laboratorio di quel processo di riforme strutturali necessario al superamento. I mercati e il grande capitale finanziario sembrano ormai dettare l’agenda dei Governi europei, fino a ingerirsi pesantemente nella sovranità costituzionale degli Stati. Lo impone la lex mercatoria, lo esige la tecnofinanza. Nel 2011, la famosa lettera della BCE all’allora governo Berlusconi, oltre a chiedere sciagurate misure di austerità e di compressione dei diritti sociali, puntualmente attuate dai vari governi che si sono fino a oggi succeduti, chiedeva proprio una modifica dell’edificio istituzionale dello Stato. Guarda caso molte delle modifiche costituzionali promosse dal suo Governo vanno in questa direzione. Si tratta solo di una coincidenza? Sa com’è, ministra, non le nascondo che a me qualche dubbio in realtà sia venuto. Non è che forse questa riforma risponde a pressioni, diktat o logiche che poco hanno a che fare con le reali questioni costituzionali del Paese?
A ottobre spero di festeggiare nelle piazze, insieme a moltissime persone, la vittoria del NO al referendum costituzionale e l’affossamento di questa pericolosa riforma. Ma le garantisco una cosa, ministra: se ciò accadrà, non festeggeremo tanto per la caduta del suo Governo – che pure in molti, me compreso, disprezziamo – ma per il futuro della democrazia di questo Paese".
Alessio Grancagnolo

N.B. Questo intervento è stato scritto in occasione dell’incontro degli studenti con la ministra Boschi sulle riforme costituzionali presso l’Università di Catania del 13 maggio 2016. Per esigenze legate al tempo l’intervento è stato riassunto in sede di dibattito, venendo poi interrotto dal Rettore quando parla di “tour propagandistici negli atenei” della ministra in vista del referendum costituzionale di ottobre.

 

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