mercoledì 15 febbraio 2017

Se Renzi vuole una sua Dc noi non ci stiamo


Il socialismo, quando si è combinato con la democrazia, ha saputo sviluppare una critica profonda all'esistente e battersi con efficacia contro le ingiustizie e le disuguaglianze. Nessun socialismo del passato può essere il nostro, ma siamo convinti dell'attualità dei valori e dei principi che hanno ispirato questo movimento.

La nostra "nostalgia di sinistra" ci consente di distinguere la consapevolezza delle sconfitte dalla forza delle nostre radici e su queste radici costruiremo la nuova casa. In questi anni di subordinazione ai valori dominanti del mercato, dell'individuo libero da vincoli e del primato liberista molti hanno taciuto la propria identità, mostrando eccessiva flessibilità e opportunismo nei programmi e nelle alleanze.

Questa reticenza ha generato vuoto e separazione. Un vuoto che è stato riempito dalla solitudine dei leader, dalle macchine elettorali, dai partiti personali e dalla "fraseologia delle svolte". Oggi la Sinistra è divisa e disorientata perché le sue classi dirigenti non sono state coerenti e leali.

La lealtà è un elemento necessario, caratterizza lo spirito di partito e si fonda sulla memoria e sulla pazienza. "I partisan - ha scritto Russell Muirhead - sono i custodi di una memoria condivisa: essi identificano certi eventi del passato come conquiste e stanno insieme per proteggere queste conquiste". I nostri partisan sono feriti e delusi, hanno perso conquiste e memoria, hanno perso il partito. Nuovi partisan non nascono perché non trovano un partito alleato. Ma la democrazia italiana è impensabile senza i partiti e per questo la loro crisi ha trascinato con sé tutto il resto. Noi vogliamo "essere di parte". È il nostro presupposto per "stare insieme".

Noi ci proponiamo per rifondare il partito e la Repubblica. Impediremo che le nostre istanze di parte siano trascurate e nascoste da una politica che è considerata buona solo se rinuncia alle passioni e diventa moderata. Noi vogliamo rispondere alla domanda: "da che parte stai?", "per chi e per cosa lotti?".

Chi ha guidato il partito in questi anni ha invece consentito l'erosione dell'identità della sinistra, con la passività a correnti ideologiche subalterne ai dettami del liberismo; tra essi la riduzione della redistribuzione al principio del trickle-down (lo sgocciolamento dall'alto verso il basso) e l'attacco agli investimenti pubblici.

Complice una costante corsa al centro che ha azzerato le differenze, cominciata con i primi anni Novanta - con le tesi sulla "fine della storia" - e proseguita con la "terza via" a ogni costo e il sostegno ai governi dei tecnici e delle "larghe intese" sotto il cappello dell'austerità. L'evoluzione del Partito Democratico ha seguito questa linea d'erosione. Il cui momento culmine d'elaborazione politico, culturale e programmatico è stato il discorso del Lingotto, a cui è seguito, senza lo stesso respiro ideale e senza visione, il programma del cosiddetto Partito della Nazione, che ha dominato l'ultima campagna referendaria.

La "normalizzazione" moderata ha emarginato la militanza sociale, ha lasciato campo libero a nuovi partiti e ai produttori di nuovi settarismi identitari. Non solo l'egoismo liberista e gli spiriti animali, ma la secessione, il nazionalismo, la difesa della razza, la democrazia diretta, l'odio per i corpi intermedi. La polarizzazione ideologica, negli Stati Uniti come in Europa e in Italia, è stata condotta dalle destre e dai populisti, incuranti della coerenza programmatica e politica ma consapevoli del movente passionale e simbolico della politica.

Un movente che molti hanno voluto a tutti i costi ammansire e reprimere, inseguendo una scala d'interessi definita da circoli sempre più ristretti e privi di legittimazione democratica. Di fatto questo liberismo compassionevole che ha contagiato anche il Partito Democratico ha subito l'agenda della destra economica per poi subire anche quella della destra politica.

È il tempo di ripartire. È ora di scegliere da che parte stare. Ecco, questi sono i temi su cui meriterebbe fare un congresso con tempi adeguati, per riportare il popolo della sinistra ad appassionarsi e partecipare.

Renzi vuole risponderci con una conta di poche settimane, con un plebiscito ancora una volta su se stesso. In questo modo è chiaro il senso politico di ciò che si vuol fare: un partito renziano spostato ancora di più verso il centro, una sorta di nuova Dc a direzione cesarista.

In questo caso il Pd non esiste più e la scissione l'avrebbe provocata e consumata interamente l'attuale segretario. Se così fosse, come lui dice, senza considerarsi avversari, con serenità e favorendo in ogni caso il confronto delle idee non resterebbe che prenderne atto. Di questo e molto altro parleremo sabato 18 febbraio. Ci vediamo al Teatro Vittoria, al Testaccio, dalle 11 in poi.

Enrico Rossi ( http://www.huffingtonpost.it - 15 febbraio 2017)


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