Il socialismo, quando si è combinato con la democrazia, ha saputo
sviluppare una critica profonda all'esistente e battersi con efficacia
contro le ingiustizie e le disuguaglianze. Nessun socialismo del passato
può essere il nostro, ma siamo convinti dell'attualità dei valori e dei
principi che hanno ispirato questo movimento.
La nostra
"nostalgia di sinistra" ci consente di distinguere la consapevolezza
delle sconfitte dalla forza delle nostre radici e su queste radici
costruiremo la nuova casa. In questi anni di subordinazione ai valori
dominanti del mercato, dell'individuo libero da vincoli e del primato
liberista molti hanno taciuto la propria identità, mostrando eccessiva
flessibilità e opportunismo nei programmi e nelle alleanze.
Questa reticenza ha generato vuoto e separazione.
Un vuoto che è stato riempito dalla solitudine dei leader, dalle
macchine elettorali, dai partiti personali e dalla "fraseologia delle
svolte". Oggi la Sinistra è divisa e disorientata perché le sue classi
dirigenti non sono state coerenti e leali.
La lealtà è un
elemento necessario, caratterizza lo spirito di partito e si fonda sulla
memoria e sulla pazienza. "I partisan - ha scritto Russell Muirhead -
sono i custodi di una memoria condivisa: essi identificano certi eventi
del passato come conquiste e stanno insieme per proteggere queste
conquiste". I nostri partisan sono feriti e delusi, hanno perso
conquiste e memoria, hanno perso il partito. Nuovi partisan non nascono
perché non trovano un partito alleato. Ma la democrazia italiana è
impensabile senza i partiti e per questo la loro crisi ha trascinato con
sé tutto il resto. Noi vogliamo "essere di parte". È il nostro
presupposto per "stare insieme".
Noi ci proponiamo per rifondare
il partito e la Repubblica. Impediremo che le nostre istanze di parte
siano trascurate e nascoste da una politica che è considerata buona solo
se rinuncia alle passioni e diventa moderata. Noi vogliamo rispondere
alla domanda: "da che parte stai?", "per chi e per cosa lotti?".
Chi
ha guidato il partito in questi anni ha invece consentito l'erosione
dell'identità della sinistra, con la passività a correnti ideologiche
subalterne ai dettami del liberismo; tra essi la riduzione della
redistribuzione al principio del trickle-down (lo sgocciolamento
dall'alto verso il basso) e l'attacco agli investimenti pubblici.
Complice
una costante corsa al centro che ha azzerato le differenze, cominciata
con i primi anni Novanta - con le tesi sulla "fine della storia" - e
proseguita con la "terza via" a ogni costo e il sostegno ai governi dei
tecnici e delle "larghe intese" sotto il cappello dell'austerità.
L'evoluzione del Partito Democratico ha seguito questa linea d'erosione.
Il cui momento culmine d'elaborazione politico, culturale e
programmatico è stato il discorso del Lingotto,
a cui è seguito, senza lo stesso respiro ideale e senza visione, il
programma del cosiddetto Partito della Nazione, che ha dominato l'ultima
campagna referendaria.
La "normalizzazione" moderata ha
emarginato la militanza sociale, ha lasciato campo libero a nuovi
partiti e ai produttori di nuovi settarismi identitari. Non solo
l'egoismo liberista e gli spiriti animali, ma la secessione, il
nazionalismo, la difesa della razza, la democrazia diretta, l'odio per i
corpi intermedi. La polarizzazione ideologica, negli Stati Uniti come
in Europa e in Italia, è stata condotta dalle destre e dai populisti,
incuranti della coerenza programmatica e politica ma consapevoli del
movente passionale e simbolico della politica.
Un movente che
molti hanno voluto a tutti i costi ammansire e reprimere, inseguendo una
scala d'interessi definita da circoli sempre più ristretti e privi di
legittimazione democratica. Di fatto questo liberismo compassionevole
che ha contagiato anche il Partito Democratico ha subito l'agenda della
destra economica per poi subire anche quella della destra politica.
È il tempo di ripartire. È ora di scegliere da che parte stare. Ecco, questi sono i temi su cui meriterebbe fare un congresso con tempi adeguati, per riportare il popolo della sinistra ad appassionarsi e partecipare.
Renzi vuole risponderci con una conta di poche settimane,
con un plebiscito ancora una volta su se stesso. In questo modo è
chiaro il senso politico di ciò che si vuol fare: un partito renziano
spostato ancora di più verso il centro, una sorta di nuova Dc a
direzione cesarista.
In questo caso il Pd non esiste più e la
scissione l'avrebbe provocata e consumata interamente l'attuale
segretario. Se così fosse, come lui dice, senza considerarsi avversari,
con serenità e favorendo in ogni caso il confronto delle idee non
resterebbe che prenderne atto. Di questo e molto altro parleremo sabato 18 febbraio. Ci vediamo al Teatro Vittoria, al Testaccio, dalle 11 in poi.
Enrico Rossi ( http://www.huffingtonpost.it - 15 febbraio 2017)
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