Chi è del Pd
a Bologna vota Casini e ormai lo sanno
tutti. A Modena vota la Lorenzin e anche
questo è noto. Chi sceglie il M5s a Potenza o
a Pesaro trova Caiata, indagato per
riciclaggio ed espulso, e Cecconi, emarginato in qualità di
caso alfa del caos sui rimborsi. A Pontida – la culla del
leghismo – chi vuole essere fedele al Carroccio e lascia la
sua ics sul simbolo di Alberto da Giussano, contribuisce all’elezione di Maurizio
Lupi, ex fedelissimo alfaniano e perno dei “governi dell’inciucio”
di questi anni. E’ il risultato dei giochi di prestigio del Rosatellum,
il sistema elettorale che regola le elezioni politiche di domenica prossima.
E’ il frutto di illusioni ottiche di una legge che invita a votare un partito e
usa quel voto per dare la preferenza a un candidato che non si vorrebbe e che, al
contrario, invita a scegliere un candidato e usa quel segno sulla scheda per
ingrossare in realtà anche il risultato di una forza politica che non si
sopporta. Il Rosatellum, come
ha sottolineato più volte ilfatto.it anche nei giorni
dell’approvazione, nasconde molti “trucchi” che impediscono una completa
libertà dell’elettore dentro la cabina. Al cittadino resta un modo per
“difendersi”: trasformare il proprio voto, farlo diventare il più
consapevole possibile.
Non basta il fatto
che sulla scheda, per la prima volta dopo molti anni, tornino stampati i nomi
dei candidati. Anche perché, a una settimana dal voto, alzi la mano chi conosce
i candidati che si ritroverà sulla propria scheda. Per
questo l’ex segretario dei Radicali Mario Staderini, da anni
impegnato in difesa dei diritti politici dei cittadini, ha creato e messo
online libertadivoto.it,
una piattaforma che consente di sapere quali sono i candidati di ogni collegio.
“Insieme ai compagni radicali Giuseppe Alterio e Paolo
Breccia – spiega a ilfattoquotidiano.it – abbiamo
voluto offrire un servizio pubblico ai cittadini,
che potranno conoscere i candidati del loro collegio inserendo l’indirizzo di
residenza e scoprire se, per colpa della legge elettorale, per votare il loro
partito al proporzionale saranno costretti a votare anche un candidato
uninominale che loro considerano invotabile“.
Per cominciare si
può ricordare che la legge è un sistema misto, cioè in
parte maggioritario e in parte proporzionale. Ma
non sono quote equivalenti: solo un terzo dei
parlamentari sarà eletto con il criterio maggioritario col
collegio uninominale (dove vince chi ottiene un solo voto in più
dell’avversario), mentre gli altri due terzi di deputati e senatori saranno
presi da listini bloccati con il criterio proporzionale: più la lista prende
voti, più eletti scattano, a partire dal capolista (che ha quasi la certezza di
essere eletto) e a scendere con gli altri (ci sono in tutto da 2 a 4 nomi a
seconda della grandezza dei collegi).
Tutto chiaro? No.
Perché la scelta dell’elettore è obbligata, annodata, intrecciata. Vediamo di
sciogliere il nodo. Primo: scegliendo il candidato dell’uninominale,
il voto è “trasmesso” anche ai partiti che lo sostengono (uno o più di uno).
Secondo: scegliendo il partito, il voto si riflette in automatico anche sul
candidato uninominale. Terzo: non ci sono le preferenze, quindi scegliendo un
partito si prende il listino bloccato così com’è (anzi,
ogni segno in più comporta un rischio di annullamento). Quarto: per la
proprietà transitiva – poiché scegliendo il candidato dell’uninominale si vota
anche il partito che lo sostiene – si contribuisce a votare i candidati nel listino
bloccato del proporzionale. Il male originale è la mancanza
del voto disgiunto: è così che il voto sulla scheda del
Rosatellum nasconde in realtà tre voti diversi, un gioco
di specchi che può portare l’elettore dove non vuole o comunque dove
non immagina.
Tutto chiaro? No.
C’è un’altra regolina che distorce ancora un po’ il voto, nota forse solo agli
addetti ai lavori e agli elettori più attenti. Hanno, infatti, diritto a una
rappresentanza in Parlamento solo le forze politiche che raggiungono il 3 per
cento. Ma gli altri voti non sono tutti uguali: quelli che vanno ai partiti
non coalizzati sono ripartiti tra tutte le liste che superano la
soglia del 3, mentre quelli che vanno ai partiti coalizzati e che superano
l’1 vengono ripartiti solo tra le forze della stessa coalizione.
Facciamola più facile: se Civica Popolare (la
listarella centrista di Beatrice Lorenzin)
supera l’1 ma non il 3, le preferenze andate al suo simbolo vengono
redistribuite tra i partiti che nella coalizione di centrosinistra superano il
3. Cioè, secondo i sondaggi, il Pd e PiùEuropa.
Ancora più chiaramente: un voto agli ex berlusconiani come Lorenzin e Casini finirà
per favorire la radicale Emma Bonino e non serve
sottolineare quanto siano distanti le due posizioni politiche. Vale anche per
il centrodestra: se Noi con l’Italia (soggetto in
gran parte formato da ex democristiani) supera l’1 e non il 3, i suoi voti
saranno redistribuiti alle altre forze della coalizione. Tradotto: i voti
per Cesa, Lupi, Fitto, Quagliariello finiranno
a Salvini. Anche in questo caso un voto “moderato”
andrebbe ad ingrossare idee molto più radicali.
Proviamo a
sciogliere qualche nodo e passare dalla teoria alla pratica.
Primo caso. A Latina
all’uninominale per la Camera è eletta Giorgia Meloni,
che pochi giorni fa ha organizzato una manifestazione “anti-inciucio”. Segnando
il suo nome sulla scheda, il voto sarà ripartito in quota proporzionale anche a
Noi con l’Italia, in gran parte formato da esponenti che hanno
sostenuto i governi di Letta, Renzi e
Gentiloni. Naturalmente la stessa cosa vale per i candidati
all’uninominale della Lega.
Secondo caso. A
Reggio Calabria il centrosinistra (Pd e alleati)
candida all’uninominale del Senato Vincenzo Mario Domenico D’Ascola,
da tutti conosciuto come Nico. Cioè la quintessenza del
berlusconismo, anche se lui ora si dice semplicemente “socialista da sempre”:
eletto parlamentare col Pdl, è stato il legale di Gianpi Tarantini
e di Claudio Scajola e anche socio dello studio di Niccolò
Ghedini. Detto tutto questo: l’elettore che barrerà solo il simbolo
del Pd, contribuirà all’elezione di D’Ascola.
Terzo caso. Ad Alba,
in provincia di Cuneo, il Movimento Cinque Stelle
ha inserito come capolista del listino bloccato per il Senato Carlo
Martelli, uno dei parlamentari che ha nascosto di non aver fatto tutti
i bonifici al fondo per le piccole e medie imprese. E’ stato già messo fuori
dal M5s e lui dice che rinuncerà. In attesa che le parole si trasformino in
fatti, Martelli sarà certamente eletto perché il suo posto è blindatissimo in
un’area del Nord in cui i Cinquestelle peraltro vanno piuttosto bene. Votando
il simbolo del M5s, l’elettore farà eleggere Martelli.
Quarto caso. A Sesto
Fiorentino il candidato all’uninominale del centrosinistra è Roberto
Giachetti. Parlamentare del Pd, è ex radicale nei modi (si
ricorda il suo sciopero della fame per la riforma elettorale) ma anche nei
temi, soprattutto sui diritti civili. E’ suo un ddl per la
legalizzazione della cannabis, su biotestamento e unioni civili si potrà
immaginare come la pensa. Ma nello stesso collegio, votando Giachetti, si dà
forza anche alle liste che lo appoggiano e tra queste c’è anche Civica Popolare
che, nella parte proporzionale, candida al secondo posto del listino Gabriele
Toccafondi, berlusconiano storico poi diventato alfaniano e
soprattutto da sempre ciellino: è contrario alla legalizzazione della cannabis,
al biotestamento e alla legge Cirinnà sulle unioni civili. Chi vota Giachetti
contribuisce alla possibilità che venga eletto anche Toccafondi (remota
solo per i numeri minuscoli di Civica Popolare).
Naturalmente tutti
questi esperimenti valgono anche di più con i cosiddetti “impresentabili“. Roberto
Formigoni, ex presidente della Regione Lombardia, condannato per
corruzione a sei anni, è candidato al Senato come capolista di Noi
con l’Italia in tre circoscrizioni della Lombardia (Milano,
Monza-Brianza e Brescia-Bergamo). Un elettore
di centrodestra che voterà il candidato della parte uninominale dei tre collegi
(Luigi Pagliuca, Stefania Craxi, Adriano Paroli)
non potrà evitare di dare il suo contributo anche al Celeste. Qui una via
d’uscita c’è: basterà votare solo una lista – sempre del centrodestra – che non
è quella di Formigoni (Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia) senza barrare
alcun nome. E in effetti votare il simbolo (come accadeva col Porcellum) è il
consiglio che danno molti leader di partito, da Piero Grasso a
Silvio Berlusconi a Giorgia Meloni.
Ilaria
Mauri e Diego Pretini (Il Fatto Quotidiano - 26 febbraio 2018)