Ma chi vuole davvero questa riforma?
Ritorniamo sul tema della ristrutturazione del credito cooperativo in Italia stabilito dalla legge n°49 dell’8 aprile 2016
per sollecitare una riflessione. Perché da più parti dentro il
movimento cooperativo e tra gli attori in scena si levano voci che
chiedono di congelare l’entrata in vigore della legge per una revisione
sostanziale.
Innanzitutto i tanti Direttori e Presidenti di Bcc per
i quali il riesame della legge non significherebbe tornare indietro ma
sarebbe un tentativo per recuperare il controllo geopolitico dell’Italia
sulle medie e piccole banche riportandole sotto la vigilanza di Banca
d’Italia le cui politiche, talvolta, non hanno collimato con gli
interessi del nostro paese a causa delle non ostacolate imposizioni
europee. E a chi gli fa notare che il controllo di Bankitalia è stato
comunque inefficiente nel prevenire le situazioni di crisi di tante bcc,
la risposta è laconica: la riforma del sistema delle piccole banche in
Italia, dove i casi di crisi sono derivati dai conflitti di interesse e dalle malversazioni di amministratori e sindaci, non ha previsto, come doveva e poteva, un limite più stringente al numero dei mandati
degli amministratori (al massimo 3) che dovrebbe essere invece una
misura decisiva per prevenire nuovi casi di “governatori di lungo corso”
che di fatto si sono “appropriati” della banca diventando gestori
autoreferenziali attraverso le assemblee a voto capitario e portandole
in più casi al dissesto.
Altri scricchiolii si avvertono nelle procedure prodromiche alla entrata in vigore della riforma.
Secondo la legge, infatti, entro il 3 maggio le entità facenti capo
all’ala romana di Iccrea, al polo trentino di CCB e al più piccolo
nucleo di Bolzano avrebbero dovuto presentare la
domanda di costituzione del Gruppo Cooperativo. Lo ha fatto solo la
capogruppo delle BCC altoatesine, che tra l’altro avrebbe dovuto essere
operativa già dal 1 gennaio. Ma la pratica è stata rallentata dalla Banca d’Italia per
le serie difficoltà che si stanno manifestando sui fronti di Cassa
Centrale Banca e soprattutto in Iccrea. Ci si sta rendendo conto che la
riforma rischia di avere ripercussioni maggiori dei problemi che voleva
affrontare. Se nei prossimi mesi Bankitalia autorizzasse “troppo
velocemente” la formazione dei gruppi, potrebbe fare una figuraccia
ulteriore con Bce che dopo gli Asset Quality Review (AQR) potrebbe
richiedere maggiori accantonamenti nel caso in cui le attività stesse
venissero valutate a prezzi inferiori rispetto a quelli iscritti in
bilancio dalle banche. Ne potrebbe conseguire la richiesta di ulteriori
aumenti di capitale. E le Bcc, per statuto, non hanno soci investitori e quindi sarebbe una opportunità per il capitale straniero che volesse penetrare ancora di più nel mercato bancario italiano.
Se invece non autorizzerà, le banche per legge potrebbero perdere addirittura la licenza bancaria.
Al contempo Federcasse (la federazione nazionale
delle Bcc), che intendeva guidare la holding del quarto gruppo bancario
italiano (nel caso in cui non ci sarebbe stata la scissione in 3
gruppi), è ormai priva di ogni ruolo dominante e sta valutando i
considerevoli impatti che la riforma avrà sui livelli occupazionali:
si stimano numerosi esuberi a Roma e in tutte le Federazioni locali, che
sono sul piede di guerra.
Da ultimo si sentono voci anche dall’Antitrust che
vorrebbe imporre delle restrizioni, in termini di cessione di sportelli,
laddove si procedesse a far nascere per aggregazione nei Gruppi
Cooperativi delle entità con rilevanti quote di mercato in alcuni
territori (soprattutto Trentino e Alto Adige)
Cosa fare, dunque, per tentare di invertire la rotta? La scelta
politica più conveniente per il nostro paese sarebbe quella di rivedere
la riforma delle BCC, concedendo loro di salvaguardare la loro
autonomia gestionale quando godono di buona salute e, per i casi di
crisi, utilizzare lo schema di protezione patrimoniale reciproco in uso in altri paesi fra le banche più piccole: il cosiddetto Institutional Protection Scheme.
Questo modello, adottato in Germania, prevede che le piccole e medie
banche non si fondano in un unico gruppo ma si prestino garanzia
reciproca e mutuo soccorso in caso di difficoltà. Ciò consentirebbe di
preservare la preziosa funzione esercitata dalle banche dei territori
come incubatori e sviluppatori di piccole e medie imprese (che sono la fortuna e la caratteristica del nostro paese).
Nel frattempo da oltre 60 giorni non abbiamo un governo e forse stiamo creando valore per il capitale straniero.
Vincenzo Imperatore (Il Fatto Quotidiano, 5 maggio 2018)
Sullo stesso argomento: Iccrea e Ccb, Banca d’Italia in pressing “Conti e governance siano in regola”
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