martedì 21 gennaio 2020

Craxi a venti anni dalla sua morte



In questi giorni è stato ricordato Bettino Craxi a venti anni dalla sua morte. La figura del personaggio tuttora riesce a dividere fazioni contrapposte. C’è chi lo commemora come statista, chi si concentra sulle vicende finali che lo hanno indotto a preferire di lasciare l’Italia. Qualcuno sostiene che l'ultimo periodo di vita lo ha vissutoi come esule, qualche altro come latitante.
Di certo non si arriverà mai a conciliare le due tifoserie, entrambe contrapposte e infarcite da preconcetti e da analisi in ogni caso parziali - o comunque incomplete - su un personaggio che ha vissuto, nel bene e nel male, un particolare periodo storico travagliato della politica italiana.
A dimostrazione di quanto detto, porto ad esempio due articoli, scritti da due penne non secondarie del nostro giornalismo contemporaneo: Massimo Fini (Vi racconto il lato buono di Bettino) e Marco Travaglio (Il bottino di Bettino: ecco la lista delle spese private).
Entrambi raccontano del personaggio, il primo ricordando anche esperienze collegate a una conoscenza diretta, il secondo incentrando il suo editoriale sugli incartamenti giudiziari che l’hanno interessato nel tragico tramonto del suo socialismo col P.S.I.
La cosa interessante è che i due pezzi non si contraddicono affatto, anzi costituiscono due facce di una stessa medaglia. Parlano entrambi dello stesso personaggio, osservadolo da differenti angolature e in fasi temporalmente diverse.
E come spesso accade, entrambe le tesi risulteranno pertanto veritiere, complementari e inconfutabili, poiché nel caso rappresentano particolari momenti delle diverse stagioni del Bettino Craxi uomo e politico.
Come se non bastassero le occasioni per dibattere, anche il regista Gianni Amelio ha voluto affrontare l’argomento con un suo film (Al riguardo rimando alla lettura dell'interessante articolo scritto da Daniele Corsini, che ha il titolo del film "Hammamet"). Amelio, diversificandosi rispetto ai citati giornalisti, ha però dipinto le scene di quei tempi utilizzando tinte dai cromatismi evanescenti, enfatizzando forse eccessivamente solo alcune tessere di un mosaico di vicende complesse e ricche che, per alcuni aspetti almeno, avrebbero necessitato invece l’utilizzo di un arco di colori più deciso e variegato. Un racconto parziale, quindi, e pure romanzato a tratti.
Il tutto dimostra, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che per esprimere un giudizio su un personaggio oggi, come ieri, non basta neanche più la storia. Specie se ci si pone davanti a specifici periodi di soggetti complessi, magari estrapolando esclusivamente aspetti che caratterizzano contingenze di particolari stagioni della loro vita.
In un più recente articolo (25 gennaio u.s.) Massimo Fini ritorna sull'argomento "ora che le beatificazioni, le santificazioni e la contrapposta, inesorabile, damnatio memoriae vanno fatalmente a sfumare" per dire che "I Craxi erano tre" e tracciare le differenti fasi del socialismo craxiano, con un bilancio finale colorato di "nero". L'analisi è condotta da Fini con i consueti metodi che lo contraddistingono e con argomentazioni difficilmente confutabili perchè riferiti a fatti direttamente conosciuti e in parte noti. 
Ciascuno di noi quindi potrà tessere lodi o dire peste e corna del prossimo in funzione delle esperienze dirette o talvolta prendendo per buono il solo sentito dire, basandosi su fatti comunque legati a periodi temporalmente circoscritti e secondo gli umori vissuti da ciascuna parte in causa, osservatore e osservato.
Ma non sarà quella la verità assoluta perché come ha scritto il sommo Pirandello ciascuno di noi è uno, nessuno e centomila e le maschere indossate nell’arco di una vita saranno sempre molteplici per tutti.

 © Essec


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