In questi giorni è stato
ricordato Bettino Craxi a venti anni dalla sua morte. La figura del personaggio
tuttora riesce a dividere fazioni contrapposte. C’è chi lo commemora come
statista, chi si concentra sulle vicende finali che lo hanno indotto a preferire
di lasciare l’Italia. Qualcuno sostiene che l'ultimo periodo di vita lo ha
vissutoi come esule, qualche altro come latitante.
Di certo non si arriverà
mai a conciliare le due tifoserie, entrambe contrapposte e infarcite da
preconcetti e da analisi in ogni caso parziali - o comunque incomplete - su un
personaggio che ha vissuto, nel bene e nel male, un particolare periodo storico
travagliato della politica italiana.
A dimostrazione di quanto
detto, porto ad esempio due articoli, scritti da due penne non secondarie del
nostro giornalismo contemporaneo: Massimo Fini (Vi
racconto il lato buono di Bettino) e Marco Travaglio (Il
bottino di Bettino: ecco la lista delle spese private).
Entrambi raccontano del
personaggio, il primo ricordando anche esperienze collegate a una conoscenza
diretta, il secondo incentrando il suo editoriale sugli incartamenti giudiziari
che l’hanno interessato nel tragico tramonto del suo socialismo col P.S.I.
La cosa interessante è che
i due pezzi non si contraddicono affatto, anzi costituiscono due facce di una
stessa medaglia. Parlano entrambi dello stesso personaggio, osservadolo da
differenti angolature e in fasi temporalmente diverse.
E come spesso accade,
entrambe le tesi risulteranno pertanto veritiere, complementari e
inconfutabili, poiché nel caso rappresentano particolari momenti delle diverse
stagioni del Bettino Craxi uomo e politico.
Come se non bastassero le
occasioni per dibattere, anche il regista Gianni Amelio ha voluto affrontare
l’argomento con un suo film (Al riguardo rimando alla lettura dell'interessante
articolo scritto da Daniele Corsini, che ha il titolo del film "Hammamet").
Amelio, diversificandosi rispetto ai citati giornalisti, ha però dipinto le
scene di quei tempi utilizzando tinte dai cromatismi evanescenti, enfatizzando
forse eccessivamente solo alcune tessere di un mosaico di vicende complesse e
ricche che, per alcuni aspetti almeno, avrebbero necessitato invece l’utilizzo
di un arco di colori più deciso e variegato. Un racconto parziale, quindi, e
pure romanzato a tratti.
Il tutto dimostra, qualora
ce ne fosse ancora bisogno, che per esprimere un giudizio su un personaggio
oggi, come ieri, non basta neanche più la storia. Specie se ci si pone davanti
a specifici periodi di soggetti complessi, magari estrapolando esclusivamente
aspetti che caratterizzano contingenze di particolari stagioni della loro vita.
In un più recente articolo
(25 gennaio u.s.) Massimo Fini ritorna sull'argomento "ora che le
beatificazioni, le santificazioni e la contrapposta, inesorabile, damnatio
memoriae vanno fatalmente a sfumare" per dire che "I
Craxi erano tre" e tracciare le differenti fasi del socialismo
craxiano, con un bilancio finale colorato di "nero". L'analisi è
condotta da Fini con i consueti metodi che lo contraddistingono e con
argomentazioni difficilmente confutabili perchè riferiti a fatti direttamente conosciuti e in parte
noti.
Ciascuno di noi quindi
potrà tessere lodi o dire peste e corna del prossimo in funzione delle
esperienze dirette o talvolta prendendo per buono il solo sentito dire,
basandosi su fatti comunque legati a periodi temporalmente circoscritti e
secondo gli umori vissuti da ciascuna parte in causa, osservatore e osservato.
Ma non sarà quella la
verità assoluta perché come ha scritto il sommo Pirandello ciascuno di noi è
uno, nessuno e centomila e le maschere indossate nell’arco di una vita saranno
sempre molteplici per tutti.
© Essec
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