domenica 26 aprile 2020

Falsa dicotomia



Luciano De Crescenzo è da sempre stato per me un mito, anche per la sua capacità eclettica di aver saputo mixare ironia, frivolezza, complessità e tutti gli altri sali di sapienza e del vivere umano.
I suoi cocktail letterari sono stati antesignani di una saggistica popolare che ha saputo spiegare con parole semplici, comprensibili ai più, pensieri complicati e intrecciati fra teorie di filosofi e periodi storici di riferimento.
Bellavista e i suoi adepti, per il lettore medio, sono stati poi la sublimazione e l’eccellenza della filosofia partenopea, facilmente riscontrabile - e da tutti - nella quotidianità ordinaria.
Attraverso personaggi specifici e caratterizzazioni diverse, con l’arguzia della sua fantasia, Luciano De Crescenzo ha saputo realizzare, prima attraverso la carta stampata, poi con i films e la televisione, dei veri e propri trattati di vita, puntellati da perle di saggezza frutto di studio: letterario, filosofico, antropologico, semantico e chi più ne ha più ne metta.
De Crescenzo è stato però vissuto da molti acculturati come un intruso nel loro mondo, in special modo negli ambienti che si auto identificano con termini elitari indicati fra due virgolette.
Questo cappello mi è utile per contrapporre l’argomento su cui voglio “andare a parare”.
Ogni qualvolta mi sono imbattuto nel leggere dei saggi o dei brevi articoli che avevano a che fare con la filosofia, con la matematica, con l’astronomia e altre materie del genere, confesso che ho trovato non poche difficoltà a seguire dei percorsi logici quasi sempre complessi ai più.
In molti passi, negli scritti, abbondano collegamenti non sempre raccordati in maniera piana in modo da renderli facilmente comprensibili nel significato a tutti.
Capita spesso, infatti, di veder esprimere concetti solo attraverso “codifiche” che individuano certamente complessità studiate o, applicando lo stesso metodo comunicativo, citare solo l’autore per collegarsi in modo sintetico a un più ampio discorso concettuale.
Si tratta però, in questi casi, di un codice interno e comune solo fra gli interlocutori, siano essi scrittore, lettore, intrattenitore in una conferenza, ascoltatori in platea.
Per cercare di spiegare meglio quello che voglio dire, mi rifaccio a quella barzelletta ambientata in un manicomio. Il tizio estraneo che arriva sente declamare a turno dei semplici numeri. Succede che tutti gli altri pazzerelli che alternandosi declamano e ascoltano, a ogni numero scoppiano in fragorose risate. L’ignaro ospite occasionale non riesce a capire quello che succede ma l’accompagnatore gli spiega l’arcano, dicendo che ormai quelli conoscono a memoria tutte le barzellette e le hanno codificate con dei numeri, pertanto ridono in funzione del racconto così codificato. Una sintesi di dialogo in parte efficace, ma che presuppone un linguaggio comune, anche fra matti.
Non tutto però è conforme alla regola. Quindi può capitare e capita, come è accaduto a me in questi giorni seguendo una conferenza di filosofia, di ascoltare il Professor Piero Dominici che, con estrema chiarezza, pur barcamenandosi in tempi molto ristretti su argomenti e per rispondere a domande composite, riusciva a rendersi comprensibile anche ai non addetti ai lavori, attraverso l’applicazione della “filosofia del linguaggio”.
Per inciso, tra le tante interessanti cose dette quello che mi ha colpito di più, anche perché in qualche modo il professore ci ritornava spesso, è stato il ribadire la “falsa dicotomia” sempre presente e quasi dominante anche nell’attualità contemporanea. E qui mi fermo.
Confesso che ho dovuto attingere al web per comprendere il vero significato di quel mantra e, per chi volesse saperne di più, indico allo scopo la pagina di wikipedia che ho consultato e accessibile a tutti:

 © Essec


1 commento:

  1. Per chi volesse ascoltare l'intervento del Prof. Piero Domici lo può trovare registrato su https://www.facebook.com/efilosofie/videos/247975463253390/UzpfSTE0NTY5NzQ3NTQ6MTAyMjE2NzM5MDQ5MDQzNjg/

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