lunedì 27 aprile 2020

"Panelle Calde" si declama quando si propone qualcosa (metaforicamente) di appena cucinato



In risposta allo scritto "Falsa dicotomia" sostanzialmente ispirato al ritorno degli ordini sociali feudali che in qualche modo lentamente si sono ricostituiti, se mai fossero del tutto scomparsi, magari anche attraverso nuove categorie corporative che si identificano con gli stessi metodi esclusivi, ad esempio anche attraverso adozioni di linguaggi "autoctoni" (politico, giuridico, filosofico, finanziario, commerciale, medico, burocratico, etc …), l’amico Pippo a stretto giro di posta mi ha inviato una email, che mi fa piacere condividere.

© Essec

"Prendi fiato nella tua rincorsa alla ricerca di una claritas oggettiva per ogni esposizione: per il sottoscritto “è tempu persu vattiari u turcu”.
Tanto premesso, condivido la simpatia nei confronti di De Crescenzo.
Forse sai che è stato un grande narratore fotografico (v. “La Napoli di Bellavista” edizioni Mondadori).
Il nostro ingegnere, che aveva ottimi studi alle spalle (ti dice niente un mostro della logica matematica come il prof. Renato Caccioppoli?), fondava la semplicità espositiva dei suoi teoremi, logici ed esistenziali, nella grande scuola napoletana di Peppino Marotta che riusciva a far digerire ai suoi “Alunni del sole” le più ardite fantasie di Heidegger e, nel contempo, convincerli che Zeus, minuto più minuto meno, si sarebbe visto dalle parti del Vicolo Scassacocchi. Tanta era la fiducia nell’affabulazione e nell’affabulatore.
Perché poi, le storie, e le logiche in essa sottese, bisogna raccontarle bene: la storiellina da te adoperata va completata.
“Quando il visitatore provò a raccontare la barzelletta citando, proprio lui, “un” numero, i poveri matti non risero affatto, giustificandosi con un “non l’hai saputa raccontare” (bellissimo apologo sul nesso semantico tra significante e significato).
Non capisco l’enfasi posta sulla “falsa dicotomia”.
Nell’arte oratoria come nella sacra eloquenza (materie di studio in seminario e in giurisprudenza) la dicotomia è sempre fallace poiché¨ in astratto, non puoi dividere/racchiudere un’affermazione in due sole prospettive. Ne consegue che nel momento in cui ciò avviene, e limitatamente a quel momento, e nel contesto in cui si sviluppa,  e in funzione di chi ascolta, la dicotomia, strumento retorico-linguistico, è paradossalmente vera e strumentalmente efficace a chiarire i concetti anche più difficili. Pertanto ritengo che se ne possa fare un uso corretto in funzione del raggiungimento di quella claritas come la volevano gli Scolastici (che se ne intendevano).
Per anni ho dovuto, per motivi professionali, leggere, il Sole24Ore e quindi cominciare ad apprezzare il pensiero dell’ottimo Dominici, e trarre giovamento dalle attenzioni da lui rivolte alla sociologia del linguaggio.
L’analisi dei problemi e dei risvolti sociali ad essa connessi non erano, nei suoi scritti, mai un esame del cosiddetto “stato dell’arte” della comunicazione ma la ricerca etica e scientifica  sugli strumenti del linguaggio, dei suoi obiettivi e dei suoi impatti sociali.
Quindi, quando proviamo a definire “le false dicotomie”, talvolta necessarie per semplificare, facciamo solo cronaca; quando proviamo ad interpretare le direzioni di tali falsità  facciamo, quanto meno, una legittima scelta di parte.
Cosa diversa, e mio avviso assai più interessante, è¨ l’antinomia didattica laddove la prescrizione di un comportamento può˛ diventare un dilemma educativo (non parlare con gli sconosciuti, e il bimbo non ascolta l’allarme dello sconosciuto; non uscite di casa, state dentro, attenti alle false notizie e si accettano limitazioni di libertà  e di espressione).
Da dove viene la parola equilibrio? Da latino che traduce uguale e bilancia, due esperienze difficili da allineare. Appunto, difficili,
Ma ci proviamo, anche con le false dicotomie
Pippo Pappalardo


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