venerdì 1 maggio 2020

Ne usciremo cambiati, non migliori.


"Cari amici di Quarantena,
Per la prima volta condivido con voi un (lungo) diario di questi sessantadue giorni che ho postato sul mio profilo.
Ringrazio dal profondo del cuore Carlo per avermi inserito in questo bellissimo gruppo.
Mi siete di enorme conforto.
Non ricordo benissimo quando ho sentito per la prima volta la parola Coronavirus, credo fosse metà gennaio.
Per leggerezza, per superficialità o forse per un'inconsapevole paura, non gli prestai granchè attenzione.
Passavano i giorni, se ne sentiva parlare sempre di più.
Ma era lontano, era in Cina. Io avevo un sacco di nuovi progetti di lavoro, la gestione degli allenamenti dei ragazzi, qualche viaggio da organizzare... era lontano, non aveva importanza.
Ricordo una sera in cui mio figlio Davide, mentre faceva la doccia, di punto in bianco, mi chiese: mamma, ma può arrivare quì?
E io risposi con noncuranza: Davide, che dici? Stai tranquillo! La Cina è lontanissima, gli scienziati faranno qualcosa! Sbrigati e vai a letto!
Ma quella domanda, così improvvisa e innocente, accese una lampadina nella mia testa, come nei film.
Cominciai a leggere su internet...c'erano già un sacco di notizie, dalle previsioni più rosee agli scenari più allarmanti.
Cominciai a chiedere ai miei colleghi, e anche in questo caso c'era chi manifestava preoccupazione e chi mi rassicurava.
Ma ero tranquilla, qualcuno avrebbe fatto qualcosa.
Decisi di leggere solo il sito dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.
Ogni mattina, appena sveglia, vedevo quella mappa: quelle palline rosse che indicavano il numero dei casi, sul blu dello sfondo del sito, mi sembravano allegre, di buon auspicio.
Poi le palline cominciarono a diventare più numerose, e sempre più grandi.
Il giorno in cui è esplosa l'epidemia in Italia ero a Milano. Per la prima volta partivo senza i miei figli, per un viaggio che doveva essere a metà tra una vacanza romantica ed un aggiornamento di lavoro.
Sono uscita dall'Istituto Tumori, dove avevo seguito un congresso, intorno alle sei del pomeriggio e mi sono fiondata al bar per un caffè: lo avevo appena assaggiato quando è partita l'edizione straordinaria di Sky News.
Mi è sembrato, di nuovo, come in un film, come quando si frantuma un vetro, vedi le linee che lo infrangono e cadono i pezzi.
Mi sono chiusa in bagno e ho vomitato.
Non ho mai avuto cosi paura in vita mia: non del virus, cioè anche del virus, ma soprattutto di non poter tornare a casa, di restare bloccata lì, lontana dalla mia famiglia, dalla mia casa, dai miei amici.
Ma riuscii a tornare. E di nuovo rassicurai i miei figli: è ancora lontano, c'è l'Italia in mezzo, faranno qualcosa, qualcuno farà qualcosa.
Ma sembrava inarrestabile, il virus.
Le palline rosse del sito WHO, che prima erano solo sull'Asia, erano su di noi. Sull'Italia.
Sempre più numerose e sempre più grandi.
Arrivò la notizia della turista di Bergamo positiva a Palermo, della chiusura delle scuole, su queste piattaforme abominevoli che sono le chat di classe cominciarono a girare note vocali apocalittiche. Solo una volta intervenni scrivendo: vi prego, atteniamoci ad informazioni ufficiali.
Sono stata offesa pesantemente, in ogni modo possibile.
Intanto i casi aumentavano, il Nord, il Nord del dinamismo, delle industrie, dell'eleganza patinata, sembrava piegarsi sempre di più.
Il Sud guardava attonito, impaurito: come quando dalla battigia vedi da lontano un'onda altissima. Non sai quanto ci vorrà, ma sai che prima o poi arriverà da te.
Il 9 Marzo l'Italia viene dichiarata zona rossa, chiude tutto, ci sono le file nei supermercati.
Le palline del WHO cominciano a spuntare come funghi, sulla Spagna, sulla Francia, sulla Germania, in Africa, sugli Stati Uniti...
Cominciammo a mettere le mascherine sempre, cominciarono a spuntarmi le puntine in faccia, lavavo ossessivamente il viso quando tornavo a casa... ma continuava a riempirsi di brufoletti.
Ed è ancora così.
Cominciarono a chiudere anche le palestre, Davide non poteva nuotare, Daniele non poteva giocare a tennis. Cominciammo a trascorrere i pomeriggi in casa, sembravano interminabili, cominciai a controllarmi ossessivamente, la temperatura, un colpo di tosse, la necessità di soffiare il naso.... potevano essere sintomi? E piangevo, non so più quante lacrime ho versato in questi sessantadue giorni.
Ed è ancora così.
Enrico cominciò a lavorare da casa, il nostro studio si trasformò nel suo ufficio.
Daniele era tranquillo, lo è ancora, forse troppo. Davide un pomeriggio ebbe una crisi di pianto, lui che non piange mai.
Gli dissi che non potevo assicurargli che a noi non sarebbe successo, ma che lo avremmo potuto superare, il virus, perché abbiamo l'enorme fortuna, il privilegio, di essere sani, che dovevamo essere attenti per i più deboli, per gli anziani.
Cominciai a inventarmi cose da fare... i video della Didattica a Distanza, i giochi di società, le lezioni di disco-cucina, l'hashtag di supporto alle città d'Italia.
Intanto i pallini aumentavano, il sito WHO non era più blu, era tutto rosso, termini come Covid-hospital, positivi e negativi, lockdown, distanziamento sociale, DPCM, conferenza stampa, erano sempre più parte del nostro lessico comune.
Non era più epidemia, era pandemia: tutto il mondo stretto nella morsa del virus.
L'accesso in ospedale cominciò ad essere controllato, le sale d'attesa silenziose, le pause caffè con i colleghi annullate, un ingresso solo per il personale.
Cominciarono le videochiamate con gli amici, la sera, per respirare un minimo di normalità.
Un giorno nel centro esatto della quarantena, una mia amica è stata male, molto male: un inferno nell'inferno, non ci potevamo andare, eravamo bloccati.
Si sono inseguite telefonate, chat, messaggi... va meglio, sta bene, il peggio è passato.
E sembrava che tutto potesse migliorare.
Una paziente, un'amica, mi cucì un piccolo arcobaleno da appuntare sul camice.
Ma i pallini del WHO erano sempre più numerosi e sempre più grandi.
Intanto l'inverno scivolava nella primavera.
Arrivava e passava il mio compleanno.
Arrivava e passava la Settimana Santa, senza palme, senza giro per i sepolcri, senza barbecue di Pasquetta.
Due giorni dopo, un altro inferno nell'inferno: un lutto gravissimo colpisce la mia famiglia. Improvviso e inaspettato.
E di nuovo siamo bloccati: non possiamo accompagnare i nostri defunti, non possiamo stare vicini nel dolore, non possiamo confortarci a vicenda, perché c'è il distanziamento sociale.
Ma andiamo avanti, dobbiamo essere forti.
Non ci sono alternative.
Mi arrivano le pubblicità per acquistare le mascherine colorate.
Un'altra amica me ne cuce quattro coloratissime.
Con i professori dei figli si parla per videoconferenza, ed è triste, surreale.
Le amiche che si dovevano sposare non si sposano più.
Comincio ad adattarmi, mia madre impara a farmi il colore, io a passare la piastra nei capelli, forse mi si stanno bruciando le punte, ma di nuovo non ho alternative, imparo a passarmi lo smalto sulle unghie da sola, a farmi la ceretta da sola.
Cominciano a vedersi le immagini della natura che rifiorisce nella Terra in cui l'uomo si ferma.
Un fenicottero per strada a Cagliari, i delfini nel porto di Palermo, le nubi di smog viste dai satelliti sempre più diradate.
Intanto i pallini del WHO sono un pochino meno numerosi, e leggermente più piccoli.
Si comincia a parlare di ripresa, di fase 2, ma di proseguire il distanziamento sociale, di portare le mascherine anche se si va dai parenti.
A me fanno un'impressione da morire, le mascherine, soprattutto al supermercato o per strada... non credo mi abituerò mai.
Oggi per la prima volta il sito del WHO è tornato blu. Non ci sono più i pallini.
Ci sono diverse gradazioni di blu per segnalare il numero di casi per nazioni e per continenti.
Odio il rosso e odio il blu.
Odio le mascherine e il distanziamento sociale.
Odio non vedere il mare da sessantadue giorni.
Odio chi dice che ne usciremo migliori perché non ci credo neanche per un attimo.
Ne usciremo cambiati, non migliori.
Perché l'uomo, nel bene e nel male, dimentica in fretta.
Ne usciremo con la consapevolezza che la privazione della libertà, della normalità, è l'abominio peggiore che ci possano infliggere.
Che siamo enormemente fragili e straordinariamente forti.
Me usciremo con la consapevolezza che non c'è nessuno che può fare qualcosa per te se non lo fai tu per primo.
Buona Liberazione.
Qualsiasi cosa significhi oggi, 25 Aprile 2020."
Simona Merlino
 

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