sabato 23 maggio 2020

Viaggiare nell’onirico per fotografare i sogni


Lorella: “suscitano un grandissimo segno di pace, calma, lentezza …… bellissime”. Patrizia: “Cristian è pieno come un uovo, sensibilità, umanità, sguardo attento, i miei complimenti all'uomo e al fotografo” e anche "c'è un velo di pessimismo come in quasi tutti gli artisti, se non soffrono, non producono”. Daniela: “Una mente sensibile e complessa, ma che produce immagini semplici, capibili ed esteticamente valide! Le foto di Cristian sono introspezioni”. Renzo: “il tuo b/n rende drammaticità all’immagine, ma è anche pura poesia”. Giancarlo: “in questa foto anche le nuvole sembrano onde”. Questi sono solo alcuni dei commenti apparsi in chat durante la serata.

Scrivere fotograficamente di qualcuno che ti è vicino da tempo non è mia abitudine e per tanti motivi. Non ultimo perché, del soggetto a te noto, hai una conoscenza più ampia rispetto a ciò che nell’occasione potrà essere il tema di una presentazione limitata. Circostanza che potrebbe portare a non essere sufficientemente indipendenti e obiettivi in una critica. 
Nel caso di Cristian, voglio però fare un’eccezione e voglio correre i rischi nell'azzardo di ricercare più semplicemente un racconto, anche delle mie impressioni, che mi auguro non deragli troppo rispetto alle intenzioni vere dell’autore e alle sue attese.
Le immagini, oggetto di una sua recente mostra, sono state riproposte ai soci Afa, secondo una sequenza programmata e con commenti illustrativi di supporto, originali e coerenti ai racconti.
I quattro capitoli principali affrontati erano: astratte sensazioni, il paesaggio è uno stato d’animo, la natura evoca sensazioni, osservare l’essenza.
Occorre precisare fin da subito che le foto reggevano da se, in assoluta autonomia, ovvero in una visione priva di didascalie o commenti, isolatamente già riuscivano a trasmettere sensazioni e messaggi.
Probabilmente e quasi certamente, in questo caso, ci sarebbero forse state delle letture differenti e disallineate di parte degli osservatori, ma ciò non avrebbe inficiato in alcun modo i termini sostanziali dei racconti.
Cacciatore ha scelto di introdurre le foto accompagnando la visione con precisazioni e descrizioni atte a manifestare apertamente quelli che volevano essere le sue intenzioni, soffermandosi sulle figure, sulle allegorie, sui suoi minimalismi, sui tagli e sulla scelta della delicata scrittura in bianco e nero.
I toni più decisi nelle fotografie bicromatiche esposte hanno caratterizzato l’inizio e la fine della sua narrazione, nell’intermedio le altre immagini hanno mostrato mondi eterei, ricchi di simbolismi e di intricate soluzioni compositive che tendevano a esaltare i vari concetti, apparentemente accennati ma in verità profondi.
L’appropriato uso delle parole e l’affabulazione complessiva hanno costituito l’amalgama naturale voluto, che ha via via avvolto i singoli scatti, i sogni, le paure, le ossessioni, le nebbie, le metafore, nascoste o evidenti, sempre presentate in modi suggestivi e raffinati, con una pulizia presente in tutte quante le opere.
Un progetto che nel complesso e a mio modo di vedere ha, quindi, fornito non una ma ben due versioni di una stessa mostra. Una prima autonoma, come detto in premessa, che accostava immagini di un variegato portfolio lasciato all'immaginario dell'osservatore, una seconda che andava a completare una narrazione precedentemente scritta, con tessere di un mosaico che venivano posizionate a concretizzare, realizzando visivamente i concetti mano a mano esposti.
L’ottimo lavoro biunivoco ha calamitato l’attenzione di tutti e le ampie argomentazioni di supporto sufficienti, hanno reso pertanto minime le interruzioni o ulteriori domande degli astanti. Il finale è stato come il “the end” di un film gradevole che ti lascia però tanti pensieri dentro, in parte anche inconsci, che lentamente andrai a metabolizzare.
Cristian Cacciatore ha rivelato di saperci fare, sia come fotografo che come intrattenitore. Altre parole sulla bella serata sarebbero alquanto superflue e inopportune. Peccato per chi si è persa l’occasione. Magari potrà recuperare un’altra volta, chissà?
Come mio commento finale, mi piace riportare un brano di una famosa canzone di De Gregori che vuole anche essere un augurio .... “il ragazzo si farà anche se ha le spalle strette, questo altro anno giocherà con la maglia numero sette”.

Buona luce a tutti! 

 © Essec



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