lunedì 14 dicembre 2020

Sbiellare


Sbiellare v. intr. [der. di biella, col pref. s- (nel sign. 4)] (io sbièllo, ecc.). – 1. (aus. essere) Negli sport motoristici, e anche nella tecnica automobilistica, motociclistica, ecc., di un motore alternativo a combustione interna in cui si verifichi accidentalmente la rottura di una o più bielle (per es., per un regime a una frequenza di rotazione superiore a quella massima). 2. (aus. avere) a. Con riferimento al guidatore, provocare o subire la rottura di una biella. b. In senso fig., nell’uso fam. o scherz., perdere il controllo di sé, dei proprî nervi: mi sa che ieri sera tu abbia un po’ sbiellato. (fonte web: Treccani.it/vocabolario)

Negli ultimi tempi in tanti suggeriscono di moderare la grafomania che mi spinge a scrivere prendendo spunto da accadimenti che mi toccano e che inducono a soffermarmi e approfondire alcune cose. In realtà la sindrome che mi pervade devo riconoscerla come vera e nasce dal bisogno di voler fermare su una pagina bianca le impressioni del momento, i pensieri suscitati a caldo dall’accadimento e aiutare a riflettere sulle considerazioni susseguenti.

In una società sempre più concentrata all’individuazione di un colpevole, da ricercare costantemente negli altri, mi sovviene spesso la storia del “Ritratto di Dorian Gray”, ove si narra di uno strano personaggio che, però, costituisce una fotografia perfetta dell’uomo d’ogni tempo.

Un Dorian Gray perennemente bello in pubblico, mentre il suo ritratto dipinto nel quadro occultato in soffitta registra fedelmente ogni segno della sua decadenza, fisica e morale.

Spesso siamo convinti che certe fissazioni siano generate dalle complesse elaborazioni del nostro cervello e che insicurezze personali c’impongano - quasi inconsciamente - d'assumere posizioni di perenne difesa. E' per questo che taluni scelgono, perciò, di esporsi sempre, mettendosi in perenne evidenza, intimoriti dal fatto che mantendosi nell’ombra non alimentino interesse o, anzi peggio,  s'avvalori l’impressione di apparire come dei semplici fessi. 

Spesso, quindi, i maschi come tanti pavoni tendono a sfoggiare la ruota esibendo le variopinte penne colorate; le femmine invece si dipingono, s’imbrattano, mascherandosi, per apparire eternamente belle o quantomeno interessanti agli occhi degli altri. In entrambi casi si cerca di attirare attenzione, per nascondere paure.

Metaforicamente pavoneggiarsi e abbellirsi, nel lessico della comunicazione verbale comporta l’uso di retoriche e utilizzi di parole inusuali, ricercate, modellate agli scopi.

Ammuinare è anche un altro dei modi prescelti e, in questo, c’è anche chi si specializza, come si suole dire, nel girare le frittate. Taluni, per essere convincenti, anzi, denunciano gli altri, additando a colpevole chi talvolta le colpe le ha, invece, subite ….. ma, continuare questo discorso non darebbe spazio per dire altro. Si può solo osservare, che con le frittate ripetutamente capovolte può accadere che, nel lungo abuso, queste si attacchino alla padella, rischiando bruciature e fumo.

E’ pure frequente che dei saggi pacieri si possano affacciare per sanare diatribe e, magari sconoscendo o fraintendendo del tutto il “causa-effetti”, travisino anche le competenze sull’onere della prova; confondendo financo l’esatta individuazione di colui cui spetti fare un’eventuale prima mossa riparatrice.

La buona fede però non ha colpe, specie se frutto di disinformazione, ma i messaggeri poco avveduti si ritrovano spesso - gioco forza - a complicare ulteriormente le questioni.

Ovviamente ciascuno è libero di fare quel che meglio crede, potrebbe tornare utile però agli attori di una qualunque contesa il messaggio del romanzo citato in premessa.

Andare cioè a verificare e a rivedere i segnali desumibili dal proprio ritratto stile “Dorian Gray” che, come ha meravigliosamente narrato Oscar Wilde, teniamo occultato e che raccoglie nelle tracce di un volto rugoso tutto quello che riusciamo a celare in pubblico ma che noi conosciamo assai bene.

Migliorare patologie calcificate però è - e resterà sempre - impossibile e l’onestà intellettuale richiesta che, in ogni caso, appare indispensabile. Per chi intende intraprendere con coscienza la via della guarigione, una qualsiasi terapia sarebbe certamente inutile se si vorrà indagare sulle vere cause nocive sottostanti al proprio problema. Sarà comunque difficile tornare indietro sui propri passi, ancor di più saper riconoscere serenamente i propri errori. Motivo per cui, in un paese di azzeccagarbugli, per la litigiosità insita nell’umano, la professione di avvocato civilista resta un’attività vitale e fra le più fiorenti.

Si può, quindi, concludere con il verso del terzo canto dell'Inferno della  Divina Commedia, dove Virgilio dice a Dante la famosa frase "non ragioniam di lor, ma guarda e passa" e che nella versione d'uso più popolare è stata oggi trasformata ed è nota come: "non ti curar di loro, ma guarda e passa".

 

Buona Luce a tutti!

 

 © Essec

 


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