sabato 15 maggio 2021

Ando Gilardi: "Meglio ladro che fotografo"



“B1” è un personaggio da fumetto che a me piace molto, creato dal pennello dell’amico Antonio che, nel disegnarlo sulle sue piastrelle antiche, lo mostra mentre manifesta frasi e idee di saggezza rivolte ai cittadini; sono punti di vista che in realtà rappresentano i liberi pensieri che passano nella mente di Antonio.
Sono tante le mattonelle con la figura di "B1" da lui realizzate, pure raccontate in un libro, disseminate in molti angoli di vicoli e piazze interne del centro storico di Palermo.
Anche questo è un esempio dei tanti tipi di tasselli usati da molti artisti. Generati come necessità d’esprimersi e comunicare nelle varie forme a loro più consone. Le soluzioni dagli stessi adottate, disegno, pittura, scultura, fotografia, scrittura o altro ancora, sono i mezzi per veicolare dei punti di vista (visioni) che vanno alla ricerca d’incontri, riscontri o bocciature.
Se vai a letto dopo una certa ora, si diceva l’altro giorno col mio amico Pippo, diventa poi complicato prendere subito sonno; tante sono le idee che passano per la mente insonne, che invano si cerca di distrarre dai tanti input e dalle considerazioni innescate da avvenimenti che colpiscono di giorno.
Chi scrive e chi realizza un qualunque genere artistico in verità va sempre alla ricerca di un qualcuno con cui discutere. Chi si ritrova a leggere può raccogliere gli stimoli, ragionarci sopra, per cercare di comprendere il tipo di messaggio, analizzarlo, assimilarlo o elaborarlo con l'aggiunta di un pensiero proprio (personalizzandolo) e renderlo anche autonomo perchè intanto diventato un pò diverso.
Immagino tali azioni d'intellettuali come se fossero dei colpi in un torneo di swash infinito (anche con cambiamenti dei protagonisti), dove ciascun praticante ribatte contro uno stesso muro quell’unica palla che corrisponde al modo di segnalare culturalmente la sua esistenza.
C’è chi colpisce con forza delicata, chi spara bordate con irruenza, chi utilizza contatti liftati, chi cerca di rallentare il ritmo con continui pallonetti. Prestanza fisica ed età aiutano a capire i momenti agonistici, per operare scelte (argomenti) e rapportarsi in relazione a quello che è il proprio bagaglio disponibile.
Ma è regola convenzionale il fatto che la palla - che torna sempre indietro, dopo ogni rimbalzo - occorre rimandarla sempre verso il muro, per perpetuare il gioco; nella speranza di poter partecipare a lungo, di prorogare i tempi di gara e trovare anche nuove soluzioni inseribili fra un colpo e l’altro, nei brevi intervalli che alimentano occasioni.
In qualche modo lo swash è molto simile al tennis; si differenzia, principalmente, perchè chi gioca sta dalla stessa parte ....... del muro. Metaforicamente, quindi, quelli che sono i due contendenti o dialoganti, secondo se l’incontro vuole essere agonistico o solo un modo per tenersi allenati, potrebbero riconoscersi in un'appartenenza univoca (stesso ambito/fazione) ovvero non sarebbero contrapposti in uno schieramento dichiaratamente avverso, in quello che potrebbe essere un campo di gioco di terra rossa, erba, cemento (o alludendo ad altro .... ideologicamente, scegliete voi).
Anche nella mia scrittura spesso s’innescano divertenti giochi di dialogo con lettori/interlocutori amici, che generosamente segnalano refusi, colmano sconoscenze, correggono strafalcioni, mi allargano la visuale in un interscambio paritario e onesto di punti di vista differenti, che alla lunga arricchiscono e in ogni caso tutte le parti, a prescindere dalle potenzialità e dal livello.
Si determina così qualche volta anche un rapporto del tipo “non è mai troppo tardi”, dove il Maestro Manzi che impersona la parte corregge, precisa, insegna, aggiorna, stimola in un incontro che risulta divertente.
Così facendo, nei contonui scambi di notizie e informazioni, un giorno, fra i miei compagni praticanti questa tipologia di swash, due ebbero a segnalarmi, in materia di conoscenze sulla fotografia, la figura di un certo Ando Gilardi.
"Ma come, non conosci Ando Gilardi?" Mi dissero in separate sedi e circostanze entrambi, facendomi quasi apparire la cosa come se fosse per me una grave mancanza, oltre che una lacuna fotografica estrema.
Per avere un’idea e colmare il deficit, provvidi subito all’acquisto di un suo libro pubblicato nel 2007, intitolato “Meglio ladro che fotografo” edito da Bruno Mondadori, il cui sottotitolo è tutto un programma: “Tutto quello che dovreste sapere sulla fotografia ma che preferirete non aver mai saputo”. Ero molto curioso e il titolo intrigava molto.
Chi s’attende “verità vere” dalla lettura di un saggio del genere potrebbe rimanere assai deluso. L’approccio dello scrittore ai vari temi in questo libro è sempre possibilista, costantemente aperto, con un escursus imprevedibile e assai originale. Sostanzialmente, senza giudizi assoluti o preconcetti, induce a inquadrare tutta quanta l’arte - e non solo essa - in spazi molto ampi, mostrandone le tante luci e svelando anche le molte ombre nascoste.
Fondamentale, in argomento fotografia, Gilardi esalta l’avvento dirompente dell'era digitale (gatto) che, a suo dire, avrebbe liberato in fotografia l’analogico intrappolato (topo) da quella che era sempre stata la limitatezza assoluta, legata alla stessa fisicità connessa al tema.
Sostanzialmente per la la pratica che era sin dall'origine in uso, per la fissazione delle tracce in elementi fisici (quali i sali d’argento o altri preparati) indispensabili a fissare l’immagine impressionata. Analogamente a ciò Gilardi viene a rappresentare l'altra vera rivoluzione dei nostri tempi, ovvero l’avvento d’internet e di tutto quello che ad esso è collegato e annesso, che consente di arrivare con assoluta immediatezza a risolvere ogni necessità di conoscenza enciclopedica.
Snocciolando, figurativamente parlando, teorie e punti di vista, certamente molto più compositi e vari rispetto a quanto in genere propongono saggistiche similari, poggianti più di frequente su canoni dati per certi, le disquisizioni di Gilardi sono una raccolta di molteplici punti di vista, di veloce lettura e sempre diretti, deviati in continui cambi intercalati dal termine “cambiamo discorso”.
In ogni caso, anche per Gilardi, come viene affermato in fotografia da molti, le fotografie sono sempre parzialità o interpretazioni del reale e per molti aspetti.
Un libro come questo non può essere in ogni caso raccontato, ma deve essere solo letto per entrare anche nelle logiche e nei ritmi proposti dall’autore.
Lo sviluppo del testo, improntato su un dialogo a due, permette di spaziare con estrema elasticità (un po’ gli scambi nello swash su cui si è dissertato in premessa), per trovare sponde e colpi che consentono d’approfondire per quel che necessita ogni argomento; inquadrando in maniera genialoide le possibili intuizioni, ponendosi in maniera mai statica davanti al solido muro e liberando i colpi ritenuti opportuni in ogni possibile assetto utile al concetto.
Costante che caratterizza lo scrittore, che ha vissuto molte avventure, è anche l’atipicità del personaggio, velatamente nostalgico, dal passato ideologico di una convinta militanza di sinistra. Anche per questo appare diverso, disinibito e assai difforme dal solito parco d’intellettualoidi che spesso si adulano da soli e si mettono talvolta anche in posa.
Gilardi, con le sue domande, le sue risposte veloci e assai ficcanti, affronta moltissime delle tante questioni - e sempre a viso aperto - lasciando trasparire in modo chiaro quello che è il suo pensiero, confortato da tante esperienze e convinzioni.
Sulla religione afferma di accettare l'idea dell’esistenza di un Dio, che potrebbe solo così giustificare la perfidia che si nasconde nelle innumerevoli nefandezze dell'esistenza umana. Perché, come dice lui, solo un Dio potrebbe architettare tutto quello che accade nelle realtà d'ogni giorno.
Brevi accenni richiamano pure i pensieri di filosofi e molte delle loro opere lasciate a noi posteri dalle civiltà antiche. In questa chiave evidenzia pure che la fotografia, concettualmente, esiste da più di duemila anni, se si vanno a leggere gli scritti di Platone che narrano di uomini incatenati in una caverna che avevano modo di contemplare solo le loro ombre, generate dall’unica fonte di luce che proveniva dall’unico accesso all’antro e così via discorrendo ……
Dilungarsi ancora per cercare di rappresentare tutti i contenuti del libro è un'impresa che non potrà mai essere raggiunta. Troppe sono le cose che vengono dette, articolati sono gli spunti e ancor più elevato è il numero le teorie esposte.
Starà al lettore farsi, quindi, una propria idea, qualora si decidesse all’acquisto del volumetto. Mettendo in conto che ogni punto di vista che avrà modo di leggere sarà sempre opinabile e, se del caso, indurrà a tornare a rileggere nuovamente il testo con maggiore attenzione, nel tentativo di capire meglio.

Buona luce a tutti!

© ESSEC

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