mercoledì 29 settembre 2021
Lo specchietto.
Le quindici foto che propongo vogliono, in qualche modo, costituire uno spunto per suggerire un'idea di come si può personalizzare un proprio metodo nell’approcciare a realizzare delle foto di street.
A tal riguardo, mi accingo a raccontare quanto mi è recentemente accaduto a Mazara del Vallo, girovagando senza meta nel centro storico cittadino accompagnandomi con le mie mirrorless.
In premessa e come a tutti noto per gli appassionati di fotografia di strada, ciascuno di noi ha un suo modo di sviluppare una specifica tematica che da subito intravede.
Le tante letture di libri fotografici e le precorse esperienze personali maturate, costituiscono presupposti nel nostro girovagare sul campo, a prescindere dal risultato che si andrà a raggiungere.
Allo scopo di rendere comprensibile quanto detto in premessa, procederò ora ad elaborare un testo che andrà correlato alle foto del collage di fotografie che precedono questo scritto.
All’inizio intravvedo in lontananza un gruppo composto da due persone, gente probabilmente del luogo che si intrattiene nei classici discorsi fra amici.
Uno dei due ha un aspetto particolarmente pittoresco, per la sua lunga e folta barba bianca e i radi capelli, ma il mio sguardo cade subito sullo specchietto del motorino su cui è seduto.
L’immagine riflessa, che lascia intravedere i tratti somatici del personaggio, enfatizza fortemente la figura che consente di dare una specificità al duo.
Il problema è ora quello di approcciare con i soggetti e cercare di verificare la loro eventuale disponibilità a essere fotografati.
Allo scopo utilizzo, quindi, uno zoom che mi consente di operare da lontano, studiando il taglio nel variare tante delle possibili inquadrature.
Provo diverse composizioni, inserendo con costanza e riposizionando nella scena lo specchietto che rimane costantemente al centro della mia idea di foto.
Nel procedere, cerco anche di rendere evidente la mia azione di ripresa, fin quando uno dei tre non si tende conto che li sto fotografando.
Si girano tutti e due: tutto ok.
A questo punto chiedo esplicitamente l’autorizzazione a poterli fotografare. Nessun problema, anzi si dimostrano lusingati.
Quindi mi avvicino gradualmente ai personaggi, tenendo sempre a mente come costante il mio elemento principale: lo specchietto.
Fotografare con uno zoom, peraltro non molto luminoso, certe volte può procurare brutti scherzi, non immediatamente rilevabili e gli errori (mosso o sfocato) in genere si palesano solo in fase di postproduzione.
In ragione dell’idea principale che mi ero da subito proposto di perseguire e convinto che era alla portata un certo risultato, non ho lesinato negli scatti. Ancor di più di quanto il mio dito, solitamente inquieto, riesce a fare pigiando sul pulsante del click.
Per tenermi i soggetti maggiormente disponibili li rendo anche partecipi, facendo visionare loro un primo piano dell’amico barbuto riflesso nello specchietto del motorino: è fatta; posso procedere e andare tranquillamente oltre.
In questi casi, amici che accompagnano nella battuta fotografica intervengono utilmente facendo da spalla; intrattenendo i soggetti, così da distrarne l’attenzione, liberando così il reporter che scatta.
Finito il tutto, un biglietto o un recapito per inviare qualche foto ben riuscita rassicura tutti.
Non sempre però le intuizioni corrispondono ai desiderata, specie in fotografia.
In questo caso la postproduzione non ebbe ad evidenziare errori importanti e l’abbondanza degli scatti ha consentito di collegare le immagini per la creazione di una piccola storia.
Ad ogni modo, come in ogni cosa, tutto è opinabile e i gradimenti rimangono vincolati ai gusti e alle inclinazioni personali.
Alla fine, la sequenza di scatti che mi aveva divertito ha prodotto un risultato che mi ha soddisfatto e le immagini che propongo sono una mia chiave di lettura delle scene e un semplice racconto di quanto accaduto.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
domenica 26 settembre 2021
Massimo Fini: "Il Green pass e Dostoevskij"
Sul Fatto Quotidinao d'ieri Massimo Fini ha pubblicato un articolo (Rilanciato pure nel suo spazio web) certamente da leggere ma che induce a riflettere.
L’obbligatorietà, più o meno nascosta, del Green pass ha sollevato un problema di fondo che, irresoluto, insegue il genere umano dalla sua comparsa: se la libertà (la sicurezza) di tutti, o della maggioranza, abbia diritto di prevalere sulla libertà del singolo o se il singolo abbia il diritto di fare le sue scelte. Sul tema sono intervenuti sul nostro giornale Gad Lerner, autorevole firma del Fatto, e Carlo Freccero, intellettuale di lungo corso. Se dovessi replicare ai due risponderei con le parole che Sancio Panza rivolge a Don Chisciotte: “Mio signore, io purtroppo sono un povero ignorante e del vostro discorso astratto ci ho capito poco o niente”. Sia Lerner che Freccero non resistono infatti alla tentazione di buttarla in politica inserendo argomenti come il referendum di Matteo Renzi, il sovranismo, il futurismo.
Il dilemma è più diretto e allo stesso tempo molto più complesso e si incarna nell’eterno conflitto fra Autorità e Libertà. Risale almeno al Seicento quando si incanala nel duello intellettuale fra Blaise Pascal e Cartesio. Pascal sostiene che non esistono certezze assolute sulla natura umana che è fluttuante nei suoi principi e nei suoi conseguenti costumi, Cartesio, al contrario, fonda il suo ragionare su una certezza opposta: esistono principi universali validi per tutte le genti. Questo dibattito si sviluppò non a caso nel Seicento, e ancor prima con Montaigne nel Cinquecento, all’epoca delle grandi esplorazioni che portarono quello che oggi chiameremmo Occidente a contatto con culture molto diverse dalle nostre. In un famoso capitolo dei ‘Saggi’, Dei Cannibali, Montaigne dice sostanzialmente: certo per noi i cannibali sono loro, ma ai loro occhi i cannibali siamo noi. Sarebbe molto istruttivo riprodurre l’intero capitolo perché è attualissimo da quando la Democrazia, vale a dire l’Illuminismo cartesiano, ha inteso proporsi come valore assoluto e universale. In termini meno antropologici e più politici Flaubert dice: “Ma nessun potere è legittimo, nonostante i loro sempiterni principi. Ma, siccome principio significa origine, bisogna riferirsi sempre a un inizio […] Così il principio del nostro è la sovranità nazionale, intesa in forma parlamentare… Ma in che cosa mai la sovranità nazionale sarebbe più sacra del diritto divino? Sono finzioni, l’una e l’altra”.
Ma se non c’è un principio, un qualsivoglia credo, una ‘roccia’ come la chiama Cartesio, cui ancorarsi, nasce lo straziante grido di Ivan Karamazov: “Se tutto è assurdo, allora tutto è permesso”. Si sarebbe tentati di credere che fra Libertà e Autorità l’uomo scelga istintivamente la prima. Ma non è così. L’uomo ha bisogno dell’Autorità, altrimenti non si capirebbe come mai per millenni, alle volte esplicita più spesso mascherata, sia sempre esistita un’Autorità. Il fatto è, anche se spiace ammetterlo, che l’uomo ha bisogno dell’Autorità perché lo libera dal torturante dilemma della scelta e nello stesso tempo gli lascia un quid inesplorato che lo sciolga dalle certezze dogmatiche. Lo chiarisce splendidamente Dostoevskij nell’apologo del Grande Inquisitore inserito nei ‘Fratelli Karamazov’. Siamo nel Cinquecento, Cristo è tornato sulla terra perché la Chiesa di Paolo ha tradito il suo messaggio libertario. Il Grande Inquisitore, il novantenne cardinale di Siviglia, lo fa mettere immediatamente nelle più profonde segrete della città e gli fa questo discorso: “Oh, ne passeranno ancora dei secoli nel bailamme della libera intelligenza, della scienza umana e dell’antropofagia, poiché, avendo cominciato a edificare la loro torre di Babele senza noi, andranno a finire con l’antropofagia! Ma verrà pure un giorno che la fiera s’appresserà a noi, e si metterà a leccare i nostri piedi , e ad annaffiarli con lacrime di sangue. E noi monteremo sulla fiera e innalzeremo la coppa e su questa sarà scritto: ‘MISTERO!’”. L’antilluminista Dostoevskij coincide dunque da una parte con l’illuminista Cartesio, che fonda la ragione moderna, perché riconosce che l’uomo ha bisogno di una certezza, di una qualsiasi certezza, ma d’altro canto se ne distacca profondamente perché proprio la certezza è ciò che lo uccide (“Amleto, chi lo capisce? È la certezza, non il dubbio che uccide” Nietzsche). Detto in termini più semplici: se io vivo in una stanza (mondo) dove tutto è illuminato, dove conosco anche il più piccolo pulviscolo, che altro mi resta da fare se non tirarmi un colpo di pistola?
Si potrebbe aggiungere con Eraclito che il problema è risolto in quanto irrisolvibile: “tu non troverai i confini dell’Anima, per quanto vada innanzi, tanto profonda è la sua ragione” e aggiunge che “la legge autenticamente ultima ci sfugge, è perennemente al di là e man mano che cerchiamo di avvicinarla appare a una profondità che si fa sempre più lontana”.
Il mediocre problema del Green pass, che in fondo, e in questo sono d’accordo con Freccero, nasce solo dalla paura, un’abbietta paura della morte, sconosciuta in questi termini dalle generazioni che ci hanno preceduto anche solo di una cinquantina d’anni, ha avuto se non altro il merito di togliere il dibattito pubblico, almeno per un po’, dagli infimi temi della politica per portarlo su una questione di fondo. Ma poiché siamo dei nani seduti sulle spalle di giganti non saremo proprio noi ad arrivare là dove non sono arrivati Pascal, Cartesio, Dostoevskij. Ci rimane però il piacere, da non sottovalutare, della dialettica.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 25 Settembre 2021)
martedì 14 settembre 2021
Difficile trovare chi riconosce ad altri eventuali meriti
Talvolta capita - e a me è accaduto ed è capitato di frequente - che in occasione di rilanci di alcuni scritti reputati interessanti da responsabili di portali, venisse fatta una rivisitazione del testo che comportava variazioni anche significative.
Con un mio amico in particolare, il più abituale dei revisori, è anche successo, specie in occasione di cambiamenti che hanno generato arricchimenti linquistici e culturali non di poco conto, di quasi non rivedere più l’articolo originariamente scritto, riproposto come un risultato di smontaggi e riassemblaggi.
In queste circostanze, alla fine, talvolta ero pure portato quasi a disconoscere la paternità di quello che era divenuto il nuovo risultato, anche se, analizzando i singoli spezzoni dell’articolo definitivo, il mio amico riusciva sempre a convincermi e a dimostrarmi sulla legittima paternità.
Ridendo, più di una volta poi concludeva sostenendo che il pezzo alla fine era quasi lo stesso. In verità fatti e cose descritte corrispondevano, immutate, anche se era stato cambiato più di un termine e il tutto risultava impreziosito da qualche erudita citazione, frutto dell'eccellenza dei suoi studi liceali formativi.
Mi va di scrivere tutto questo perché, in un mondo affollato di tanti che si atteggiano a prime donne, è sempre più difficile trovare chi riconosce ad altri eventuali meriti offrendo, peraltro con generosità, aiuti o anche collaborazioni per affinare al meglio le cose: un modo di agire che conclama e rafforza i rapporti di vera amicizia.
In ciò io mi ritengo assai fortunato, per le molte amicizie di cui ho goduto e per quelle nuove che mi circondano ancora. Una cerchia di belle persone che mi gratificano o che sinceramente mi richiamano, a seconda del caso, e che offrono opportunità di confronti costruttivi, offrendo sempre spazio al modo di esprimere le idee o anche le mutevoli impressioni.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
mercoledì 1 settembre 2021
“Na nuci n’on saccu un fa mai scrusciu” (una sola noce chiusa in un sacco non fa mai rumore)
Ogni giorno ci viene proposta dai media un’agenda che più che permettere di capire le problematiche dell’attualità che ci circonda, tendono a distrarre verso finti problemi, magari mettendo al centro pure delle questioni reali ma che risultano abbastanza distanti da ciò che costituisce la vita ordinaria a noi più prossima.
È tutto un circo che si muove, con tanti trapezisti, clown, funanboli, bestie ammaestrate, animali feroci e domatori.
Lo spettacolo è quasi gratuito, basta leggere i giornali, vedere la TV, leggere un articolo, assistere a un talk e ci viene presentata un’informazione precotta, non priva di conservanti e additivi che cercano di spacciare per freschi i prodotti surgelati o temporaneamente congelati per ogni scopo.
Tutti si accalcano per ottenere spettatori e dietro i fornelli delle ristorazioni autoctone, vengono presentati cibi utili ad alimentare obesi, più che atti a sfamare masse bene ammaestrate ad assecondare il consumo.
Ormai è la psicanalisi al centro della scena; ciò che orienta una politica non più governata da ideologie o visioni di società più o meno perfette.
Nell’editoriale di oggi - su “Il fatto quotidiano” – intitolato “Il giuramento di Ipocrita” Marco Travaglio si sofferma sul punto, citando un detto che recita come “l’ipocrisia è la tassa che il vizio paga alla virtù”.
Uno scritto che cerca di nobilitare, in qualche modo e descrivendola, una deriva che interessa l’intero mondo globalizzato, deviato verso interessi che si allontanano sempre più dalla comprensibilità. Focalizzando con ciò sostanzialmente comunità sempre più spinte dall’eterno stupido nazionalismo latente: improduttivo. Che si rivela, talvolta, pure controproducente.
Lo scritto di Travaglio, rivolgendosi all’attualità politica e alla complessità sociale italiana, oltre che a quella più prossima al nostro paese, enuclea le tante evidenti contraddizioni; messe in campo dai tanti attori che calcano le scene.
Il tutto incentranto sulla ipocrisia regnante nel contesto sociale contemporaneo, che caratterizza tutti gli ambiti o ogni versante e fazione.
Protagonisti visibili o occulti, che però condizionano assai fortemente l’informazione e la politica, manipolano a proprio piacimento e convenienza anche la memoria della gente.
Ma, come mi ricorda spesso un caro amico e non solo lui, “na nuci n’on saccu un fa mai scrusciu” (una sola noce chiusa in un sacco non fa mai rumore).
Fake news e notizie inventate, artatamente manovrate da esperti specialisti utili allo scopo, costituiscono gli argomenti dei molti prevenuti e dei tanti tifosi orientati a mantenere le proprie facoltà cerebrali in letargo; come potesse essere solo un optional variabile, attivabile a piacimento, l’eventuale uso del cervello per il cittadino.
Seguendo questa inpostazione, per la società che ci ospita, il meglio è dedicarsi ai tanti diversivi; concentrandosi nella ricerca di soluzione per i tanti problemi (reali o artificiosi) messi in campo e, se all'occorrenza si fosse chiamati, esprimere più semplicemente opinioni basate sul sentito dire. Chi conduce le danze ritiene (e da tempo) che l’approfondimento e il controllo è più consono e appropriato che lo svolgano altri per noi.
Siamo ormai tutti pronti per le prossime amministrative e a seguire l’elezione del nuovo (??) Presidente della Repubblica, navigando a vista istituzionalmente in un “semestre denominato bianco”.
Al cittadino comune rimane oggi solo il compito di sventolare a piacimento la propria bandiera, evitando possibilmente di scendere in piazza per non arrecare disturbi ai manovratori, atteso che - grazie al progresso - ciascuno può ben veicolare sui social con i tanti emoji ogni eventuale malcontento.
Buona luce a tutti!
© ESSEC