martedì 23 novembre 2021

I tanti traguardi che ciascuno ripone nella maratona



Capita di ritrovarsi di pessimo umore, per una serie di accadimenti. In questi casi torna sempre utile cercare di trovare un’occasione, per distrarsi completamente dalla quotidianità temporaneamente non favorevole, e immergersi in qualcosa che possa coinvolgere positivamente.
E allora che c’è di meglio che andare a fotografare una maratona?
Domenica si è disputata per le strade cittadine la 26^ Maratona Città di Palermo, un evento tanto atteso dopo la sosta forzata del 2020 a causa della pandemia Covid 19. Quasi milletrecento atleti hanno invaso il persorso, con i soliti keniani che gareggiano con i loro motori turbo.
Dal 2009, con un variegato gruppo di amici, tutti accomunati dalla forte passione per la fotografia, abbiamo iniziato a documentare le varie fasi della manifestazione, dislocandoci nei vari punti del percorso per cercare di testimoniare un po’ lo spirito e gli splendidi luoghi del circuito di gara.
Ogni volta, secondo le proprie attitudini e caratteristiche, ciascun fotoamatore è sempre riuscito a cogliere gli aspetti particolari e talvolta spettacolari che caratterizzano le capacità atletiche, i momenti di goliardia, le crisi fisiche, le sofferenze per la durezza dello sforzo, le gioiosità anche per aver raggiunto solo il proprio traguardo personalizzato (ognuno ne ha uno proprio).
Ciascun atleta, infatti, ha sempre un suo traguardo personale: sportivo, esistenziale o di cercare di mantenere i suoi standard nel tempo o magari migliorarsi.
C’è anche chi corre per affrancarsi da patologie da cui è fortunatamente uscito o per verificare le sue possibilità di tenuta.
Chi ne avrà voglia potrà trovare testimonianza visiva di quanto detto in molte immagini postate nel blog che curo, sempre alimentato dall’apporto gratuito dei tanti amici fotoamatori che ogni anno continuano ad assicurare la produzione di tante foto.
Una sequenza da me realizzata in questa ultima edizione della Maratona di Palermo e che mi fa piacere proporre all’attenzione, è quella che documenta la felicità sprigionata dopo il suo arrivo dalla maratoneta locale Grazia Maria Paterna.
Dopo aver tagliato la linea del traguardo, Grazia Maria ha scatenato l'immensa gioia che sono riuscito fortunatamente a documentare con una sequenza di immagini (classico e famoso Fattore C). Mi è sfuggito purtroppo lo scatto all’arrivo, che i suoi tanti amici hanno però saputo ben catturare con i loro cellulari (foto in ogni caso visionabile attraverso la pubblicazione nella sua pagina FB).
Non mi dilungo oltre, perché in questo caso può ben dirsi che le immagini non necessitano di didascalie, parlano da sole, esprimendo tutto sull’essenza dello sport amatoriale. Quello sano che fortunatamente ancora resiste.

Buona luce a tutti!

© ESSEC

-- PS – Per chi è curioso e vuol saperne di più sulle vicissitudini che hanno martoriato Grazia Maria, si rimanda a quanto da lei stessa a scritto nella sua pagina di Facebook.

giovedì 18 novembre 2021

Il barbiere Luciano del Quartiere Capo



A chi come me ha la passione della fotografia, capita spesso di percorrere itinerari che, gioco forza, portano a ritrovarsi in luoghi conosciuti e d’imbattersi in persone che a lungo andare creano una certa familiarità empatica.
In una di queste circostanze, una mattina mi sono ritrovato davanti alla bottega di un barbiere del quartiere Capo. Una persona molto gentile e affabile che si è sempre mostrata disponibile per qualche fotografia da scattare al suo salone o per ritrarlo nell’esercizio del suo antico mestiere.
Era diventata consuetudine, nel passare per la sua strada, di dare sempre un’occhiata dietro la vetrata a giorno e salutarlo mentre si ritrovava intento in una barba o in un taglio di capelli.
Una mattina giravo per il quartiere in cerca di qualche scatto di street e, transitandogli davanti, lo ritrovai inattivo, seduto senza la presenza di alcun avventore, mi soffermai per il solito saluto a cui lui rispose con la consueta cortesia e un gentile sorriso.
Un negoziante che si ritrovava vicino, guardando la mia sparuta zazzera che necessitava di una sistemata, disse: “e perché non entra e si fa un bel taglio di capelli?” Ci pensai un attimo e accolsi l’invito.
Il signor Luciano, questo era il suo nome, mi fece accomodare nella prima sedia e mi mise subito a mio agio. Nel sedermi, però, io mantenni fra le mani la mia mirrorless e all’annuncio che avrei fatto qualche scatto durante il taglio non trovai alcuna resistenza.
Fotografare un barbiere da questa prospettiva non è cosa usuale. Per me era diventata l'opportunità per una cosa curiosa, un gioco mai fatto che meritava d’essere provato.
Devo riconoscere che era da molto tempo che non ricevevo un trattamento così professionale. Pochi tagli sicuri con risultati che non manifestavano segni di sbavature. Mi sembrava di essere tornato all’età giovanile, quando ricorrevo alle prestazioni del mio vecchio barbiere di borgata. In quel quarto d’ora mi ero ritrovato a respirare gli stessi odori, si era magicamente ricreata la stessa atmosfera d’allora.
Intanto conversando il signor Luciano mi raccontava il suo vissuto da barbiere, che aveva intrapreso all’età di dieci anni, ovviamente sotto padrone.
Le sue prime esperienze ebbe a svolgerla a quella tenera età innalzandosi su una piccola panca, per poter raggiungere la stessa altezza del cliente assiso. Ma prima, ancora, aveva iniziato con la scopa, rimuovendo dal pavimento i tanti resti di capelli. Poi le varie promozioni, con l’apprendimento delle varie fasi del mestiere e poi venne il giorno per un salone tutto suo.
Ad un cento punto arrivò l’opportunità di un impiego pubblico e si avventurò in un nuovo lavoro impiegatizio. Tanti anni e poi maturò il tempo per andare in pensione.
I tempi duri che stiamo vivendo non consentono una certa agiatezza con una pensione ridotta e il sig. Luciano pensò bene di rilevare il salone che aveva dato in gestione.
Certi mestieri non si dimenticano per nulla e basta poco per rimettersi nuovamente in carreggiata.
L’esperienza e la stima nel quartiere gli consentirono di recuperare parte della clientela che si era dispersa, riuscendo a far rinascere, in una passione mai sopita, il classico mix tra utile e dilettevole.
Intanto che procedeva nel taglio, qualche abituè del salone entrava nel locale. Più che per una barba o per un taglio per farsi compagnia, anche perchè quando si è avanti negli anni occorre sempre trovare un modo per far trascorrere al meglio il tempo.

Buona luce a tutti!

© ESSEC

lunedì 15 novembre 2021

Visitando una mostra di fotografie



Può capitare talvolta di visitare una mostra e, per l’immediata empatia che si viene ad instaurare fra i presenti, si abbia modo di parlare delle opere esposte, nell’ambito di un confronto di idee alimentate dalla partecipazione e dall’ascolto reciproco, cosa che costituisce oggi quasi eccezione in eventi di questo tipo.
Una parola tira l'altra e, nel presentare reciprocamente argomenti più variegati, saltano fuori in taluni dialoganti comunanze professionali o l’incrocio di identiche passioni coltivate.
In breve la fotografia, che era stato dapprima lo spunto per la visita della mostra, si rivela un’occasione per discussioni interessanti, per approfondire conoscenze e farne crescere di nuove.
L’incontro diviene anche l’occasione per verificare la mia sostanziale teorie sull’arte e la cultura in genere, compresa la fotografia, cioè quella di un’associazione multipla di divertimento, stimolo, partecipazione, nuove conoscenze, crescita.
Nell’occasione ho avuto, quindi, la riprova che, volendo, qualunque evento può essere lo spunto per allargare le proprie cognizioni, per recepire nuove visioni dagli ascolti che intrigano, perché liberi e senza pregiudizi, anche se le convinzioni e gli sperimentati modi di operare di ciascuno possono rivelarsi differenti.
Dopo queste mie brevi considerazioni, nel leggere il commento di accompagno alla mostra e scritto da Tiziana Mangia, ritrovo una citazione di Simona Galbiati che recita: “considerare la fotografia come un luogo d’incontro dove le traiettorie temporali e spaziali di diverse persone s’intersecano in un punto: lo spazio-tempo del dialogo, del riconoscimento e della trasformazione”.
Soffermandosi sulle opere esposte, Tiziana Mangia aggiunge, tra l’altro: “le fotografie di Citelli raccontano una realtà multiculturale, stratificata e colorata, dove il passato e il presente si intrecciano raccontando ‘le storie nella storia’".
Le stratificazioni e la multiculturalità sono quelle di cui è ricca la Sicilia d’ieri e di oggi, che la caratterizzano come terra di conquiste dei tanti popoli invasori, che hanno contribuito a formare la sua storia.
Il popolo "shakerato" e frutto di sintesi, che ancor oggi ripropone una miscellanea perpetua d'incontri con le migrazioni moderne; che va, nei tempi più recenti, da quelle dei pescatori tunisini pienamente integrati nel tessuto Mazarese a quelle dei migranti che alimentano flussi etnici provenienti da tante terre più o meno lontane.
Nel fare delle considerazioni sulla produzione di Zino, nella postfazione al suo libro che porta lo stesso titolo della mostra, Serena Marotta, dopo aver citato Henri Cartier-Bresson (“le fotografie possono raggiungere l’eternità attraverso il momento”), scrive a sua volta: “l’arte di fotografare è insieme un’emozione, un battito, un gioco che si impadronisce dell’anima dello spettatore. La fotografia accompagna ogni istante di vita, restituisce i ricordi e ne crea di nuovi.”
Per la cronaca, con i miei amici Salvo e Greg mi ero riproposto più semplicemente di visitare la mostra personale del comune amico Zino; il pomeriggio invece ha visto fluire il tempo velocemente con dialoghi d’interesse comune.
Tornando alla mostra, l’esposizione delle foto risulta allestita in una location molto particolare, immersa nell’atmosfera suggestiva di un luogo che in qualche modo richiama il fascino unico dell’Abbazia di San Galgano.
Il Complesso monumentale dello Spasimo di Palermo rappresenta, peraltro, uno dei siti più suggestivi di Palermo, recuperato dopo un lunghissimo periodo di trascuratezza, grazie alla forte volontà di far rinascere i territori principalmente alimentata dalla “Primavera palermitana”, capitanata dal Sindaco Leoluca Orlando con i suoi proseliti.
Per chi ne ha l’opportunità, costituisce una visita obbligata in occasione di una eventuale gita in Sicilia e se si visita Palermo.

Buona luce a tutti!

© ESSEC

giovedì 4 novembre 2021

"La mia Asia" di Silvana Licciardello



Stamani mi ha sorpreso positivamente l’aver ricevuto il libro realizzato da Silvana.
Avevo assistito alla presentazione che una sera il mitico Pippo, amico comune, ne aveva fatto durante una diretta streaming dell’ACAF in cui ero ospite, ma sfogliare le pagine del libro in prima persona è un’altra cosa.
Oltre alla passione per la fotografia l’impaginato testimonia dell’amore per l’Oriente dell’autrice e scorrendo le pagine consente il riaffiorare di esperienze vissute da chi ha avuto l’opportunità - e la fortuna, aggiungo io – di visitare paesi di un così vasto continente.
Parlando con Lei ho osservato che anche se ASIA è una parola composta da sole quattro lettere, racchiude in sé un universo immenso, variegato e composito.
L’umanità che respiri visitando i luoghi è lontana dal vivere del nostro mondo occidentale, non etichettabile in migliore o peggiore come frettolosamente noi preferiamo classificare, ma semplicemente profondamente diversa.
Un viaggio in qualunque angolo dell’Asia ti consente di staccare la spina da un quotidiano ripetitivo, fissato in orari, scadenze, con preconcetti che vincolano in un mondo spesso preordinato, che si muove entro schemi scarsamente inclusivi.
Girare per le vie dell’Asia è come partecipare automaticamente alla realtà che vivi nel momento, perché gli odori, i rumori, i silenzi, le voci avvolgono e ti accolgono includendoci nel contesto.
L’India, ad esempio, è si shoccante per l’impatto violento che procura, ma dopo qualche giorno ti abitui e quella che appariva come disperazione in alcuni volti vedi che rientra nella normalità di quel contesto. Non intendo con ciò dire che riaffiora il cinismo dell’essere umano (peculiare nell’occidentale), ma che assembli ogni cosa in tutte le realtà del puzzle, ove ogni piccola tessera riesce ad avere una sua collocazione.
Paradossalmente la disperazione di non riuscire a rimediare un pranzo non la trovi in nessun volto. Si è più semplicemente di fronte a civiltà diverse, improntate su culture differenti, anch’esse secolari, sedimentatesi nel tempo. Per descrivere il volume intitolato “La mia Asia” rimangono esaustive le parole con le quali Silvana ha accompagnato il graditissimo regalo e che integralmente riporto.

“La selezione, la sequenza e la stesura finale di questo lavoro sono state realizzate durante il Lockdown 20 21. Le malcelate reazioni di molte persone contro un pericolo ‘proveniente dall’Est, da abominevoli abitudini alimentari e di vita, ecc.’ hanno suscitato in me il desiderio di mostrare come, mettendo in viaggio l’anima e non solo il corpo, si è capaci di riconoscere in Asia una umanità splendida, ricca di valori e di spiritualità, di attenzione e rispetto verso l’Altro e la natura. Penso che sentirsi parte delle culture che hanno molto da insegnare sul senso dell’esistere, capirne le abitudini, i modi di vivere nel passato e nel presente, ma anche le aspirazioni per il futuro, non possono che migliorare la convivenza di tutti in questa terra.”

Non può aggiungersi altro alle parole di Silvana che, oltre a fotografare concettualmente l’argomento, sottolineano l’assoluta attualità delle questioni. Anche riguardo all’ambiente. In questo caso non si è di fronte al solito “bla, bla, bla” denunciato come guanto di sfida da Greta Thumberg ai Grandi della Terra, ma a un’operazione editoriale che rappresenta delle realtà altre, a noi spesso molto lontane, ma che dovrebbero indurci a frenare un po’ per meglio riflettere su esistenzialismo a tutto tondo (inteso anche come una volontà comune e politica di tolleranza per la sopravvivenza).
Il libro, ottimamente confezionato e patrocinato dall’ACAF di Catania, come spesso accade in fotografia è autoprodotto da Silvana Licciardello. Mi ritengo di essere fra i fortunati a possederne una copia con tanto di dedica.

Buona luce a tutti!

© ESSEC

Talvolta capita di dissertare



Talvolta capita di dissertare con soggetti molto eruditi, ma non necessariamente occorre abbattersi solo per il fatto di possedere e poter disporre di un bagaglio culturale assai inferiore.
Si può dissertare tranquillamente mettendo in campo i propri mezzi, sta a chi è posizionato più in alto l’eventuale accortezza di scendere di livello.
In ogni scambio ciascuna delle parti ha sempre modo di trovare quell’oggetto che trova utile o che cercava da tempo, come quando si circola in un mercatino dell’usato e si scoprono oggetti nuovi o vecchi attrezzi di un tempo andato.
Capita così che la mia amica mi segnala un bell’articolo scritto dalla sorella che prende spunto dalla cinematografia (https://joelecinema.blogspot.com/2021/11/ho-scritto-questoarticolo-nel-2016-per.html?m=1) e che la curiosità di leggere ti induca a tue considerazioni.
Partendo dall’attenzione provocata, se un argomento ti intriga, è anche naturale che cominci poi a girarci attorno, per rifletterci sopra e, magari, cercare di formulare un tuo punto di vista.

"Articolo su cui nulla si ha da obiettare.
Nascono però delle considerazioni sul fatto che ogni proposta artistica, letteraria, filmografica e di qualunque genere, incontra le logiche ormai classiche che interessano il “portfolio fotografico”, dove si incontrano inevitabilmente e si completano sostanzialmente due punti di vista complementari.
L’artista propone secondo un suo lessico culturale, l’osservatore lettore vede secondo il suo corrispondente bagaglio. Solo più di un confronto consentono, quindi, il completamento di un quadro verosimile e che, in ogni modo, rimane legato ai contesti culturale dei tempi.
Un messaggio può quindi contenere valori e input connessi, umanamente inossidabili al nostro tempo, ovvero mutevoli che, cioè, fotografano peculiarità momentanee dei vari popoli e civiltà collegate.
Un lettore, in ogni tempo e luogo, completa le parole con quanto l’opera proposta riesce a corrispondergli in base alle sue conoscenze. Solo le favole lievitano su contesti irreali che si nutrono di un fantastico indefinibile.
Ne deriva che qualunque opera si verrà a creare risulterà sempre incompleta per quanto potrà essere contestualmente letto, perché le interpretazioni e le visioni dei messaggi anche figurativi mutano continuamente, per quanto si possano credere …. fisicamente permanenti.”

In ogni caso, dissertare conviene. Nessuno è comunque depositario di verità, ma i diversi punti di vista e l'osservazione da differenti piani, nella maggior parte dei casi aiutano a cercare di capire meglio le cose.

Buona luce a tutti!

© ESSEC

mercoledì 3 novembre 2021

“Come il gambero”, tratto da "Strana vita la mia" edito da Solferino



Nel recente libro autobiografico (edizione Solferino - settembre 2021), ove ripercorre il suo lungo percorso d’impegno politico, Romano Prodi conclude con delle considerazioni sulla democrazia. Si riporta di seguito uno stralcio dell’articolata dissertazione, intitolato “Come il gambero”; dove, con lucido realismo, è fotografata la situazione socio-politica confusa che tutti quanti noi, indipendentemente dall'allocazione geografica, stiamo vivendo.

Buona luce a tutti!

© ESSEC

“Non ci dobbiamo quindi stupire che questo peggioramento del quadro internazionale si sia accompagnato al generale indebolimento della democrazia.
Per un lungo periodo di tempo, a partire dalla seconda guerra mondiale, il trionfo della democrazia sembrava inarrestabile. Io sono cresciuto in questo clima e ho percorso tutto il cammino della mia vita politica convinto dell’ineluttabilità della sua vittoria finale.
Questo perché, proprio sotto la spinta degli Stati Uniti, a cui si sono progressivamente associati i Paesi europei, il numero dei governi nati dal suffragio universale era cresciuto ovunque.
Ogni anno i bollettini delle Nazioni Unite ci informavano della continua ascesa del numero di stati che, in modo più o meno irreprensibile, affidavano il loro futuro al risultato delle elezioni.
Tanto diffusa era questa fiducia che divenne comune opinione che tutti i paesi, a partire dalla Cina, sarebbero entrati nel novero delle nazioni democratiche.
Con il progredire del nuovo secolo questo cammino ha invertito la sua direzione di marcia.
Le guerre spacciate come strumento necessario per esportare la democrazia, l’aumento delle diversità e delle ingiustizie, gli innumerevoli episodi di corruzione politica, il crescente numero dei casi di tirannide della maggioranza, la scarsa qualità della classe dirigente e la trasformazione della competizione politica in lotta personale hanno via via indebolito il fronte democratico in tutto il mondo.
Il desiderio di autoritarismo ha fatto proseliti in ogni direzione: dalle Filippine a numerosi paesi asiatici , dalla Russia alla Turchia fino al Brasile e all’Africa, dove ormai sono quotidiane le tensioni causate da Leader teoricamente democratici che vogliono, invece, rimanere al potere oltre i limiti previsti dalle Costituzioni dei loro Paesi.
A questo si accompagna un crescente degrado delle campagne elettorali, sempre più dominate dalla quantità di denaro e dalla potenza di fuoco che i vecchi e i nuovi media riescono a mobilitare, anche attraverso una esorbitante quantità di risorse finanziarie.
Questo processo di decadenza si è simbolicamente espresso nell’ultima campagna elettorale americana, nella quale il tono dominante è stato la demolizione della personalità del candidato concorrente, a cui si è aggiunta l’insinuazione che il risultato elettorale potesse essere addirittura determinato dal sostegno di potenze straniere.
Si è quindi preparato il clima per cui i verdetti delle elezioni sarebbero stati non credibili, in quanto frutto di comportamenti criminali, non importa se originati in patria o all’estero.
Questa atmosfera così avvelenata, a cui si è aggiunta la ristretta differenza di voti in diversi Stati, ha permesso a Trump di aprire un conflitto che si è perfino materializzato con l’assalto al Congresso.
Un evento che non solo ha spaccato ulteriormente il Paese, ma ha indebolito in tutto il mondo la già declinante fiducia nei confronti del funzionamento della democrazia.
Nonostante tutto sono convinto che la plurisecolare democrazia americana sarà ancora una volta in grado di ricostruirsi ma, quando cerco di allargare lo sguardo a tutto il mondo, sono altrettanto convinto che per evitare un definitivo arretramento, Europa e Stati Uniti devono operare insieme, ma in un rapporto paritario e di reciproca fiducia.”

(tratto da "Strana vita la mia", di Romano Prodi con Marco Ascione edito da Solferino)