giovedì 28 dicembre 2023
“UGO e il costo delle suole: Forse ….. domani piove”
"Per individuare i costi sociali dell'inflazione gli economisti parlano metaforicamente di costo delle suole per indicare il fatto che la gente è costretta, in tempi di aumenti dei prezzi, ad andare più frequentemente a prelevare in banca, con conseguenti scomodità e maggiore consumo delle suole delle scarpe."
Negli ultimi tempi con il mio amico Pasquale, autore della citazione virgolettata posta in premessa, abbiamo preso l’abitudine di andare in giro per la città durante in nostri incontri nella Capitale. Anche questa volta il nostro itinerario era libero, alla ricerca di punti caratteristici romani e a caccia di opere di street art meritevoli di essere fotografate, per un utilizzo successivo nei nostri scritti.
Il percorso irrazionale si muoveva, quindi, lungo grandi linee alla ricerca di curiosità.
Chi nutre analoghe passioni sa bene che, oltre alle periferie, sono diversi i quartieri cittadini dove vigono delle tacite liberatorie per i graffitari e gli artisti in genere desiderosi di lasciare un loro messaggio.
In una precedente passeggiata in comune, ci eravamo pure avventurati nei quartieri vicini a Piazza Tuscolo, che erano stati immortalati nelle scene finali del film “I Soliti Ignoti”. Luoghi allora quasi deserti e dove “Peppe” (alias Vittorio Gasman) si ritrovò casualmente - e a suo malgrado - fagocitato in un gruppo di lavoratori presi a cottimo da dei “caporali del tempo”, in un cantiere edilizio.
Oggi, il nostro girovagare doveva approdare a Torpignattara e l’attraversamento della zona del Pigneto ci aveva quasi casualmente portati nei luoghi dove erano state girate le scene più emblematiche di “Roma Città Aperta”, un film drammatico e di guerra del 1945 diretto da Roberto Rossellini.
In particolare sulla via dove venne girata la famosa sequenza in cui Anna Magnani, mentre tenta d’inseguire il camion che sta deportando via suo compagno, viene sparata dai tedeschi e pietosamente raccolta dal prete, nel film magistralmente interpretato dall’indimenticabile Aldo Fabrizi.
Pasquale, che è anche un appassionato del cinema neorealista italiano, ricordava anche bene le scene del film.
Spingendoci verso via Prenestina era sicuro di avere individuato il posto ma non riusciva a localizzare la chiesa collegata anch’essa alla scena. Nessun problema, perché bastò attendere che passasse una signora dai capelli argentati del luogo per averne conferme e delucidazioni, anche sulla chiesa apparentemente mancante.
Venne fuori che le location, che apparivano limitrofe nel film, erano state assemblate e la chiesa era quella di Sant’Elena, ubicata nella vicina via Casilina. Il successivo sopralluogo e le informazioni ricevute in loco ci fecero pure scoprire che anche parte delle scene erano state girate nel cortile interno e attiguo al luogo di culto.
Per raggiungere la meta prefissata mancava da percorrere un lungo tragitto che andava a sommarsi a quello già fatto da San Giovanni ci aveva portato al Pigneto. Decidemmo pertanto di proseguire lungo la via Casilina, lambendo via del Mandrione e la Tuscolana. Un percorso ad entrambi sconosciuto che intrigava per potenziali sorprese fotografiche, che del resto non mancarono.
Lungo l’acquedotto romano, in alcune parti quasi integro, oltre ad evidenti abusi e discutibili proprietà private, si articolavano passaggi pedonali raccontati e che ora avevamo modo di scoprire.
Ci avventurammo come piccoli boy scout (attempatelli preciserebbe qualcuno) lungo una strada parallela alla ferrovia, ma chiusa da tempo al traffico automobilistico, apparentemente poco raccomandabile ove si erigeva la fermata quasi abbandonata della Stazione Casilina. Continuando nel sottopasso approdammo alla fine alla nostra meta finale.
Se vi capita di passare per Torpignattara in orario di pranzo suggerisco di far tappa da Ugo, titolare de “Il Pomo D’Oro”, un ristorante-pizzeria senza particolari pretese, che consente di respirare a pieni polmoni anche l’aria della caratteristica miscellanea etnica del luogo, che vede coesistere una vasta comunità cosmopolita popolare di Roma.
Entrando nel locale è affisso ben chiaro un cartello indicante la possibilità di poter optare anche per un menù fisso della casa, che nei giorni feriali viene proposto al costo 10 euro (15 nei festivi), comprendente un primo, un secondo con contorno, compresa bevanda e coperto. A questo punto devo pure riportare l'ineccepibile considerazione fatta da Pasquale: "Di questi tempi un bello schiaffo all'inflazione!"
Appena arrivati c’erano pochi avventori, dopo pochi minuti la sala era piena di gente. Per lo più operai e anziani abitudinari che forse fruivano anche di abbonamenti, chissà?
Ugo in sala era affiancato da un collaboratore dinamico come lui. Entrambi indossavano una maglietta nera recante un retroscritto con una frase equivoca: “Forse … domani piove”.
Chiesta la spiegazione il socievole Ugo rispose che l’interpretazione della frase era da intendere come un’opera aperta ……. Un modo di dire che ciascuno avrebbe potuto interpretare come meglio credeva, ma che ogni attore poteva anche recitare a suo piacimento e per gli scopi voluti (costatazione dell'assolutezza del dubbio, quindi anche sfottò o presa in giro e, perché no, pure un modo soft per mandare beatamente qualcuno a quel paese).
Dopo pranzo la passeggiata continuava per verificare se erano sorte altre opere artistiche in zona. Qualcosa di nuovo c’era ….. ma poca roba, il tempo del Covid aveva frenato anche le produzioni dei Graffitari.
In inverno le giornate sono corte, non restava quindi che avviarsi al ritorno. Percorrendo la strada verso via dei Quintili scoprimmo che uno scellerato writer aveva del tutto ricoperto un famosissimo murale di via Anton Ludovico Antinori che era stato realizzato da Alice Pasquini.
Ma gli altri, i murales storici, resistevano bene, anche la bellissima giapponesina protetta dalla solita autovettura che la copre in parte.
Durante il tragitto ebbi modo di individuare anche un famoso murale che si ispirava a Modigliani e che ricercavo da tempo.
Una bella passeggiata salutare di oltre quindici chilometri che a noi "diversamente giovani" poteva fare solo bene.
Anche perché per voler fotografare occorre guardarsi intorno e usurare le scarpe, soprattutto se, inflazione o no e come suole dire "UGO", forse ... domani piove!.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
mercoledì 27 dicembre 2023
Destinazione Garbatella
Raccontare non è sempre un’operazione semplice e farlo con le parole non sempre aiuta. Quanto ci può succedere durante gli accadimenti giornalieri potrà essere sempre descritto compiutamente a mo’ di diario, ma il più delle volte nella narrazione è possibile risultare banali e, quindi, difficilmente in grado di attrarre curiosità o attenzione in chi si prospetta come lettore.
Vi sono spesso imprevedibili combinazioni di piccoli eventi che nei fatti confezionano un racconto interessante. Ad esempio può accadere che alla fermata del trenino Ostia Lido – Roma Piramide, ad un certo punto l’altoparlante informi che la linea rimarrà temporaneamente interrotta e che i passeggeri in attesa vengano invitati a utilizzare i bus navetta accessibili alle fermate della Strada Statale 8 bis, meglio nota come Via Ostiense.
La massa di utenti che staziona in attesa lentamente “trasmigra” verso la nuova fermata, formando un gruppo che da semplici passeggeri silenziosi e anonimi, da metropolitana, si trasforma in cittadini parlanti e colorati che, in veste “transumante”, hanno ora voglia di comunicare le proprie sensazioni e i propri problemi. Per il disservizio insorto si ascoltano i pareri univoci e non certo benevoli sulla inefficienza dei nuovi gestori (Cotral e Astral), subentrati nella gestione delle ferrovie Roma-Lido e Roma-Nord.
A detta di tutti, al di là di treni nuovi, la dilatazione degli orari delle corse hanno reso ancora più complicati gli spostamenti dei molti pendolari, che costituiscono la maggioranza degli utenti. Ed è forse anche per questo che nella maggior parte dei discorsi affiorano vecchie tematiche di una nostalgica sinistra proletaria che, anche se oggi annovera tanti cittadini delusi che alimentano il bacino dei non votanti, rimane fedele ad antichi ideali di solidarietà, che difficilmente si possono sciogliere e ancor meno scomparire.
Il tempo intanto trascorre inesorabile e non si vede passare nessuna delle navette promesse. Alcuni si stanno organizzando chiamando parenti, amici o taxi vicini. Altri decidono di riprendere l’auto che hanno parcheggiato alla fermata del trenino. Tra questi c’è Maestra Esterita appena conosciuta attraverso scambi di frasi quasi in codice; avendo la necessità di non accumulare l’ennesimo ritardo al lavoro, ella decide di raggiungere con l’auto la fermata della linea metropolitana più vicina. Mi propone, quindi, un passaggio che accetto volentieri. La sua automobile è a pochi passi, ma sufficienti a far sì che nel breve tratto altri due soggetti si aggiungano a noi, richiedendo il passaggio che la sorte offre loro.
Tra questi c’è “Maestra Esterita”, appena conosciuta con reciproci scambi di frasi quasi codificanti; lei aveva la necessità di non accumulare l’ennesimo ritardo al lavoro e decideva di provare ad agganciare in autonomia la fermata della linea metropolitana più vicina.
Mi proponeva, quindi, un passaggio che accettavo volentieri. La sua automobile era proprio a pochi passi, ma sufficienti a far sì che altri due soggetti si proponessero per richiedere e ricevere a loro volta un fortunato passaggio.
Il quartetto occasionale risulta rappresentativo di un piccolo spaccato sociale. Dei due imbucati, uno, il più giovane, è da quattro anni impiegato in un supermercato appartenente a una nota catena, l’altra è una donna di origini sudamericane, da sedici anni in Italia, che lavora a Roma e che conosce assai bene le problematiche riguardanti i collegamenti locali.
Io sono l’unico libero d’impegni, che si muove da pensionato turista, con l’obiettivo di recarsi a una mostra fotografica allestita alla Garbatella dal titolo “Confini”. La proprietaria dell’auto, che generosamente si è offerta per i passaggi, è un’insegnante di scuola elementare che rischia l’ennesimo ritardo nella presa di servizio mattutino.
Lasciati i due lungo il percorso, il nuovo problema che si presenta è costituito dal parcheggio. E’ diventato pressoché impossibile per le congestioni improvvisamente insorte, che convogliano verso quel punto i passeggeri rimasti appiedati nelle diverse fermate bloccate nella tratta Ostia-Lido. Unica soluzione per l’insegnante resta quindi quella di raggiungere con l’auto la borgata romana della Garbatella; che peraltro viene a coincidere con la mia meta di quel giorno. Come succede nei casi in cui si sviluppa una spontanea empatia, i pochi minuti dell’ulteriore viaggio sono sufficienti per rapidi confronti. Con scambi d’idee che si focalizzano sulle storie di ciascuno, utili per stabilire la vicinanza in molti interessi e passioni culturali.
Affiorano anche evidenti due filosofie di creatività fattiva, diverse ma, in qualche modo, parallele e in divenire, indefinite e aperte: lei collaudata scrittrice di libri per l’infanzia… io con l’eterno spirito predisposto al culto del sano e imprevedibile “cazzeggio” favorito dalla fotografia.
Attraverso informazioni, assunte successivamente dalle pagine social, emergono anche nuovi dettagli che mettono in luce altre combinazioni. Si vanno, infatti, a collegare a comuni conoscenze e a singolarità che dimostrano ancora una volta come nella vita il mondo reale appaia spesso molto più piccolo di quel che sembra. Ancora una volta sperimento aspetti personali che da sempre rafforzano le mie convinzioni che, a prescindere del giudizio in merito all’esistenza di Dio, ci fanno casualmente imbattere in ciò che non può mai essere razionalmente spiegato.
Questo tipo d’incontri, come quello con Maestra Esterita costituiscono prova della casualità che ci governa nella vita reale e del come una serie infinita di “sliding doors” spesso ci incanalano, decidendo incontri, esperienze, conoscenze, attraverso incroci d’esistenze.
Buona luce a tutti!
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giovedì 7 dicembre 2023
Le immagini che, con il loro immediato linguaggio, veicolano l'attenzione
Ciascuno avrà già sicuramente avuto modo di sperimentarlo. Oramai sono sempre più le immagini che, con il loro immediato linguaggio, veicolano la nostra attenzione.
In questi giorni, girando per le strade di Roma, alla continua ricerca di nuovi scorci e pretesti fotografici, la mia attenzione è rimasta attratta da una pittura, prossima alla street art, che si intravedeva allocata all’interno di una galleria d’arte.
Avvicinandomi per guardare meglio ho notato la presenza anche di altre opere artistiche intriganti che, per i miei gusti estetici, meritavano d’essere documentate.
La titolare dell’atelier artistico non si vedeva, perché intanto impegnata nel ridotto ambiente adiacente, intenta a recuperare una tela da esporre nell’ambiente principale.
Posso fotografare? Chiedo alla vista e ricevendone l’assenso mi sono introdotto per cercare di fissare in pixel i tanti spunti artistici che mi avevano intrigato.
Per l'appunto: le immagini che, con il loro immediato linguaggio, veicolano la nostra attenzione.
Da qui un’empatia spontanea veniva a mescolare fra il fotoamatore e l’artista.
Tanto che oltre a essere invitato a visionare delle altre opere risposte nella saletta adiacente, venivo anche coinvolto nel tentativo di cercare di appendere la tela recuperata, destinata ad essere esposta a bella vista nell’ambiente d’ingresso.
Le poche foto realizzate credo che riescano a supportare questo breve racconto e saranno sufficienti anche a far verificare quanto detto in premessa, ovvero di come le immagini spesso catturano.
Per chi volesse verificare di persona, non resta che passare da Via del Gesù a Roma, per trovare presso la Galleria Borzelli molte interessanti e recenti opere d’arte contemporanea. Per chi è lontano un piccolo slide show consente di avere un'idea su quello che potrù trovare.
Buona luce a tutti!
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Buona luce a tutti!
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martedì 5 dicembre 2023
“Narrazioni diversive”, sottotitolo “Come il complottismo protegge il potere”
Nella genesi di questo articolato saggio, Tobia Savoca indica in suo padre colui che ha acceso in lui la luce e nello zio chi ha innescato l’evoluzione del suo pensiero critico. Lo studio e continui approfondimenti hanno fatto il resto.
Innescando così reazioni a catena volte alla ricerca di verità forse impossibili, in un vortice senza fine che trova un positivo sfogo nell’attività didattico-scientifica in cui si avventura per documentare tante possibili tracce, in una meritevole mission d’indubbio valore divulgativo.
In ogni caso, a prescindere dal livello dottrinale, anche analisi derivanti da assunti popolari (socialmente aggettivate come “dal basso”) presi in esame, forniscono chiavi di lettura sapienti, basate su esperienze culturali consapevoli dei limiti umani.
Emblematico, al riguardo, appare utile osservare anche il diffuso “lapsus froidiano” che viene spesso manifestato dall’attuale classe politica – neoliberista e non soltanto - quando si auto definisce, nel ruolo istituzionale di rappresentanza, come nell’esercizio di un “lavoro” e non già come nel pieno svolgimento di una missione sociale, seppur remunerata nel libero e autonomo nobile esercizio.
Riguardo al complottismo intrinseco, oggetto centrale del saggio di Tobia Savoca, occorre osservare con maggiore attenzione l’assetto sociale contemporaneo, che organizza e accomuna in sette/tribù, lobbie e gruppi vari, dove elementi anche variegati condividono passioni o - più pragmaticamente - si inter-relazionano per mantenere privilegi e scambiandosi favori.
Augusto Cavadi, nella sua recensione, ha efficacemente sintetizzato la “sinapsi sintattica” del saggio, concludendo con questa considerazione: "Il libro di Savoca mi ha evocato l’immagine dei giochi pirotecnici: non fai in tempo a seguire le tracce luminose successive a un primo scoppio in cielo che ciascuna di queste scie esplode a sua volta, diramandosi in tante altre direzioni."
Un libro che affronta questioni d’attualità con analisi articolate che mettono in luce i tanti aspetti correlati negli argomenti trattati. La formazione classica, rafforzata dalle diverse lauree specialistiche, consentono all'autore di diversificare i punti d'osservazione e di mettere in risalto spunti e considerazioni focalizzanti, corroborate da citazioni e pensieri di filosofi e letterati di ogni tempo. Un saggio fitto di concetti e informazioni che merita attenzione.
Oggettivamente, nella lettura delle pagine si vola alto e si atterra per rispiccare nuovamente in volo. Fotografando i tantissimi punti possibili su ogni tipologia di complottismo: sostenitori e negazionisti compresi.
Credo che non si può, anche volendo, aggiungere altro. Per rendersene conto occorrerà procurarsi copia del libro, di poco meno di duecento pagine, dal costo di venti euro e pubblicato da Diogene Multimedia.
Buona luce a tutti!
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domenica 3 dicembre 2023
“Ricordando Ivo’” di Francesco Cito
È morto Ivo Saglietti, 75 anni, premio World press foto nel 1992 nella categoria “Daily life, stories” con un servizio su un'epidemia di colera in Perù, e nel 1999 “menzione d'onore” allo stesso concorso per un reportage sul Kosovo.
Ci sono personaggi che hanno il dono di saper rendere gradevoli anche ricordi che altrimenti potrebbero costituire solo momenti di tristezze.
Con lo scritto riportato di seguito - che ho copiato da Facebook - il Francesco Cito fotografo viene a raccontare a tutti noi il suo amico Ivo.
Un testo che rievoca anche avvenimenti e situazioni belliche di grande attualita' e che sembrano quasi destinati a non trovare mai una fine.
Un ricordo che rappresenta l'intima raccolta di fotografie, composte non di pixel ma fatte di parole, che realizzano un ritratto delicato, ricco di molte tonalita' sottolineate da tanta stima.
Un regalo all'amico scomparso e come lo stesso Cito conclude "come se fotografasse sé stesso"
Buona luce a tutti!
© ESSEC
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"Ricordando Ivo
Se ne andato in punta di piedi questa mattina alle otto, come suo solito, senza rumore, senza un saluto.
È partito per questo ennesimo viaggio, il suo viaggio verso una meta ignota, al di là dei confini conosciuti, ma di cui ha voluto mantenere il segreto, geloso del suo lavoro come sempre guardingo nel raccontare i suoi progetti, di cui anche questo ultimo, il più impegnativo, preparato con cura e in silenzio già da lungo tempo.
Ci eravamo incontrati la prima volta verso gli inizi degli anni 80 nella stazione di Porta Nuova a Torino.
Un incontro casuale, io avevo appena lasciato la redazione di Infinito, il magazine dello Editore Vivalda, che si apprestava a pubblicare il mio Afghanistan. Lui tornava ad Alba dove viveva, anche se il suo mondo era l’America latina, e il suo amore la Cuba di Fidel Castro.
Fu la sua quasi una visione celestiale l’aver visto Fidel mentre attraversava in auto il Malecòn, il lungomare dell’Havana. Questa apparizione solenne del leader di “Hasta la victoria siempre, Patria o muerte”, era tante volte motivo di conversazione tra uno spaghetto carbonara o spaghettino alle cozze di cui andava ghiotto e qualche bicchiere di vino in più, quando si trascorreva il tempo insieme seduti alla mia tavola in via Leoncavallo 17, a Milano.
Io avevo lasciato Londra definitivamente, lui il sud America. Le nostre conversazioni difficilmente vertevano sugli aspetti lavorativi, anche se era ancora il tempo bello della fotografia, quella di reportage, la fotografia tanto ricercata dai giornali e soprattutto dai settimanali, disposti ad investire e inviarci in giro per il mondo.
Ciò nonostante si fantasticava in altri progetti, di cui uno dei quali, aprire un ristorante a Managua nel Nicaragua della guerriglia Sandinista. Un pranzo o una cena a soli due dollari e cinquanta con l’aragosta. Era una sua proposta, conosceva quei luoghi, e la mia obiezione, pratica era: A quei prezzi, quando riusciremo a mettere i soldi da parte per tornare a casa?
Era la nostra un’amicizia sincera, ma anche conflittuale.
Non sempre le nostre idee combaciavano, il suo carattere spigoloso e schivo emergeva quando i contrasti su faccende che il più delle volte e in linea teorica manco ci appartenevano, ci hanno per qualche ragione senza una logica precisa, allontanati l’uno dall’altro. Eravamo entrambi reduci da altre vite e aggiungerei differenti affetti e, forse sono stati questi affetti mancati ad entrambi in forma diversa a renderci troppo uguali.
Erano i tabù delle nostre vite che immancabilmente ci siamo sempre trascinati lungo il percorso delle nostre esistenze. Il nostro guardarci in uno specchio, le nostre immagini riflesse si dissolvevano in un'unica sofferta esistenza.
L’aver perso la madre in giovane età, credo sia stata per lui una ferita insanabile. Era il tabù della vita, il non voler riconoscere noi stessi ad averci allontanati.
Ci siamo rincontrati in Palestina durante uno dei tanti drammi di quella martoriata terra.
Era a Bethlehem con Paolo Pelligrin durante l’assedio alle città palestinesi nel 2002, a seguito della seconda intifada.
Qualche giorno dopo Paolo era altrove e io lui e l’amico di lunga data John Tordai, riuscimmo attraverso i campi, ad entrare a Jenin assediata dell’esercito israeliano. Il campo profughi di Jenin era stato raso a suolo per rappresaglia. Durante i combattimenti fra i miliziani palestinesi e l’esercito di Tzahal, furono uccisi 23 soldati della stella di Davide.
Tempo dopo insieme a Ramallah, per recarci sul luogo dove il carissimo amico Raffaele Ciriello il 13 marzo 2002, fu falciato da sei proiettili di grosso calibro sparati dalla mitragliatrice di un carrarmato e ucciso all’istante. Le autorità israeliane hanno sempre negato l’evidenza anche se la morte di Raffaele fu ripresa in diretta dall’operatore Rai che accompagnava l’inviato Amedeo Ricucci.
Qualche tempo fa Durante il foto Lux di Lucca, al termine di una lunga giornata di incontri, ci siamo ritrovati seduti nella magnifica piazza con sullo sfondo la Chiesa di San Michele.
Un’occasione per ritrovarci e dissipare quei contrasti celati per troppo tempo, e ancora ad Orbetello lo scorso anno, in cui erano esposte le nostre foto “Zone di Conflitto” nello stesso spazio, uno di fronte all’altro.
Mi aveva mostrato altresì le foto del suo progetto sui Balcani.
Guardando le tue foto mi fai ritornare il desiderio di tornare a fotografare fu il mio commento.
Gli si illuminarono gli occhi, credo non si aspettasse da me un simile commento, ma sono convinto che in quel momento sia stato felice nel sentirmi esprimere ciò che veramente credevo e sentivo di dovergli dire.
Non era la mia una gratuita smanceria, era dettato dal cuore nel vedere la bellezza ritratta attraverso i suoi occhi.
Schivo com’era, mi ha sempre tenuto nascosto il suo male, al telefono e ancora pochi giorni addietro mi rispondeva sempre di star bene, ma sapevo che così non era, ero informato del suo dramma, che forse più che la malattia, è stato capire di non poter proseguire nel suo progetto, di non poter più trasmettere quella bellezza da me tanto amata e anche invidiata, anche se voglio credere che il suo viaggio è appena iniziato.
Io lo ricorderò sempre su quell’angolo dove i palestinesi avevano eretto un cippo per ricordare Raffaele Ciriello, il fotografo italiano sgradito ai soldati israeliani e che di quel cippo ne hanno fatto scempio.
Ivo fotografava quel muro ormai annerito e imbrattato, sul quale era impressa indelebile la memoria dell’amico gentile quale era Raffaele, ed è stato in quel momento in cui Ivo apparve ai miei occhi in tutta la sua sofferta umanità.
Era come se fotografasse sé stesso.
Buon viaggio Ivo, con un grande abbraccio Francesco"
Ci sono personaggi che hanno il dono di saper rendere gradevoli anche ricordi che altrimenti potrebbero costituire solo momenti di tristezze.
Con lo scritto riportato di seguito - che ho copiato da Facebook - il Francesco Cito fotografo viene a raccontare a tutti noi il suo amico Ivo.
Un testo che rievoca anche avvenimenti e situazioni belliche di grande attualita' e che sembrano quasi destinati a non trovare mai una fine.
Un ricordo che rappresenta l'intima raccolta di fotografie, composte non di pixel ma fatte di parole, che realizzano un ritratto delicato, ricco di molte tonalita' sottolineate da tanta stima.
Un regalo all'amico scomparso e come lo stesso Cito conclude "come se fotografasse sé stesso"
Buona luce a tutti!
© ESSEC
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"Ricordando Ivo
Se ne andato in punta di piedi questa mattina alle otto, come suo solito, senza rumore, senza un saluto.
È partito per questo ennesimo viaggio, il suo viaggio verso una meta ignota, al di là dei confini conosciuti, ma di cui ha voluto mantenere il segreto, geloso del suo lavoro come sempre guardingo nel raccontare i suoi progetti, di cui anche questo ultimo, il più impegnativo, preparato con cura e in silenzio già da lungo tempo.
Ci eravamo incontrati la prima volta verso gli inizi degli anni 80 nella stazione di Porta Nuova a Torino.
Un incontro casuale, io avevo appena lasciato la redazione di Infinito, il magazine dello Editore Vivalda, che si apprestava a pubblicare il mio Afghanistan. Lui tornava ad Alba dove viveva, anche se il suo mondo era l’America latina, e il suo amore la Cuba di Fidel Castro.
Fu la sua quasi una visione celestiale l’aver visto Fidel mentre attraversava in auto il Malecòn, il lungomare dell’Havana. Questa apparizione solenne del leader di “Hasta la victoria siempre, Patria o muerte”, era tante volte motivo di conversazione tra uno spaghetto carbonara o spaghettino alle cozze di cui andava ghiotto e qualche bicchiere di vino in più, quando si trascorreva il tempo insieme seduti alla mia tavola in via Leoncavallo 17, a Milano.
Io avevo lasciato Londra definitivamente, lui il sud America. Le nostre conversazioni difficilmente vertevano sugli aspetti lavorativi, anche se era ancora il tempo bello della fotografia, quella di reportage, la fotografia tanto ricercata dai giornali e soprattutto dai settimanali, disposti ad investire e inviarci in giro per il mondo.
Ciò nonostante si fantasticava in altri progetti, di cui uno dei quali, aprire un ristorante a Managua nel Nicaragua della guerriglia Sandinista. Un pranzo o una cena a soli due dollari e cinquanta con l’aragosta. Era una sua proposta, conosceva quei luoghi, e la mia obiezione, pratica era: A quei prezzi, quando riusciremo a mettere i soldi da parte per tornare a casa?
Era la nostra un’amicizia sincera, ma anche conflittuale.
Non sempre le nostre idee combaciavano, il suo carattere spigoloso e schivo emergeva quando i contrasti su faccende che il più delle volte e in linea teorica manco ci appartenevano, ci hanno per qualche ragione senza una logica precisa, allontanati l’uno dall’altro. Eravamo entrambi reduci da altre vite e aggiungerei differenti affetti e, forse sono stati questi affetti mancati ad entrambi in forma diversa a renderci troppo uguali.
Erano i tabù delle nostre vite che immancabilmente ci siamo sempre trascinati lungo il percorso delle nostre esistenze. Il nostro guardarci in uno specchio, le nostre immagini riflesse si dissolvevano in un'unica sofferta esistenza.
L’aver perso la madre in giovane età, credo sia stata per lui una ferita insanabile. Era il tabù della vita, il non voler riconoscere noi stessi ad averci allontanati.
Ci siamo rincontrati in Palestina durante uno dei tanti drammi di quella martoriata terra.
Era a Bethlehem con Paolo Pelligrin durante l’assedio alle città palestinesi nel 2002, a seguito della seconda intifada.
Qualche giorno dopo Paolo era altrove e io lui e l’amico di lunga data John Tordai, riuscimmo attraverso i campi, ad entrare a Jenin assediata dell’esercito israeliano. Il campo profughi di Jenin era stato raso a suolo per rappresaglia. Durante i combattimenti fra i miliziani palestinesi e l’esercito di Tzahal, furono uccisi 23 soldati della stella di Davide.
Tempo dopo insieme a Ramallah, per recarci sul luogo dove il carissimo amico Raffaele Ciriello il 13 marzo 2002, fu falciato da sei proiettili di grosso calibro sparati dalla mitragliatrice di un carrarmato e ucciso all’istante. Le autorità israeliane hanno sempre negato l’evidenza anche se la morte di Raffaele fu ripresa in diretta dall’operatore Rai che accompagnava l’inviato Amedeo Ricucci.
Qualche tempo fa Durante il foto Lux di Lucca, al termine di una lunga giornata di incontri, ci siamo ritrovati seduti nella magnifica piazza con sullo sfondo la Chiesa di San Michele.
Un’occasione per ritrovarci e dissipare quei contrasti celati per troppo tempo, e ancora ad Orbetello lo scorso anno, in cui erano esposte le nostre foto “Zone di Conflitto” nello stesso spazio, uno di fronte all’altro.
Mi aveva mostrato altresì le foto del suo progetto sui Balcani.
Guardando le tue foto mi fai ritornare il desiderio di tornare a fotografare fu il mio commento.
Gli si illuminarono gli occhi, credo non si aspettasse da me un simile commento, ma sono convinto che in quel momento sia stato felice nel sentirmi esprimere ciò che veramente credevo e sentivo di dovergli dire.
Non era la mia una gratuita smanceria, era dettato dal cuore nel vedere la bellezza ritratta attraverso i suoi occhi.
Schivo com’era, mi ha sempre tenuto nascosto il suo male, al telefono e ancora pochi giorni addietro mi rispondeva sempre di star bene, ma sapevo che così non era, ero informato del suo dramma, che forse più che la malattia, è stato capire di non poter proseguire nel suo progetto, di non poter più trasmettere quella bellezza da me tanto amata e anche invidiata, anche se voglio credere che il suo viaggio è appena iniziato.
Io lo ricorderò sempre su quell’angolo dove i palestinesi avevano eretto un cippo per ricordare Raffaele Ciriello, il fotografo italiano sgradito ai soldati israeliani e che di quel cippo ne hanno fatto scempio.
Ivo fotografava quel muro ormai annerito e imbrattato, sul quale era impressa indelebile la memoria dell’amico gentile quale era Raffaele, ed è stato in quel momento in cui Ivo apparve ai miei occhi in tutta la sua sofferta umanità.
Era come se fotografasse sé stesso.
Buon viaggio Ivo, con un grande abbraccio Francesco"