Molti di noi scrivono annotando ricordi, nel tentativo di fissare esperienze e sensazioni vissute.
In genere sono scritti veloci che costituiscono appunti destinati a rimanere chiusi nei cassetti, trasformandosi in prodotti liofilizzati suscettibili di rinvenire aggiungendovi anche poca acqua.
Capita, alcune volte, quindi, che discutendo al bar fra amici possano riaffiorare e riprendere luce.
Mi è capitato di recente con Vincenzo, nel parlare di fotografie mai scattate ma che gli erano rimaste impresse nella mente.
Nell’ascoltare il racconto, le descrizioni mi portavano a vedere le immagini. Era la sinossi di un portfolio di fotografie immaginarie.
Una volta convinto Vincenzo si è deciso a mostrare le foto del suo portfolio fotografico virtuale, limitandosi al solo testo che riporto di seguito.
Buona luce a tutti!
© Essec
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“Volgendo il pensiero ai bei momenti passati mi ricordo di un periodo della vita nel quale tutto era più semplice ma niente affatto banale.
Di quel mondo vorrei raccontare di quando, in un altro tempo, in un altro ambiente quasi ancora incontaminato, in compagnia dei miei colleghi di lavoro ci si inerpicava per sentieri di montagna con lo scopo di portare a destinazione i materiali e le attrezzature necessarie per installare ripetitori radio, già alimentati da pannelli solari.
Dopo esserci alzati alle quattro del mattino cominciavamo il nostro viaggio con gli occhi ancora mezzi chiusi. Dopo due ore di autostrada giungevamo all’imbarco.
Lì, dopo aver atteso l’apertura del botteghino per l’acquisto dei biglietti, in un clima da film come ”Nuovo cinema paradiso”, finalmente una prima colazione con i cornetti caldi e poi e un viaggio di altre due ore in mare, sul traghetto.
Si potevano ammirare le isole in lontananza e pesci volanti che di tanto in tanto uscivano dall’acqua per percorrere un lungo tratto di mare in volo, con le pinne a forma di ali spiegate prima di rituffarsi, e anche, con un po’ di fortuna, delfini che correvano giocosi accanto alla nave.
Arrivati a destinazione si scendeva dalla nave e si riprendevano le strade, arrivando fin dove si poteva con il vecchio Land Rover carico di materiale. Quello era il punto dal quale iniziava il nostro sentiero in montagna.
Lo avremmo percorso nei due sensi due o tre volte in una giornata, portando sulle spalle, poggiata sopra una specie di mensola auto costruita, materiali e attrezzi. Talvolta una batteria di automobile, un’altra volta un paio di pannelli solari o tutto ciò che era necessario per costruire una minuscola casetta di lamiera dove all’interno poter montare il ripetitore e le batterie. Sul suo tetto, appunto, i pannelli solari.
Si cominciava a scaricare le attrezzature per poi formare un’improbabile carovana di disperati che, con un generoso peso sulle spalle e un altrettanto generoso sole che cuoceva al punto giusto la pelle e sotto i cappellini, s’impegnava a svolgere il proprio dovere.
Inerpicandosi, lungo il cammino, su tortuosi sentieri, di tanto in tanto capitava di godere di poter aspirare ricche boccate di anidride solforosa trasudata ad arte dal terreno, che il sapiente vento spingeva nelle narici facendoli piegare sulle ginocchia. Flussi che impegnavano in una nauseabonda lotta contro l’asfissia, in un momento nel quale il fisico, sottoposto allo sforzo della salita, richiedeva afflusso di ossigeno puro.
Per non parlare poi di quando presi dalla stanchezza ci si concedeva un momento di relax, sedendosi inesperti su una pietra, non sapendo che la famosa anidride solforosa, combinandosi con il sudore, diventava acido solforico.
Si producevano così squarci sul fondo dei pantaloni, rendendo suscettibili ai diverti-ti commenti dei compagni e dei passanti sul colore delle tue mutande.
Ad onor del vero, anche per un senso di giustizia, devo dire che, visto dall’alto, il panorama mozzafiato delle altre isole, sorvolate dagli uccelli e affogate in un mare turchese era mozzafiato.
In certi punti, il colore del terreno era frutto dei vapori solforosi ricchi di minerale solforoso, che davano sfumature di giallo e arancione ai cristalli che si formavano sulla pietra. Uno spettacolo che ripagava ampiamente di tutti gli sforzi e disagi.
Finalmente, arrivati in cima, dopo l’ultimo tragitto ci concedevamo della frutta fresca e qualcosa di leggero da mangiare.
Poi si cominciava la costruzione mettendo insieme le lamiere della casetta con i “rivetti” e l’applicazione di una verniciatura protettiva con una speciale resina fatta apposta per resistere ai vapori corrosivi. Seguivano l’installazione delle batterie, del ripetitore, dei supporti per i pannelli solari e infine anche quelli conclusivi connessi al cablaggio elettrico e all’installazione dell’antenna.
Terminati i lavori d’installazione, ci si concedeva una sosta per riprendere energie: altro sguardo al meraviglioso panorama. In seguito le prove di collaudo per verifica-re il funzionamento.
Si finiva che era già sera e si ridiscendeva tutti stanchi ma soddisfatti del lavoro completato che era andato a buon fine. Questo significava, scusatemi se era poco, non dover risalire ancora l’indomani.
Finalmente dopo una toccata e fuga in hotel per ripulirsi ci si poteva ritrovare nel miglior ristorante dell’isola, per una succulenta cena a base di pesce fresco. Seguiva un bicchierino e magari qualche partita a bigliardino e tantissime risate tra colleghi amici per poi, a tarda notte, concludere il meritato riposo.
Erano altri tempi avevamo, avevamo un’altra età. Tutto era più semplice e a portata di mano.
Ora, come capita a ciascuno di noi, restano solo dei bei ricordi, che ci portano a pensare che il passato era migliore.
Di certo pure i nostri antenati, nel loro tempo, avranno pensato la stessa cosa e an-che quelli che verranno la penseranno perché non è il passato che è migliore: sono i nostri ricordi .......... e le fotografie mai scattate che rimangono impresse nella nostra mente.
© Vincenzo Pace.”
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