Ci sono tre ragioni, a mio parere, per cui il sistema, cioè
quell'insieme di equilibri di potere che si erge in questo momento a
garante della stabilità italiana, pensa che sia necessario "salvare"
dalla condanna Silvio Berlusconi.
1) Silvio Berlusconi non è Bettino Craxi. Il leader socialista
era un prodotto tutto interno alla politica. Craxi aveva molte doti
necessarie a capire come muovere il sistema, ma poca "piazza". E
soprattutto poco "retroterra". Il suo era un partito che faceva da vaso
di coccio tra i vasi di ferro di due organizzazioni inchiavardate nella
tensione della Guerra Fredda, la Dc e il Pci. La vicenda Craxi si svolge
proprio sulla faglia di scongelamento di questo conflitto, e ne viene
per molti versi assorbito come parte di un rimescolamento delle carte
nell'intero mondo di allora.
Silvio Berlusconi invece è un leader che ha governato per buona parte
di venti anni, non certo come prodotto della "politica", anzi
rovesciando al suo interno la capacità di interpretare idee e bisogni
popolari, oltre ai suoi interessi personali. Il suo partito, oggi in
crisi, ha ancora un consenso che ammonta a un quarto dell'elettorato, ed
è un consenso capace di scendere in piazza. Appoggiato inoltre, come
ben sappiamo, da una sistema robusto di Tv e altri media. Cosa che Craxi
non ha mai nemmeno sognato. Insomma, "estrarre" Silvio dalla Politica
oggi è operazione potenzialmente molto più devastante di quella mirata
su Bettino.
2) Silvio Berlusconi non è solo un politico potente,
ma, come abbiamo appena ricordato, è anche un potente imprenditore: uno
degli uomini più ricchi del paese. E non vanno sottovalutate le
inquietudini e le paure che una eventuale condanna muoverebbe fra i suoi
pari. La "invadenza" della magistratura nel mondo degli affari è una
battaglia che Silvio combatte ad alta, ma che molti altri suoi pari,
spesso silenziosi per senso della opportunità (propria), condividono.
Nel mondo delle Ilva, delle ThyssenKrupp, delle delocalizzazioni
selvagge, delle Pomigliano D'Arco, i giudici non sono amici. E quando si
parla di "lacci e lacciuoli" di cui liberarsi per dare soluzione alla
crisi spesso, come sappiamo, si parla di burocrazia, ma si intendono i
tribunali. Una condanna del leader Pdl invierebbe a questo mondo un
messaggio certo non ben accetto.
3) Silvio Berlusconi, e anche qui va fatto un paragone, ha una
collocazione internazionale molto più solida di quella che aveva Craxi.
Nel suo doppio ruolo di grande imprenditore e premier da venti anni è
presente sulla scena mondiale. E nonostante le molte critiche ricevute
non è esattamente privo di amici. A differenza di Craxi che aveva
sfidato gli Stati Uniti in un periodo in cui Washington, delusi dai
tradizionali alleati (in Italia la Dc) cercavano nuovi equilibri
post-guerra fredda, Silvio ha con Bush un ottimo rapporto. E non ha in
Obama - un presidente oggi debole ed esitante di fronte a ogni tipo di
ingerenza all'estero - un nemico. In compenso ha come amico un uomo
molto importante in Europa, quel Putin che domina vigorosamente la scena mondiale, e la cui amicizia non a caso è ampiamente sfoggiata dal politico Pdl.
Tutte queste ragioni portano a una conclusione che preoccupa il
sistema: una eventuale condanna avrebbe un impatto sul tessuto politico
italiano e internazionale molto serio. Sicuramente più grave di quello
avuto dall'abbandono di Bettino Craxi. Invelenirebbe il panorama
italiano, acuendone lo scontro interno. Imbarazzerebbe in via ufficiale
(anche se a molti di loro in privato farebbero spallucce) i leaders
occidentali, essi stessi messi sotto pressione da contestazioni, ed
errori, in una crisi difficile da governare. La prima vittima - continua
il ragionamento - sarebbe di nuovo la reputazione italiana, mostrando
un paese più diviso che mai, dalla incerta governabilità.
La condanna di Berlusconi sarebbe nei fatti la condanna anche del governo Letta
e forse di molti altri governi a venire, per lo strascico di divisioni e
fallimento che si porterebbe dietro. Di qui l'aria di trincea, il
dispiegamento a difesa intorno al governo Letta, e, anche, le fumisterie
legal/istituzionali che oscurano il cuore del dilemma. Che è e rimane
uno solo: si può e si deve cercare di "salvare" con un qualche
escamotage legal/istituzionale Silvio Berlusconi dal giudizio di una
Corte?
Le tre ragioni di cui ho fin qui parlato non sono infondate. Sono
argomentazioni serie sulle conseguenze del terremoto che seguirà una
eventuale condanna del leader Pdl. Ma, a mio parere, alle tre ne va
aggiunta un'altra che da sola è forte come le altre insieme. Ed è la
ragione per cui sono contraria che si "salvi il soldato Silvio".
"Salvare" un leader politico che manipola la Giustizia costituirebbe
ugualmente per noi un danno alla nostra reputazione internazionale,
confermandoci come l'anello debole della governabilità europea. Infine,
inasprirebbe comunque la opinione pubblica. Alienando quella parte che
vuole una politica con un chiaro rapporto con le istituzioni. Quello che
vediamo in queste ore - la serenità di Silvio Berlusconi e le scosse
che attraversano il Pd - è l'anticipazione di un diverso (ma ugualmente
efficace) processo di disfacimento della stabilità governativa.
Lucia Annunziata (Huffington Post, 14 luglio 2013)
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