lunedì 28 ottobre 2013

Le auto blu sono costate oltre un miliardo nel 2012: costi tagliati solo del 12%

Le auto blu della pubblica amministrazione nel 2012 sono costate oltre un miliardo di euro, il 12% in meno rispetto al 2011, il 26% in meno rispetto al 2009. Sono i primi risultati del monitoraggio dei costi delle auto della Pa realizzato da Formez Pa per il Dipartimento della Funzione pubblica. 
Spesi 1.050 milioni di euro nel 2012
La spesa totale sostenuta nel 2012 per la gestione del parco auto é stimata pari a 1.050 milioni di euro, 128 milioni in meno rispetto al 2011 (-12%). Le variazioni sono sostanzialmente analoghe nella Pa centrale (circa 25 milioni di euro pari al -12,4%) e nell'amministrazione locale (103 milioni di euro pari al -11,9%, equivalente). Rispetto alla spesa sostenuta dalle amministrazioni nel 2009, anno di riferimento per le nuove e più stringenti norme e direttive per il contenimento dei costi, la riduzione della spesa per le auto della Pa. Nel 2012 é stata di 335,5 milioni di euro (-26,3%), 282,8 milioni di euro per le amministrazioni locali (-27,0%) e 53,7 milioni di euro per l'amministrazione centrale (-23,3%). Considerando la spesa per tipologia di auto, si può constatare che per le auto blu (ossia le vetture assegnate ad una persona sia in uso esclusivo che non esclusivo, le auto a disposizione degli uffici con autista e le vetture con e senza autista se di cilindrata superiore a 1.600 Cc), il totale della spesa per il 2012 ammonta a circa 400 milioni di euro, con una riduzione di 72 milioni di euro rispetto all'anno precedente.
 
Le auto grigie sono costate 539 milioni di euro, in calo di 55 milioni 
La spesa per auto grigie (vetture a disposizione degli uffici e servizi senza autista e auto con e senza autista inferiore ai 1.600 Cc) é stata pari a 539 milioni di euro, con una riduzione di circa 55 milioni di euro rispetto al 2011. 
Forte il contributo dei Comuni alla riduzione della spesa 
Alla riduzione della spesa hanno contribuito in particolare i comuni (per circa 87 milioni di euro, ossia per il 67,8% della complessiva riduzione). Le maggiori percentuali di riduzione per comparto si registrano per gli enti pubblici nazionali (-43,4%) e per i consigli regionali (-23.5%). A livello territoriale, sono le amministrazioni del Friuli Venezia Giulia (-24%), Emilia Romagna (-21,9%) e l'Abruzzo (-20,6%) che fanno registrare le riduzioni più marcate. Seguono la Toscana (-18,7%), le Marche (-17,3%) e il Piemonte (-14,6%). In valore assoluto, la Lombardia, l'Emilia-Romagna, il Piemonte e la Toscana hanno contribuito alla generale riduzione della spesa degli enti locali per importi superiori a 10 milioni di euro. 
Acquisti per 18 milioni di euro, 56 milioni per il noleggio 
La spesa complessiva comprende diverse voci di costo, il cui trend é stato il seguente: la spesa per acquisti in proprietà é stata pari a 18 milioni di euro, con un calo del 18,8% (pari a 4 milioni di euro); la spesa per il noleggio delle auto (circa 12.000 vetture a un costo medio annuale per vettura, comprensivo dell'eventuale personale di guida, di circa 4.600 euro) é stimata in circa 56 milioni di euro (-10% rispetto all'anno precedente). Tale riduzione si concentra quasi totalmente nella Pa centrale, con una diminuzione di spesa di 6,5 milioni di euro; la spesa di gestione nel 2012 (assicurazioni, carburante, manutenzione) é pari a oltre 146 milioni di euro, con un calo del 2,2% rispetto all'anno precedente. Tale limitata riduzione di circa 3,3 milioni di euro sconta l'incremento dei costi unitari del carburante é ascrivibile soprattutto alla Pa centrale (-12,6%) rispetto alla pa locale (-1,1%); la spesa per altre forme di mobilità dei dipendenti (taxi, auto privata, trasporti pubblici) e per gli affitti e manutenzione degli stabili adibiti a custodia delle auto é stimata in oltre 72 milioni, con una riduzione del 6,8% rispetto al 2011 (5 milioni). 


 

UN MILIONE DI POSTI DI LAVORO (Salvatore Cannavò)




Un milione di persone. Nemmeno Max Weber, quando scriveva La politica e la scienza come professioni pensava ci si potesse spingere a tanto. Il grande sociologo tedesco scriveva infatti nel 1919: “Si vive ‘per’ la politica oppure ‘di’ politica”. Chi vive ‘per’ la politica costruisce in senso interiore tutta la propria esistenza intorno ad essa” […] Mentre della politica come professione vive colui che cerca di trarre da essa una fonte durevole di guadagno”.

Secondo uno studio della Uil, invece, coloro che cercano “di trarre dalla politica una fonte durevole di guadagno” sono più di un milione: 1.128.722. Un “paese nel paese” ma non nella forma poetica in cui Pier Paolo Pasolini definiva il Pci. Piuttosto “un mondo a sé”, come lo descrive il segretario confederale della Uil, Guglielmo Loy che ha curato la ricerca. La cifra viene ricavata sommando voci tra loro diverse ma tutte legate alla politica: gli eletti e gli incarichi di Parlamento e governo (1.067) quelli nelle Regioni (1.356), nelle Province (3.853) o nei Comuni (137.660). L’incidenza delle cariche elettive sul numero totale non è molto alta, il 12%.

La forza del sottobosco

I numeri si fanno più forti man mano che ci si addentra nel sottobosco: i Cda delle aziende pubbliche ammontano, infatti, a 24.432 persone; si sale a 44.165 per i Collegi dei revisori e i Collegi sindacali delle aziende pubbliche; 38.120 sono quelli che lavorano a “supporto politico” nelle varie assemblee elettive. I numeri fondamentali della ricerca sono riscontrabili nelle due ultime voci, quelle decisive: 390.120 di “Apparato politico” e 487.949 per “Incarichi e consulenze di aziende pubbliche”. “Quest’ultimo dato si basa su numeri certi e verificati” assicura Loy, mentre quello relativo agli “apparati” costituisce una “stima della stessa Uil ma una stima attendibile”. Nella nota metodologica, infatti, il sindacato spiega che i numeri derivano da banche dati ufficiali e da quello “che ruota intorno ai partiti” (comitati elettorali, segreterie partiti, collegi elettorali, “portaborse”, ecc.”. Loy la spiega così: “Ventimila voti di preferenza non sono il risultato solo di un voto ideologico ma espressione di relazioni concrete”. E, in tempi in cui l’ideologia è fortemente in crisi, “si affermano gli interessi e la spinta ad aumentare il proprio tenore di vita, l’affermazione di un sistema economico”.

La politica si fa industria, quindi. E il dato è riscontrabile nei numeri. Si pensi al costo dei CdA dei quasi settemila enti e società pubbliche: si tratta di 2,65 miliardi mentre per “incarichi e consulenze” la cifra è di oltre 1,5 miliardi di euro.

Stiamo parlando di gente che lavora, ovviamente. Alcuni di loro, come i dipendenti di Rifondazione comunista, sono anche finiti in cassa integrazione oppure, come in An, licenziati. “Ma non hanno fatto alcuna selezione pubblica, non hanno seguito nessun merito” commenta Loy, “e vengono pagati con soldi di tutti”. Parliamo di collaborazioni dirette nei vari ministeri, assessorati, consigli elettivi, incarichi elargiti da questo o quel politico di turno. Oltre ai Francesco Belsito, Franco Fiorito, ai diamanti della Lega, alle ricevute di Formigoni o alle consulenze di Alemanno, gli esempi possono essere tutti leciti ma del tutto interiorizzati dalla politica.

I vari ministeri hano speso, nel 2012, oltre 200 milioni per collaborazioni dirette. Tra i dicasteri più attivi, gli Interni, l’Economia e Finanze, la Difesa e la Giustizia. Del ministero diretto da Alfano ci occupiamo a parte. Il Mef dispensa centinia di incarichi nelle società partecipate. Alla Difesa, il ministro dispone di ben 18 collaboratori quanti ne ha quello della Giustizia. Gli incarichi sono quasi tutti di pertinenza politica. Come proprio addetto stampa, ad esempio, il ministro ha la stessa persona che ha lavorato per Pierferdinando Casini dal 2006 al 2013 e prima, ancora, con l’Udc Vietti, attuale vicepresidente del Csm. Una “ricollocazione” avvenuta tutta nei rapporti della politica.

Fedeli al ministro

Nell’Ufficio di gabinetto troviamo l’autrice di un libro, Guerra ai cristiani, troppo presto dimenticato e scritto insieme allo stesso Mauro. Più esemplare è il caso del “Consigliere per gli affari delegati, del Sottosegretario di stato alla Difesa On. dott. Gioacchino Alfano”, Nicola Marcurio. L’interessato ha iniziato la carriera politica nel Comune di Sant’Antonio Abate, dove organizzava le iniziative religiose per il Giubileo. Diviene consigliere comunale nel 2000 e di nuovo nel 2005. Poi va a lavorare presso il Commissariato per l’emergenza di Pompei, da lì alla Protezione civile per il G8 dell’Aquila. Finisce al ministero come consigliere di Gioacchino Alfano il quale, guarda caso, è stato sindaco proprio di Sant’Antonio Abate. L’altro sottosegretario, Roberta Pinotti, Pd, tiene nel proprio staff Pier Fausto Recchia, deputato non rieletto alle ultime elezioni e quindi ricollocato. Tra i collaboratori del ministro della Giustizia, Cancellieri, troviamo Roberto Rao, già deputato, non rieletto, e già portavoce di Casini ma anche Luca Spataro, già segretario Pd di Catania. Se un deputato non viene rieletto gli si trova un nuovo incarico. Come a Osvaldo Napoli, pidiellino molto presente in tv, bocciato lo scorso febbraio e oggi vicepresidente dell’Osservatorio Torino-Lione. Moltiplicando questi casi per l’intero numero delle cariche elettive si può avere un’idea del fenomeno. Alla Regione Lazio, il presidente Zingaretti dispone di un ufficio stampa con ben dieci addetti mentre in Lombardia, i consulenti della Regione sono passati, con la gestione Maroni, da 57 a 93, tutti riscontrabili sul sito ufficiale. Per questa voce l’ente regionale spende 2,6 milioni di euro l’anno. L’esercito della politica vive e si autoalimenta così.

Salvatore Cannavò (Jack's Blog - 28 ottobre 2013


sabato 26 ottobre 2013

L’IMMAGINAZIONE CHE MANCA ALLA POLITICA (Maurizio Viroli)



Vivere o ricominciare una nuova vita è una delle aspirazioni più tenaci e diffuse degli esseri umani. Fin dalla nostra infanzia, ci spiega Remo Bodei nel suo ultimo libro Immaginare altre vite (Feltrinelli), “le fiabe, i racconti di viaggio e di avventura, le poesie, i romanzi, i libri di storia, i testi filosofici, il teatro, il cinema, la televisione, Internet (o, a livello popolare e in periodi diversi, le canzoni, il feuilleton, i fumetti, i fotoromanzi e i videogiochi) ci stanano dalla chiusura in noi stessi e ci mostrano le infinite possibilità dell’esistenza”.
A permetterci di vedere vite diverse e nuove è l’immaginazione. Facoltà pericolosa, ammoniva Croce, che porta la persona a fantasticare oziosamente, paralizza e snerva la volontà, e incoraggia la mente a vagare in progetti che sappiamo essere irrealizzabili. Robert Luis Stevenson ci dice invece che “la vera vita dell’uomo, per la quale egli accetta di vivere, ha luogo tutto sommato, nel campo dell’immaginazione”.
Il nostro tempo è caratterizzato da un’espansione della possibilità di immaginare altre vite sconosciuta nei secoli passati. I nuovi mezzi di comunicazione mettono a disposizione centinaia o migliaia di storie e vite nelle quali possiamo identificarci. È noto a tutti che bambini e adulti trascorrono ore davanti alla televisione o a navigare la Rete assorbendo un numero sterminato di trame, di modelli, di racconti, di personaggi che lentamente, ma inesorabilmente, modellano la loro personalità.
Ed è altrettanto noto che protrarre l’uso dell’immaginazione indebolisce il senso della realtà, fino al punto di diventare come Don Chisciotte che credeva che il mondo fosse quello descritto dai romanzi sulla cavalleria e si comportava di conseguenza, rimediando cocenti delusioni e disastrose sconfitte. O, peggio ancora, di perpetrare autentici crimini credendo di ripetere soltanto un gioco praticato sullo schermo di un computer.
Con l’espansione dell’immaginazione viene dunque “abbassato il livello di vigilanza della coscienza critica sul mondo?”. L’incontro con altre vite possibili mette in pericolo “la consistenza della propria identità”, si chiede Bodei. E giustamente risponde che, ferma la superiorità della realtà sull’immaginazione, quest’ultima può avere un effetto benefico perché ci lascia intravedere altre vite e ci incoraggia a iniziarne una nuova, quando quella che viviamo quotidianamente è diventata grigia, malinconica, triste.
E nella vita politica? L’immaginazione è sempre stata nei secoli la madre delle grandi esperienze di emancipazione. Se milioni di uomini e di donne non avessero immaginato una vita radicalmente diversa, libera dallo sfruttamento, dall’oppressione, dalla discriminazione, dalla continua e feroce umiliazione della dignità personale, non ci sarebbero stati né i movimenti di emancipazione nazionale, né il movimento socialista, né i movimenti per i diritti civili, né i movimenti per l’emancipazione delle donne. In Italia, in particolare, non avremmo avuto né il Risorgimento né la Resistenza antifascista, due esperienze sostenute in misura rilevante dall’aspirazione di molti uomini e donne a una vita nuova.
Sarebbe stato meglio, potrebbe rispondere lo scettico che giudica i movimenti di emancipazione niente altro che pericolosi fonti di anarchia e violenza, o inutili e fastidiosi turbamenti della sobria politica degli esperti. È vero esattamente l’opposto: quando l’immaginazione non può esprimersi nello sforzo collettivo di cambiare la realtà secondo ideali, rifluisce nella cieca volontà di distruggere se stessi e gli altri per esprimere un’ultima e inutile protesta contro la realtà. Non è dell’immaginazione che dobbiamo aver paura, ma dell’immaginazione non più temperata dalla saggezza e dalla forza degli ideali.
Ma l’immaginazione è ormai assente da molti decenni dal nostro scenario, e, credo, dallo scenario europeo. La nostra vita politica oscilla malinconicamente fra le pretese dei delinquenti e dei corrotti, sostenute dai loro cortigiani, di poter imporre la loro volontà e violare impunemente le leggi, e la rassegnata collaborazione delle persone oneste con i delinquenti in nome della stabilità, del rispetto di vincoli imposti dalla realtà internazionale, o dalla necessità della ripresa economica, tutte esigenze che di immaginazione politica ne richiedono poca. Ma senza immaginazione politica, e soprattutto senza leader che abbiano la grandezza d’animo capace di suscitarla, non c’è mai stata rinascita civile e politica. 


 

venerdì 25 ottobre 2013

«L’AMACA» DEL 25 OTTOBRE 2013 (Michele Serra)



Per quanto infamante sia ogni nuova accusa che si abbatte su Berlusconi, la volonterosa pattuglia degli Alfano e dei Quagliarello si affretta a ripetere che «non avrà alcuna conseguenza sul governo». Più l’accusa è grave (e quella di avere corrotto senatori è gravissima), più il tentativo di liquidarla come un dettaglio seccante ma ininfluente diventa arduo, quasi un virtuosismo. Fossimo semplici spettatori di uno show vorremmo che l’escalation non si interrompesse, per vedere come se la caverebbero Alfano e Quagliarello se al loro (ex?) capo arrivasse un mandato di cattura per furto di bestiame, o rapina a mano armata, o l’accusa di essere il vero capo di Al Qaeda. Purtroppo non lo siamo, e lo spettacolo ci riguarda così da vicino che ne avvertiamo, con disagio profondo, la natura patologica. Né per chi lo ha votato né per chi lo ha inutilmente avversato è facile ammettere che per venti anni l’Italia è stata in balia di un giocatore scorretto (ipotesi fausta) o di un corruttore (ipotesi infausta). Per questo in molti cercano disperatamente di ridurre uno scandalo gigantesco a un impiccio procedurale. In psicanalisi si chiama “rimozione”: ed è foriera di sofferenza e sconquassi peggiori di quelli che la verità porterebbe con sé. 


 

giovedì 24 ottobre 2013

PD, L’ALTRO GOLPE DEI 101 (Antonio Padellaro)


In fondo all’articolo troverete l’elenco dei 101 – numero maledetto -senatori del Pd che hanno votato (e dei 6 che non hanno votato) la modifica dell’articolo 138 della Costituzione, approvando il grimaldello che consentirà il rapido stravolgimento della Carta fondamentale dei nostri diritti e dei nostri doveri. Lo hanno fatto malgrado i pressanti appelli di giuristi, movimenti e semplici cittadini che non chiedevano la luna, ma un semplice atto di decenza democratica: dicessero pure sì, se proprio erano costretti, alla norma-grimaldello; ma senza la maggioranza dei 2/3, in modo da consentire il referendum sul disegno di legge come previsto dalla Costituzione. Ieri, però, nell’aula di Palazzo Madama, quei 101 senatori del partito che si definisce democratico hanno (al fianco del Pdl berlusconiano) volutamente calpestato il principio scolpito nel primo articolo della Costituzione: che cioè la sovranità appartiene al popolo. Per soli 5 voti, perciò, niente consultazione popolare, ma una miserevole operazione di palazzo di cui i 101 non dovranno rendere conto agli elettori, bensì ai padrini politici che li hanno nominati grazie alla legge Porcata. A dicembre, quando toccherà alla Camera il voto definitivo al grimaldello, si dovrà in tutti i modi possibili garantire la consultazione popolare. Il Fatto metterà in campo le 450mila firme raccolte quest’estate. Forse non basterà, ma non daremo tregua ai responsabili di questo squallido golpe. 
RIFORME AVANTI TUTTA: “NON CI FERMERANNO”
«Io sono giunto alla conclusione che per far vivere il magistrale riferimento della prima parte non si può mancare di rivedere la seconda parte. Bisogna rispondere al visibile coagularsi di posizioni diverse che confluiscono in un fronte di resistenza conservatrice»”.
(Giorgio Napolitano, Firenze, 23/10/2013)