sabato 30 maggio 2015

Impresentabili, la propaganda renziana al capolinea

All’ultimo minuto dei tempi supplementari la lista degli impresentabili è arrivata e il nemico nella casa “democratica” renziana è diventata la presidente della Commissione antimafia Rosy Bindi, accusata senza mezze parole di “tradimento” e di aver usato strumentalmente la Commissione per un regolamento di conti interno.
Le reazioni di Renzi e del suo stato maggiore con le dichiarazioni fuori dalla realtà di “personalità” come Davide Faraone e Pina Picierno confermano come le Regionali più imbarazzanti di sempre abbiano prodotto un cortocircuito tra i fatti e la propaganda renziana che nonostante la compiacenza mediatica non è più gestibile.
All’uscita, finalmente, dei 17 nomi degli impresentabili individuati, notoriamente, secondo i principi del codice di autoregolamentazione che si sono dati non più di 5 mesi fa i partiti, il presidente-segretario del maggiore partito di governo ha detto di “non aver mai visto un dibattito così autoreferenziale e lontano dalla realtà”. Ma non solo, perché ha subito aggiunto che “nessuno degli impresentabili sarà eletto” e che comunque si tratta di rappresentanti di liste minori “senza importanza”.
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Sono parole che non solo confermano come le guerra totale dichiarata all’illegalità e alla corruzione che sta asfissiando il paese “delle meraviglie” è un paravento per lasciare immutato il sistema ma che l’uomo in perfetta sintonia  con il paese si è blindato nel suo fortino di potere in preda a un delirio di onnipotenza.
Se nessuno degli impresentabili sarà eletto sarà una vittoria della trasparenza e dell’etica pubblica, ripristinate in extremis anche grazie al lavoro della Commissione presieduta da Rosy Bindi, che avrebbe dovuto intervenire ben prima, perché a differenza di quanto sostiene la presidente non penso che aver reso noto l’elenco almeno una settimana fa sarebbe stato intervenire “a gamba tesa” in campagna elettorale.
E ancora, se nessuno dei 17, di cui ben 13 in Campania equamente suddivisi tra destra e “sinistra” verrà eletto buona parte del merito va a quelli che Renzi addita come i fomentatori “di rabbia”, l’innominabile M5S, a cui il suo Pd si vanta di “non andare dietro”: eletti che facendo semplicemente quello che dicono hanno dato un esempio concreto di coerenza e trasparenza.
Ma soprattutto, se gli impresentabili non saranno presi in considerazione dagli elettori come ha cinguettato il premier, lui deve spiegarci con quale faccia è andato a sostenere il più rappresentativo e arrogante della categoria, il sindaco-sceriffo De Luca che non è “solo” condannato in primo grado per abuso di ufficio come viene strombazzato dai media che lo accomunano, del tutto impropriamente al “caso De Magistris”.
Come ha specificato in modo assolutamente inequivocabile Rosy Bindi, che tra l’altro ha ribadito i limiti della commissione e ha riconosciuto che se fosse stato incluso il peculato l’elenco sarebbe stato molto più corposo, nel Pd alla voce impresentabile c’è Vincenzo De Luca in quanto rinviato a giudizio per concussione continuata, ritenuta “un reato spia”.
Se Berlusconi ha commentato in modo laconico che la Commissione è andata oltre i poteri che le sono stati conferiti, le reazioni nel Pd di ora in ora diventano più veementi e l’accusa di violazione della Costituzione da parte dei vertici del partito si intrecciano alla denuncia annunciata dal candidato impresentabile nei confronti della presidente Bindi.
A questo punto gli elettori, campani e non, hanno sufficienti elementi, anche se solo alla vigilia del voto, per valutare se andare al voto e anche per decidere da quale parte stare.


 

“Una vita” proprio “Un libro per tutti. O per nessuno”


“Una vita. Un libro per tutti. O per nessuno” edito da Marsilio nel febbraio 2015. In questa autobiografia Massimo Fini, condensando una serie di personaggi ed esponendo sue considerazioni su tutto ciò che in qualche modo lo ha direttamente coinvolto lungo il suo percorso di vita, pone il lettore a riconoscersi e riflettere sulla moltitudine di eventi e soggetti conosciuti che hanno costruito e costituiscono il vissuto di ciascuno di noi. Con naturale fluida scrittura racconta il suo privato e pubblico, narrando, con la sua tipica laicità, intimità e debolezze, descrivendo amicizie e conoscenze con asciutte considerazioni. Dai suoi scritti sono scoccati lampi di lucida follia e i suoi articoli e le sue tesi hanno sempre suscitato dibattiti nel merito sulle variegate questioni esposte. Dal racconto emerge ancor di più come il suo vivere fuori dal branco ha fatto si che restasse sempre scomodo, ai potenti di turno e alle vere o presunte opposizioni coalizzate. Un "giornalista" d’altri tempi nel vero senso del termine che, nei suoi racconti rivaluta e squalifica i tanti colleghi conosciuti, contemporanei e del passato. Emblematicamente Fini completa il suo pensiero, chiudendo il suo saggio con considerazioni basate su una poco nota citazione di Nietzsche: “Ma ora che sono giunto At the end of the river e la Nobile Signora ha già alzato la sua falce, l’occhio, spietato, che da sempre mi guarda vivere mi pone col suo linguaggio muto l’eterna e inesaudita domanda: che senso ha avuto la tua vita? Nessuno, rispondo. Ho troppo presente ciò che scrive Nietzsche, non in una delle sue opere ma in un appunto a margine di La filosofia nell’epoca tragica dei Greci, come fosse una bagatella ma che contiene invece una cruda verità, ammesso che mai ne esista una”: “In un angolo remoto dell’universo scintillante e diffuso attraverso infiniti sistemi solari c’era una volta un astro su cui animali intelligenti scopersero la conoscenza. Fu il momento più tracotante e menzognero della storia del mondo: ma tutto ciò durò solo un minuto. Dopo pochi respiri della natura, la stella si irrigidì e gli animali intelligenti dovettero morire. Qualcuno potrebbe inventare una favola di questo genere, ma non riuscirebbe tuttavia a illustrare sufficientemente quanto misero, spettrale, fugace, privo di scopo e arbitrario sia il comportamento dell’intelletto umano entro la natura. Vi furono eternità in cui esso non esisteva. Quando per lui tutto sarà finito, non sarà avvenuto nulla di notevole”. Non poteva chiudere in altro modo la sua autobiografia Massimo Fini. Un libro ricco di laica umanità. Se ne consiglia in particolar modo la lettura a chi ha già i capelli bianchi e analizza con sufficiente distacco gli accadimenti umani e a chi, non ancora canuto, li accenna con tenue e inarrestabile grigiore.

Essec

giovedì 28 maggio 2015

Con gli occhiali di Nash si vede meglio il gioco della Grecia



Forse l’espressione “equilibrio di Nash” può non avere un significato per molti, ricordando però il famoso film “A Beautiful Mind” con Russell Crowe ecco che a tutti viene in mente la “teoria dei giochi” elaborata da John Nash, premio Nobel 1994, tristemente scomparso in un incidente stradale.
Il lavoro di Nash ha cambiato il modo di pensare degli economisti e rivoluzionato la metodologia e i modelli utilizzati per analizzare problemi legati all’ottimizzazione dell’allocazione delle risorse. I modelli di economia politica – semplificando la realtà – si basano sulla massimizzazione della utilità individuale che porta al raggiungimento dell’ottimo paretiano. Quest’ultima è una condizione che descrive un’allocazione delle risorse tale per cui non è possibile apportare miglioramenti al sistema, cioè non si può migliorare la condizione di un soggetto senza peggiorare la condizione di un altro.
Il contributo accademico di Nash ci permette di analizzare situazioni conflittuali con l’ausilio di occhiali nuovi che chiameremo gli “occhiali di Nash”, le cui lenti sono quelle della teoria dei giochi appunto. Infatti il risultato più importante dell’economista appena scomparso è quello di dimostrare matematicamente l’esistenza di un equilibrio raggiunto da individui che agiscono seguendo delle proprie strategie, la più razionale che si può adottare, con le quali ogni individuo (giocatore) compete con un altro altrettanto razionale in un “gioco non cooperativo”.
Se ogni giocatore massimizza il suo “pay-off” (dove il guadagno di un giocatore in generale dipende infatti non solo dalla sua strategia ma anche dalle scelte strategiche degli altri giocatori) si perviene ad un “equilibrio di Nash” e nessun individuo può più migliorare il proprio risultato modificando solo la propria strategia, ed è quindi vincolato alle scelte degli altri individui-giocatori.
Tuttavia, non è detto che tale equilibrio sia la soluzione migliore per tutti, ossia un ottimo paretiano, come citato sopra.
L’esempio più eclatante è rappresentato dal dilemma del prigioniero che riguarda la situazione di due prigionieri detenuti in celle separate i quali hanno due possibili scelte (strategie): confessare o non confessare. Nella seguente tabella possiamo rappresentare l’esito del gioco:


I due prigionieri, massimizzando il loro pay-off, sceglieranno entrambi di confessare, ma come si nota dalla tabella sopra, non è una soluzione pareto-efficiente.
L’ottimo di Pareto è razionale dal punto di vista collettivo, ma non lo è affatto dal punto di vista individuale; difatti sarebbe preferibile una combinazione “non confessa / non confessa”. Ma come arrivare a questa “migliore” configurazione? Semplice: con la cooperazione tra i giocatori.
Proviamo ora ad utilizzare questi “occhiali di Nash”. Se guardiamo alla situazione davvero conflittuale della Grecia con i suoi creditori internazionali, ci chiediamo se la teoria dei giochi possa in qualche modo essere utile nella difficile negoziazione con la ex Troika (FMI, UE e BCE), oggi ribattezzata Brussels Group. Sappiamo che Yanis Varoufakis, ministro delle finanze in carica, è un matematico, appassionato di teoria dei giochi e fine intenditore di questa teoria, due libri sul tema all’attivo, ma non gradisce che si faccia tale accostamento nella realpolitik della Grecia.
Ma noi la tentazione l’abbiamo eccome.
Effettivamente, nel contesto europeo, l’entrata in scena di Varoufakis è stata vista come quella di un nuovo “giocatore” che ha modificato il gioco stesso, modificando di conseguenza i pay-off di tutti.
Le azioni intraprese da Varoufakis si sono modificate ed articolate seguendo schemi diversi, o meglio, giochi diversi che rappresentano applicazioni della teoria di Nash. Ripartiamo dall’inizio del gioco. L’Europa in situazioni simili era abituata a prevedere le mosse della controparte, la strategia era semplice: aiuti in cambio del rispetto di un programma di austerity.
Qui invece la mossa della Grecia è stata del tipo: niente aiuti e no ad interventi sul taglio del welfare. Inutile dire che la UE non si aspettava una simile mossa ed è rimasta completamente interdetta. Varoufakis ha manifestato apertamente i suoi obiettivi: restare nell’Euro e ridefinire il debito estero. Un classico “dilemma del prigioniero”.
Varoufakis più volte ha richiamato l’Europa perché facesse la sua parte. La strategia della Grecia infatti si è articolata come uno dei famosi giochi teorizzati da Nash: “il dilemma dei coniugi”, ispirato come si può intuire dalla vita quotidiana, la scelta se oziare o fare le pulizie domestiche. Oziare mentre l’altro fa le pulizie permette di raggiungere il massimo benessere (la casa pulita senza il minino sforzo), di converso pulire mentre l’altro ozia è la situazione peggiore (ci vuole il doppio della fatica).
Se entrambi oziano, si sta bene ma non troppo, dato che la casa rimane sporca. Insomma, la situazione migliore è se entrambi i coniugi puliscono (il lavoro è diviso, consentendo di oziare almeno un po’ con la casa è pulita). In questo ambito, la continua dialettica di Varoufakis con la Germania era volta a sperimentare il “gioco” per raggiungere la cooperazione.
Infatti se il gioco viene ripetuto un numero finito di volte si dimostra che è possibile la cooperazione ricorrendo alle “grim strategies” ossia le strategie inflessibili. Riprendendo l’esempio, dato che i due coniugi si preoccupano dei loro rapporti futuri, allora collaborano e puliscono entrambi, ma se poi uno di loro ad un certo punto ozia, la cooperazione sparisce per sempre.
Ritornando al caso greco, Varoufakis sa bene a che partita sta giocando e intende portarla avanti, come ha fatto fino ad ora, seguendo un “gioco di segnalazione” nel quale dinamicamente ha sperimentato diversi segnali, perfino quello della richiesta dei risarcimenti alla Germania per i fatti della Seconda Guerra Mondiale. Queste dinamiche sono messe in atto con lo scopo di “svelare” i veri pay-off dei giocatori, prestando attenzione ad eventuali debolezze da sfruttare, studiandone dunque la probabilità statistica di ogni mossa.
Ma se il gioco si fa più duro, come pare stia succedendo nel negoziato Grecia-BCE-EU, il dilemma del prigioniero, con le sue più fini articolazioni, può collassare nel noto “chicken game” (o gioco del pollo) che si rifà al famoso film “Gioventù bruciata” in cui due ragazzi fanno una gara di coraggio correndo con la macchina verso un burrone, chi sterza prima fa una figura del codardo, ma se alla fine nessuno sterza entrambi moriranno cadendo nel burrone.
La situazione delle finanze greche è davvero preoccupante, nel mese di giugno il Paese ellenico deve restituire un ammontare pari a 6,74 miliardi di euro. Il rapporto debito/PIL è pari al 177% e il tasso di disoccupazione ha toccato il 26% con un crollo del PIL pari al 25% dal 2010. Il “bailout” totale, l’entità dei prestiti concessi per salvare Atene dal collasso, ammonta a oltre 240 miliardi.
Ma quali suggerimenti possiamo ricavare e magari suggerire come soluzione al pesante braccio di ferro sulla situazione greca?
Semplifichiamo e pensiamo ai due principali attori: la Grecia e la Germania. Ci sono due aspetti da considerare. Primo, i due Paesi non si fidano l’uno dell’altro, nei loro calcoli non sono cooperativi e finiranno per “confessare”, come ci insegna Nash. Infatti Varoufakis, consapevole, ha più volte dichiarato che la UE non è tanto un’unione di Stati che cooperano tra loro ma meglio un gruppo di Stati che competono tra loro.
Secondo, per attuare una strategia vincente, il negoziato deve concentrarsi sugli obiettivi primari raggiungendo un compromesso su quelli secondari. La Grecia guidata dal partito di sinistra radicale Syriza ha promesso un allentamento delle misure di austerity (obiettivo irrinunciabile) mentre quello del taglio del debito può essere considerato secondario. Per la Germania invece risulta primario evitare una diminuzione del valore nominale del debito (obiettivo primario) mentre potrebbe trattare sul tema delle riforme.
La partita è sicuramente globale e Nash, sono sicuro, ci suggerirebbe di collaborare.
Les jeux sont faits, faites vos jeux

  Pasquale Merella (Il Sole 24 Ore - 27 Maggio 2015)

Politica italiana: noi non podemos


In Spagna vince Podemos, una sinistra giovane che fa la sinistra e con un leader serio che alimenta speranze, che vedremo se saprà soddisfare, ma intanto segnala la vitalità di una democrazia giovane e in buona salute. Nella cattolicissima Irlanda vincono addirittura i matrimoni gay, mentre noi siamo ancora qui a domandarci se sia il caso di riconoscere le unioni civili, patrimonio comune della destra e della sinistra in tutto il resto d’Europa. E l’Italia? L’altra sera, come ogni tanto gli accade quando è sovrappensiero, Berlusconi ha detto almeno una cosa vera a Che tempo che fa. Vera e al contempo agghiacciante: i due Matteo, nel senso di Renzi e Salvini, sono i beniamini dei sondaggi e degli elettorati di centrosinistra e di destra perché sono sempre in televisione. Il fatto che abbiano poco di nuovo da dire, e che quel poco sia perlopiù falso, non conta: lo dicono benissimo, e tanto basta in tv, dunque nella testa degli italiani. La differenza con B. è che lui, di nuovo, non ha proprio nulla da dire e per di più lo dice malissimo: dunque anche se occupasse da mane a sera i teleschermi come ai (suoi) bei tempi, non sposterebbe voti. E lo sa bene, infatti promette nuovi (o nuove) leader che non ha.

Ancora una volta, con buona pace di chi l’ha sempre negato per giustificare il conflitto d’interessi, il Fattore Tv si dimostra, come a ogni elezione dal ‘94 a oggi, fondamentale per conquistare o conservare i consensi: il video logora chi non ce l’ha e chi non la fa. Prendete anche i 5Stelle: l’anno scorso si illusero che bastassero le piazze, mentre Renzi girava i talk show a televendere i suoi 80 euro, e alle elezioni europee li doppiò: 40,8 a 21. Poi Grillo e Casaleggio scoprirono che la tv non è il demonio, basta saperla usare con un pizzico di sale in zucca e saperci mandare chi “buca” e “funziona”, tipo i cinque del Direttorio più alcuni altri. E subito un movimento che pareva destinato al viale del tramonto è tornato a salire nei sondaggi.

Intendiamoci. Non c’è nulla di incoraggiante nel constatare che siamo ancora il paese più teledipendente d’Europa, dopo tutte le teorie sulla morte della tv generalista, sulle magnifiche sorti e progressive della Rete e sull’inutilità di darci una legge antitrust e sul conflitto d’interessi. Ma le cose stanno così: anche questa campagna elettorale che dovrebbe essere più vicina e attenta ai problemi locali si fa negli studi televisivi: le Regioni sono le istituzioni più sputtanate che abbiamo (fra le tante), e dei loro problemi sembra fregare poco o nulla. Tant’è che in video i candidati si vedono pochissimo, oscurati dai soliti Renzi & Salvini, con l’aggiunta (tardiva in tutti i sensi) di B. Tutti e tre accomunati da un sovrano disprezzo per i cittadini, trattati come carne da cannone, o di porco.

Anni fa, in un altro raro lampo di sincerità, B. paragonò l’elettore medio a “un ragazzo di seconda media che nemmeno siede al primo banco”. Tutti, ma proprio tutti i leader di partito ci considerano un ammasso di creduloni che si bevono tutto e a cui si può raccontare di tutto. Renzi, il più grande riciclatore di vecchie muffe della storia repubblicana, continua a raccontarci che sta “cambiando l’Italia”. Salvini, che non ha mai lavorato in vita sua e vive di politica da 20 anni, cioè da quando ne aveva 20, si spaccia per il nuovo che avanza e gabella per ricette nuove ed efficaci contro l’immigrazione le vecchie e ammuffite patacche usate per vent’anni da Bossi e Maroni e regolarmente fallite a livello nazionale, regionale, provinciale, comunale e rionale. B. continua a menarla con la “svolta autoritaria” di Renzi, a cui ha collaborato fino all’altroieri. Mai, nella pur ragguardevole tradizione italiota, s’era visto un così alto, trasversale e totalitario concentrato di balle. In un paese maturo, la rivolta degli elettori umiliati porterebbe a uno sciopero plenario del voto.

Qui è tutto più lento, anche se i sondaggi registrano da qualche mese le prime fughe di massa dal nuovo pifferaio, che è riuscito a farsi sgamare molto più in fretta di quell’altro. Fughe che però si indirizzano prevalentemente verso l’astensione, che l’anno scorso con l’aggiunta delle bianche e delle nulle toccò il 45% degli aventi diritto, e che ora sfiorerà il 50. Cioè toglierà all’insieme delle forze politiche l’ultimo scampolo di legittimità: quel quorum al di sotto del quale i referendum non valgono. Se poi la forza antisistema dei 5Stelle confermasse i sondaggi sopra il 20% (pari al 10 degli aventi diritto), avremmo i due terzi degli elettori che contestano in blocco tutti i partiti. Ma servirà a poco. Per un paio di giorni si aprirà il solito dibattito-farsa sul “divario fra paese reale e paese legale” (si fa per dire) e su come “riavvicinare i cittadini alla politica”. Seguirà la consueta spartizione delle poltrone fra partiti la cui voracità è inversamente proporzionale alla rappresentatività. Il manuale Cencelli calcola le percentuali di cadreghe in base ai voti validi, fossero anche 2 o 3. Si spera che stavolta chi vuole protestare davvero lo faccia attivamente, votando contro gli impresentabili di ogni risma e a favore dei presentabili. Chi non vota ha quasi sempre ragione, ma lascia tutta la torta a chi ha torto.

Marco Travaglio (Il Fatto Quotidiano - 26 maggio 2015)


venerdì 8 maggio 2015

Daniele Corsini e Davide De Crescenzi: il mondo della finanza e altre cose.

In un contesto sempre più caratterizzato da improvvisati e improbabili opinionisti o, peggio, sedicenti scrittori partigiani, per avere informazioni qualificate, occorre sempre approfondire le tematiche ricorrendo a letture dedicate. 
Per questo, sempre più, rimangono insostituibili gli specialisti dotati di onestà intellettuale che, nella loro qualifica  di analisti del pensiero, con oculati e chiari scritti riescono a rendere comprensibili anche i fenomeni più complessi. 
Per quanto ovvio, consentire e facilitare a questa tipologia di scrittori l'accesso ad una editoria non monopolizzata assicurerà sempre la libera circolazione delle idee e di qualsiasi modello socio-politico. Ancor di più oggi, atteso il fatto che la globalizzazione - riuscendo ad espandere le platee di ascolto e le occasioni di verifica - può facilitare una virale diffusione del pensiero.
Le scelte dei lettori (cittadini del mondo) contribuiranno poi al successo o magari al diffondersi delle mode, ma daranno sempre linfa propositiva ai dibattiti, alle critiche ed all'affinamento di ogni ipotesi teorizzata. 
In questa linea si muovono gli autori Daniele CorsiniDavide De Crescenzi che, ancorché fini saggisti specializzati in tematiche finanziarie, riescono spesso a fare immaginare dei nuovi mondi possibili; i due, peraltro, nell'illustrare efficacemente le loro creative proposte organizzative, non disdegnano mai di discuterle - esponendo, se è il caso, eventuali criticità o loro possibili dubbi - e di rendersi disponibili a confronti. 
Per avere un esempio della loro produzione può tornare utile consultare alcuni articoli postati nel presente blog o dei loro saggi reperibili in commercio anche in forma di ebook (Banche e Vanghe).


Essec


Linea d'ombra


Qualche settimana fa ho scritto un pezzo che, avendo come tema il confezionamento dell'autoriforma del sistema del credito cooperativo, era intitolato "Ildifficile mestiere del sarto". Oggi dovrei riprendere quella metafora e intitolarla "Il sarto impazzito". Nel frattempo infatti sul tavolo da lavoro del nostro immaginario artigiano i modelli cartacei, presupposto per passare al taglio e alla cucitura definitiva dell'abito, si sono moltiplicati e affastellati, al punto che la confusione è massima ed è financo complicato distinguerli l'uno dall'altro.
Ne ho contati almeno sei o sette, proposti da altrettante componenti centrali e periferiche del movimento bancario cooperativo, nessuno dei quali sembra al momento prevalere. Chiedo comunque venia se, citandoli, ne ho scordato qualcuno, magari uscito proprio mentre sto scrivendo.
Le endiadi che possono aiutare a riassumerli sono: obbligatorietà vs volontarietà di adesione a nuovi schemi, ovvero coscrizione obbligatoria o libera uscita, unicità/centralismo vs pluralismo/decentramento, cioè l'unione fa la forza, ma è anche vero che più aiuole fiorite esprimono la biodiversità del localismo bancario. Infine centrale cooperativa o gruppo bancario S.p.A., vale a dire se debba prevalere l'anima associativa del movimento piuttosto che lo spirito imprenditoriale delle sue articolazioni. Ma vi dico ancora che non sono mica tanto sicuro di saperne cogliere le effettive diversità. Quindi, per favore, ancora una volta non criticatemi.
Quanto ai protagonisti, elenco senza un ordine preciso: l'iniziativa di Federcasse, quella degli ultimi giorni di Iccrea Holding, un'iniziativa ciascunodella Cassa Centrale del Trentino e di quella altotesina, la proposta della BCC di Roma, quella della BCC CentroPadana, nonché la ormai storica, dati gli anni trascorsi dalla sua prima uscita pubblica, della Federazione Toscana con il suo affezionatissimo gruppo cooperativo paritetico.
Tra i vari raggruppamenti, vi è da considerare anche quello delle BCC, che, con valide ragioni, si propongono di sottrarsi alla logica di ogni erba un fascio e cercano di approfondire le implicazioni di una trasformazione in banca popolare o in società per azioni.
Non sembra che, così facendo, si vada verso un'auto soluzione di sistema, dato che i compromessi necessari richiederebbero a ciascuno dei proponenti di rinunciare a parti essenziali delle loro idee riformatrici.
Ma, come in politica, anche in banca non conviene coltivare certezze. Può essere che da ultimo qualche "coniglio unitario" esca dal cilindro che al momento ne contiene tanti, ma mi sembra sempre più probabile che ci voglia un arbitratore, un decisore, un "sarto dei sarti", che autorevolmente, da esterno, dia soluzione al problema. E così il valore politico di un movimento che, riconoscendo le proprie criticità, ne promuove, autonomamente e con determinazione, il superamento va definitivamente perduto. E con esso l'autorevolezza. Va da se' che il "magister sartorum" non potrà che essere, in base alle rispettive competenze, il binomio Governo-Bancaditalia.
Il secondo punto riguarda, invece, ciò che manca a tutte le proposte di rinnovamento della Governance fin qui rese note. Non mi stancherò di dire che manca un progetto industriale che, intervenendo sulle prospettive di sviluppo del credito cooperativo, dia supporto ai cambiamenti di Governance.
La nuova Governance senza Progetto Industriale è zoppa, il Progetto Industriale senza la nuova Governance è cieco.
Molti sono gli spunti da progetto industriale. Si va dalle esigenze di rilancio e ampliamento del business, agli investimenti in tecnologia, al rafforzamento delle professionalità degli addetti e dei vertici, al consolidamento delle troppo numerose entità della galassia, al ridimensionamento della rete distributiva. E così via.
Ma forse, più ragionevolmente si dovrebbe almeno parlare di come mettere in sicurezza i resti del sistema del credito cooperativo con un piano di natura straordinaria volto a semplificare e rilanciare quello che ne rimane. È talmente rilevante la quantità dei crediti dubbi anche presso le Bcc che oggi la consapevolezza si dovrebbe spostare sulla natura macroeconomica degli interventi necessari per rammendare non tanto le singole aziende, quanto il movimento nel suo complesso. Invece prevale la sensazione di un continuo gioco dell'oca che torna sempre alla casella iniziale.
La fascinazione che esercitano i modelli della nuova Governance impedisce di occuparsi di mutamenti strutturali sempre più necessari. Con il che i ritardi e le inefficienze rischiano di accumularsi ulteriormente.
Scusatemi ancora, ma mi viene d'impulso il detto che mentre a Roma e in altri luoghi d'Italia si discute a non finire di autoriforma, Sagunto, ovvero il sistema bancario cooperativo, si indebolisce ancora di più. E citando a memoria, mi viene alla mente anche Einstein sulla contraddizione di affidare ai responsabili delle attuali criticità la soluzione dei problemi che essi hanno contribuito a generare.
C'è poi un terzo punto che riguarda l'affanno che si avverte per chiudere rapidamente situazioni di crisi bancaria di BCC di grande dimensione, prima che entri in vigore il nuovo quadro europeo sulla risoluzione delle crisi e sui fondi di garanzia dei depositi, che ruoterà intorno al minaccioso bail-in, il quale, nelle discussioni e sulla stampa, sta diventando quasi un luogo comune, senza che se ne siano finora sperimentate le conseguenze sulla fiducia del depositante bancario.
È bene che queste ultime operazioni avvengano nella massima trasparenza (cioè evitando ogni possibile conflitto di interessi) e sostenibilità per tutto il movimento, considerato il cospicuo impegno di risorse richiesto da detti salvataggi e l'emergere di fattispecie non proprio edificanti, quali il collocamento da parte di gestioni un po' allegre e per anni senza efficaci controlli di obbligazioni attinenti a prestiti subordinati a clientela con profilo tecnico non adeguato alla comprensione dei relativi rischi. Elementi di gravità tale che, doverosamente, i commissari straordinari di alcune banche decotte portano alla luce, con la conseguente necessità di onerosi interventi a protezione dai rischi di reputazione, se non addirittura da ipotesi di accuse per truffa.
Infine, è da poco terminata l'ispezione presso Iccrea Holding, una dei primi test di integrazione della nuova vigilanza europea con la vigilanza nazionale, avente ad oggetto, per quanto se ne sa, Governance e Tecnologia di quel gruppo bancario diventato di rilevanza sistemica. Credo che ci sia, tra gli addetti ai lavori, curiosità per conoscerne gli esiti. 
Tutto il resto, avrebbe cantato il grande Califano, è noia e non è gioia.

Daniele Corsini (A.D. Cabel Holding)