sabato 29 settembre 2018

Il reato di Bossi, il Codice Rocco e i giornalisti con due stipendi


La notizia che Umberto Bossi è stato condannato in via definitiva dalla Cassazione a un anno e 15 giorni di reclusione per vilipendio al capo dello Stato poiché in un comizio del 29 dicembre 2011 aveva dato del “terrone” a Giorgio Napolitano aggiungendovi il gesto delle corna, era passata quasi sotto silenzio. Ma ieri, su Libero, scende in campo da par suo Renato Farina, il noto ‘Betulla’, che quando era vicedirettore di quel giornale collaborava per denaro con i Servizi segreti italiani fornendo informazioni e pubblicando notizie false (che i nostri Servizi si siano serviti di una nullità come Farina la dice lunga sulla loro efficienza). Giuliano Ferrara, anch’egli giornalista e anch’egli al soldo dei Servizi segreti, questa volta americani, la Cia, lo difese così: “Farina ha preso due stipendi? Che male c’è? Se uno fa due lavori è ovvio che prenda anche due stipendi”. Che sarebbe come dire che è giusto che un poliziotto prenda uno stipendio dallo Stato e che un altro stipendio lo ricavi dalla refurtiva che requisisce a suo uso e consumo.
Naturalmente Farina non affronta il nocciolo della questione ma prende slancio da questa sentenza per attaccare la Magistratura (e che altro potrebbe fare uno che agisce nell’orbita del “delinquente naturale”?) e per somministrarci una dotta disquisizione sul termine “terrone” dandosela da uno che la vita la conosce bene mentre in realtà ha frequentato solo oratori e le scuole delle “figlie di Maria”.
La Magistratura applica le leggi. E le leggi le fa o le convalida il Parlamento. Ciò che si dovrebbe fare oggi non è impetrare una grazia per Bossi, come fa Farina, ma chiedere e ottenere dal Parlamento, non a favore di Bossi ma di tutti i cittadini di questo Paese, l’abrogazione di tutti i reati di opinione di cui è zeppo il nostro Codice penale, eredità del Codice Rocco vigente durante il regime fascista, fra qui c’è anche il vilipendio: della Repubblica, delle Istituzioni costituzionali, delle Forze Armate, alla bandiera o altro emblema dello Stato, alla Nazione italiana, alla religione dello Stato.  
Per non farci mancar nulla a queste leggi liberticide ne abbiamo aggiunta un’altra, ancora più aberrante, la legge Mancino del 1993 che punisce l’odio razziale, etnico, religioso, nazionale. Per la prima volta nella storia, credo, si sono volute mettere le manette anche ai sentimenti. Perché l’odio è un sentimento, come l’amore, la gelosia, l’ira. Io ho il diritto di odiare chi mi pare e di aderire alle ideologie, anche quelle che appaiono più aberranti, quelle naziste e fasciste, che più sento vicine. L’unico discrimine in Democrazia è che nessun sentimento o idea, giusta o sbagliata che sia, può essere fatta valere con la violenza. E’ il prezzo che la Democrazia, ammesso che un sistema del genere esista, paga a se stessa. Altrimenti si trasforma in una sorta di teocrazia laica.
Ma uno dei problemi della cosiddetta democrazia italiana non sono solo i partiti che, debordando dalle disposizioni costituzionali, ammesso che la Costituzione abbia un senso, hanno occupato tutte le Istituzioni, tutte le aziende di Stato e del parastato, di cui la Rai è solo l’esempio più evidente, ma sono proprio i giornalisti, quasi tutti i giornalisti che, senza arrivare agli estremi di Renato Farina o di Giuliano Ferrara, prendono due stipendi, uno dalle case editrici per cui lavorano, l’altro attraverso i vantaggi che ottengono dai partiti o dalle lobby cui si sono affiliati.

Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 29 settembre 2018)

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