La notizia che Umberto Bossi è stato condannato in via definitiva
dalla Cassazione a un anno e 15 giorni di reclusione per vilipendio al
capo dello Stato poiché in un comizio del 29 dicembre 2011 aveva dato
del “terrone” a Giorgio Napolitano aggiungendovi il gesto delle corna,
era passata quasi sotto silenzio. Ma ieri, su Libero, scende in
campo da par suo Renato Farina, il noto ‘Betulla’, che quando era
vicedirettore di quel giornale collaborava per denaro con i Servizi
segreti italiani fornendo informazioni e pubblicando notizie false (che i
nostri Servizi si siano serviti di una nullità come Farina la dice
lunga sulla loro efficienza). Giuliano Ferrara, anch’egli giornalista e
anch’egli al soldo dei Servizi segreti, questa volta americani, la Cia,
lo difese così: “Farina ha preso due stipendi? Che male c’è? Se uno fa
due lavori è ovvio che prenda anche due stipendi”. Che sarebbe come dire
che è giusto che un poliziotto prenda uno stipendio dallo Stato e che
un altro stipendio lo ricavi dalla refurtiva che requisisce a suo uso e
consumo.
Naturalmente Farina non affronta il nocciolo della questione ma
prende slancio da questa sentenza per attaccare la Magistratura (e che
altro potrebbe fare uno che agisce nell’orbita del “delinquente
naturale”?) e per somministrarci una dotta disquisizione sul termine
“terrone” dandosela da uno che la vita la conosce bene mentre in realtà
ha frequentato solo oratori e le scuole delle “figlie di Maria”.
La Magistratura applica le leggi. E le leggi le fa o le convalida il
Parlamento. Ciò che si dovrebbe fare oggi non è impetrare una grazia per
Bossi, come fa Farina, ma chiedere e ottenere dal Parlamento, non a
favore di Bossi ma di tutti i cittadini di questo Paese, l’abrogazione
di tutti i reati di opinione di cui è zeppo il nostro Codice penale,
eredità del Codice Rocco vigente durante il regime fascista, fra qui c’è
anche il vilipendio: della Repubblica, delle Istituzioni
costituzionali, delle Forze Armate, alla bandiera o altro emblema dello
Stato, alla Nazione italiana, alla religione dello Stato.
Per non farci mancar nulla a queste leggi liberticide ne abbiamo
aggiunta un’altra, ancora più aberrante, la legge Mancino del 1993 che
punisce l’odio razziale, etnico, religioso, nazionale. Per la prima
volta nella storia, credo, si sono volute mettere le manette anche ai
sentimenti. Perché l’odio è un sentimento, come l’amore, la gelosia,
l’ira. Io ho il diritto di odiare chi mi pare e di aderire alle
ideologie, anche quelle che appaiono più aberranti, quelle naziste e
fasciste, che più sento vicine. L’unico discrimine in Democrazia è che
nessun sentimento o idea, giusta o sbagliata che sia, può essere fatta
valere con la violenza. E’ il prezzo che la Democrazia, ammesso che un
sistema del genere esista, paga a se stessa. Altrimenti si trasforma in
una sorta di teocrazia laica.
Ma uno dei problemi della cosiddetta democrazia italiana non sono
solo i partiti che, debordando dalle disposizioni costituzionali,
ammesso che la Costituzione abbia un senso, hanno occupato tutte le
Istituzioni, tutte le aziende di Stato e del parastato, di cui la Rai è
solo l’esempio più evidente, ma sono proprio i giornalisti, quasi tutti i
giornalisti che, senza arrivare agli estremi di Renato Farina o di
Giuliano Ferrara, prendono due stipendi, uno dalle case editrici per cui
lavorano, l’altro attraverso i vantaggi che ottengono dai partiti o
dalle lobby cui si sono affiliati.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 29 settembre 2018)
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