In risposta allo scritto "Falsa dicotomia" sostanzialmente ispirato al ritorno degli ordini sociali feudali che
in qualche modo lentamente si sono ricostituiti, se mai fossero del tutto
scomparsi, magari anche attraverso nuove categorie corporative che si identificano con gli stessi metodi esclusivi, ad esempio anche attraverso adozioni
di linguaggi "autoctoni" (politico, giuridico, filosofico, finanziario, commerciale, medico, burocratico,
etc …), l’amico Pippo a stretto giro di posta mi ha inviato una email, che mi
fa piacere condividere.
© Essec
"Prendi fiato
nella tua rincorsa alla ricerca di una claritas oggettiva per ogni esposizione:
per il sottoscritto “è tempu persu vattiari u turcu”.
Tanto premesso,
condivido la simpatia nei confronti di De Crescenzo.
Forse sai che è
stato un grande narratore fotografico (v. “La Napoli di Bellavista” edizioni
Mondadori).
Il nostro
ingegnere, che aveva ottimi studi alle spalle (ti dice niente un mostro della
logica matematica come il prof. Renato Caccioppoli?), fondava la semplicità
espositiva dei suoi teoremi, logici ed esistenziali, nella grande scuola
napoletana di Peppino Marotta che riusciva a far digerire ai suoi “Alunni del
sole” le più ardite fantasie di Heidegger e, nel contempo, convincerli che
Zeus, minuto più minuto meno, si sarebbe visto dalle parti del Vicolo
Scassacocchi. Tanta era la fiducia nell’affabulazione e nell’affabulatore.
Perché poi, le
storie, e le logiche in essa sottese, bisogna raccontarle bene: la storiellina
da te adoperata va completata.
“Quando il
visitatore provò a raccontare la barzelletta citando, proprio lui, “un” numero,
i poveri matti non risero affatto, giustificandosi con un “non l’hai saputa
raccontare” (bellissimo apologo sul nesso semantico tra significante e
significato).
Non capisco
l’enfasi posta sulla “falsa dicotomia”.
Nell’arte
oratoria come nella sacra eloquenza (materie di studio in seminario e in
giurisprudenza) la dicotomia è sempre fallace poiché¨ in astratto, non puoi
dividere/racchiudere un’affermazione in due sole prospettive. Ne consegue che
nel momento in cui ciò avviene, e limitatamente a quel momento, e nel contesto
in cui si sviluppa, e in funzione di chi ascolta, la dicotomia, strumento
retorico-linguistico, è paradossalmente vera e strumentalmente efficace a
chiarire i concetti anche più difficili. Pertanto ritengo che se ne possa fare
un uso corretto in funzione del raggiungimento di quella claritas come la
volevano gli Scolastici (che se ne intendevano).
Per anni ho
dovuto, per motivi professionali, leggere, il Sole24Ore e quindi cominciare ad
apprezzare il pensiero dell’ottimo Dominici, e trarre giovamento dalle
attenzioni da lui rivolte alla sociologia del linguaggio.
L’analisi dei
problemi e dei risvolti sociali ad essa connessi non erano, nei suoi scritti,
mai un esame del cosiddetto “stato dell’arte” della comunicazione ma la ricerca
etica e scientifica sugli strumenti del linguaggio, dei suoi
obiettivi e dei suoi impatti sociali.
Quindi, quando
proviamo a definire “le false dicotomie”, talvolta necessarie per semplificare,
facciamo solo cronaca; quando proviamo ad interpretare le direzioni di tali
falsità facciamo, quanto meno, una legittima scelta di parte.
Cosa diversa, e
mio avviso assai più interessante, è¨ l’antinomia didattica laddove la
prescrizione di un comportamento può˛ diventare un dilemma educativo (non
parlare con gli sconosciuti, e il bimbo non ascolta l’allarme dello
sconosciuto; non uscite di casa, state dentro, attenti alle false notizie e si
accettano limitazioni di libertà e di espressione).
Da dove viene la
parola equilibrio? Da latino che traduce uguale e bilancia, due esperienze difficili
da allineare. Appunto, difficili,
Ma ci proviamo,
anche con le false dicotomie.
Pippo Pappalardo"
Pippo Pappalardo"
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