sabato 29 luglio 2023

Percorsi immaginari in visite virtuali a mostre (di Pippo Pappalardo)



Se gli chiedi a che punto sei, ti risponde sempre che è intento a scrivere qualcosa e spesso per qualcuno. Anche se la sua opera letteraria rivolta al paesaggio è andata oltre al primo capitolo e ha ripreso fiato, rimane ancora indefinita e ogni sera si ritrova riposta nel solito cassetto.
Pippo è fatto così, non riesce mai a negarsi per un contributo a chi, con l’intento di impreziosire l’iniziativa intrapresa, viene a chiedergli una prefazione dotta o una brillante recensione al fine di dare maggiore spessore e risalto all’operazione proposta come oggetto di disamina.
Mantenendosi coerente con la sua innata voglia di concettualizzare e proporre una propria sintesi alle infinite letture che lo intrigano, che, ovviamente, non riguardano solo la fotografia, la sua presenza si mantiene su più fronti.
Oltre a Fotoit, trova spazi per collaborazioni attive con ambienti universitari, associazioni e circoli, ricercando occasioni per trovare nuovi stimoli e, soprattutto, sentire anche i rintocchi – più o meno intonati o armoniosi – di altre campane.
In questi giorni spende la sua attività anche sulle pagine dell’ACAF, trovando modo di proporre soluzioni letterarie che profumano di fresco.
Ho raccolto si seguito gli ultimi post editati, sicuro di fargli cosa gradita.

Buona luce a tutti!


© ESSEC

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“Riceviamo e pubblichiamo sempre con piacere dal nostro caro Pippo Pappalardo:
Cari amici, care amiche, come state? Spero tutti bene.
Vi voglio pronti a liberare il tempo per accogliere le visioni nuove della ricerca e della fantasia. Pronti a vivere il tempo liberato, quello reso sensibile dal desiderio di una nuova scoperta, di una nuova agnizione.
L’anno sociale che abbiamo serenamente trascorso è volato troppo rapidamente, ma il buon Pippo Sergi, ed i suoi collaboratori, hanno fatto in tempo a calendizzare momenti di studio, di confronto, di conoscenza, di scambio, di esperienza.
Dopo gli anni della pandemia il gruppo ha ripreso il desiderio di vivere, con una curiosità tutta nuova e con una passione rigenerata, la comune avventura dello sguardo e ha lasciato maturare i tempi e le opportunità per promuovere mostre, presentare libri, conoscere fotografi.
Nell’anno nuovo, ci toccherà capire quanta energia occorrerà per mantenere efficace ed efficiente la macchina del nostro sodalizio.
Ho pensato, allora, ad un libro da leggere durante le vacanze. Un libro che tornasse utile per strutturare un bilancio del lavoro fatto e chiederci della qualità del contributo da fornire al gruppo ed alla nostra passione.
Il libro me lo consiglia il comune amico Ferdinando Scianna. Si intitola ABECEDARIO FOTOGRAFICO, edizioni Contrasto, €. 16,90, e ci regala un florilegio di tante considerazioni che un fotografo serio è costretto a meditare se vuol penetrare nel mistero e nel fascino del gesto fotografico.
La lettura è agevolissima, simpatica e rimanda ad altre letture (come piace a me), ma, soprattutto, concilia il presente con il passato dei nostri lavori e fa pulizia nella serena visione futura della nostra sperimentata vita associativa.
Leggetelo e poi guardiamoci negli occhi.
Buon riposo e ……. tanta serenità.”

"Seconda raccomandazione"
Ci hai consigliato solo un libro? E vi sembra poco, mi verrebbe da dire.
Ed allora vi spedisco in giro:
A- Percorso facile: Catania Castello Ursino – Scianna, Ti ricordo Sicilia, fino ad ottobre;
B- Percorso non difficile: Modica, ex Convento del Carmine, da oggi fino al 13 ottobre, “Cronache” di Alex Majoli;
C- Percorso impegnativo: Roma, Museo di Trastevere, Philippe Hanslman, fino a gennaio 24;
D- Percorso complicato (c’è di mezzo il mare): Cagliari, Inge Morath Antologica, fino al 1 ottobre.
Mi auguro che qualcuno possa raccogliere questi suggerimenti per, poi, ritrovarci e scambiare le comuni esperienze.
Vi ho segnalato tre uomini, una donna, ben tre membri della Magnum, ed, in ogni caso occhi che continueranno a spiegarci il mondo; anche quello sotto casa. Buon divertimento.
Arrivederci
Pippo Martino


"Una nuova rubrica -"Visti per voi"- dal ns. Pippo Pappalardo"
Ormai sono qui, in una piazza che più romana non saprei immaginarmi: vi si affaccia l’ingresso di un giardino pubblico, in un tardo stile liberty, umbertino direi, anche per certi richiami che convergono nell’imponente statua del Savoia di turno, anche qui realizzata dal Rutelli. La piazza, là ricordavo, dall’ultima mia peregrinazione, più ricca di palme; il chiosco sopravvive, la villa del grande patrizio cittadino fa bella mostra di se all’incrocio dei viali.
Purtroppo fa caldo nella capitale (?) che mi sto “disegnando”; troppo caldo, tanto da disturbare la frenesia che ho di accedere alla mostra di Philippe Halsman. Non ho acquistato alcun il biglietto d’ingresso perché, come in un miraggio, mi son sentito chiamare dalla figura di “lei” che s’involava sul fondo azzurro del grande manifesto. E la figura stava saltando e ballando solo per me (?), volgendo, provocante ed allusiva, la risata della spregiudicatezza, della gioia leggera perché contaminata solo dal dono di voler apparire ancora bella, ancorché alquanto ubriaca e consapevole del tempo trascorso.
Gli organizzatori della mostra, invero, bene avevano fatto a puntare sul ritratto di Marylin per caratterizzare il significato della proposta: c’è tutta “l’insostenibile leggerezza dell’essere” dello scomparso Kundera, c’è l’ombra tragica del Titanic che si proietta, ancora, anche sul nostro tempo, e c’è il sussurrato pensiero a ricordarci “che a qualcuno piace caldo”.
Ed ora cosa faccio? lascio la panchina e mi inoltro nella foresta delle immagini (ben 160 pag.)? oppure cerco di ricordare qualcosa del mio amato fotografo (che visse nella sua vita un episodio talmente tragico che mi stringe il cuore solo a pensarlo?).
No. MI basterà camminare tra le sale (le pag.?) del museo e sarò riportato nel mondo, e tra gli eroi, che hanno popolato i miei settant’anni: c’è Nabokov, Einstein, Kennedy. Ci sono le copertine di Life; ci sono Rubinstein, Duchamp, Cocteau, Dalì, Steinbeck, Armstrong, De Chirico; e poi, il mio cinema, quello di Hitchcock e delle sue donne. Tippi Hedren, Grace Kelly, Vivian Leigh, Mia Farrow, Rita Hayworth, Lauren Bacall, cui fanno da splendido contraltare le brune Loren, Mangano, Magnani, Hepburn, Gardner e, poi, lei, eternamente lei, ammesso che sia mai esistita realmente su questa terra: Liz Taylor.
Il caldo mi ha fatto dimenticare che sto guardando da “maschietto” d’antan. Non preoccupatevi: nelle sale (nei capitoli) spiccano, imbarazzantemente belli, Paul Newmann, Laurence Olivier, Marlon Brando, Ives Montand e, tra questi, Bogart, Hoffmann.
Eppure sono stanco di tanta bellezza, sono stanco di tanta buona fotografia, di tanta eccellenza di ritratti.
Mi domando, tra me e me: perché, in questo nostro tormentato tempo, l’umanità ha tanta fame dei volti della gente? Cosa la spinge a guardare oltre la superfice dell’immagine stampata? Forse, dico forse, la profondità dell’essere umano intravista da Halsman?
Con questo pensiero, riprendo il cammino verso casa. Sempre diritto, in discesa, e arriverò dalla parti della Principessa Jolanda, sorella di quell’Umberto che mi guarda da sopra il suo cavallo.
Questa gita (l’avete capito) io l’ho fatta solo grazie ad un prezioso catalogo. In effetti, “occorre essere intelligenti e sensibili” per andare a Roma e vedere di presenza la nostra mostra, e sorridere con Philippe. E voi ci siete già stati e state sorridendo ancora.

Dal nostro Pippo Pappalardo, riceviamo e pubblichiamo
Visti per voi”
- Eve Arnold - Torino luglio 2023
- Caro Pippo, che piacere vederti, comodo e rilassato sulle fresche panchine di Piazza Jolanda.
- Pippo, a me altrettanto caro, le panchine non sono per niente fresche ma mi diverte lo stesso riposarmi sui loro antichi ferri per godere la vista dei cani a passeggio con i loro padroni e le grida dei bambini (ahimè, sempre più pochi). Devi sapere che in questa piazza io sono nato. Per fortuna, un fresco zampillo esce ancora dalla fontana, tra l’ironia delle persone poiché in città scarseggia l’acqua. Tra poco mi gusterò una buona granita e cercherò in qualche modo di imbrogliare il tempo.
- Imbrogliare! Via, che parola forte; cosa intendi?
- Proprio ciò che significa: scriverò di una cosa che non ho fatto, parlerò di qualcosa che non ho visto, rimembrerò e proporrò emozioni, impressioni, stadi d’animo che non ho vissuto concretamente eppure dirò di averli materialmente sperimentati.
- Sei sempre il solito Pippo, complicato e complesso. Non ti seguo. A cosa stai pensando?
- Devi sapere, mio alter Pippus, che mi sono ripromesso di visitare tutte le mostre che sono in giro per l’Italia, e, prima che finisca l’estate - sono tante – penso di riuscirci.
- Decisamente, ritengo che il caldo ti stia facendo ammattire. Ma vedo che hai un libro con te, come una guida. Lo riconosco: Eve Arnold, Cimorelli Editore.
- Lo sto compulsando per capire se la mostra che ho “sognato” abbia considerato tutti i precipui aspetti della nostra fotografa. Come tu sai, è stata una delle prime donne Magnum, ed inoltre una sensibile interprete dei cambiamenti della società americana. Penso che sia stata la prima a raccogliere l’immagine stellare dei vip della cronaca USA, della politica, dello star system ed essere riuscita a riportarla concretamente in una raffigurazione quotidiana, sincera quanto convincente. Penso al superbo servizio su Malcom X, leader del Black Muslims, dal quale ottenne una fiducia e una disponibilità sorprendenti se consideriamo che Eve era pur sempre bianca, donna e americana. E poi, tra queste pagine c’è ancora lei, tenera, morbida, disponibile, sorridente, coinvolgente.
- Stai parlando di Marylin? E’ una fissa la tua.
- E di che se no? Pensa che in mostra non hanno dimenticato neppure il celebre ritratto dove la Nostra sta leggendo - evento alquanto improbabile - l’Ulisse di Joyce. Eppure. noi tutti siamo qua in attesa di essere chiamati per poterglielo spiegare (?).
- Mi hai fatto diventare curioso su questa tua peregrinazione. Attendo, allora, questo tuo imbroglio.
- Alt. Io imbroglio solo me stesso; imbroglio, magari, il mio alter Pippus; imbroglio anche la mia bionda Marylin. Ma non imbroglio chi mi legge. Credetemi: se cercate un frizzante riposo, fate come me, provate a penetrare dentro le immagini di Eve Arnold e…… godetevele!

Riceviamo e pubblichiamo dal nostro Pippo Pappalardo
Caro Pippo,
quando ti giungerà questa mia, io sarò andato via da Cagliari laddove, grazie al tuo suggerimento, ho potuto apprezzare la straordinaria mostra di Inge Morath. Proprio le immagini della fotografa Magnum (la prima donna ad essere ammessa nella prestigiosa agenzia) mi hanno spinto a non tornare immediatamente nella nostra Catania e proseguire, invece, in giro per il Mediterraneo. Volevo capire come avesse fatto, di volta in volta e con una sola immagine, a comprendere e trattenere l’essenza, l’anima, la radice, il volto, l’anima di un luogo, di una gente, di una nazione. Guardavo una sua fotografia ed ero in Cina, in Spagna, in Francia o in America, invitato a vivere un tempo diverso eppure, da sempre, mio.
Divisi per continenti, paralleli e meridiani, i suoi sguardi testimoniavano di una passione e di una necessità verso la fotografia: dietro ogni orizzonte non c’erano sempre drammi, vicissitudini, disagi, tragedie e difficoltà ma entusiasmi, relazioni, scoperte, scambi di sorrisi e di mani che reclamavano la loro visibilità.
L’acquisizione di questa nuova consapevolezza mi ha messo le ali ai piedi; e così ho ripreso il viaggio. Ti ho comprato il catalogo della mostra, Inge Morath, Ed. Silvana e, come ciliegina sulla torta, ti porterò lo splendido lavoro su Venezia. Avremo modo, sulle panchine di Piazza Iolanda, tra i nostri “coetanei”, tra i cani ed i bambini, di parlare della nostra fotografia; quella realizzata dalle donne che abbiamo ammirato, dei luoghi che abbiamo amato, e, purtroppo, quella dei viaggi che non hai voluto fare. Ormai è tardi (visti i tuoi malanni); i viaggi te li racconterò io. Sono sicuro che quando girerai agli amici il mio racconto, questo racconto diventerà un altro viaggio. Ma stavolta lo avremo fatto insieme.
Caro Alter Pippus,
son contento della riuscita del tuo viaggio, delle belle prole che hai saputo far sbocciare e dei buoni propositi per il tempo a venire.
Ma, lo avrai già capito, a me, della tua gita a Cagliari, premeva ben altra cosa: “LEI” c’era? Devi sapere che Inge Morath non ebbe solo il piacere di fotografarla ma anche la strana sorte di sposarne il marito (il commediografo Arthur Miller): quindi, uno sguardo fotografico non proprio “indifferente e disinteressato” - come diciamo noi avvocati nelle testimonianze in Tribunale -. Allora, l’hai vista? che effetto ti ha fatto? Raccontami.
Caro Pippo,
mi aiuto con le tue parole. Si, c’era; e la gigantografia ci ha sconvolti alquanto, quasi fossimo tutti dei bimbetti. Il fotogramma (scattato durante le riprese del film “Gli spostati”) la ritraeva mentre procedeva a piedi nudi tra gli alberi di un improbabile giardino dell’Eden. Da dove venisse fuori e quali fossero i suoi pensieri è stato bello solo cercare di indovinarlo; di certo il suo sorriso era quello di una donna (Eva, Lilith?) che aveva combinato qualche marachella e gioiva solo al desiderio di raccontarla; e così lo spazio intorno diventava il tuo spazio e la distanza dalla sua persona era solo quella della tua mano. La bionda ha colpito ancora. E’ vero, siam vecchietti eppure impazziamo per queste bionde criniere - ma poi ci innamoriamo solo delle brune (e le sposiamo pure) –, Alla prossima.

Fake news di stagione
Rimbalza, dalla cronaca del Los Angeles Tribune a quella del New York Times, una notizia che ci ha alquanto turbato.
Pare che nel celebre Memorial Park Cemetery, presso il Westwod Village, a Los Angeles in California, da qualche giorno, la polizia locale stia cercando di allontanare un uomo decisamente adulto, di razza bianca, che si esprime a monosillabi in lingua italiana, dal piccolo loculo dove riposa la divina Marylin Monroe.
L’uomo, che non ha ancora declinato le proprie generalità, non intende allontanarsi dal loculo dov’è sepolta la bionda attrice e pretende solo di realizzare selfie accanto all’immagine della diva. Unico elemento identificativo che reca con se è un ritratto vintage, realizzato dal celebre Avedon all’eroina di tanti film. (v. foto in basso) Sul retro del ritratto sta scritto “Tell the A.C.A.F.” La polizia locale brancola nel buio non sapendo sciogliere l’enigma nascosto nel suddetto acrostico.
In questa nota, noi Acaffini esprimiamo tutte le nostre perplessità ma restiamo sufficientemente sereni perché il “nostro amico” non ha mai posseduto un passaporto, non spiccica neanche una parola in qualunque lingua straniera e l’unico cimitero in cui è disposto ad andare sta dalle parti dell’Acquicella, ingresso Tre Cancelli.
Probabilmente - qualora la notizia fosse connessa con la sua persona - trattasi di qualche suo compagno di fissazione fotografica - allontanatosi da Piazza Iolanda, e al quale auguriamo di rimanere dove sta e rimanerci a lungo, fino alla fresca stagione.

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P.S. Avevo dimenticato di ricordare in premessa che, leggendo i testi di "Pippus", è opportuno tenere sempre sottomano un dizionario o almeno un cellulare per poter accedere velocemente al sito della "Treccani". Per chi già conosce il personaggio e la sua letteratura, questa è, ovviamente, una precisazione superflua!!

mercoledì 26 luglio 2023

L'ebrezza dell'arte, quando riesce a coinvolgere e confonde



Un caldo terribile, quarantacinque gradi fuori, l'impianto elettrico che non regge al carico eccessivo e l’aria condizionata fuori uso.
L’addetto alla biglietteria correttamente informa che a causa delle alte temperature i piani superiori della Galleria sono stati chiusi. È, quindi, possibile la visita, non refrigerata, per la sola mostra di Avedon e lascia pertanto a noi la scelta.
Lo svantaggio è l’eccessiva calura, il vantaggio è, invece, che saranno in pochi i visitatori presenti nella sala oltre noi. Solo quattro sono, infatti, quelli entrati fino ad ora.
Ci guardiamo in faccia con Salvo, ma avevamo deciso di non perderci quest’appuntamento, quindi optiamo di procedere: fa ‘n culo il caldo.
Chi ha curato l’allestimento ha trovato delle ottime soluzioni nello sfruttare al meglio gli spazi disponibili, così facendo è anche riuscito a far apparire le opere più numerose di quelle che erano realmente esposte.
Le separazioni in piccoli ambienti avevano saputo raccogliere l'esposizione, impaginandola seguendo periodi e capitoli di un racconto variegato che, seppur eterogeneo, manteneva fisso il legame di una umanità narrativa.
Leggerezze nei movimenti di modelle svolazzanti in bianco e nero o a colori, ritratti corrispondenti a vere e proprie maschere, pose scultoree in molti dei modelli ritratti, riuscivano a miscelare documenti fotografici come fossero tasselli pittorici di una pinacoteca.
Le immagini proposte si amalgamavano felicemente nel sinuoso percorso che, catturando lo sguardo, induceva l’osservatore a ripetere i giri, per leggere e rileggere ancora e apprezzare così sempre meglio le proposte dell'artista.
Veramente bella questa “Relationships”, una mostra che veniva a ripercorrere gli oltre sessant’anni di carriera del fotografo e ritrattista statunitense Richard Avedon, attraverso centosei immagini provenienti dalla collezione del Center for Creative Photography (CCP) di Tucson (USA) e dalla Richard Avedon Foundation (USA).
Normalmente, quando si va a visitare una mostra di fotografie dove abbondano ritratti, ci si sofferma a osservare i dettagli fissati nelle immagini. Nel vedere le fotografie di Avedon, felicemente esposte alla GAM di Palermo, accadeva però una cosa assai strana e che difficilmente si ripete negli allestimenti: in questo contesto erano, infatti, i personaggi immortalati nelle stampe che ti guardavano e che ti seguivano lungo il tortuoso percorso.
L’allestimento curato da Rebecca A. Senf, non so quanto possa essere stato corrispondente a quello del Palazzo Reale di Milano, ma in questo operato alla Galleria d'Arte Moderna di Palermo risultava partecipativo e veramente bello.
Le Immagini esposte, che inevitabilmente catturavano, continuavano sempre a seguirti e, anche se andavi a nasconderti lungo il percorso, gli occhi di Nastassja Kinski, Truman Capote, Marilyn Monroe, Michelangelo Antonioni, Marlene Dietrich, Audrey Apburn, Humphrey Bogart, Sophia Loren, Jhon Ford, Louise Nevelson, Isaiah Berlin e di tanti altri erano lì, fissi ad osservarti.
Se provavi a girarti per tornare a guardarli ti accorgevi che anche loro sembravano presenti, pure intenti a scrutarti. Per non parlare del quadrittico ammaliante dei Beatles, composto coi volti giovanili dei quattro componenti della mitica band …. che inducevano a contemplazioni mistiche.
Alla fine della fiera, non eri più tu a ricercare nelle foto, ma erano le figure dei tanti personaggi esposti che ti continuavano a ricercare e che ti osservano attente.
Mentre ti soffermavi a guardare le preziose fotografie, la sensazione era anche quella ti sentirti spiato, quasi vi fossero delle presenze vive in quella sala, di anime vaganti intente a percepire le sensazioni che ti invadevano e che stavi provando: è l'ebrezza dell'arte, quando riesce a coinvolgere e confonde!

Buona luce a tutti!


© ESSEC

sabato 22 luglio 2023

A Gloria, quindi, l'ultima parola



Un'amica, dopo aver cliccato sul link, lamentava che non c’era alcun commento alle foto.
In realtà il mio era solo un reportage fotografico, che lasciava libera all’osservatore ogni personale lettura.
Un’idea comunque me l’ero fatta, anche grazie a qualche dettaglio avuto dall’autore.
Il titolo dell’installazione “Organic*” indirizzava a un mix tra materialità e concettualizzazione.
Ogni elemento esposto, organico, residuale tecnologico o frutto di maniacalità seriale, per una sezione della mostra andava a legarsi a un soggetto fisico (esistente o esistito non avrebbe fatto differenza) che, in ogni caso, veniva a saldarsi indissolubilmente con una memoria.
Un'altra istallazione collegava residui di capelli personali …. Creando quel filo conduttore che costituiva il tema fisso nelle sedici differenti idee artistiche che erano state proposte da altrettanti autori.
Geniale e sicuramente molto originale era quelle istallazioni poste in due angoli contrapposti che, da un lato mostrava i risultati riassunti in due quadri, dall’altro proponeva un video (in loop) che andava a spiegare visivamente e con rumori di fondo reali i procedimenti materiali posti in essere per realizzare l’idea.
Tutto quindi andava a legare materia e fantasia artistica, in una provocazione che ridimensionava (secondo il punto di vista e a prescindere da qualunque enfatizzazione) entrambi gli elementi di quello che era ogni volta un unico discorso.
Non so quanto mi posso essere avvicinato all’idea realmente pensata dall'artista. L’autore nel caso, potrà confermare, smentire o, se vuole, anche spiegare meglio e completare con un suo commento.
A Gloria, quindi, l'ultima parola.

Buona luce a tutti!


© ESSEC

Possibili rischi legati alle “False Memories”

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Il provincialismo culturale costituisce l’humus ideale che permette di coltivare tante diffuse forme patologiche sociali.
Adeguatamente diffuso rappresenta un elemento importante anche nel capitalismo alterato d'oggi che, al di là della perenne crescita e dello sviluppo economico, punta a mantenere costanti, negli individui, frustrazioni e invidie eternamente inappagabili e drogate che necessitano sempre del raggiungimento di continui e fatui successi. 
Lo sciovinismo nazionalista fa spesso da ulteriore corollario.
Il senso di appartenenza e lo schieramento aprioristico, infatti, tranquillizza e stempera insicurezze che pervadono quelle masse che trovano più facile riconoscersi in fazioni e tifoserie dedite a sostenere qualcosa/qualcuno solo su immaginate basi fideistiche … spesso somatizzate e praticate come fossero degli innamoramenti o dei dogmi.
In tutto questo s'innescano anche pericolosità di testimonianze che, talvolta, ricordando e affermando accadimenti e circostanze piene di dettagli, come fossero vere, possono condizionare - e talvolta fino a stravolgerle - le vite e le esistenze altrui.
In relazione a quest'ultimo argomento, può certamente tornare utile, per qualche sana riflessione, quanto è riportato da Francesco Parisi nel suo libro “La Trappola di Narciso” (pubblicato nel 2011 da Le Lettere), pur trattando nel volume aspetti inerenti alla fotografia.
Gli interessanti stralci che di seguito si riportano, si soffermano sui possibili rischi legati alle “False Memories”.
Scrive Parisi: “Le false memorie possono essere o memorie fortemente distorte di fatti realmente accaduti o memorie che rievocano episodi mai avvenuti nella realtà … Le false memorie sono molto comuni e non costituiscono una forma patologica del ricordo, tutti noi le abbiamo e spesso riusciamo anche ad accorgerci introspettivamente del fatto che ciò cre ricordiamo potrebbe non essere vero …… Le false memorie possono riferirsi al contenuto o al contesto, possono creare un ricordo distorto di un evento a cui abbiamo assistito (false memorie testimoniali) o possono addirittura creare ricordi di fatti della nostra infanzia che non sono mai accaduti (false memorie autobiografiche).”
Parisi continua sostenendo che: “La ragione per cui tali fenomeni accadono è in realtà molto semplice e si spiega in ragione del fatto che la memoria non funziona come la metafora mente/cervello ci vorrebbe far credere: non esistono pezzetti di informazione che si costituiscono e si depositano in uno spazio isolato, esistono piuttosto processi che, nel formarsi, includono una gamma piuttosto ampia di sistemi interagenti, che provvedono alla codifica, alla registrazione, all’immagazzinamento e al recupero dell’informazione …… In questo complesso circuito neuronale è naturale che qualcosa possa andare storto.”
In una società come quella attuale, che assiste, senza le dovute reazioni, allo sproloquiare di tanti opinionisti e di molti esaltati che coltivano esclusivamente certezze, quanto riportato dal professor Parisi potrebbe certamente indurre a coltivare anche dei sani dubbi che, magari, lascino anche spazi e possibilità a opinioni diverse.
Il mitico Luciano De Crescenzo, cultore del "Dubbio", avrebbe certamente fatto affiorare tante argomentazioni da poter proporre in merito alle scivolose questioni che tratteggiano tante idolatrie, vissute talvolta come pericolose certezze. Il suo modo di filosofeggiare e la sua fervida fantasia potrebbero comunque aiutarci a immaginare quale sarebbe potuto essere un suo eventuale pungente saggio scritto al riguardo.

Buona luce a tutti!


© ESSEC

mercoledì 19 luglio 2023

Dai discorsi articolati affioravano con cadenza continua nomi pesanti di tanti caduti nella lotta alla mafia



Domenico, chiedendomi informazioni su dove fosse ubicata Via Del Fervore, mi aveva fatto ricordare di questa mostra di cui distrattamente avevo preso notizia da FB. La considerazione di sufficienza di allora era legata alla riflessione: “la solita mostra sui morti ammazzati di mafia, poi andrò a vedere anche questa”.
In verità l’avevo poi po’dimenticata rimandandola fra le tante cose che si ha intenzione di fare e che poi, a forza di mettere tempo, alla fine non si fanno.
L’amico Domenico, che invece c’era subito andato, mi venne a scrivere di avere visto una mostra superlativa e foto di notevole portata che superavano di gran lunga l’aspetto documentaristico degli omicidi di mafia più diffusi. A parer suo, una vera e propria esposizione di arte fotografica.
È quindi scattata la mia curiosità e, dopo essermi documentato sul web, andando pure a rivedere una recente intervista a Lannino postata su You Tube che preannunciava la mostra in discussione, ho raggiunto Via Del Fervore.
Lo spazio espositivo era un ambiente originale, pieno di vintage tecnologico. Ricco di vari modelli storici MAC e non solo. Curatissimo nei dettagli, andava a mescolare aspetti museali con oggetti e strumenti collegati alle praticità ordinarie di uno studio pienamente operativo.
Non avendo confidenza con Franco, considerandomi ospite, ho da subito chiesto il permesso per poter fare qualche foto. Nel fare ciò ho subito destato ilarità al mio interlocutore per la mia gaffe, essendo anch’esso un ospite (vecchio amico) e che avevo distrattamente scambiato per Franco (a una certa età le diottrie fregano).
Con discrezione ho cominciato a fare qualche scatto con la mia piccola Fuji da passeggio, non tanto per rubare (come si usa dire) l’immagine, ma più per documentare l’allestimento della mostra, una cosa che mi ha sempre intrigato in ogni manifestazione d’arte.
Nel mentre ascoltavo i discorsi che si sviluppavano fra quegli amici cominciavo a capire che mi trovavo in un contesto conviviale che in qualche modo si ricollegava perfettamente alle immagini che stavo osservando.
Il personaggio che più interloquiva con Franco Lannino era Giuseppe Sammarco, il “predestinato a non morire” che era stato punto fisso nella scorta del Giudice Falcone.
Lascio immaginare al lettore i contenuti dei dialoghi quasi intimi che miscelavano attualità con ricordi.
Dai discorsi articolati affioravano con cadenza continua nomi pesanti di tanti caduti nella lotta alla mafia: Terranova, Livatino, Zucchetto, Cassarà, Dalla Chiesa, La Torre, Francese, Giuliano, Falcone, Borsellino e tantissimi altri.
Questo loro discutere e raccontare riusciva a fare affiorare metaforicamente il rosso del sangue dei morti ammazzati che stavo intanto osservando in quelle tante immagini in bianco e nero che erano esposte.
Non mi dilungo oltre nel raccontare di questa ricca esperienza che, come spesso capita, porta ad essere coinvolti anche in prima persona, con considerazioni ovvie, forse ingenue ma facilmente intuibili, che suscitano domande e portano a immaginare risposte su molti aspetti che continuano a persistere nel contesto sociale in cui siamo immersi, nonostante le tristi esperienze.
Per chiudere, la mostra, intitolata “Macelleria Palermo” di Franco Lannino e Michele Naccari è esposta (orario 16,30-19,30) presso l’Agenzia di Fotogiornalismo “Studio Camera” (Studio PBaa, Palazzo Naselli, con ingresso al civico 15), ha ingresso libero e rimarrà aperta fino al 22 luglio. Se ne consiglia vivamente la visita per verificare di persona ogni cosa.

Buona luce a tutti!


© ESSEC

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P.S. Oggi ricorre l'anniversario dell'attentato stragista in via D'Amelio a Paolo Borsellino e ai componenti della scorta. Mi piace segnalare il toccante articolo di Tommaso India, pubblicato oggi da Dialoghi Mediterranei, che chiude così: "In via Mariano D’Amelio ci abita una coppia d’amici con il loro piccolo ed intelligentissimo figlio. Li vado a trovare e tutte le volte con gli occhi mi guardo intorno alla ricerca del luogo della strage. Anche adesso, dopo aver guardato e riguardato quella foto per individuare il luogo dell’attentato, quel senso di inquietudine non mi lascia. È come avere una scheggia, una di quelle schegge di vetri in frantumi, conficcata nella coscienza. Solo adesso, dopo trentuno anni, capisco che forse il 19 luglio 1992 è una scheggia conficcata nella coscienza di tutti noi." Per leggerlo interamente: http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/19-luglio-1992-la-scheggia/?fbclid=IwAR3gv4ifItjupWliNbQv4Ix_6EjBMhTc4s5UbxMzbLTZAo3ATouCu7IY1nE

venerdì 14 luglio 2023

BANCA, BASTA LA PAROLA…SENZA FARE UN TASSO? Ovvero, i cambiamenti della pubblicità bancaria (di Pasquale Tribuzio)



BANCA, BASTA LA PAROLA…SENZA FARE UN TASSO?
“Banca…basta la parola!”.
Potremmo parafrasare così un famoso motto di uno spot pubblicitario televisivo di un confetto medicinale del Carosello di diversi anni fa.
La semplice parola “banca” ha a lungo generato fiducia e sicurezza negli utenti.
Forse proprio per questo motivo, il marketing all’interno delle banche è stato introdotto in ritardo in Italia rispetto agli Stati Uniti e ad altri Paesi europei.
Successivamente, l’avvento di internet, delle nuove tecnologie e l’evoluzione del mercato hanno cambiato il modo di comunicazione degli intermediari.
Nonostante ciò, alcuni spot e slogan pubblicitari nel settore bancario nostrano di qualche anno fa hanno lasciato un segno nell’immaginario collettivo.
Chi non ricorda “La banca costruita intorno a te” di Mediolanum?

Durante le prime visioni dello spot, mio figlio era incuriosito e chiedeva: “Perché quell’uomo indossa una cravatta sulla spiaggia? E perché disegna un cerchio sulla sabbia con un bastone?”.
Era un modo innovativo ed evocativo di comunicare che non passava inosservato.
La scelta del luogo simbolico, come il lago salato, e del cerchio per sottolineare la vicinanza ai clienti e l’offerta di servizi finanziari personalizzati, secondo un modello di banca diverso, ha reso quell’annuncio pubblicitario iconico.
Mostrando il volto del banchiere a cui venivano affidati i risparmi, si trasmetteva un segnale di fiducia ai clienti. Lo spot, infatti, era interpretato direttamente dal fondatore della banca.
Un altro spot di successo è stato “La banca in doppiopetto grigio” dell’allora Credito Italiano.
Il messaggio era arricchito da una figura femminile elegante.
Il doppiopetto era scelto per trasmettere un’immagine di affidabilità, professionalità e tradizione, mentre il colore grigio creava un’atmosfera di serietà e rigore.
La presenza della figura femminile rappresentava dinamismo, disponibilità al dialogo ed empatia.
Questa campagna ha ricevuto il premio come migliore pubblicità Europea dell’anno (1985).
“La mia banca è differente” è stato uno slogan popolare utilizzato tempo fa dalle Banche di Credito Cooperativo (Bcc) per comunicare il loro approccio unico e differenziato rispetto alle banche tradizionali.
L’obiettivo era sottolineare l’attenzione alle esigenze locali, l’impegno nella comunità di appartenenza e la vicinanza ai clienti, nonché promuovere l’identità di quegli istituti locali.
Oggi, dopo la costituzione dei gruppi bancari cooperativi, “la mia banca è ancora differente”?
Certo è importante creare messaggi pubblicitari efficaci che rimangano impressi nella mente delle persone.

Tuttavia, gli slogan possono rivelarsi beffardi in situazioni negative, soprattutto nel settore bancario e finanziario.
Il Monte dei Paschi, qualche tempo fa ha usato uno slogan ben ritmato: “Conti perché non sei solo un conto”, che metteva in risalto l’attenzione e l’importanza data ai propri clienti, evidenziandone l’unicità come persone (che non sono solo un numero di conto) e le loro esigenze personali.
Gli eventi non certo favorevoli, che hanno poi interessato la più antica banca del mondo, possono alimentare facili ironie visto che, nelle spericolate operazioni che hanno messo in difficoltà l’Istituto, sicuramente qualcuno “i conti li ha clamorosamente sbagliati” e ancora oggi “i conti non tornano”.
Anche sullo slogan “Citi never sleeps” (“la banca che non dorme mai”) della Citibank, una volta la banca più grande del mondo, ci si è potuti prendere un po’ gioco.
Dopo la crisi finanziaria del 2007 e 2008 e le enormi perdite subite, la situazione della banca sicuramente non ha fatto “dormire” sonni tranquilli ad azionisti e clienti per un bel po’ di tempo.
Ma arrivando ai nostri giorni non si possono tralasciare alcuni spot pubblicitari di un conto di deposito (“Conto arancio”) che potremmo definire, per ambientazione e linguaggio, sicuramente innovativi. Il messaggio non è veicolato in un’atmosfera rassicurante e professionale, bensì inserito in contesto allegro e spensierato e con l’utilizzo di un brano musicale ironico, basato sul doppio senso (“Senza fare un tassoo…”).
Lo spot è interpretato dal noto gruppo musicale “Elio e le Storie Tese” le cui canzoni si fondano su un umorismo “nonsense”.

Si è passati nel tempo dal doppiopetto grigio, serio ed elegante ad una scena vacanziera, colorata e schioppettante. Entrambe le pubblicità tendono ad esprimere vicinanza al cliente sia pure in modo diametralmente opposto.
E allora… “banca…basta ancora la parola?”

Né parole, né slogan possono bastare oggi se non si tiene conto delle aspettative dei clienti: una pubblicità sempre veritiera, una comunicazione trasparente e chiara delle condizioni e delle tariffe applicate, la garanzia della massima sicurezza tecnica dei dati e delle transazioni finanziarie, un’assistenza adeguata alle esigenze della clientela.
Quindi, per concludere, pur apprezzando prima l’eleganza e l’efficacia degli spot di successo degli anni scorsi e poi l’intelligente ironia di “Elio e le Storie Tese, possiamo affermare che, comunque, non è possibile offrire servizi efficienti e di qualità semplicemente “Senza fare un tasso!”.

© Pasquale Tribuzio

giovedì 13 luglio 2023

Appuntamento in streaming con il fotografo Umberto Verdoliva (che si definisce ancora fotoamatore)



Il solco perseguito dalla pagina FB “Hangar Fotografico”, continua oggi le esperienze tecnologiche già introdotte per far fronte agli isolamenti Covid, indirizzatate a mantenere e ravvivare contatti nel mondo della fotografia amatoriale.
Continuando, pertanto, a creare opportunità d’incontri che riescano a radunare appassionati d’ogni luogo, quindi abbattendo barriere e livelli, Di Donato viene oggi a introdurre nuovi dialoghi in streaming con personaggi vari, creando opportunità per dissertare su argomenti di fotografia e non solamente, con l’intento di far conoscere meglio autori e critici che di volta in volta vengono coinvolti in interessanti confronti.
“Fotografo da quando avevo quarantacinque anni, quindi ho iniziato a fotografare da grande …..però la fotografia mi ha conquistato tantissimo subito dal primo momento e l’ho tenuta sempre al mio fianco”.
Così si è presentato all’appuntamento convenuto Umberto Verdoliva, moderato nella serata da Michele Di Donato e Francesco Verolino.
L’occasione ha permesso, quindi, a chi non conoscesse del tutto quest'autore, di apprendere su approcci alla fotografia spesso casuali, non sempre programmabili e che spesso sono quasi legati ad occasioni.
Sono spesso le opportunità che si presentano quelle che permettono di scoprire mondi a noi poco conosciuti che, in campo culturale specialmente, sono cause d'incontri con certi personaggi che intrigano e che inducono ad appassionarsi e avventurarsi verso nuovi panorami e orizzonti.
Chi ne avrà voglia, visionando la registrazione della serata, avrà modo di riscontrare la normalità d’approccio manifestata da un Verdoliva che, seppur riconosciuto e affermato per autorialità e bravura, viene a esporre i suoi punti di vista e che racconta la sua storia senza enfatizzazioni.
Ascoltandolo traspare netta e chiara l’onestà intellettuale (che mi piace definire “decrescenziana napoletanità”) che non ostenta mai certezze ma solo dei personali punti di vista e opinabili opinioni.
Pur senza ausilio di visioni di immagini fotografiche, sono stati chiaramente esposti e pianamente esplicitati e discussi i principi e gli stimoli che inducono alla fotografia, ad approfondire e curiosare nel suo ampio e variegato mondo.
In relazione ai contenuti dell’incontro e alle molteplici argomentazioni sviluppate o solo accennate, appare superflua aggiungere ogni altra considerazione.
Nel vedere la registrazione della puntata ciascuno avrà certamente modo di cogliere autonomamente tanti spunti per riflettere anche su certe proprie convinzioni e valutare a pieno, sopra ogni cosa, l’approccio umile che viene mantenuto da alcuni e che li caratterizza (nonostante un riconosciuto successo). Il fotografo Umberto Verdoliva (che si definisce ancora fotoamatore) è certamente uno di questi.

Buona luce a tutti!


© ESSEC

lunedì 10 luglio 2023

“Che confusione”, cantavano i Ricchi e Poveri



Una cosa di cui non si parla quasi mai o sulla quale non si approfondisce abbastanza sono i risultati delle giurie dei concorsi e la reale valenza delle classifiche e dei tanti premi che proliferano sempre più, per dare maggiore spazio all’irrefrenabile edonismo sempre più crescente.
È di questi giorni lo scalpore suscitato nei media, per una luce che si è accesa nel corso dell’intervista ai giurati del famoso e prestigioso evento letterario Premio Strega.
Un non secondario personaggio politico facente parte della giuria, infatti, ha candidamente palesato un eclatante scivolone, nel momento in cui ha candidamente ha ammesso di avere votato per il libro vincitore pur non avendolo neanche letto. 
In verità non credo si tratti di un fatto originale e che questo non potrà essere annoverato come unico caso. Sono, infatti, tanti gli interessi che condizionano premi e concorsi.
Così accade, con sempre maggiore frequenza, che vanità e insipienza siano spesso le principali protagoniste nel gioco del mettere in piedi, senza adeguate basi, tanti giganti dai piedi d’argilla.
Allargando il raggio d’azione ad altri spazi artistici, nel seguire dibattiti e conferenze, di frequente emerge in alcuni la convinzione che nell’arte è fondamentale e quasi pressoché indispensabile possedere un bagaglio teorico e nozionistico per poter realizzare una qualunque proposta artistica.
Spesso viene pure messo in secondo piano il talento che costituisce l’elemento che sempre contraddistingue rispetto a panorami scialbi, standardizzati, contemplativi, ripetitivi e pieni di paletti o regole che imbrigliano ogni idea che intendesse percorrere una nuova strada o iniziare una qualunque diversa avventura.
Molto di frequente capita però sentire anche alcuni affermati artisti dire d’essersi dedicati successivamente a studi e ad approfondimenti, per crescere, affinarsi e perfezionarsi nel settore artistico che li vedeva già protagonisti e li riconosceva attori. Come capita normalmente in ogni percorso di crescita, in ogni branca umana che poi necessita di acculturamenti ulteriori e di aggiornamenti continui.
Un’altra confusione che si genera spesso è anche la mancata netta distinzione che occorre fare fra due figure artistiche, naturalmente e dialetticamente contrapposte, che in verità si completano a vicenda: l’artista/autore e il critico d’arte.
Dove il primo propone secondo la propria fantasia e spontaneità creativa, seguendo il proprio naturale istinto (talento connesso al bagaglio culturale di cui comunque dispone), mentre il secondo procede all’analisi critica filtrandola con gli studi e i molteplici approfondimenti condotti sulla specifica materia e non solamente.
Paradossalmente potrebbe anche affermarsi che un artista è riconosciuto tale, per quanto riesce già ad esprimere e comunicare, in quanto particolare animale artistico dotato di talento, il critico è invece un appassionato studioso che ama approfondire, conoscere e a cui, spesso, piace scoprire e valorizzare talenti (mettendo da parte invidie e gelosie che possono attaccare entrambi: Salieri docet!).
Per concludere occorrerebbe porre l’attenzione anche su un fatto non secondario, ovvero che molto difficilmente e solo di rado un ottimo critico potrà risultare altrettanto bravo come artista, ma riflettere anche sull'aspetto speculare, ovvero che la stessa considerazione vale anche invertendo i ruoli.

Buona luce a tutti!


© ESSEC

venerdì 7 luglio 2023

L'Accucchiatu



E allora ragazzi dove si va? Andiamo a Ballarò passando dalla Cattedrale. Anzi, direi, facciamo un giro più largo per vedere se ci sono novità dei graffitari che realizzano le proprie opere artistiche al Capo. Così c’incamminavamo per l’ennesima caccia fotografica.
Stavolta si accompagnava a noi Massimo, socio di Venetofotografia della nostra amica Manuela, per una panoramica cittadina e indirizzato a noi dall'altro comune amico trentino Giancarlo, innamorato anche lui della Sicilia.
Ad un certo punto, il discorso cade sulle cose antiche e, atteso che ci trovavamo vicino al mercato delle pulci, proponemmo a Massimo di fare lì un salto, per fargli vedere il posto e magari cercare di scattare qualche foto meritevole.
Nel ricercare inquadrature adatte, cominciammo a interloquire coi negozianti che, pure disponibili a farsi fotografare, cominciarono a raccontare la storia del luogo, delle loro radici e del lento decadimento del commercio di cose antiche che aveva indotto tanti altri commercianti all’abbandono.
Come spesso accade in tali contesti, ad un certo punto uno dei presenti irrompe da protagonista nella scena, invitandoci a entrare nel capanno retrostante al suo negozio e che all’ingresso riportava l’insegna di “Museo storico delle Pulci di Palermo”.
Varcato l’uscio: apriti cielo!
Alla vista, forse solo un accumulatore seriale non avrebbe avuto reazioni.
L’ambiente angusto proponeva miriadi di raccolte più o meno settorializzate di ogni cosa che rappresentasse manufatti e prodotti vintage di ogni genere; confondendo giochi, utensili, vinili, macchine fotografiche e ogni cosa possibile ormai in disuso che disvelava nell’osservatore ogni tipologia di ricordo che si potesse sedimentare nella mente.
C’era da perdersi nel contemplare in dettaglio gli oggetti che, in relazione agli anni vissuti e alla vita maturata, andava a riagganciare perfettamente i propri trascorsi; facendo pure riaffiorare i volti degli amici di del passato, avvenimenti accomunati con le persone a noi più care, ridando pure vita a chi ci aveva intanto lasciato lungo i viali del tempo.
Luciano Ienna, orgoglioso tenutario dello spazio che stavamo visitando è anche un esperto “rabdomante dell’anima”, un attento percettore che riesce a catturare a volo le sensazioni, le nostalgie e gli entusiasmi che transitano in un baleno nelle menti di coloro che, nell’ascoltarlo, sbarrano gli occhi sul proprio vissuto, sui tempi passati, su tanti ricordi.
Scatole di giochi, bambole e pupazzi, tanti singoli pezzi che riassumono epoche e tanto altro ancora, si presentavano alla vista, disvelando il “filo di arianna” che ne slegava l’apparente confusione.
È impossibile frenare il torrente di parole del Luciano narrante, che raccontava di come era nato in quello stesso posto, delle gesta del padre, dei suoi fratelli e di quello, in particolare, analfabeta che, pur non sapendo leggere e scrivere gli aveva trasmesso il testimone per quella che per lui costituiva ormai una viscerale passione.
Veniva a raccontare anche di tanti personaggi che, come noi adesso, casualmente si erano ritrovati a scoprire il suo Museo, rimanendone affascinati. Fino al punto di tornare un’altra volta e un’altra volta ancora, per documentare meglio: con la fotografica, realizzando documentari o semplicemente scrivendo, per narrare impressioni, sensazioni e ogni altra cosa attraverso il filtro della propria cultura e all’aiuto fondamentale del proprio trascorso e delle personali specifiche memorie.
Ad un certo punto ci si veniva a soffermare su una serie di fotografie stampate a colori, che apparentemente stonavano con l’ambiente. Ci veniva a raccontare la storia di quelle "immagini miracolate" che derivavano da negativi ritrovati casualmente in un sacco nero della spazzatura riposto in un cassonetto d'immondizie a Ballarò e lasciandoci il tempo per guardarle meglio, ad una ad una.
Sono fotografie che oltre a ritrarre Franco Franchi, la sua famiglia e l’inseparabile Ciccio Ingrassia, documentano le scene di un “Tocco” di birra fra amici al quale partecipa lo stesso Franco Franchi.
Luciano ritornò presto per descriverci ogni singolo scatto e per raccontare, anche all’amico veneto che ci accompagna, il funzionamento dei quel tipico gioco popolare. Veniva a descrive i fotogrammi, quasi recitandoli, soffermandosi sui ruoli del “Sotto”, del “Padrone” e soprattutto del soggetto che ogni volta veniva individuato come vittima di turno: “L’accucchiato”.
Una delle foto era emblematica nell'andare a rivelare chi fosse stato quella volta l’Accucchiato (foto in copertina) perché, in quanto rimasto a secco nelle bevute conviviali decise da Sotto e Padrone, era costretto ad alimentare diversamente e autonomamente il suo stato prossimo d’ebrezza, indispensabile per mantenere la goliardia allegra di tutti i partecipanti al convivio.
Per noi del luogo si riaccendevano tanti ricordi d’adolescenza, legati a quando ancora studenti frequentavamo circoli e sale gioco, per l’amico veneto si apriva invece un mondo a lui del tutto sconosciuto che disvelava risvolti di “palermitudini” profonde e oggi invisibili anche a molti indigeni più raffinati.

Buona luce a tutti!


© ESSEC