domenica 28 gennaio 2024
Associazioni, Fondazioni, Onlus e altro ancora
Ipocrisie diffuse e solidarietà sospette continuano a coesistere in certi ambienti, specie nel mondo occidentale.
Sembra, pure, che negli ultimi tempi truffe dilaghino nel web. Offerte incredibili e occasioni uniche vengono proposte e molti, attratti da affari imperdibili, effettuano bonifici o accrediti al buio, convinti di non perdersi l’affare o magari soddisfare dei reconditi desideri. La poca trasparenza non assicura certezze e molteplici venditori globalizzati appioppando truffe a malcapitati.
Ma dubbi non nascono solo nell'ambito del commercio. Perplessità suscitano anche tante richieste di solidarietà sociale, magari da manifestare con cinque numeri, da digirate tramite cellulare, per veicolare raccolte di fondi. In più, in tempi recenti, si invitano persone anziane - che vivono per lo più in solitudine - a lasciti testamentari “post mortem”, finalizzati a migliorare le condizioni di vita a tantissimi diseredati di cui sempre è affollato il mondo.
Queste organizzazioni quasi mai, però, propongono soluzioni per i "bisognosi della porta accanto"; a cominciare dagli homeless o tanti altri poveri derelitti, senza arte nè parte.
Dietro tante iniziativa sociali ci sono strutture spesso ben organizzate, ma anche associazioni e fondazioni non tanto note o dalle gestioni poco trasparenti.
Di regola, del resto, non sono quasi mai resi noti i flussi che vengono canalizzati con donazioni dai due euro in su.
In molti casi, potrebbe pure succedere - e sicuramente accade - che i costi operativi possano anche assorbire buona parte delle entrate economiche realizzate. Con oneri gestionali che, rispetto agli obiettivi (ad esempio i pochi centesimi per acquisti di penicillina o qualunque altro farmaco essenziale), potrebbero essere sproporzionati e oltre lecita misura.
Gli oneri, specie di organizzazioni di stampo occidentale, potrebbero pure rivelarsi esorbitanti e forse eccessivi, ancorché si ricorra a coinvolgere volontari free. Così come nello sviluppo di certe organizzazioni potrebbero nascondersi anche veri e propri bacini occupazionali, dai risvolti clientelari.
In ogni caso e sempre, in qualunque raccolta benefica dovrebbe trovarsi delle forme di garanzia e relazioni pubbliche che consentano l'estrema trasparenza gestionale, con la pubblicazione in rete dei bilanci annuali e alla specifica indicazione dei flussi (in entrata e in uscita) relative ai vari propositi. Indicando anche il numero degli addetti specie se costituiscono onere operativo, così come l'ammontare corrisposto per le spese logistiche (immobili, mezzi e quant'altro) necessarie agli scopi ed altro ancora.
Alcune pagine del libro inchiesta "Io ti fotto" (edito nel 2010), di Marco Morello e Carlo Tecce, esplicitano, con esempi concreti e inconfutabili, molte delle ambiguità etiche fin qui espresse. La didascalia che segue il titolo del volume recita infatti che "L'Italia è un Paese fondato sulla fregatura: ecco tutti i modi in cui gli italiani raggirano gli antri (e se stessi)". Per quanto ovvio, molte degli espedienti che in maniera variegata vengono messi in atto riguardano ambiti internazionali e non sono, quindi, esclusivi nella nostra nazione.
In argomento, altro aspetto non secondario, di natura politica però, potrebbe riguardere anche la coerenza d'iniziative statali di solidarietà rispetto alle spese per armamenti militari alle stesse correlate; specialmente nei casi di partecipazioni dirette e indirette in conflitti bellici "cooperativistici/internazionali" etichettati col marchio “scopi umanitari” per intendersi.
Come pure dovrebbe trovare adeguato spazio l'andare a indagare sull’industria bellica che, collegata alle “esportazioni di democrazia”, mira a spendere per riarmamenti e a mega ricostruzioni finanziate da ingenti fondi pubblici.
Sono tante le incoerenze "umanitarie" e le solidarietà dubbie che, nella realtà pratica, in molti casi muovono dei cinici interessi.
L’essere umano non sempre opera in maniera razionale o è coerente. Anche perché filosofie e religioni tendono a condizionarne le logiche secondo caratteristiche culturali, legate a tempi, luoghi e abitudini.
La globalizzazione e la comunicazione consentono oggi, almeno nelle società tecnologicamente più avanzate, d'avere cognizione dello status sociale in cui si vive. La maggior parte degli umani ha la possibilità di avere contezza delle difficoltà o dei privilegi di cui è in qualche modo partecipe. Convivenze pacifiche, conflittuali e stati di guerra, sono visibili, indipendentemente da quale possa essere l’ideologia di parte.
In merito a paradossi e incoerenze mi viene in mente un accadimento occorsomi durante una escursione in India, specificatamente nella regione del Rajastan, ove ero partecipe in un gruppo eterogeneo composto da circa trenta di elementi.
Tra i partecipanti figurava anche una single, di mezza età, che amava associare ai viaggi un suo esercizio di buona samaritana; trovando appagante distribuire a piccoli diseredati, vari regalini portati dall’Italia o recuperati tra i gadget resi disponibili nella toilette d’albergo.
Ogni mattina, quindi, portava con sé una serie d'oggetti, da penne biro a matite colorate o altri piccoli oggetti, da regalare a bambini che aveva occasione d’incontrare.
Le piaceva molto questo modo di fare tipico dei “ricconi americani” d’altri tempi e gongolava nell’essere assaltata da piccini festanti, che l’attorniavano festosi durante le estemporanee distribuzioni.
Un giorno ci accadde però un brutto incidente. Il nostro bus si ritrovò coinvolto in uno scontro grave. Ci trovammo ad investire due malcapitati indiani che procedevano lungo la stessa strada in motocicletta. L'impatto fu molto violento, tanto che i due malcapitati vennero sbalzati verso il guardrail con evidenti traumi e fratture.
Per quanto ovvio l’imprevisto ebbe a interrompere il tour turistico e, in breve, ci trovammo a dover anche imbarcare nel bus i due incidentati; per accompagnarli il più velocemente possibile al centro di soccorso più vicino.
Era il minimo che si era tenuti a fare per cercare di salvare i due feriti, uno dei quali era da subito andato in stato comatoso.
Mentre si stazionava sul posto, in attesa dell’arrivo della polizia locale, si decideva a maggioranza di prestare il nostro mezzo, per il trasbordo nel più vicino ospedale. L’unica che ebbe a manifestare parere contrario (e a lamentarsi ripetutamente delle mancate escursioni del giorno causa incidente) fu proprio la “samaritana”, palesando il comportamento che viene sempre fuori in ipocriti che poi si rivelano falsi generosi.
Più trascorrevano le ore e più questa continuava a “sbraitare”, chiedendo con insistenza di abbandonare al loro destino i poveri cristi. Cercava pure di convincere gli altri sulla necessità di portare avanti il programma di viaggio, per il quale si era pagato, e che rischiava di rimanere monco. Non era prevista quella perdita di tempo e men che meno ritardi causa incidenti. “Lasciamo che di tutto se ne occupino altri, non spetta a noi prestare soccorsi” era il suo reiterato refrain.
Quel suo comportamento inaccettabile fortunatamente non trovò ascolto e gli altri viaggiatori aderimmo tutti alla proposta di mutare programma a fin di bene. Demmo soccorso raggiungendo il centro medico più vicino, parecchio distante dal luogo dell'incidente.
Per la cronaca, entrambi gli autisti furono il giorno dopo sospesi, fortemente sospettati di guidare in stato di ebrezza. Nonostante il trasbordo in ospedale, purtroppo il più grave dei due malconci non riuscì a sopravvivere.
Un viaggio indiano che fu correlato a due tragedie: un decesso e una miseria umana manifesta.
Per quanto intuibile, per il resto del viaggio la "buona samaritana" restò taciturna. Le tolsi il saluto, ma non fui solo io.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
venerdì 26 gennaio 2024
Una serie infinita d'Urli di Munch
In quarta di copertina di “Fotogazzeggiando” riportavo quanto pure scritto in premessa, ovvero che “Capita talvolta di sentire il bisogno di scrivere. Ma non tanto per impegnarsi a svolgere un particolare compito ‘intellettualoide’, bensì per rispondere a un’esigenza propria di voler raccontare o semplicemente per rispondere così alla necessità di riordinare idee su certi argomenti …. nella fotografia, che è anch’esso un fenomeno sociale sempre più praticato, oggi di moda e su cui emergono nugoli di ‘esperti’, accade la stessa cosa.”
Quindi, la scrittura in genere, come noto, spesso costituisce una necessità. Quasi una forma terapeutica, un modo di comunicare che assicura equilibrio, seppur attraverso un dialogo sostanzialmente univoco.
Durante il parto letterario, infatti, non occorre che ci siano dei soggetti disposti a leggere ciò che si sta scrivendo, l’importante è coltivare l’illusione che esista il lettore idealizzato con cui ci s’intende rapportare. Chi scrive è certo un autore, ma al contempo, con il suo messaggio, immagina già il destinatario cui si rivolge. Ed è questo il motivo per cui si arzigogola nella ricerca di parole, immaginandosi contemporaneamente anche attento e severo lettore nei momenti stessi in cui va scrivendo.
La scrittura, quindi, determina in ogni autore un travaglio intellettuale assai complesso.
In un brillante articolo di questi giorni Elena Tempestini riprende un capitolo del saggio di Carlo M Cipolla che in maniera molto ironica argomenta su “Leggi della stupidità umana”, come strumento di sintesi utile a classificare ogni rappresentante della società e, a tale scopo, torna a proporre il seguente schema ideato dal Cipolla.
In relazione alle caratteristiche, quindi, ciascuno potrà trovare/immaginare a piacimento il quadrante corrispondente alle combinazioni (potenzialità/caratteristiche da associare ai fatti/risultati) più consone a ogni individuo, per stabilire in quale dei quattro profili potrebbe collocarsi.
Certamente più che basarsi su delle regole scientifiche, l’operazione sostanzialmente rappresenta un diverissement realistico, quasi ironico, per far divertire, ma fino a un certo punto in relazione ai giudizi finali cui fa propendere. Tale procedura potrebbe tranquillamente applicarsi anche a quel che succede nell'ambito della fotografia.
In ogni caso, lo schema ideato torna utile per cercare di razionalizzare scelte, a prescindere da influssi o condizionamenti esterni. Del resto, è anche una regola risaputa l’incidenza imponderabile del caso in ogni possibile accadimento.
Come osservato, lo stesso procedimento potrebbe essere applicato, oltre che nel campo lavorativo o nella politica o qualunque attività letteraria esercitata dall’individuo o altro ancora, anche nel campo fotografico e in tutti i suoi derivati. Tenendo conto che da sempre cultura e forme di comunicazione si evolvono in funzione delle opportunità delle tecnologie disponibili; così come civiltà spesso assai diverse, succedutesi nel tempo, hanno intanto avvicinato progressivamente - e via via - sempre più i confini, facilitando contaminazioni e scambi.
Ci sono modi differenti di approcciare la fotografia e, come in letteratura dove le parole sono strumenti funzionali per poter raccontare, descrivere, analizzare, formulare, teorizzare, anche le fotografie possono essere utilizzate con metodi applicativi diversi in relazione agli scopi.
Al riguardo, può ritenersi assodato il fatto che in ciascun individuo possa risiedere latente un “Urlo di Munch”, che in qualche modo vorrebbe mettere in campo proprie patologie recondite e, in questo, la fotografia può spesso costituire lo strumentario giusto. Ovvero, la tela e i colori necessari per esternare visioni intime, impressioni, tare, fantasmi, desideri, aspirazioni, attese; con la stessa efficacia ben rappresentata dal pittore norvegese.
Per un attimo, quindi, chiudendo magari gli occhi, potremmo facilmente immaginare come molte delle produzioni fotografiche proposte potrebbero rappresentare una serie infinita di urli di Munch. Il portfolio fotografico, in particolare, sublima spesso questa che potrebbe non rimanere solo una impressione.
Aprendo gli occhi si tratterebbe, quindi, di rimuovere l'eventuale nebbia, per osservare con attenzione e procedere all’analisi, per poi decriptare i messaggi che si celano dietro l’urlo di ciascuno.
Se si riflette bene, però, non sempre l’arte, in qualunque sua forma, si propone per ambire al successo; molte volte vuol solo costituire uno sfiatatoio esistenziale, utile a ridurre pressione o depressione, per rimuovere frustrazioni e alimentare agognate gioie (utile leggere al riguardo: "Come liberarsi del bisogno di approvazione"). Nel caso, ciascuno sarà opportunamente libero di scegliersi il percorso terapeutico che riterrà più idoneo, utile o migliore.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
Quindi, la scrittura in genere, come noto, spesso costituisce una necessità. Quasi una forma terapeutica, un modo di comunicare che assicura equilibrio, seppur attraverso un dialogo sostanzialmente univoco.
Durante il parto letterario, infatti, non occorre che ci siano dei soggetti disposti a leggere ciò che si sta scrivendo, l’importante è coltivare l’illusione che esista il lettore idealizzato con cui ci s’intende rapportare. Chi scrive è certo un autore, ma al contempo, con il suo messaggio, immagina già il destinatario cui si rivolge. Ed è questo il motivo per cui si arzigogola nella ricerca di parole, immaginandosi contemporaneamente anche attento e severo lettore nei momenti stessi in cui va scrivendo.
La scrittura, quindi, determina in ogni autore un travaglio intellettuale assai complesso.
In un brillante articolo di questi giorni Elena Tempestini riprende un capitolo del saggio di Carlo M Cipolla che in maniera molto ironica argomenta su “Leggi della stupidità umana”, come strumento di sintesi utile a classificare ogni rappresentante della società e, a tale scopo, torna a proporre il seguente schema ideato dal Cipolla.
In relazione alle caratteristiche, quindi, ciascuno potrà trovare/immaginare a piacimento il quadrante corrispondente alle combinazioni (potenzialità/caratteristiche da associare ai fatti/risultati) più consone a ogni individuo, per stabilire in quale dei quattro profili potrebbe collocarsi.
Certamente più che basarsi su delle regole scientifiche, l’operazione sostanzialmente rappresenta un diverissement realistico, quasi ironico, per far divertire, ma fino a un certo punto in relazione ai giudizi finali cui fa propendere. Tale procedura potrebbe tranquillamente applicarsi anche a quel che succede nell'ambito della fotografia.
In ogni caso, lo schema ideato torna utile per cercare di razionalizzare scelte, a prescindere da influssi o condizionamenti esterni. Del resto, è anche una regola risaputa l’incidenza imponderabile del caso in ogni possibile accadimento.
Come osservato, lo stesso procedimento potrebbe essere applicato, oltre che nel campo lavorativo o nella politica o qualunque attività letteraria esercitata dall’individuo o altro ancora, anche nel campo fotografico e in tutti i suoi derivati. Tenendo conto che da sempre cultura e forme di comunicazione si evolvono in funzione delle opportunità delle tecnologie disponibili; così come civiltà spesso assai diverse, succedutesi nel tempo, hanno intanto avvicinato progressivamente - e via via - sempre più i confini, facilitando contaminazioni e scambi.
Ci sono modi differenti di approcciare la fotografia e, come in letteratura dove le parole sono strumenti funzionali per poter raccontare, descrivere, analizzare, formulare, teorizzare, anche le fotografie possono essere utilizzate con metodi applicativi diversi in relazione agli scopi.
Al riguardo, può ritenersi assodato il fatto che in ciascun individuo possa risiedere latente un “Urlo di Munch”, che in qualche modo vorrebbe mettere in campo proprie patologie recondite e, in questo, la fotografia può spesso costituire lo strumentario giusto. Ovvero, la tela e i colori necessari per esternare visioni intime, impressioni, tare, fantasmi, desideri, aspirazioni, attese; con la stessa efficacia ben rappresentata dal pittore norvegese.
Per un attimo, quindi, chiudendo magari gli occhi, potremmo facilmente immaginare come molte delle produzioni fotografiche proposte potrebbero rappresentare una serie infinita di urli di Munch. Il portfolio fotografico, in particolare, sublima spesso questa che potrebbe non rimanere solo una impressione.
Aprendo gli occhi si tratterebbe, quindi, di rimuovere l'eventuale nebbia, per osservare con attenzione e procedere all’analisi, per poi decriptare i messaggi che si celano dietro l’urlo di ciascuno.
Se si riflette bene, però, non sempre l’arte, in qualunque sua forma, si propone per ambire al successo; molte volte vuol solo costituire uno sfiatatoio esistenziale, utile a ridurre pressione o depressione, per rimuovere frustrazioni e alimentare agognate gioie (utile leggere al riguardo: "Come liberarsi del bisogno di approvazione"). Nel caso, ciascuno sarà opportunamente libero di scegliersi il percorso terapeutico che riterrà più idoneo, utile o migliore.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
mercoledì 24 gennaio 2024
venerdì 19 gennaio 2024
“Incontro con fotografi illustri” di Ferdinando Scianna
In "Obiettivo ambiguo" erano già stati passati in rassegna alcuni dei fotografi ora riproposti in “Incontro con fotografi illustri”.
La nuova operazione potrebbe forse differenziarsi, quindi, oltre che per l'apporto d’immagini spesso inedite "made Scianna", anche per la brevità dei testi che si potrebbero quasi intendere come delle vere e proprie didascalie a supporto delle fotografie scelte.
In più, le considerazioni nei confronti dei fotografi passati in rassegna che vengono espresse in quest'ultinmo libro edito dalla UTET, appaiono quasi lapidarie.
Per le particolarità evidenziate l'impressione, quindi, potrebbe essere quella che l'intero progetto voglia venire a costituire un vero e proprio ulteriore tributo alla saggistica fotografica, suffragato dalla revisione realizzata da un Ferdinando Scianna d'età matura.
In questa chiave, “Incontri con i fotografi illustri” apparirebbe pertanto come un voler tornare riprendere a distanza di tempo uno stesso libro e accorgersi che, grazie ai mutamenti intervenuti, per conoscenze e altro, si vengano ora a focalizzare aspetti e sfumature non notate prima.
Circa l’accostamento delle immagini al testo, la metodologia appare quasi parallela.
Entrambe le due componenti fotografano e talvolta stigmatizzano, infatti, un'unica modalità, nel descrivere visivamente e testualmente: attraverso scatti immediati e scritti sintetici.
In ogni caso, nel saggio, che scorre velocemente, si riescono a cogliere aspetti che ancor oggi accadono e che riguardano le contaminazioni. Là dove, ad esempio e specie nei social oggi, basta esporre un qualcosa d'innovativo o di diverso per innescare tante emulazioni.
Anzi, si legge quasi il messaggio che auspica la possibilità di imitare - nel seguire un percorso tracciato - perchè costituisce spesso un processo indispensabile per chi voglia accingersi a proporre interpretazioni differenti, che magari valorizzino e approfondiscano tanti altri aspetti rispetto a qualunque nuova proposta.
Tutto quanto del resto è un fenomeno insito e caratteristico che investe l’intero mondo dell'arte e non solo; è un po’ il sale che da sempre pregna e porta a sviluppare nuove idee, prendendo spunto e partendo da qualcosa che è già stato realizzato dagli altri.
In questo suo ultimo libro, ad ogni sua foto scattata a fotografi, che ha personalmente conosciuto durante l’arco della sua lunga carriera, Ferdinando Scianna associa un testo che non è mai ridondante.
L'unica pagina, apparentemente disallineata e che risulta quasi incoerente, che non mostra cioè una fotografia da album dei ricordi in parallelo a un testo, riguarda Enzo Sellerio.
Appare quasi evidente come Ferdinando Scianna covasse da tempo il bisogno di tornare a parlare di lui e, indipendentemente dal non poter disporre di una sua foto, abbia voluto forzatamente inserirlo in questo "Pantheon" di fotografi illustri.
Il capitolo Sellerio è anche uno dei passi del volume dove il testo è più lungo rispetto a quanto scritto per gli altri fotografi. Forse lo fa per rispondere a una necessità intima e, approfittando del libro, venire a spendere parole positive a corollario dei ricordi; quasi a voler definitivamente rappacificarsi con quello che riconosce come il suo "padre" fotografo.
"Poi, al funerale, riuscii a ricordare mio padre debole e buono come l’avevo sempre conosciuto dopo la mia infanzia e mi convinsi che quello schiaffo che m’era stato inflitto da lui moribondo, non era stato da lui voluto. Divenni buono, buono e il ricordo di mio padre s’accompagnò a me, divenendo sempre più dolce. Fu come un sogno delizioso: eravamo oramai perfettamente d’accordo, io divenuto il più debole e lui il più forte."
Il periodo che è citato fra virgolette è uno stralcio tratto dal romanzo di Italo Svevo "La coscienza di Zeno".
Potrebbe pertanto risultare lecito essere portati a pensare che Ferdinando Scianna abbia intenso approfittare di questo suo ultimo saggio per manifestare in pubblico il suo intendimento conciliatorio, seppur tardivo, e di palesare la sua eterna riconoscenza verso quell’Enzo Sellerio, da lui elegantemente definito come un "Acculturato Flaneur", ma riconosciuto quale suo indiscusso maestro. A colui che indica - unitamente a Sciascia - come un prezioso pigmalione nell'averlo aiutato a realizzare quel desiderio giovanile di voler diventare fotografo.
Per concludere, al di là di ogni qualsivoglia giudizio scritto dai critici, ritengo che il volume “Incontro con fotografi illustri” costituisca un'operazione assai meritoria. Quasi una allegra passerella di personaggi che fornisce anche occasione all’autore per riformulare e, in qualche caso, rivedere considerazioni e giudizi su fotografi che erano stati già oggetto in suoi precedenti scritti.
In ogni caso rappresenta una felice occasione per sfogliare un album fotografico intriso di ricordi e, al contempo, allineare e raccogliere dei testi - densi ma significativi - che raccontano di tanti testimoni che hanno saputo ben rappresentare visivamente aspetti d'epoche differenti.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
martedì 16 gennaio 2024
"Amici dinosauri"
Le amicizie, quando durano nel tempo, nonostante vengano poi imboccate strade diverse, sono preziosità da tutelare e da mantenere fra le cose più rare che capita di poter possedere.
Gli elefanti, si sa, hanno buona memoria. Sono molto curiosi ed abili ad imparare. Sono empatici e, nel caso, interagendo sanno instaurare rapporti profondi.
Amici ormai collaudati, definiti goliardicamente da qualche relativo congiunto come “dinosauri” (simili agli elefanti, quindi), nei loro periodici ritrovi (perche' s'incontrano almeno una volta all’anno), sciorinano racconti forse anche per verificare la tenuta della reciproca lucidità e revisionare le schede di memoria.
Gli esemplari in questione, che appartengono a diverse etnie italiche, si danno appuntamento, di regola, nel luogo mediano della penisola corrispondente alla Città Eterna.
I soggetti sono pure dei creativi - oltre che eterni nostalgici - che, anche se ormai fuori dal mondo lavorativo vero e proprio, oltre a rievocare ricordi continuano a mantenere la loro sostanziale indole propositiva.
Nei convivi di pranzo o cena, secondo le circostanze, si sviluppano infatti discorsi nei quali s'intrecciano aneddoti e tanti personaggi, per verificare fattibilità di nuove idee, abbozzate e programmabili, mantenendo sempre i connotati caratterizzanti dei personaggi del famoso film “Attimo fuggente”, con tanto di "Professor Keating" e correlati discepoli.
Carbonara, gricia o cacio e pepe e un buon vinello costituiscono la base di ogni convegno, da cui partono e si sviluppano consuntivi di rispettivi autonomi o reciprochi percorsi, di attese, aspettative e si avviano bozze d'intendimenti comuni perseguibili.
La miscellanea composita del gruppo, mescolando prerogative assai diverse, riesce a mantenere vivo l’entusiasmo tipico di chi ha visioni ottimistiche, pur continuando a mantenere l’innato spirito critico, libero, indipendente e dagli intenti sempre costruttivi; scambiandosi, nel caso, l’importante nobile ruolo di fare critica.
In un recente incontro, era stato messo in campo un proposito letterario, dall’intento pedagogico tipico di chi vuole regalare conoscenze e professionalità consolidate nelle variegate esperienze e ruoli ricoperti.
La bozza del progetto editoriale, prossimo alla stampa, più che attribuibile a dinosauri o elefanti direi che propone contenuti che si addicono al fine odorato e al meritorio lavorio delle piccole formiche; infaticabili lavoratrici che si rivelano spesso, specie per i pachidermi, assai fastidiose.
Dopo aver pubblicato, un amico del gruppo, mi fa anche notare come: "A proposito di dinosauri 🦖 e formiche 🐜, i primi si sono estinti, le seconde continuano nel loro piccolo a incazzarsi? 😜 🤣 Un aspetto non secondario, meritevole per argomentare.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
domenica 14 gennaio 2024
Dagherrotipo, una bella invenzione utile per narrare tante storie.
Ritrovarsi in un contesto democratico, per chi ha l’opportunità di viverci è come respirare l’aria. Un qualcosa cioè di automatico che si basa su condizioni fisiche e composizioni chimiche che, in quanto esseri viventi, consentono l’esistenza e che consideriamo scontate.
Coltivare l’hobby per la fotografia in democrazia aiuta ad osservare e a rendere maggiormente partecipi su quanto accade intorno.
Chi è nato e si muove in un dato contesto tende ad assimilare da subito però - e in modo naturale - luoghi e costumi del proprio habitat.
Il quotidiano rende quasi indifferenti a quello che ci circonda e passivi rispetto a quanto ordinariamente avviene nell’ampio e mutevole scenario in cui stazioniamo.
E allora, per poter vedere con occhio fotografico, occorre ritrovarsi in contesti differenti rispetto a quelli che a cui siamo assuefatti e cercare di attenzionare meglio quel che accade intorno.
Come nell’immagine proposta, dove un gruppo familiare protegge visivamente il volto della bimba che si sta trastullando nell’interagire con un colombo in cerca di cibo, che le staziona davanti nella speranza di ricevere una briciola, come usano fare tanti turisti.
Ovvero, può capitare di leggere davanti all’albero natalizio dell’Amministrazione comunale in piazza Campidoglio: “La Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove: perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile; bisogna metterci l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità.” Una frase sempre attuale di Piero Calamandrei, padre costituente dell’Italia Repubblicana, che tramite quell’installazione si ravviva.
Girando per i Fori Imperiali, nel continuo tentativo ricercare scorci e inquadrature un po’ diverse, può anche capitare di rimanere attratti da qualcosa a prima vista apparentemente strana.
Di notare, ad esempio, un set dai connotati familiari, dove personaggi sono intenti a girare un filmato, forse promozionale o per fissare un particolare ricordo sul loro soggiorno romano. Non si capisce bene, ma certamente sono intenti a realizzare un qualcosa d’insolito.
Chi cura le riprese ha tratti occidentali, la ragazza che si esibisce - con lui e da sola - ha tratti asiatici (forse è giapponese), il bambino in carrozzina è di sicuro suo figlio.
Forse si tratta di acrobati o di altra tipologia di atleti che si esibiscono nei circhi che, approfittando dell’atmosfera e della luce particolare del tramonto, stanno utilizzando quel palcoscenico unico costituito dai Fori, cercando di creare qualcosa di originale attinente alla loro passione; chi lo sa?
In qualità di fotoamatore, quanto accade non può certamente sfuggire e allora, ci si apposta lontani per non interferire su quanto sta accadendo e si incominciano a fare serie indefinite di scatti, nella speranza di riuscire a catturare quelle immagini che riescano a raccontare in sintesi la storia a cui si sta assistendo.
Pur essendo arrivati ad esibizione già iniziata, non si può non rimanere incollati fino a che tutto finisca.
Così facendo si riescono a catturare anche le gambette protese del piccolo, che quasi imita e stimola la madre nel suo tentativo di porsi in equilibrio verticale e documentare il gratificante bacio materno finale.
Per concludere, si può quindi riconoscere che fotografare ha tanti risvolti che aiutano a leggere e a saper raccontare. Offrendo opportunità diverse, consente a chi osserva di sviluppare l’occhio della mente all’attenzione, all’attesa e allena nel cercare di cogliere le tante occasioni imponderabili che immancabilmente e continuamente si presentano come ….. attimi fuggenti, da riprendere per poi essere narrati.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
Il quotidiano rende quasi indifferenti a quello che ci circonda e passivi rispetto a quanto ordinariamente avviene nell’ampio e mutevole scenario in cui stazioniamo.
E allora, per poter vedere con occhio fotografico, occorre ritrovarsi in contesti differenti rispetto a quelli che a cui siamo assuefatti e cercare di attenzionare meglio quel che accade intorno.
Come nell’immagine proposta, dove un gruppo familiare protegge visivamente il volto della bimba che si sta trastullando nell’interagire con un colombo in cerca di cibo, che le staziona davanti nella speranza di ricevere una briciola, come usano fare tanti turisti.
Ovvero, può capitare di leggere davanti all’albero natalizio dell’Amministrazione comunale in piazza Campidoglio: “La Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove: perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile; bisogna metterci l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità.” Una frase sempre attuale di Piero Calamandrei, padre costituente dell’Italia Repubblicana, che tramite quell’installazione si ravviva.
Girando per i Fori Imperiali, nel continuo tentativo ricercare scorci e inquadrature un po’ diverse, può anche capitare di rimanere attratti da qualcosa a prima vista apparentemente strana.
Di notare, ad esempio, un set dai connotati familiari, dove personaggi sono intenti a girare un filmato, forse promozionale o per fissare un particolare ricordo sul loro soggiorno romano. Non si capisce bene, ma certamente sono intenti a realizzare un qualcosa d’insolito.
Chi cura le riprese ha tratti occidentali, la ragazza che si esibisce - con lui e da sola - ha tratti asiatici (forse è giapponese), il bambino in carrozzina è di sicuro suo figlio.
Forse si tratta di acrobati o di altra tipologia di atleti che si esibiscono nei circhi che, approfittando dell’atmosfera e della luce particolare del tramonto, stanno utilizzando quel palcoscenico unico costituito dai Fori, cercando di creare qualcosa di originale attinente alla loro passione; chi lo sa?
In qualità di fotoamatore, quanto accade non può certamente sfuggire e allora, ci si apposta lontani per non interferire su quanto sta accadendo e si incominciano a fare serie indefinite di scatti, nella speranza di riuscire a catturare quelle immagini che riescano a raccontare in sintesi la storia a cui si sta assistendo.
Pur essendo arrivati ad esibizione già iniziata, non si può non rimanere incollati fino a che tutto finisca.
Così facendo si riescono a catturare anche le gambette protese del piccolo, che quasi imita e stimola la madre nel suo tentativo di porsi in equilibrio verticale e documentare il gratificante bacio materno finale.
Per concludere, si può quindi riconoscere che fotografare ha tanti risvolti che aiutano a leggere e a saper raccontare. Offrendo opportunità diverse, consente a chi osserva di sviluppare l’occhio della mente all’attenzione, all’attesa e allena nel cercare di cogliere le tante occasioni imponderabili che immancabilmente e continuamente si presentano come ….. attimi fuggenti, da riprendere per poi essere narrati.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
lunedì 8 gennaio 2024
Mediterraneo
Mazara del Vallo è un luogo siciliano difficile da raccontare perché, per come è organizzata, costituisce una sintesi dell’ideale sociale mediterraneo integrato.
Nel suo museo custodisce la splendida statua greca del Satiro Danzante, pescata fortuitamente nei fondali del Canale di Sicilia dal peschereccio “Capitan Ciccio”. Su http://legislature.camera.it/serv_cittadini/553/554/9101/5165/5166/documentofoto.asp si racconta in sintesi la storia del ritrovamento.
Per avere un’idea puntuale della cittadina occorre visitarla magari in periodi in cui il turismo è minore. Girare per la casba e per il centro storico consente di respirare l’aria molto particolare che la identifica.
Sono molte le chiese e i luoghi di rilevanza storica e architettonica e, per poterle visitare, è consigliabile organizzarsi con gli enti preposti per essere certi di potervi accedere e magari accompagnandosi con guide locali.
Sul lungomare e nella piazza principale, qualche cartello esposto mantiene sempre vivo l’appello per il ritrovamento di Denise Pipitone.
L’antropologia è al centro dell’idea che l’amministrazione pubblica ha inteso sviluppare da sempre, favorendo la mescolanza etnica di questo luogo che si pone nel cuore del Mediterraneo. Ad essa si è venuta, in tempi più recenti, ad assommare un’idea artistica che, principalmente attraverso opere in ceramica, tende ad integrare le differenze che identificano le diverse culture e religioni che coesistono simbioticamente da tempo.
Mazara del Vallo è stata una delle prime cittadine a sperimentare l’integrazione di popoli differenti. La pesca ha creato i presupposti affinché l’imprenditoria ittica potesse attingere a manovalanze straniere (principalmente tunisine) che ben presto si sono stabilizzate nel territorio.
La Casba mazarese ha costituito fin da subito un esperimento ben riuscito d’immigrazione integrata.
Camminare oggi per le vie, apparentemente disabitate di rioni d’impronta nordafricana, risulta suggestivo, specie nelle ore in cui i muezzin richiamano con voce melodica i fedeli alla preghiera. Cosa che accade di regola cinque volte al giorno.
Anche se una mappa permette di individuare un percorso, la visita del luogo può essere effettuata seguendo un itinerario libero e autonomo.
Ogni angolo e vicolo, anche per le molteplici installazioni artistiche, assicurano visuali uniche e, scorci esposti a luci particolari del giorno, rivelano scenari simili a analoghe altre casbe mediterranee.
Le opere, variegate per tematiche miscelano le diversità culturali presenti nel luogo e comprendono anche scritte che vanno a comporre anch’esse dei quadri. Il tutto organizzato seguendo logiche geometriche ed equilibri di volumi che fanno apparire il contesto come fosse una vera e propria galleria d’arte a cielo aperto.
Muoversi nei vicoli crea anche delle opportunità’ per incontri con soggetti che, una volta stimolati o coinvolti, si rivelano dei personaggi. Capita, come è capitato quindi, d’incontrare un insegnante di tedesco in pensione, trasferitosi in Lituania e che si trova oggi a svernare nella più calda terra d’origine che, nel breve incontro, ci illustra i tanti vantaggi del vivere a Vilnius; e il tempo si rivela sufficiente per creare collegamenti in funzione di potenziali interscambi futuri.
All’occorrenza la gente è disponibile a fornire indicazioni. All’interno della casba casualmente si può anche incontrare G, un locale che ha tanta voglia di comunicare, disponibile a fornire delucidazioni sulla peculiarità dei luoghi e sulla storia di personaggi che sono oggi rappresentate sulle saracinesche come opere di street art. Ascolterai un po’ delle sue singolari vicissitudini e scoprirai pure che sta lavorando per la pubblicazione di un suo libro.
Pur poco interessato dalla street art pittorica, quella invasiva costituita dai murales, il fenomeno è comunque presente, anche circoscritto alle saracinesche utilizzate per raccontare storie mazaresi o di suoi abitanti come nel caso, ad esempio, del noto pittore mazarese Salvino Catania.
Alcuni vicoletti riportano in ogni caso tracce di qualche writer teen-ager, che ha congelato per lo più sul muro considerazioni su momenti sentimentali che sta vivendo.
La presenza di un controllo pubblico e il fatto che, in un contesto provinciale come quello mazarese, ci si conosca tutti, fanno sì che la cittadina risulti pulita e che ogni turista possa muoversi con assoluta sicurezza nell’ambito dell’ampio territorio.
Validi ristoranti sono pronti a proporre tanti menù a base di pesce e il cous cous in ogni locale la fa da padrone.
Se si è fortunati, al mercato ittico o lungo il porto canale, si può assistere al rito della vendita all’asta del pescato. Uno spettacolo che si tramanda, mantenendo inalterate le tradizioni popolari locali e che consente, a chi ama la fotografia, di catturare qualche fortunato scatto.
Per chi fosse rimasto incuriosito - e, o non è stato mai a Mazara del Vallo, o l'ha vista di fretta - non resta che programmarne la visita.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
sabato 6 gennaio 2024
Gino Scarano, Diavù e il Quadraro
Per chi ama girare con una reflex, specie bighellonando per strade cittadine, capita di transitare per luoghi talvolta collegati a personaggi, riconosciuti tali sia per meriti diretti che per interposta persona.
Accade, quindi, che nel fotografare ambienti ci si possa ritrovare a documentare in modo fortuito e inconsciamente dettagli che, solo attraverso una successiva attenta visione, magari durante un esame di post produzione, possono rivelare aspetti non colti a prima vista e che incuriosiscono.
Nella narrazione che segue, un dettaglio ingrandito, posto accanto alla saracinesca pitturata, ha permesso d’identificare il luogo dove c’era un barbershop, palesemente chiuso da tempo. L’annotazione recita: “Il Cavalier Gino Scarano – Barbiere artista del Quadraro – che nella sua carriera ha servito Totò e tanti personaggi dello spettacolo ha lasciato per sempre noi e il Quadraro. Il funerale venerdì 25 marzo via Tuscolana 613”. Resiste ancora l’annuncio: “Il giorno 22 marzo 2022 è venuto a mancare all’affetto dei suoi LUIGI SCARANO. Ne danno triste annuncio le figlie, il genero ed i parenti tutti ….”
Una ricerca nel web consente di risalire al personaggio evidenziato dal particolare che, in qualche modo per il suo mestiere, era diventato famoso come il barbiere degli artisti. Deceduto alla veneranda età di ottantaquattro anni aveva fatto anche da collante a un insieme di attori che, per varie ragioni, avevano gravitato nella zona.
Leggendo tanti scritti, veniva pure fuori che il Quadraro era un luogo di Roma un tempo riconosciuto come punto di riferimento per molti artisti, specie negli anni filmografici italiani post-realisti di fine millennio.
Quello che era stato il negozio di Gino Scarano si trova oggi inglobato all’interno dell’attuale percorso turistico di Street Art, legato al progetto denominato “M.U.RO”. Ciò giustifica le tracce ancora visibili sulla saracinesca e sulla parete adiacente, con grafiche anch'esse collegate all’intero progetto artistico.
Procedendo nell’approfondimento, accedendo al blog, affioravano tante altre interessanti notizie. Succedeva come nel classico caso delle ciliegie che, una volta raccolte, quando ci si accinge a prenderne una vengono fuori a grappolo.
Il sito web del M.U.RO (Museo di Urban Art di Roma) permette, infatti, di introdursi in uno spazio culturale che consente di scoprire un felice connubio artistico già sperimentato di storia e arte.
Il progetto, che strenuamente resiste con le prerogative del degrado fisico insito alla street art, è stato ideato e realizzato gradualmente da David (Diavù) Vecchiato.
Un giro nel quartiere consente ancora di passare in rassegna opere di vari artisti di Street Art e dei video realizzati, permettono anche di percepire il racconto storico sottostante ai murales.
Per la Gallery dei murales basta digitare: http://muromuseum.blogspot.com/p/g-l-l-e-r-y.html, per seguire i video occorrerà digitare: http://muromuseum.blogspot.com/p/v-i-d-e-o.html.
Soffermandosi nel blog si potrà, quindi, scoprire anche l’incipit, ovvero l’idea che ha innescato il percorso culturale di base e permetterà di capire il significato e le simbologie dei contenuti sottostanti ai lavori realizzati dagli artisti italiani ed esteri coinvolti, di seguito elencati.
Quanto fin qui argomentato costituisce un’occasione per una immersione piena e totale nel mondo della così detta “Arte di Strada” che, non solo si associa alla denuncia, ma spesso s'impegna a raccontare e - con l’estetica grafica - vuole costituire un pretesto visuale per invitare a riflettere, approfondire e andare oltre l’apparenza.
Riprendere, per grandi linee, anche questo approccio - allo scopo di rimodernare una metodologia didattica che da tempo necessita di revisioni - potrebbe anche rivelarsi interessante.
Magari istituendo nuove formule d'insegnamento atte a favorire, nella formazione scolastica di tutti i livelli, una percezione visiva che induca a una efficace rapida concettualizzazione della storia e degli strumenti culturali in genere; innovazioni indispensabili in un mondo sempre più proiettato sulle dinamiche 2.0
ARTISTS: DIAVU' (21) JIM AVIGNON (7) NICOLA ALESSANDRINI (5) BEAU STANTON (4) LUCAMALEONTE (4) RON ENGLISH (4) ALICE PASQUINI (3) CAMILLA FALSINI (3) GARY BASEMAN (3) NICOLA VERLATO (3) 1010 (2) AGOSTINO IACURCI (2) ALBERTO CORRADI (2) EDUARDO KOBRA (2) GIO PISTONE (2) HULA (2) IRENE RINALDI (2) M-CITY (2) MARCO ABOUT BEVIVINO (2) MASSIMO GIACON (2) MR. THOMS (2) ROA (2) VEKS VAN HILLIK (2) ALESSANDRO SARDELLA (1) AXEL VOID (1) BEZT (ETAM CRU) (1) BUFF MONSTER (1) CHEKOS (1) COLECTIVO LICUADO (1) DILKABEAR (1) JULIETA XLF (1) KOZ DOS (1) LUCA ZAMOC (1) MALO FARFAN (1) NATALIA RAK (1) PAOLO PETRANGELI (1) ZELDA BOMBA (1) ZIO ZIEGLER (1)
Buona luce a tutti!
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martedì 2 gennaio 2024
"Io, noi e Gaber", docufilm di Riccardo Milani
In un panorama piatto affiora un lampo di luce; Rai 3 ha programmato per l’inizio d’anno il film documento di Riccardo Milani "Io, noi e Gaber" dedicato a Giorgio Gaber.
Un eccellente lavoro che rievoca, in sintesi e con toni delicati, l'avventura artistica di un cantante impegnato anche nel sociale.
Il regista nel racconto alterna, intrecciando vari momenti, anche personaggi che hanno lambito - direttamente o indirettamente - il percorso artistico di Gaber.
Oltre allo svolgimento cronologico, infatti, varie concettualizzazioni risultano espresse dai tanti soggetti coinvolti; specialmente nel soffermarsi sui contenuti etici e politici progressivamente introdotti e sviluppati dall’artista lungo il tempo.
Il docufilm è altresì fedele nell’illustrare il percorso professionale di Giorgio Gaber, prospettando efficacemente le transizioni culturali intervenute.
Esce fuori pertanto - e in modo netto - l’evoluzione del processo che, dall’entusiasmo nel mettere a fuoco i valori, alla fine si avvia verso una lenta ma cocente delusione per le utopie progressiste mancate. Come rileva il politico Pierluigi Bersani, il processo artistico vede via via trasformare la brillante ironia in un amaro sarcasmo.
Tutto l’insieme costituisce anche il tentativo di mettere la generazione sessantottina davanti a uno specchio e vedere assistere allo scioglimento - quasi per inerzia - dei tanti ideali.
In poco più di due ore il personaggio Gaber viene analizzato in tutti i momenti artistici. Dall’istrionico cantante rock che s’impone temporalmente in parallelo con Celentano e Mina si passa a quello che si trasforma in narratore della Milano provinciale del Cerutti Gino.
Dai suoi interventi originali in vari spazi televisivi, si percepiscono i segnali che portano Gaber al naturale abbandono dell’etere per dedicarsi interamente alla denuncia originata dall’apparizione del Signor G.
Il filo conduttore dell’intero racconto è tenuto in punta di piedi e in modo soft dalla figlia Dalia.
Il documentario scorre focalizzando l’attenzione anche sull’Italia correlata ai diversi periodi del racconto. Non solo datando le tappe dell’artista, ma fotografando anche gli italiani.
Il documentario realizzato da Riccardo Milani segue un’iniziativa editoriale attuata dalla Fondazione GABER per celebrare l’artista a dieci anni dalla sua scomparsa.
Un volume, anch'esso interessante, (G. Vi racconto Gaber) che era improntato principalmente sulla collaborazione artistica con Sandro Luporini, co-inventore del “Teatro-Canzone”.
Su Rai Play è possibile rivedere il bel documentario che certamente merita di essere visionato con attenzione.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
lunedì 1 gennaio 2024
Due parole su quello che è stato, per quanto rimane attuale
Per chi ne utilizza gadget e opportunità Google invita periodicamente a rivisitare i dati giacenti nello spazio gratuito di memoria concessa. Di regola propone di acquistare nuovi giga ogni qual volta si supera l’utilizzo dell’ottanta per centro dei 15 di base.
Capita, quindi, che nel cestinare file obsoleti per recuperare spazi, di ritrovare uno scritto, non tanto vecchio, ma che tale lo fa sembrare la mente che tende a sostituire velocemente ricordi e sensazioni.
Il testo riporta come data il 25 aprile 2022, ed era stato scritto come una articolata didascalia a un mini portfolio fotografico messo in piedi nell’aprile di due anni prima.
Titolo: "Pandemia Covid".
Svolgimento: "Che considerazioni si possono fare dopo aver vissuto un’esperienza del genere? Per chi ha avuto la fortuna di vivere come noi in tempo di pace, quanto accaduto avrà certamente procurato in alcuni dei traumi, più o meno manifesti che, nella maggior parte dei casi, hanno indotto a riconsiderare taluni punti di riferimento del quotidiano.
Le oppressioni frutto d’inusuali costrizioni anomale e l’isolamento obbligato hanno comportato disorientamenti in alcuni ma, paradossalmente, obbligato positivamente tutti quanti a fermarsi per porsi qualche dubbio e riflettere.
Proibizioni, carenze, presenze, coercizioni e quant’altro hanno cambiato radicalmente e fulmineamente ogni cosa, esponendo fragilità e inquietudini a condizioni di rischio.
Flash accecanti hanno congelato le scene, come fossero autovelox scattati all’improvviso.
Lo stato di prigionia imprevista ha dato però spazio a riqualifiche, con un maggiore valore all’utilizzo ottimale del tempo. Inducendo a riconsiderare eventuali sprechi, leggerezze e trascuratezze; a ridiscutere i valori, a riclassificare priorità e importanze.
Quanti ricordi dormienti c’erano in ognuno di noi che stazionano latenti e che ogni tanto imprevedibilmente riaffiorano."
Anche se la continuità del tempo rinnova momenti che inesorabilmente si stratificano, bastano pochi input, spesso di pensieri lontani, per far riaffiorare polveri dimenticate che credevamo sepolte.
E accade così che spezzoni del film già vissuto si ripresentino con le scene del tempo e i relativi personaggi, facendo rivivere pienamente le stesse sensazioni del passato.
In pochi attimi si ripresentano reali vaghi fantasmi d’emozioni, che ritornano intense e ripropongono stati d’animo; con scene di vita che credevamo definitivamente rimossi. E accade che i ricordi riappaiano improvvisamente vividi e attuali; con tutti quanti i colori, gli odori, i sapori e ogni altra componente.
Rivivendoli, ponendoci come osservatori, quasi da estranei, rivediamo fotografie del passato miscelate tra sogni, realtà, allegrie, fatiche, fortune, incoscienze, che hanno costellato il nostro tempo. Gli armadi, bauli, ripostigli d’ognuno di noi celano tanto vissuto; con trascorsi che hanno palesato tante gioie, patimenti, desideri, aspettative.
Ma l’animale umano si assuefà a tutto e, come per incanto, opportunità di cambiamento vengono oscurate da forze esistenziali che tendono a rimuovere le negatività accadute. La mente umana tende a rimuovore tristezze per mantenere solo, magari enfatizzandoli, positività e ricordi belli.
Nell'elaborazione del lutto le sue cinque fasi percorrono un cammino ben preciso.
L’argomento complesso e contorto non può trovare regole …… allora meglio fermarsi alle fotografie che inconsciamente riescono sempre a parlare di noi e che, con una sintassi sanno descrivere ogni nostro disagio o passione in maniera trasparente ….. a condizione di non temporeggiare troppo nel premere il grilletto della reflex mentale chiamata a scattare.
Emblematici a questo punto possono risultare gli inviti riportati sui manifesti attaccati davanti a una scuola romana: "fa ciò che vuoi". Perchè, in fondo, per la banderuola del caso, non saremo mai solo noi quelli che avremo veramente operato le scelte. Per concludere, a chi subisce un'attrazione dalla street art e ha l'abitudine di sbirciare su quanto viene scritto sui muri da giovani e artisti, puo' capitare di scoprire cose interessanti.
Ad esempio, nella zona del Quadraro, a Roma, precisamente al numero 123 di via dei Quintili, davanti a un laboratorio, stanno da tempo scritte considerazioni - sbiadite e riprese - che trovano collegamenti coi contenuti degli argomenti prima sviluppati.
Si legge: "Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo. Chi raggiunge la bellezza a occhi e chiusi, facile che cià i piedi stanchi. Tutto è determinato da forze sulle quali non abbiamo, non abbiamo nessun controllo. Esseri umani vegetali, o polvere comune, tutti danziamo a ritmo di una musica misteriosa suonata in lontananza da un flauto invisibile ...... il caos è il vivaio del cosmo" (forse l'autrice della frase è Roberta Sanges, che si indica a sx della parete, o è il graffitaro che ha composto autonomamente un pensiero. Chissà).
Buona luce a tutti!
© ESSEC