sabato 30 giugno 2012

“3127 stanze segrete della politica" - La denuncia delle Province a firma Castiglione-Zingaretti

Il ministero del Tesoro conserva in un cassetto una lista di consorzi ed enti strumentali delle Regioni, Province e comuni. Un imprecisato numero di pagine, 3127 soggetti giuridici dotati di consigli di amministrazioni e apparati burocratici che costano ogni anno al Paese sette miliardi di euro, di cui due miliardi e mezzo per pagare gli amministratori. Si tratta di organismi creati dagli enti locali che realizzano servizi svolti da Regioni, Province e Comuni.
Questa denuncia di sprechi ingiustificati ed ingiustificabili non proviene dal Movimento 5 Stelle di Grillo, nè dall’Idv di Antonio Di Pietro
, ma dall’Unione Italiana Province, che l’ha inviata, illustrandola in dettaglio, in una lettera aperta, pubblicata a pagamento dai giornali nazionali, tra gli altri il Corriere della Sera. Poiché l’Unione Italiana Province amministra soldi pubblici e’ presumibile che la scelta di inviare una lettera al Presidente del Consiglio attraverso una onerosa pagina del Corriere della Sera, sia stata pagata dall’erario e, quindi dai contribuenti italiani. Al netto di questo dettaglio, tuttavia, la lettera dell’Upi, firmata dal Presidente, Giuseppe Castiglione, e dai Presidenti delle province di Roma (Nicola Zingaretti), Firenze (Andrea Bardicci), Milano (Guido Pofesta’), Brindisi (Masimo ferrarese) e Torino (Antonio Saitta), rappresenta una svolta virtuosa perché per la prima volta invece che mettersi di traverso e basta, e alzare un muro contro ogni tentativo di ridurre i costi e gli apparati politici e le burocrazie parassitarie, costituisce una forma di concreta collaborazione fra organi dello Stato.
Che il mezzo scelto, la costosa lettera aperta, sia una inquietante testimonianza dell’esatto contrario, limita la virtù del gesto, ma non ne elimina gli effetto. Non si potrà ignorare la denuncia ed i suoi sorprendenti contenuti. L’Upi fa sapere a Palazzo Chigi, e mentre ch c’e’, a tutti gli italiani che leggono i giornali, che per quanto li riguarda, sono disposti a dare una mano, promettendo risparmi per cinque miliardi, oltre che suggerimenti per altri sette.
I 3127 consorzi ed enti strumentali, sostiene l’Upi, sono un elenco di “sigle improbabili, strutture create dal nulla, spesso per spartire poltrone e gestire potere, rappresentano le stanze segrete della politica, di cui i cittadini ignorano perfino l’esistenza anche se sono loro, con le tasse a finanziarle e tenerle in vita”. Una requisitoria impietosa e, tutto sommato, assai interessante per chi – il Ministro Giarda e il commissario Enrico Bondi – si occupa della revisione della spesa e chiede la collaborazioni di tutti attraverso segnalazioni mirate e concrete.
Al fine di essere “creduti” e non restare alla denuncia degli sprechi altrui, Castiglione, Zingaretti, ferrarese, Saitta, Podestà e Barducci mettono nero su bianco sulle loro volontà di risparmio
, proponendo una autoriforma che farebbe abbassare di ben cinque miliardi di euro i costi delle amministrazioni provinciali attraverso la riduzione delle province, l’istituzione delle città metropolitane e la riorganizzazione degli uffici territoriali dello Stato (Questure, Prefetture ecc). Su un punto, tuttavia, non intendono fare passi indietro: conservare le “garanzie ai cittadini di un potere democratico di controllo dell’operato degli amministratori pubblici”. Tradotto, significa che le consultazioni elettorali per eleggere i presidenti ed i consigli provinciali vanno mantenute, ad esse non si può rinunciare perché sarebbe un arretramento degli spazi di democrazia.
Ma e’ proprio dalle urne che il decreto “Salva Italia” parte per ridimensionare le province, prevedendo elezioni di secondo grado ed un “dimagrimenti” dei consiglieri e delle giunte provinciali. Avessero fatto un altro passo sul percorso virtuoso, Castiglione, Zingaretti e gli altri si sarebbero guadagnati la gratitudine degli italiani. Sono rimasti, invece, a metà del guado, salvando gli apparati politici che ruotano attorno alle campagne elettorali ed alle segreterie dei rappresentanti delle istituzioni. In soldoni un altro miliardo di euro.

Sicilia-Informazioni (29 giugno 2012)

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Caro Presidente Monti,

in questi momenti cruciali per il futuro dell’Italia e dell’Europa intera, Le riconfermiamo tutto il nostro sostegno. Come rappresentanti delle Province italiane, siamo al suo fianco nella durissima battaglia che ha intrapreso non solo per rimettere a posto i conti del Paese, ma per restituire credibilità all’Italia e alle sue Istituzioni.

Noi siamo con Lei perché siamo parte della classe dirigente italiana. E sappiamo di dovere innanzitutto noi dimostrare ai cittadini che la buona politica esiste, che la buona amministrazione è capace di riformarsi.

L’Unione delle Province d’Italia sta facendo la sua parte.

Abbiamo proposto un’autoriforma che garantirà allo Stato 5 miliardi di risparmi, attraverso la riduzione del numero delle Province, l’istituzione delle Città Metropolitane e la riorganizzazione degli uffici territoriali dello Stato.

Una riforma complessiva e facilmente attuabile che assegna alle Province funzioni certe, garantendo ai cittadini il potere democratico di controllare l’operato degli amministratori pubblici.

Abbiamo inoltre proposto che questi risparmi finanzino un fondo per gli investimenti locali.

E’ il nostro contributo alla Spending Review: non solo un taglio, ma una migliore gestione di risorse per favorire lo sviluppo.

Sappiamo anche che la nostra riforma da sola non basta.

Occorre un’operazione più radicale per tagliare spese inutili e ridurre sprechi.

Ci permettiamo allora di farle un’altra proposta. Il Ministero del Tesoro ha compilato la lista delle società, consorzi ed enti strumentali di Regioni, Province e Comuni.

Sono, Presidente, 3.127: pagine e pagine di sigle improbabili, strutture create dal nulla spesso per spartire poltrone e gestire potere. Rappresentano le stanze segrete della politica, di cui i cittadini ignorano perfino l’esistenza. Anche se sono loro, con le loro tasse, a finanziarle e a tenerle in vita.

Questi organismi costano al Paese oltre 7 miliardi di euro l’anno, di cui 2 miliardi e mezzo impiegati per i soli consigli di amministrazione. E sono organismi che si occupano di servizi che dovrebbero essere svolti dalle Regioni, dalle Province e dai Comuni.

Noi vogliamo come Lei un Paese nuovo, in cui le istituzioni abbiano funzioni certe e responsabilità facilmente individuabili, sulle quali i cittadini possano esercitare un controllo democratico.

Autoriformandosi con coraggio, le Province stanno dimostrando di essere consapevoli delle necessità del momento.

Completi l’opera tagliando con nettezza questi veri rami secchi e improduttivi dell’amministrazione pubblica.

Verrà così certamente rafforzata e compresa meglio la sua battaglia di cambiamento.

In rappresentanza di tutte le Province Italiane

Giuseppe Castiglione, Presidente dell’Unione delle Province d’Italia

Antonio Saitta, Presidente della Provincia di Torino

Nicola Zingaretti, Presidente della Provincia di Roma

Guido Podestà, Presidente della Provincia di Milano

Massimo Ferrarese, Presidente della Provincia di Brindisi

Andrea Barducci, Presidente della Provincia di Firenze



mercoledì 27 giugno 2012

Gli Azzeccagarbugli della Democrazia

Vedo avanzare una stagione sinistra. Quella del ritorno in grande stile degli Azzeccagarbugli che nel post mani pulite furoreggiarono riuscendo in pochissimi anni a trasformare i ladri in vittime e i magistrati nei veri colpevoli. Gli Azzeccagarbugli, intellettuali e giornalisti, sono specialisti nell'uso del sofisma, del paralogismo ( argomento falso ma con l'apparenza di vero) e, come nel gioco delle tre tavolette, nel mischiare, a seconda di quanto gli torna comodo, i piani di discussione passando da quello giuridico al politico al sociologico, con l'intento di intorbidare le acque e rendere oscuro ciò che è chiaro, nero ciò che è bianco.

Un esempio direi di scuola è l'articolo scritto da Fabrizio Rondolino, ex uomo di D'Alema, per Il Giornale del 21.06 a proposito dell'autorizzazione all'arresto di Luigi Lusi data dal Senato: “ E' la prova che il giustizialismo, l'ordalia manettara, la subordinazione alla magistratura inquirente sono sopravvissuti alla fine dell'anti berlusconismo...E' un giorno di lutto per la sinistra italiana perchè il valore della libertà personale è più grande delle sottigliezze giuridiche...del protagonismo plebeo che esige ogni giorno un nuovo lazzarone da impiccare sulla pubblica piazza”.

Noi che, a differenza dell'aristocratico Rondolino, siamo dei cittadini plebei vorremmo semplicemente che anche i nobili fossero chiamati a osservare quelle leggi che noi tutti siamo tenuti a rispettare. Perchè l'uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge è il principio-cardine della liberal democrazia, se cade questo principio la democrazia perde ogni senso e legittimità e si traduce in un neofeudalesimo, con un doppio diritto, uno per i plebei, intransigente e feroce, e uno per i neoaristocratici, così lasco e morbido da diventare quasi inesistente. Insomma la vecchia, cara, schifosa giustizia di classe.

Rondolino aggiunge: “ La carcerazione preventiva è un crimine e uno scandalo...tenere le persone in prigione prima del processo significa esercitare una pressione sull'imputato che somiglia assai più alla tortuta”. Se questo principio fosse assoluto allora deve valere anche per Giovanni Vantaggiato e per tutti coloro che sono attualmente in carcere in attesa di processo, in genere per reati molto minori di quelli imputati a Lusi, una grassazione di denaro pubblico per 25 milioni di euro che lui chiama graziosamente “un fatto di costume”. Ci sono invece casi in cui la carcerazione preventiva si rende necessaria e il Codice di procedura penale ne definisce rigidamente i requisiti. Naturalmente Rondolino parte dal presupposto, del tutto arbitrario, che questi requisiti nel caso di Lusi non ci sono e che quindi la richiesta d'arresto del Gip è illegittima: “Quali nuovi reati avrebbe potuto commettere Lusi? Quali prove avrebbe potuto occultare lui che parla con i magistrati e con i giornalisti ogni giorno? Oppure sarebbe fuggito all'estero?”. Ohè, se esistono o meno i requisiti per un arresto lo stabilisce il Gip, e in seguito il Tribunale della Libertà, e ancora successivamente la Cassazione o Fabrizio Rondolino costituitosi in arbitro e giudice unico, in Tribunale Speciale?

Noi siamo plebei ma non proprio così cretini da non capire che, per l'ennesima volta, la classe dirigente e i suoi lacchè ci stanno prendendo in giro. Ma di fronte alle solite fumisterie non sappiamo come reagire. Non abbiamo difesa. O, forse, una difesa c'è. Quando ero all'Europeo c'era un giovane collega, Claudio Lazzaro, bel ragazzo, alto, aitante, molto per bene, un po' naif e ingenuo. E nelle assemblee di redazione i vecchi marpioni del giornale gli cambiavano ogni volta le carte in tavola, il bianco diventava nero e il nero bianco. Lazzaro ne rimaneva sconcertato e amareggiato. Finchè un giorno, dai e ridai, anche il mite Claudio perse la pazienza. Si alzò e grande e grosso com'era puntò sul caporione e guardandolo dritto negli occhi disse: “ Bene, allora ditemi a chi devo spaccare la faccia?”. E il bianco tornò bianco e il nero nero. E' davvero a questo che volete portarci?

Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 23 giugno 2012)


domenica 24 giugno 2012

I finanziamenti ai partiti? Come la merda per le mosche

Lusi è colpevole, ma come gli altri. Né di più, né di meno. Lo è, insieme ai partiti, di appropriazione indebita di quasi tre miliardi di euro. A Rebibbia dovrebbero finirci tutti o nessuno. Il finanziamento pubblico è stato bocciato dai cittadini con un referendum.

I partiti se ne sono fregati. Anzi, hanno alzato la posta, l'hanno persino raddoppiata. In caso di elezioni anticipate, infatti, il finanziamento vale due volte, la quota residua e la quota intera successiva. E i soldi li prendono per tutta una legislatura anche gli zombi: i partiti non rieletti in caso di scioglimento delle Camere. Insomma, uno schifo completamente illegale.

Chiamato con una foglia di fico lessicale, con un furto di parole: "rimborso elettorale". Chi lo ha permesso? Dove erano le Istituzioni in questi anni? Dove i giornalai foraggiati e mantenuti dai cittadini anch'essi con denaro pubblico? Un mese fa i partiti proclamavano di rinunciare all'ultima tranche del cosiddetto rimborso. Un mese fa si discuteva dell'abolizione del finanziamento pubblico. Nulla è successo. Impossibile che possa succedere. I finanziamenti sono per i partiti come la merda per le mosche. Irresistibile e necessaria.

Beppe Grillo (24 giugno 2012)

Corazzieri, pompieri e trombettieri sul Sacro Colle

È con viva soddisfazione che registriamo le prime virili e pugnaci adesioni al Supremo Monito. Corazzieri, palafrenieri, trombettieri, ciambellani, aiutanti di campo, assistenti al Soglio, guardie svizzere, marchesi del Grillo, magistrati democratici, giuristi, costituzionalisti, fuochisti, macchinisti, uomini di fatica, ma soprattutto frenatori e pompieri han raccolto come un sol uomo l’appello alla mobilitazione generale, dando prova di attaccamento al Tricolore e gettando il cuore oltre l’ostacolo, pancia in dentro e petto in fuori, nell’ora della massima prova per il nostro Caro Leader, nonché Conducator e Piccolo Padre, insomma Re Giorgio, minacciato dalle sue stesse intercettazioni e da quelle del suo valoroso consulente giuridico. Un particolare ringraziamento va ai telegiornali e ai giornali per il titolo unico “L’ira di Napolitano” a reti ed edicole quasi unificate (a parte quel Mentana, lo stesso che insiste a trasmettere sondaggi sul boom di quel tal Grillo). È l’aratro che traccia il solco, ma è la penna che lo difende.

Macaluso, il ventricolo e il “Me ne frego!”. Eccellente il compagno Emanuele Macaluso sull’Unità: “Il Fatto quotidiano, che opera come agenzia della Procura di Palermo, o meglio di un pezzo della Procura, ha rivelato che un intelligentissimo generale diceva al collega Mario Mori che io sono il ‘ventricolo del Quirinale’, scoprendo un inedito: che sono ‘grande amico’ di Napolitano. Ergo quel che dico e scrivo rispecchiano (sic, ndr) le opinioni del Presidente della Repubblica… I doveri della propaganda nel corso di una campagna forsennata contro il Quirinale fa premio sulla professionalità. Miserie. Tuttavia una questione va sollevata: la Procura di Palermo, anzi quel pezzo di procura, distribuisce intercettazioni che non hanno attinenza al processo sulla ‘trattativa’. A che gioco gioca? Fornisce foglietti di propaganda alla sua agenzia per scopi estranei al processo? Sempre sulla questione intercettazioni dal Fatto apprendiamo che sono state intercettate telefonate del presidente della Repubblica… Intercettazioni illegali e parte di una manovra che serve a ‘mascariare’ anche il capo dello Stato. Una vergogna… Io me ne frego di quel che dicono il generale e Il Fatto”. Si ringrazia il compagno Macaluso per la generosa difesa d’ufficio, e anche per il secco e atletico “Me ne frego!”, anche se sarebbe auspicabile una maggior cura per la lingua italiana. Bene l’accenno alle “intercettazioni illegali” (noi sappiamo bene che non lo sono e non le ha distribuite la Procura, visto che l’intercettato era Mancino e si tratta di atti depositati agli avvocati, ma è opportuno farlo credere, così la gente non va a chiedersi perché Napolitano e D’Ambrosio telefonassero a Mancino interferendo nelle indagini sulla trattativa). Un solo dubbio: ma il generale intelligentissimo avrà detto “ventricolo” o “ventriloquo”? No, perché siccome il Presidente si è “preso a cuore” le sorti di Mancino, è importante conoscere le condizioni dei suoi ventricoli, o almeno di uno di essi.

Ps. Molto apprezzata, sul Sacro Colle, la satira patriottica del compagno Sergio Staino, che nella ficcante vignetta sull’Unità (su testi di Pasquale Cascella) effigia un Napolitano dolente che dialoga con la Donna Turrita, simbolo dell’Italica Nazione. “Hanno diffuso alcune telefonate del Quirinale”, lamenta il Presidente. L’Italia in persona risponde perentoria: “Oddìo, mica quelle d’amore che fai sempre a me?”. Alla lettura di una battuta cotanto spiritosa, il Presidente è stato colto da risate compulsive molto simili a convulsioni.

Il primo Galli che canta ha fatto l’uovo. Encomio solenne per Carlo Galli, editorialista di Repubblica, corso al salvamento di Re Giorgio: “Da un punto di vista giuridico-penale, con buona pace di Di Pietro, non vi è nulla di rilevante a carico del presidente. Il quale, anzi, ha correttamente esercitato le proprie prerogative”. Noi sappiamo benissimo che tra le prerogative del Capo dello Stato non c’è quella di immischiarsi in indagini in corso, ma è bene scrivere che c’è, così la gente ci crede. Ottimo anche l’accenno del Galli a D’Ambrosio, che forse, magari, chissà, eventualmente, per così dire, “si mostra invero prodigo e di consigli e suggerimenti verso Mancino, con una dimestichezza e un’amicizia ben spiegabili ma che, riportate dai quotidiani, non fanno un bell’effetto” perché “possono essere strumentalizzati in un’ottica di populismo isterico e di antipolitica generalizzata”. Ma, si badi bene, “senza che tutto ciò abbia a che fare con Napolitano”. Sappiamo bene che D’Ambrosio faceva tutto d’intesa col Presidente, il quale a sua volta chiamò Mancino, ma è bene instillare il dubbio che D’Ambrosio abbia un filino esagerato: così, alla mala parata, quando le telefonate del Presidente saranno state distrutte, si scaricherà D’Ambrosio e lo si farà passare per pazzo. Eccellente la raffica di insulti ai giornali che informano e fan domande: essi, nell’ordine, hanno “aggredito, sospettato, calunniato, infangato, fatto oggetto di distorsioni interpretative in perfetta malafede e con spaventoso cinismo ” Re Giorgio, sobriamente descritto come “perno e garante degli equilibri politici, sostegno all’attività di governo, baricentro della Repubblica, investito dalla stima di tutti i politici del mondo e di tutti i cittadini italiani”, ragion per cui chi osa criticarlo “gioca allo sfascio”, anzi compie un “attentato alla democrazia”. Ben detto, Galli, gliele hai cantate chiare. Ora però urge legge bavaglio per evitare l’uscita di altre intercettazioni. All’uopo, Repubblica rimuova dagli archivi la campagna del 1991 per l’impeachment a Cossiga, che potrebbe fuorviare i lettori raziocinanti, e soprattutto quella dei post-it gialli contro il bavaglio, onde evitare che uno dei suddetti post-it finisca appiccicato sulla fronte spaziosa del nostro amato Presidente.

Compagno Ferrara fa buon brodo. Utilissimo, anche se un po’ sopra le righe, anzi proprio per questo, il compagno Giuliano Ferrara, tornato l’amendoliano craxiano che ci piaceva tanto negli anni 80. Sul Foglio denuncia “la viltà pura” di chi non ha “difeso Lusi dal carcere preventivo”, non ha varato “la divisione delle carriere” (dei pm dai giudici, naturalmente, non dei politici dai ladri) e soprattutto “una legge severa sulle intercettazioni selvagge” per abolire “il potere di una coppia di pm di fare inchieste sul nulla (la trattativa Stato-mafia, che sarà mai?, ndr), smerdare carabinieri e classi dirigenti con accuse sanguinose, insinuare stragi (mai avvenute, ndr) e oscuri misteri (mai visti, ndr)”. Bravo compagno, nell’ora della prova non si butta via niente e tu fai sempre buon brodo. Ottima anche la chiusa dell’articolo: “Se non sono io per me, chi sarà per me? E non ora quando?”. Ma ora: per me, per voi, per tutti.

Chi ha tempo aspetti Tempo. Non è passato inosservato, presso chi di dovere, l’atteggiamento costruttivo di un altro giornale di centrodestra: Il Tempo dell’amico Mario Sechi, che titola “L’onda del fango non tocca il Colle” e “Il fango non piega Napolitano”. Si apprezza in particolare la temeraria sfida alle leggi della fisica: ora qualche disfattista che gioca allo sfascio potrebbe domandare come può il fango, materia molliccia quant’altre mai, piegare alcunché. Trattasi però di quesiti oziosi, già risolti da una nota canzonetta: “Come può lo scoglio arginare il mare?”.

Napoletano pro Napolitano, ovvero Il Sòla-24 ore. Encomio solenne, degno del Cavalierato di Grande Croce, al Sole-24 ore di Roberto Napoletano. Il Quasi Omonimo schiera ben due pompieri. Valerio Onida, presidente emerito della Consulta, non solo esclude scorrettezze del Caro Leader, ma addirittura lo ringrazia per aver compiuto un’“azione opportuna” impicciandosi nell’inchiesta sulla trattativa. E questo perché “la legge prevede specifici poteri di coordinamento del Procuratore nazionale antimafia”, a sua volta soggetto alla “sorveglianza del Pg della Cassazione”, per evitare “conflitti di competenza fra Procure” e il “mancato coordinamento” delle indagini. Bene fa l’Onida a sorvolare sul fatto che le indagini erano perfettamente coordinate, come ha detto il Pna Grasso, e nessun conflitto di competenza è mai stato sollevato: altrimenti tutti capirebbero che il Piccolo Padre s’è mosso a gentile richiesta di Mancino. Ancor più prezioso il vice-monito dell’amico Stefano Folli contro “il tentativo piuttosto goffo di delegittimare il Quirinale… costruendo un caso davvero fragile, attraverso l’uso di intercettazioni che non si sono fermate nemmeno davanti al telefono del Presidente della Repubblica… Un gesto che assomiglia molto a un’intimidazione… Come dire: attento, anche tu sei sotto controllo… È un pessimo clima… grave e pericoloso indebolire a colpi d’ariete il punto di equilibrio istituzionale. L’abbiamo già scritto, ma il tema ritorna”. Abbondantis abbondandum! “C’è la volontà politica di tenere sotto pressione il Presidente della Repubblica”. Nel Sacro Palazzo si plaude in particolar modo all’accenno a “intercettazioni che non si sono fermate nemmeno davanti al telefono del Presidente della Repubblica”: giusto e severo monito alle cimici infilate nel telefono di Mancino. Cimici complottiste che avrebbero dovuto avere la sensibilità istituzionale di spegnersi da sole appena captata la voce del Presidentissimo, e possibilmente scattare sull’attenti e intonare l’inno di Mameli. Invece rimasero golpisticamente accese. Tutte le cimici d’Italia sono pregate di prendere buona nota ed eseguire le nuove direttive senza fiatare, ma soprattutto senza registrare.

Sole che Sorgi, libero e giocondo. Un vivo e scrosciante plauso sale dal Sacro Colle per il ditirambo dell’amico Marcello Sorgi, che sulla Stampa sottolinea “la solitudine del Colle” individuando finalmente i mandanti dell’orrendo complotto, conclusosi al momento con un “impeachment mancato”: “Sul campo, a muovere l’assedio al Quirinale, sono Grillo e Di Pietro”. Non le telefonate di D’Ambrosio e Napolitano con Mancino, ma – lo si ripete – Grillo e Di Pietro. Il vero scandalo però è la tiepidezza degli altri partiti, scolpita dal Sorgi con imperiture parole: “Da Berlusconi, che tra l’altro è coinvolto nell’inchiesta palermitana (non è vero, ma è bene farlo credere per aumentare il casino, ndr) … non c’era da aspettarsi molto. Bersani o Casini non è che non difendano il Presidente: ci mancherebbe. Ma lo fanno con una timidezza che tradisce il timore che le campagne dell’antipolitica abbiano ormai irrimediabilmente fatto breccia in un’opinione pubblica trattata alla stregua di una tifoseria da stadio. A questo siamo”. Punto, punto e virgola, due punti: ma sì, abbondiamo, ché poi dicono che siamo tirati! “Si stenta a crederci, ma è così: poiché schierarsi con le istituzioni si sta rivelando elettoralmente poco conveniente, pur di non correre il rischio dell’impopolarità, Napolitano, in pratica, viene lasciato solo a difendersi”. Solo con Repubblica , Corriere, Unità, Tempo, Messaggero, Mattino, Sole-24 ore, Stampa, Foglio, Tg1, Tg2, Tg3, Tg4, Tg5, Studio Aperto e tutti i leader politici tranne Grillo e Di Pietro. Torna finalmente a splendere il sole dell’Impero sui colli fatali di Roma.

Marco Travaglio (Il Fatto Quotidiano, 23 giugno 2012)


venerdì 22 giugno 2012

Il totem sul Colle

Nella storia repubblicana essere bersagliati da critiche e campagne di stampa è capitato a molti inquilini del Quirinale.

A Gronchi, per esempio, i comunisti rinfacciarono di aver agevolato la nascita del famigerato governo Tambroni. Così come a Saragat fu rimproverato, da sinistra, di aver ridotto la contestazione studentesca a un problema di ordine pubblico. Segni fu accusato di golpismo, per non parlare di Leone costretto a dimettersi per un uso, si disse, troppo spregiudicato del potere. Sul carattere insofferente di Pertini sono state scritte biblioteche.

Di Cossiga si disse e si scrisse che non ci stava tanto con la testa. Scalfaro finì sulla graticola per i fondi riservati del Sisde. E perfino la popolarità di Ciampi fu scalfita dall’accusa di non aver sempre fatto da argine alle leggi vergogna berlusconiane.

Mai, però, in sessant’anni di democrazia un capo dello Stato aveva goduto di una così totale, assoluta, cieca, muta e sorda immunità come Giorgio Napolitano. Da sei anni sul Colle siede una sorta di totem intoccabile, inviolabile e irascibile a cui rivolgere non diciamo un appunto, ma perfino la più blanda osservazione equivale a un delitto di lesa maestà. Non ripeteremo quanto già scritto su queste pagine da Paolo Flores d’Arcais a proposito di questa bizzarra “sacralità” tutta italiana: e se da noi funziona così, a poco serve ricordare che nella Germania della Merkel due capi di Stato (l’uno per una gaffe diplomatica, l’altro per un prestito agevolato) sono andati a casa anzitempo.

Ma, appunto, perché da noi funziona così? Chi mai potrebbe impedire, oggi, all’ambaradam quirinalesco l’indecente negazione dell’evidenza telefonica e l’interferenza continuata nell’indagine dei pm di Palermo sulla oscena trattativa Stato-mafia? Il governo Monti che a Napolitano deve la propria esistenza in vita? Il tremebondo Pd? Il disastrato Pdl che subito si è accodato al monito sul bavaglio lanciato dal capo dello Stato per fatto personale? Via, non scherziamo. Il totem sul Colle fa comodo a tutti (loro). Lasciatelo lavorare.

Antonio Padellaro (Il Fatto Quotidiano - 22 giugno 2012)


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Il giornale chiede a Giorgio Napolitano una dichiarazione ufficiale sulla seguente conversazione intervenuta il 12 marzo scorso tra il consigliere Loris D’Ambrosio e Nicola Mancino. Qual è l’interpretazione “non tendenziosa” di questa intercettazione secondo il Capo dello Stato?

Alla Cortese Attenzione del consigliere del Quirinale Pasquale Cascella

Gentile consigliere Pasquale Cascella ho provato a contattarLa telefonicamente ma non riesco a ottenere risposta a voce o via sms al cellulare. Il Fatto chiede al Presidente della Repubblica una dichiarazione ufficiale sulla seguente conversazione intervenuta il 12 marzo scorso tra il consigliere Loris D’Ambrosio e Nicola Mancino.
D’Ambrosio: Qui il problema che si pone è il contrasto di posizione oggi ribadito pure da Martelli… e non so se mi sono spiegato, per cui diventa tutto… cioè… la posizione di Martelli… tant’è che il presidente ha detto: ma lei ha parlato con Martelli… eh… indipendentemente dal processo diciamo, così…
Mancino: Ma io non è che posso parlare io con Martelli… che fa.
D: no no… dico no… io ho detto guardi non credo… ho detto signor Presidente, comunque non lo so. A me aveva detto che aveva parlato con Amato giusto… e anche con Scalfaro

1. Il Presidente conferma o smentisce di avere chiesto a D’Ambrosio di chiedere a Mancino se questi aveva parlato con Martelli?

2. Il Presidente si dissocia dalle affermazioni di D’Ambrosio che connette la richiesta suddetta (colloquio Mancino-Martelli extra processo) con il contrasto di posizione tra i due ex ministri in vista di un confronto nel processo?

3. Qual è l’interpretazione “non tendenziosa” di questa intercettazione secondo il Presidente?

4. E qual è l’interpretazione “non tendenziosa” di questa seconda affermazione contenuta nella conversazione intercettata il 5 marzo sempre tra D’Ambrosio e Mancino?
M: Eh… però il collegio a mio avviso li, un collegio equilibrato. Come ha ritenuto inutile il confronto Tavormina.… dirigente prima della Dia e poi dirigente del Cesis, come ha ritenuto inutile ha respinto la domanda di confronto così potrebbe anche rigettare, per analogia…, eh… si ma davvero questa è la fonte della verità Martelli ed io sono la fonte delle bugie?
D: Sì, ho capito però il problema è intervenire sul collegio e una cosa molto delicata questo è quello che voglio dire.
M: Questo io l’ho capito.
D: Una cosa è più facile parlare con il pm, perché… chiedere… io quello che si può parlare è con Grasso, per vedere se Grasso dice… eh… di evitare… cioè questa è l’unica cosa che vedo perché Messineo, credo che non dirò mai… deciderà Di Matteo… dirà così no.

5. Il consigliere giuridico del Presidente, per evitare il confronto a Mancino, considera l’ipotesi di intervenire prima sul collegio del Tribunale, poi ripiega in via ipotetica sul pm e infine sul procuratore nazionale antimafia. Il Presidente si dissocia o ritiene lecito intervenire su un collegio del tribunale o su un pm per evitare un confronto tra un testimone qualsiasi e un altro testimone più amico (Mancino) che rischia un’incriminazione?

6. Perché il Quirinale dovrebbe occuparsi e preoccuparsi del contrasto di posizione tra due testimonianze di due ex ministri in un procedimento penale?

7. Più volte D’Ambrosio afferma di avere chiesto al Procuratore nazionale Piero Grasso di intervenire per un coordinamento tra le procure di Palermo e Caltanissetta più conforme alle aspirazioni di Mancino e di avere ricevuto in risposta un diniego. D’Ambrosio afferma in un’altra conversazione con Mancino: “Dopo aver parlato col presidente riparlo anche con Grasso e vediamo un po’… lo vedrò nei prossimi giorni, vediamo un po’. Però, lui… lui proprio oggi dopo parlandogli, mi ha detto: ma sai lo so non posso intervenire… capito, quindi mi sembra orientato a non intervenire. Tant’è che il presidente parlava di… come la procura nazionale sta dentro la procura generale, di vedere un secondo con Esposito”.

8. Ritiene il Presidente di essere stato indotto in errore dal suo consigliere o ritiene giusto intervenire sul procuratore generale per chiedere al procuratore nazionale (che recalcitra) di rafforzare il coordinamento tra procure al fine reale però – da quello che dice il suo consigliere giuridico al telefono – di evitare un confronto scomodo a un testimone?

Marco Lillo (Il Fatto Quotidiano del 22 giugno 2012)

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mercoledì 20 giugno 2012

Si dimette nessuno?

“A sua disposizione!”. Il Pg della Cassazione, membro di diritto del Csm, massima autorità della Pubblica Accusa in Italia, scatta sull’attenti come un soldatino di piombo dinanzi a Nicola Mancino, privato cittadino, che lo chiama “guagliò”, gli dà del tu e continua a tempestare lui e il consigliere giuridico del Capo dello Stato perché quei rompiscatole dei pm di Palermo Ingroia e Di Matteo (e anche quello di Caltanissetta Nico Gozzo, che viene da Palermo dunque è infetto) si ostinano a cercare la verità sulla trattativa Stato-mafia, avvenuta quando lui era ministro dell’Interno, dunque naturalmente a sua insaputa. Sono talmente fissati da non credergli quando smentisce l’agenda di Borsellino e i suoi ex colleghi Martelli e Scotti.

Vorrebbero persino metterlo a confronto con loro (gli ex ministri, si capisce: Borsellino, purtroppo o per fortuna, non può più parlare). “Possibile che non si possa proprio fare niente” per fermarli? Ecco la lettera di Esposito al gip di Caltanissetta che si è permesso di evidenziare le contraddizioni di Mancino, per acquisire – non si sa bene a che titolo – la sua ordinanza. Così si capisce che in alto loco c’è chi non gradisce e bisogna stare attenti, perché il Pg è il titolare dell’azione disciplinare. “Ho letto che hai chiesto gli atti a Caltanissetta”, dice Mancino a Esposito, e gli fa i complimenti perché “difende i politici”. È lì che l’alto magistrato si dice “a sua disposizione” e lo invita ad andarlo a trovare. “Eh, guagliò, come vengo? Vado sui giornali”. “Ahahah”.

Già, perché lo sanno anche loro che certe cose non si possono fare. Mancino comunque è insoddisfatto, c’è il rischio che lo mettano a confronto con Martelli al processo Mori. D’Ambrosio promette – non si sa bene a che titolo – di “parlare col Presidente” che – non si sa bene a che titolo – “si è preso a cuore la questione”. E suggerisce di “parlare coi pm”, o col loro capo Messineo, o meglio ancora “col direttore nazionale Grasso”, perché quel Di Matteo è “autonomo” e “intervenire sul collegio è molto delicato”. C’è il rischio che qualche giudice non sia “a disposizione”. Ecco, Mancino vorrebbe un appuntamento con Grasso via Quirinale, ma “riservatissimo”, aumma aumma, “che nessuno sappia niente”. Perché lo sa anche lui che queste cose non si possono fare.

D’Ambrosio prepara la lettera al nuovo Pg della Cassazione Ciani, poi firmata dal segretario generale del Quirinale Marra, per raccomandare – non si sa bene a che titolo – un maggiore “coordinamento” delle indagini di Firenze, Caltanissetta e Palermo per orientarle sulla linea più morbida per i “politici”. Lettera – dice D’Ambrosio – concordata con lo stesso Ciani e letta in diretta a Mancino. Ciani esegue immantinente convocando Grasso, che però pretende ordini scritti: sa bene che queste cose non si possono fare.

Da questo nauseabondo scambio di telefonate, depositate dai pm di Palermo, si desumono alcuni fatti inequivocabili. A Roma decine di “uomini delle istituzioni” (si fa per dire) sanno perfettamente cosa accadde nel 1992-’93, ma anche dopo, fra Stato e mafia. Temono che molte porcherie saltino fuori e si attivano per impedirlo. Si conoscono tutti da tempo. D’Ambrosio era all’Alto Commissariato Antimafia assieme a Mori e Francesco Di Maggio (altro uomo chiave della trattativa), poi fu vicecapogabinetto di Conso, nello stesso governo in cui c’era Mancino. Napolitano era presidente della Camera. Poi le parti s’invertirono: Mancino alla Camera e Napolitano al Viminale. Poi Mancino vicepresidente del Csm di cui Esposito è membro e Napolitano presidente con D’Ambrosio consigliere.

Poi, naturalmente, a ogni anniversario, tutti a Capaci e in Via D’Amelio a chiedere “tutta la verità”. Forse è il caso che si dimetta qualcuno, per aiutarci a credere che tutto sia avvenuto alle spalle di Napolitano. A questo siamo ridotti: a sperare nell’“a sua insaputa”.

Marco Travaglio (Il Fatto Quotidiano, 19 Giugno 2012)

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Trattativa: le chiamate che portano al Quirinale

Nicola Mancino chiama spesso Loris D’Ambrosio. La prima anche per fare gli auguri di Natale. Gli dice di aver incontrato ad una cerimonia pubblica il capo della Dna Piero Grasso, che però gli ha precisato di non avere poteri di avocazione, ma solo di coordinamento delle inchieste sulla trattativa. D’Ambrosio lo conforta dicendo che i pm di Palermo “fanno solo confusione”. È il 22 dicembre 2011, sono le 16,49.

Mancino: Ma io ho visto Grasso. Alla cerimonia. E lui stava… stava avanti a me… Mi ha detto, ma là quelli ‘danno solo fastidio’ ma lei sa che noi non abbiamo potere di avocazione; ho detto: ma poteri di coordinamento, possono sempre essere esercitati… Ma così sfuggendo, poi non abbiamo parlato più.
D’Ambrosio: Va bene, ci metta, si faccia il Natale tranquillo, tanto questi non arriveranno a niente, stanno facendo solo confusione.
5 marzo 2012 ore 15. Mancino chiama D’Ambrosio, è preoccupato dal confronto con Martelli e vuole evitare che venga accolta l’istanza del pm Di Matteo. D’Ambrosio gli dice che sentirà “il presidente”, sconsiglia di intervenire su Messineo e promette che parlerà con Grasso, “tra oggi e domani”.
M: Vorrei evitare che venisse accolta l’istanza in un ulteriore confronto con Martelli, che dice colossali bugie. Diciamo visto che è stato respinto il confronto con il generale Tavormina.
D: Solo che io, che io per adesso, posso parlare col presidente però, perché se l’ha presa a cuore, se l’aveva presa a cuore la questione però eh… mi sa che francamente ritengo difficile come si fa? Perché se quello chiede, no? Eh… si può dire come si fa a obiettare.
M: No, quello non può dire niente… la… l’unico, l’unico che può dire qualche cosa è Messineo. L’altro che può dire qualche cosa è Grasso.
D: e va bene adesso io sento il presidente.
M: Però il collegio a mio avviso lì, un collegio equilibrato. Come ha ritenuto inutile il confronto Tavormina, così potrebbe anche rigettare, per analogia.
D: Sì, ho capito però il problema è intervenire sul collegio è una cosa molto delicata questo è quello che voglio dire.
M: Questo io l’ho capito.
D: Provo a chiamare Grasso… caso mai ci sentiamo tra oggi e domani, va bene?
M: mi scusi eh.
12 marzo 2012 alle ore 18,49. Mancino chiama D’Ambrosio e lo sollecita ad intervenire su Napolitano. D’Ambrosio vede la cosa difficile. Mancino replica dicendogli che “se qualcuno ha fatto qualcosa poteva anche dire io debbo avere tutte le garanzie”.
D: Insomma, noi, ecco, parlando col presidente se Grasso non fa qualcosa, la vediamo proprio difficile qualunque cosa. Adesso lo possiamo, lo possiamo rivedere magari lo vede il presidente un giorno di questi, più di questo non…
M: Va bene, ma anche per la storia del Paese ma… ma che razza di Paese è… se tratta con le Brigate rosse… le Br… se non tratta con Brigate rosse fa morire uno statista. Tratta con la mafia e fa morire vittime innocenti . Non so… io anche da questo punto di vista vedo che insomma… o (non leggibile ma sembra “tuteliamo”) o tuteliamo lo Stato oppure tanto se qualcuno ha fatto qualcosa poteva anche dire mai io debbo avere tutte le garanzie, anche per quanto riguarda la rilevanza statuale delle cose che sto facendo.
D: Non lo so, adesso vediamo, tento un po’ da Grasso i prossimi giorni nuovamente. Però io vedo molto, troppo confuso la situazione, anche perché questa assoluzione… questo allungamento della sentenza Dell’Utri rende ancora difficile tutto, ecco questo è.
M: Ho capito ma questa è… io sto parlando dello Stato, non lo so… Lei veda un po’ se Grasso ha intenzione anche di ascoltare me… sia pure in maniera riservatissima. Che nessun ne sappia niente.
D: Va bene, tanto io lo devo sentire Grasso e lo sento domani. Va bene?
M: Grazie scusi grazie. 15 marzo 2012, alle 9,04.
Tre giorni dopo Mancino si rivolge direttamente al pg della Cassazione, Vitaliano Esposito e lo chiama “guagliò”. Il pg dice di essere “a disposizione”.
M: Sono Nicola Mancino. Buongiorno
Esposito: Buongiorno a te.
M: Ho letto sulla stampa di questa presa di posizione. Mi azzardo a telefonare, perché io personalmente.
E: … (ride)
M: Sto nella sentenza di Firenze, in maniera che quasi quasi dire che una persona coinvolta ma che non si puo coinvolgere perché ci sono ombre ma non ci sono prove, è una cosa assurda, assurda, parlare a Firenze di Mancino eventuale responsabile della trattativa Stato-mafia, mai avvenuta, mai conosciuta.
E: Presidente, io comprendo il suo stato d’animo ma ora mi leggo diciamo quest’ordinanza, mi vedo questo provvedimento e poi magari…
M: Poi alla fine
E: Se lei mi vuole vedere, mi vede.
M: Ma a me chi me ne ha parlato della trattativa? Questo è il punto.
E: Ho capito. E va bene, io sono chiaramente a sua disposizione, magari adesso vedo questo provvedimento e poi ci parliamo, se vuole venirmi a trovare, può venire quando vuole.
M: Guagliò, così come vengo… vado sui giornali.
E: (ride) Ah! Ho capito. 27 marzo 2012, alle 9,30
Mancino chiama ancora D’Ambrosio e gli manifesta l’intenzione di scrivere una lettera.
M: Io vorrei scrivere una lettera, però la faccio vedere prima a lei, al signor presidente, ma io non voglio provocare eventuali avocazioni.
D: Ma qui il problema vero è la unitarietà delle indagini perché io sono stato sentito da Palermo, se dovessi dire la verità non ho mica capito quali erano i motivi del processo.
M: Qua polemizzano con il gip di Caltanissetta. Non si capisce perché debbano polemizzare. Ma perché il pg invece di assumere una sua valutazione manda a chiedere le carte per chissà cosa fare.
D: No, no, no lì è sbagliata la cosa, perché i giornali hanno dato l’interpretazione legata al disciplinare che viceversa é legata alla finalità che lei dice, cioé all’esercizio dell’articolo 6, cioé delle funzioni di vigilanza dell’assenza di una unitarietà di indagine su uno stesso fatto.
M: Si perché tutto parte…
D: Ora se ne va Esposito, perché l’11 aprile se ne va, ma io non escludo che… sono certo che la finalità di Esposito fosse proprio questa, perché me l’ha detta, cioé non era quella del disciplinare a Caltanissetta, ma la finalità è quella di dire: fatemi capire l’unitarietà.
M: No ma io gliel’ho detto. Ho parlato con Esposito. Lui mi ha detto: se vuoi puoi venire a parlarmene, ma io non vado a parlare per sentirmi dire da un giornalista presente: ma lei perché è andato dal procuratore generale? Eh, ma uno ne esce male.
3 aprile 2012, alle 9,09 Mancino chiama D’Ambrosio e lo informa dell’andamento del processo Mori, per lui l’interrogatorio di Giuliano Amato “è molto buono”, D’Ambrosio lo informa che sulla sua lettera “stiamo ragionando, ma il Presidente è orientato a fare qualcosa”.
M: Lei ha saputo come è andato piu l’interrogatorio di Amato?
D: No, no. M: Eh, molto buono, ma comunque, a mio avviso, c’è un abuso grande quanto una montagna, da parte del sostituto d’aula Di Matteo , chiede il confronto con Martelli, il confronto con Scotti, chiede la testimonianza della vedova Borsellino, chiede addirittura la testimonianza del pentito Gaspare Mutolo.
D: Eh, adesso noi comunque sulla sua lettera stiamo ragionando, va bene? Io le posso dire.
M: E veda un poco, perché la cosa è terribile.
5 aprile 2012, alle 15 Mancino chiama D’Ambrosio, ha appena ricevuto in copia la lettera inviata il giorno prima dal Quirinale al pg della Cassazione. D’Ambrosio spiega il senso dell’intervento di Napolitano, preoccupato dalla “coerenza dei percorsi processuali”. E conclude rassicurando Mancino: “( la lettera, ndr) non è una cosa solo di Marra (il segretario generale del Quirinale), l’ha detto lui (Napolitano, ndr) : io voglio che la lettera venga inviata, ma anche con la mia condivisione sostanzialmente”.
M: Io non c’è male, ho appena ricevuto questa lettera, ma siamo sicuri che non si diffonde la notizia con nessun risultato, cioé il pg, ma non lo so, poi al termine del suo mandato non lo so che farà.
D: Ma no, che vuol dire, il pg ha la sua continuità, e cioé…
M: Questo l’ho capito.
D: Ho parlato pure, abbiamo parlato pure con Ciani.
M: Uhm.
D: Ma c’era una situazione che il presidente aveva già detto all’Adunanza ha rilevato e percepisce questa mancanza di coordinamento e ti dice: esercita questi tuoi poteri anche nei confronti di Grasso. Perché qui il problema vero… Grasso si copre, questa è la verità, perché con la storia dell’avocazione, no? Perché è una gran cretinata l’avocazione, perchè lui la cosa a cui deve pensare è il coordinamento.
D: Questo è il problema vero, quindi quello per cui deve badare… come si chiama? Grasso… E se non ci bada lui il pg è il coordinamento minimo, non so se mi sono spiegato? Perché quello minimo, perché uno… Insomma io devo capire se Spatuzza in Dell’Utri non conta, e qui è fonte di una revisione, non so se.
M: E come no! E come no!
D: Eh, perché noi quello che temiamo è adesso scusi, ma per quale motivo io non dovrei usare la sentenza Dell’Utri per dire che non occorre fare la revisione, scusi, eh? Me lo deve spiegare.
D: Però adesso lei lo sa, quando uscirà quello che noi, quello che il presidente auspica, tra l’altro il presidente l’ha letta prima di mandarla, eh non è una cosa solo di Marra. Lei può dire che ha saputo della lettera che le è stata mandata, è stato informato che la lettera è stata mandata al pg. Poi ha saputo che era ai fini di un coordinamento investigativo, lei lo può dire parlando informalmente con il Presidente, perché no?
M: E va bene
D: Non c’è niente, lui sa tutto. E che, non lo sa. L’ha detto lui, io voglio che la lettera venga inviata, ma anche con la mia condivisione.

Di Marco Lillo, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza

Da Il Fatto Quotidiano del 20 giugno 2012


L'EUROPA HA BISOGNO DI UN LEADER COME MAO

Le difficoltà che continuano a caratterizzare i mercati in questo momento sono legate a un'incapacità e all'immobilismo politico che hanno soprattutto le autorità sovranazionali, dalla Bce, all'eurogruppo, fino all'intero Consiglio europeo. Vi è la necessità di avere una risposta autoritaria, non autorevole, da parte dell'Europa che vada a mettere finalmente pace a inquietudini e alle perplessità che continuano a caratterizzare i mercati. Il comportamento delle borse è una conseguenza di questo tipo di angoscia, vale a dire che per esempio la Bce, attraverso il suo portavoce Draghi, sta predisponendo questo atteso big plan, grande piano di salvataggio per mettere tutto in sicurezza e far cessare il panico. Ma lo si sta aspettando da giorni. Ancora una volta l'Europa dimostra incapacità nel reagire e nel gestire le proprie problematiche, e purtroppo questo si scarica poi attraverso o isteria finanziaria o nervosismo.
Su questo pensiero vorrei soffermarmi per ribadire quanto denaro è stato polverizzato, sottoforma di capitalizzazione di borsa. Qualcuno adesso potrà dire: ma io non investo direttamente in borsa. Certo, non lo farà direttamente, ma sicuramente lo farà indirettamente il suo fondo pensione, la sua gestione patrimoniale, la banca presso la quale ha giacenza di liquidità, l'obbligazione strutturata etc. Tutti, direttamente o indirettamente, stiamo perdendo un'elevatissima quantità di denaro sottoforma di risparmio accantonato, a causa di questo immobilismo politico da parte dell'Europa che ci sta costando fior di punti percentuali in termini o di mancata redditività o peggio ancora di oneri accessori per il rifinanziamento del proprio debito.

E in tutto ciò la Bce?

In tutto questo la Bce non sta svolgendo alcun ruolo, ahimè. Sembra che stia guardando alla finestra nell'ipotesi che la malattia guarisca da sola o regredisca in uno stato meno acuto. Non posso fare a meno di menzionare la copertina dell'Economist di due edizioni fa in cui veniva indicata, per rappresentare questa situazione di impasse, una petroliera che affonda negli oceani, e dalla cabina del capitano arriva, sottoforma di fumetto, un'esternazione che dice: "Signora Merkel adesso possiamo accendere i motori?". Il messaggio principe che dà l'autorevole testata giornalistica indipendente è che stiamo continuamente spostando in avanti il momento dell'azione e non si capisce per quale motivazione. Sembra che sia quasi una volontà di lasciar far detonare, di continuare a compromettere la stabilità, coesione e certezza di quella che era sia l'Europa che la sua moneta unica.
Mi sono fatto portavoce di un'istanza anche abbastanza controcorrente, proprio nei confronti delle autorità monetarie che dovrebbero incominciare a pensare, a contingentare i mercati azionari, come hanno fatto gli Stati Uniti quando ci furono gli attentati delle Twin Towers. Nei 5 giorni successivi congelarono la negoziazione sui mercati. Allo stesso modo dovrebbero cominciare a pensare anche le autorità di vigilanza Europa, proprio per preservare l'integrità degli stessi, oppure se non si potesse intervenire in misura così massiccia, almeno andrebbe messo un freno e un limite allo shock selling, cioè alle vendite allo scoperto in particolar modo sui finanziari, assicurativi e bancari.

Nel tuo libro scrivi: "In questo euromanicomio, dottori e infermieri ci imbottiscono di psicofarmaci per non farci prendere coscienza del disastro che essi stessi hanno causato". Ci spieghi questa metafora?

Questa metafora nasce da una consapevolezza e anche constatazione che l'Europa in questo momento ha bisogno di un grande timoniere, C'è la necessità di avere una governance, un premierato, un rappresentante economico per l'Unione Europea che si faccia portavoce delle istanze e esigenze che hanno tutti i principali players europei per ridare slancio a tutta l'economia europea. Dobbiamo superare questa situazione di impasse in cui c'è una rappresentanza di paesi cosiddetti forti e virtuosi e dall'altra parte della staccionata chi è in sofferenza, chi sta subendo il diktat che gli viene imposto invece da quelli più forti, creando di fatto le prerogative e le condizioni per un'Europa sempre più debole.
La mia aspettativa è proprio quella che o emerga o venga nominato o in qualche modo riesca a prendere visibilità questo grande nuovo timoniere al pari di quello che fece Mao per la Cina che fece uscire, anche a fronte di grandi sacrifici, la popolazione cinese, proiettandola in quelle che furono le straordinarie riforme che poi consentirono alla Cina di diventare quello che tutti quanti oggi conosciamo.
Lo stesso dovrebbe fare l'Europa, basta con questa conflittualità accesa che ogni giorno caratterizza le cronache dei quotidiani europei. Allineare il pensiero e la politica economica unica e univoca per tutti i paesi aderenti alla moneta unica, in modo tale da rafforzare l'Euro, far svanire le preoccupazioni che in questo momento continuano a creare turbolenza sui mercati finanziari, rasserenare e abbassare i livelli dei tassi di rifinanziamento dei debiti e poi magari se si riuscisse a farli accettare, anche l'istituzione dei tanto famigerati Euro bond che al momento attuale rappresentano l'exit strategy più credibile per le comunità finanziarie - istituzionali.

Eugenio Benetazzo (Cado in piedi - 19 Giugno 2012)

lunedì 18 giugno 2012

Gasparri scrive ai vigili: “Toglietemi le multe, non ho tempo per certe cose”

Io sottoscritto Sen. Maurizio Gasparri, Presidente del Gruppo Parlamentare ‘Il Popolo della Libertà’ presso il Senato della Repubblica…”. La lettera comincia così, piena zeppa di maiuscole. Ma non ha niente a che vedere con il ramo del Parlamento che ha sede a Palazzo Madama o con il partito che alloggia in via dell’Umiltà. Riguarda una Mercedes classe A, che viaggia per le strade della Capitale ed è intestata ad Amina Fiorillo. La moglie del senatore Maurizio Gasparri. La lettera è datata 22 marzo 2012 e indirizzata all’ufficio Contravvenzioni del Comune di Roma. Gasparri e famiglia abitano nel centro storico e hanno preso alcune multe perché si sono dimenticati di rinnovare il pass per la zona a traffico limitato. Hanno chiesto l’archiviazione dei verbali e fatto valere il loro diritto di residenti autorizzati. Ma il senatore ha preferito non procedere come un cittadino qualsiasi. Ha scritto ai vigili su carta intestata del Senato, ha illustrato lo scranno su cui sedeva e ha tenuto a precisare che “l’autovettura oggetto della contravvenzione era temporaneamente sprovvista dell’autorizzazione al transito, che non mi è stato possibile rinnovare tempestivamente a causa di continui e ripetuti impegni in diverse parti d’Italia correlati al mio mandato istituzionale”. Talmente avvezzo alla tiritera da metterla in mezzo anche quando non ce ne sarebbe bisogno.

Lui, Però, al telefono non capisce il punto. Spiega e rispiega com’è andata la vicenda: “Sono residente in centro storico, la macchina è di mia moglie, io a volte la uso a volte no: il permesso era scaduto, mi sono arrivate le multe, adesso aspetto di capire quanto e come bisogna pagare…”. Nessuno gli contesta la dimenticanza, ma lui insiste: “I residenti hanno un permesso che viene rinnovato con scadenze anomale, tipo ogni tre anni, quindi non è come l’assicurazione, o il bollo… quando scade non c’è neanche un avviso al titolare. Mia moglie non l’ha rinnovato, può capitare, e quindi, in attesa di pagare…”. Il senatore ha fatto ricorso, come avrebbe fatto chiunque. Su questo siamo d’accordo: “Non c’entra niente il fatto di essere parlamentare, non ho il permesso in qualità di parlamentare, ho il permesso come residente. Non è che non ne avevo il diritto, è che non l’avevo rinnovato”. Il punto è chiarissimo, ma perché usare la carta intestata del Senato? “Non è questo il problema, quello che mi chiederanno di pagare pagherò , quella lettera non è tesa a procacciarsi un ingiusto vantaggio: se uno voleva fare una cosa non regolare non è che si metteva a fare una lettera, giusto no?”. Sarebbe bastato presentarsi come Maurizio Gasparri, residente in via tal dei tali… “Io sono quello che sono, mica mi devo vergognare di quello che sono né devo chiedere un privilegio per la mia posizione. Sono un senatore, uso la carta intestata, che devo fa’? Non credo che per questo faranno valutazioni di alcuna natura, guardi… la procedura è assolutamente corretta, la risposta potrà essere negativa, ci atterremo a quello che sarà”. In attesa di vedere come andrà a finire, non resta che affidarsi al presagio del senatore: “Non credo che mi daranno una risposta perché sono Gasparri”.

Paola Zanca (Il Fatto Quotidiano del 16 giugno 2012)

Monti: che aspetta ad andarsene?

Rare volte, in politica, è stato possibile assistere ad un fallimento più pieno, palese e veloce di quello che sta accadendo al governo Monti.
Doveva essere il governo dei tecnici puri, insensibili alle ragioni politiche e si è dimostrato in tutto (non solo in economia, ma anche in materie come la giustizia o i diritti civili) un governo di destra. Doveva essere un governo dei "competenti", la crema dell'intellighenzia manageriale, amministrativa, diplomatica e si sta dimostrando un governo di cialtroni incompetenti senza pari. Pensate alla figuraccia della Fornero sugli esodati che, per di più, anzicchè prendere il primo aereo per il Tibet, dove ritirarsi in solitaria meditazione cercando di farsi dimenticare, si scaglia contro i dirigenti dell'Inps meditando di cacciarli perché hanno osato smentirla dati alla mano. Doveva essere il governo del risanamento dell'economia: lo spread è risalito poco sotto i 500 punti, la fracassata di tasse ha messo a terra famiglie e aziende inasprendo la recessione e, come beffa finale, l'aumento di 1 punto dell'Iva ha causato un introito complessivo di tasse inferiore di tre punti all'anno prossimo. Verrebbe da dire a Monti: ma dove hai studiato economia? Beninteso, non tutto è colpa sua ed, anzi, molto non è nella sua disponibilità: decidono i mercati finanziari qualsiasi cosa lui faccia, lo sappiamo. Ma lui ci mette del suo per peggiorare le cose, facendo l'esatto opposto di quanto andrebbe fatto. Come tecnico è solo una mezza cartuccia, ma come politico è una vera bestia.

In primo luogo, l'Italia è, insieme a Grecia, Portogallo, Spagna ed Irlanda, il principale bersaglio della speculazione finanziaria; questo avrebbe dovuto indurre il governo italiano a cercare una linea comunque con questi paesi per pesare rispetto all'Europa. Certo, la Spagna a novembre ha cambiato governo e la Grecia è in balia ad una ingovernabilità che dura da mesi. Ciò non di meno, l'Italia avrebbe dovuto cercare di farsi punto di riferimento dell'area mediterranea e trattare subito con la Francia un fronte comune nei confronti della Merkel. Niente di tutto questo: solo adesso una mezza intesa con Hollande. Vero è che Sarkozy non era meglio della Merkel e che Hollande è arrivato da poco più di un mese, ma anche qui occorreva avere una iniziativa verso gli Stati a prescindere dai governi.

In secondo luogo, la questione non va assolutamente posta in termini di "aiuti" dei paesi più forti (in sostanza la Germania) a quelli più poveri come se si trattasse di una elemosina, ma di un progetto comune e di una convenienza comune, offrendo contropartite politiche ed economiche precise.

In terzo luogo, sappiamo che la Merkel è una mediocrità collocata in un posto molto al di sopra delle sue capacità e della sua intelligenza (esattamente come accadeva a quel playboy da strapazzo di Sarkozy) ma, ad essere sinceri, qualche ragione ce l'ha pure lei, povera donna: fra poco più di sei mesi deve affrontare elezioni difficilissime ed i tedeschi non vogliono sentir parlare di aiuti agli europei del club Med. Dunque, prima ancora che alla Merkel -la cui limitata velocità di comprensione è nota- occorre parlare ai tedeschi ai quali occorre spiegare che:

1-sin qui l'Euro ha molto avvantaggiato le esportazioni tedesche

2-non si tratta di aiuti ma di progetti e convenienze comuni come, ad esempio, allargare l'area della manifattura tedesca agli altri paesi europei con produzioni complementari o differenziate ma comunque inserite in un sistema industriale europeo da (ri)costruire

3- anche la Germania non sta messa bene come sembra, perché il suo debito vero non è l'83% del pil ma il 105%, visto che si "dimenticano" sempre di considerare la cassa depositi e prestiti, senza della quale anche noi saremmo sotto il 100%

4-se anche l'euro dovesse saltare, sarebbe conveniente anche per la Germania mantenere una politica di cooperazione europea per non essere spazzata via dalla crisi prima e dai processi di globalizzazione dopo

5- se l'Euro andasse a carte quarantotto, gli altri si spezzerebbero le ossa, ma anche i tedeschi non se la caverebbero mica con tre graffi: il conto sarebbe salatissimo anche per loro.

Ma bisogna anche saper accettare le ragioni dei tedeschi ed alcuni addebiti che ci fanno: Il direttore del Sole 24 Ore, Roberto Napoletano ha pubblicato un articolo che intimava "Schnell Frau Merkel" e lo ha messo anche in tedesco ed inglese sul sito del giornale on line: è arrivata una valanga di insulti da parte dei lettori tedeschi, però, tutto tutto sbagliato non era e dobbiamo riconoscere che gli insulti non erano tutti immeritati. Come si fa a dare loro torto quando scrivono che in questi anni i privati tedeschi hanno messo da parte una ricchezza pari al 125% del Pil mentre gli italiani, grazie all'evasione fiscale, hanno accumulato ricchezze pari al 175% del Pil? Come si fa a non accettare la lezione quando un lettore dice: ma non avete orgoglio voi europei del club Med? Insomma, qualcosa di cui vergognarci l' abbiamo, non vi pare?

E, quindi è ragionevole intessere un dialogo in cui cercare di far valere le proprie ragioni ma anche accettare quelle degli altri. Dunque non vanno chieste elemosine, ma azioni comuni come la messa in comune di parte del debito, ma con precise garanzie reali, attraverso progetti di crescita comune che intreccino le aziende tedesche con quelle italiane o spagnole, regole precise di controllo bancario comune (e qui se spagnoli, francesi ed italiani hanno qualche mal di denti, la Commerzbank è in camera di rianimazione).

Certo questo dovrebbe essere fatto dai giornali italiani (un po' come ha fatto il Sole 24 ore), dai partiti (a proposito: che fine ha fatto la Linke europea?) dai sindacati (a proposito che fanno i nullafacenti della Ces?) ecc, ma anche dal governo. Monti dovrebbe sapere che quando va ad un summit europeo e risponde alle domande dei giornalisti, parla non solo ai suoi colleghi capi di governo, ma anche all'opinione pubblica dei rispettivi paesi. Dunque, se si presenta con il cappello in mano facendo la figura dello straccione non è che disponga bene gli altri. Deve presentarsi con piani di crescita comune, di re-industrializzazione europea ecc. Ma come si fa ad affidarcisi ad uno come Monti che ha la vis comunicativa e la simpatia umana di un merluzzo surgelato?

Insomma direi che ormai il fallimento dell'esperimento dei "tecnici" non potrebbe essere più completo e che è il momento di trarne le dovute conseguenze. Quali? Votare ad ottobre.

Mi direte: "ma non è il momento, siamo in piena bufera finanziaria". Verissimo, ma cosa vi fa pensare che in marzo saremo in piena bonaccia? Anzi, qui rischiamo una campagna elettorale di otto mesi, con un governo di nessuna rappresentatività e credibilità, per poi andare comunque a votare (con il conseguente inevitabile vuoto di potere) in marzo, quando magari ci sarà una tempesta ancora peggiore.

Non vi sembra il caso di darci un taglio?

Fonte: Dal blog di Aldo Giannuli 18 giugno 2012

domenica 17 giugno 2012

Cattive notizie da Mentana

Le cattive notizie: potrebbe essere il titolo di un libro o anche di un film. Invece è diventato il titolo di un telegiornale, quello de La7, fondato e diretto da Enrico Mentana. Non è un'interpretazione opinabile della sua trasmissione, ma una constatazione oggettiva e autorizzata perché è proprio lui a dichiararlo ogni sera durante i cinque minuti della sua "anteprima". Mentana infatti ha creato una nuova formula di telegiornale con una scansione mai esistita prima d'ora.

Comincia con l'anteprima, durante la quale sunteggia il contenuto di ciò che seguirà; poi ci sono i titoli sugli eventi principali (già segnalati nell'anteprima); poi sempre lui fornisce le grandi linee del primo evento e ne affida il racconto alla voce maschile o femminile di un redattore del quale non si conosce il nome né l'aspetto mentre sullo schermo appaiono foto di repertorio dei personaggi protagonisti.

Si passa poi con la stessa tecnica agli eventi successivi. Figure di repertorio a parte, per 35 minuti sullo schermo c'è solo lui che nel finale presenta anche le trasmissioni che andranno in onda sulla rete. In questo modo, e con questo massiccio investimento personale, il telegiornale è passato da un inizio mediocre del 3 per cento al 10 attuale, mentre la rete dal 2 è arrivata al 4-5 per cento. Un successo strepitoso che ha sottratto telespettatori alla prima fascia della Rai e di Mediaset.

Il titolo "Le cattive notizie" è, come ho detto, il direttore stesso a dichiararlo sia nell'anteprima sia nell'elenco e nel commento di presentazione degli altri eventi. Esordisce dicendo: "Anche oggi la giornata è drammatica". E ne dà la lista. Spesso - coi tempi che corrono rattristati perfino da terremoti e da stragi di vario tipo - è proprio così. Spesso, ma non sempre. Ma lui quelle buone le sorvola e talvolta perfino le ignora.

Non vorrei essere frainteso: io adoro Mentana. Lo trovo bravissimo come direttore e come conduttore. Ho scritto prima che ha fondato il Tg de "la7". Non è così ma sì, è così, quello che c'era prima di lui era pressoché inesistente. Lui lo ha rifondato e ne ha triplicato gli ascolti portandosi appresso l'intera rete. Per certi aspetti mi ricorda il mio passato agli inizi dell'"Espresso" e agli inizi di "Repubblica". Ed è anche vero che tutti i "media" prosperano più sulle cattive notizie che sulle buone. Ma ora sta esagerando.

Sta esagerando anche perché lui una buona notizia l'ha trovata e ci inzuppa il pane ogni giorno, ormai da tre mesi: Beppe Grillo e il grillismo. Mentana è felice dei successi e della crescita di "5 Stelle", gli brillano gli occhi quando può informare che dal 2 per cento di consensi i sondaggi hanno portato il grillismo al 4, poi al 6, poi al 10, infine al 14 per cento. La vittoria di Parma l'ha mandato in solluchero. E gli brillano gli occhi anche per le astensioni di massa che si preannunciano. Il suo sondaggista sostiene che Grillo sia arrivato al 18 e prevede che arriverà al 25 alle prossime elezioni politiche. Tutti gli altri sondaggi non arrivano a queste cifre, ma "la7" è molto più avanti. Le concioni e i "Vaffa" di Grillo vengono ritrasmesse a sazietà. Il tempo sul Tg de "la7"è inversamente proporzionale alle forze in campo.

Insomma, Mentana parteggia. Lo può legittimamente fare, "la7" è una società editrice privata e riconosce piena libertà d'espressione ai suoi giornalisti. Vivaddio. Ma che un giornalista democratico come lui sia diventato un "supporter" dell'antipolitica, questo ancora non l'avevamo mai visto. Pienamente legittimo, ma estremamente preoccupante.

Recentemente Mentana ha fatto un passo più avanti, si è fatto sponsor di una lista di giovani senza lavoro. Cofferati - che non è certo un reazionario ma un sindacalista di battaglia - gli ha spiegato che una lista del genere sarebbe pura demagogia, ma lui si è battuto come un leone davanti ai microfoni della Gruber per sostenere la sua idea. Se continua così diventerà l'erede di Grillo, con tanto di televisione e di "Facebook" a disposizione.

Eugenio Scalfari (L'Espresso - 15 giugno 2012)

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LA RISPOSTA DI MENTANA A SCALFARI: LA REALTÀ (L’ASCESA DI GRILLO) NON VA SFUMATA PER CARITÀ DI PATRIA
Enrico Mentana sulla sua pagina Facebook https://www.facebook.com/pages/Enrico-Mentana-pagina-ufficiale-bis/92106667544

L’articolo di Scalfari non mi ha sorpreso: Eugenio, che è e resta un grande giornalista, ha messo nero su bianco concetti critici che da qualche tempo mi accade di ascoltare. In sostanza: andava bene un’informazione completa e senza sudditanze finchè c’era Berlusconi, ma ora bisogna essere tutti “responsabili” e “sobri”, per non disturbare il tentativo di salvataggio di Monti e l’opera di ri-legittimazione dei partiti tradizionali. Io penso invece, da sempre, che le notizie siano le notizie, e nient’altro.

Se un partito di maggioranza prende un’iniziativa meritevole è doveroso darne conto, ma se fa una fesseria è altrettanto doveroso raccontarla. Se ora nei nostri sondaggi (che erano così graditi quando il premier Berlusconi perdeva consensi settimana dopo settimana) l’astensione si fa sempre più alta e Grillo continua a crescere a scapito dei “soliti noti”, è inutile prendersela col sondaggista o con chi lo manda in onda: forse sarebbe invece più produttivo chiedersi perchè una fetta sempre maggiore dell’elettorato fa scelte punitive rispetto al quadro tradizionale dei partiti.

Mentre leggevo l’articolo di Scalfari, la trasmissione Agorà, su Raitre, diffondeva i risultati dell’ultimo sondaggio della società Swg: il Pd primo partito al 24%, il Movimento 5 stelle al 21%, il Pdl al 15%.

Ecco, Eugenio, tu che hai potuto votare fin dalle prime elezioni repubblicane, hai mai visto un simile fenomeno di crescita (per ora solo potenziale, anche se suffragata dai dati delle amministrative)? E davanti a questa esplosione come si dovrebbe comportare un telegiornale che vuole raccontare quel che succede senza tifare per nessuno? Mettere la sordina? Stigmatizzare?

Se Casini o Vendola fossero arrivati al 20% nei sondaggi, quanto ne avrebbero parlato i grandi giornali, compreso quello che hai fondato? E quale “share of voice” avrebbero in tutti i tg? La libertà di informare va esercitata e rispettata anche quando chi governa e chi lo sostiene non organizzano festini nè rispondono con il dito medio e le pernacchie ai giornalisti.

E la realtà non va sfumata per carità di patria; in questi giorni la stampa economica internazionale profetizza sventure al confronto delle quali le notizie del mio tg sembrano corrispondenze da Disneyland. Per chi vuole usare il telecomando c’è sempre qualcun altro che sa indorare la pillola o – com’è legittimo – raccontare delle ultime creme anti-scottatura. Ma io ogni sera devo e voglio raccontare i fatti che ritengo importanti per un pubblico che vuole essere informato: ho cominciato a farlo su La7 quando c’era uno schieramento imponente di tg filo-governativi benedetti dal Cavaliere, non vedo perchè dovrei cambiare ora.

Credo che Giorgio Napolitano abbia fatto qualcosa di grande per questo paese in una fase di eccezionale delicatezza, e gliene dovremo essere grati per sempre. Nonostante quel che scrive Grillo, è stato a mio parere il miglior presidente di questi 65 anni di storia repubblicana. Ma quando ha negato il boom elettorale del Movimento 5 Stelle ha commesso un errore, e la libera stampa aveva il dovere di rimarcarlo. Quanto agli interessi dei giovani: oggi il Corriere della Sera pubblica l’intervista a uno degli uomini più potenti d’Europa, il presidente della Bundesbank: ha 13 anni meno di me e – se posso permettermi – la metà degli anni di Scalfari.

In Italia, come è noto, la situazione è sconfortante: l’unico vero risultato di diciott’anni di contrapposizione militare tra berlusconiani e antiberlusconiani è che gli uni si sono retti in piedi appoggiandosi agli altri, come fanno gli ubriachi: il risultato è che a casa non ci è andato nessuno. E lo stesso è successo in tutti gli altri settori di una società bloccata, in cui nessun posto si libera per garantire quel ricambio che è stata la salvezza di altri paesi.

Così ci siamo giocati un’intera generazione, in politica, nell’imprenditoria, nell’università, nel giornalismo. Credo che si possa parlarne, e cercare strumenti anche urgenti, anche di rottura per cambiare la situazione. Per averlo scritto non credo di dover rischiare addirittura di “diventare il pericolo pubblico di tutti i democratici di questo Paese”… Che “Repubblica delle Idee” sarebbe?

da dagospia.com