mercoledì 30 gennaio 2013

Lettera d’amore a Dario

CHI È DI SCENA…

Sono nata nel 1929.
Quando ero piccola, sette, otto anni, mi veniva in testa un pensiero che mi esaltava: morire.
Quando morirò?
Com’è quando si muore?
Come mi vestirò da morta?
Forse mamma mi metterà quel bel vestito che m’ha cucito lei di taffetà lilla pallido orlato da un bordino di pizzo d’oro.
“Sembri un angelo! Quanto è bella la mia bimba che compie gli anni!” mi diceva.
A volte mi stendevo sul lettone di mamma: vestito, calze, scarpe, velo bianco in testa, una corona del rosario tra le mani poste sul petto (tutta roba della Cresima), felice come una pasqua aspettavo che qualcuno mi venisse a cercare e si spaventasse…scoppiando in singhiozzi. “E’ mortaaa! Franchina è mortaaaaa?!” E tutti a corrermi intorno piangendo… arrivavano i vicini, il prete e tutti rosariavano in coro.
Arrivasse un cane di un cane. Nessuno spuntava.
Nell’attesa mi addormentavo.
Al risveglio ero incazzata nera.
“La prossima volta vi faccio vedere io!” bisbigliavo minacciosa.
Poi mi sgridavo: “Cattiva, sei cattiva!!! Dare un dolore così grande alla tua mamma. Vergognati! Con tutti il bene che ti vuole…”
“Ascoltami Franchina… – mi diceva mamma – ci sono delle regole nella vita che vanno rispettate, ogni giorno: non poltrire nel letto, la prima cosa che devi fare, come apri gli occhi è sorridere. Perché? Perché porta bene. La seconda correre in bagno, lavarti con l’acqua tiepida, orecchie comprese, velocemente, vestirti. Far colazione e via di corsa a scuola. Salutare con un sorriso le persone che conosci, se aggiungi al sorriso un ciao-ciao con la manina è ancora più gentile. Non dare confidenza ai maschi. Tenerli a rispettosa distanza. Non accettare dolci o regali da nessuno…specie se uomini. Non parlare mai con gli estranei. Mi raccomando bimba, non prendere freddo, d’inverno sempre la cuffietta di lana all’uncinetto con i pom-pom rosa che ti ha regalato la zia Ida…gli stivaletti rossi di Pia (mia sorella maggiore) che non le entrano più. Ti voglio bene-bene-bene.” Lo ripeteva tre volte con ardore perché mi si inculcasse bene nel cervello. “Fai attenzione a tutto… come attraversi la strada…guai se vai sotto a una macchina. Ti rompi tutta…ricordati che ci ho messo nove mesi a farti!”
Me ne andavo felice…Un po’ soprappensiero per quei nove mesi di lavoro per la mia mamma a farmi. E’ stata impegnata per un bel po’ di tempo…tutti quei mesi!
La vedevo intenta a mettere insieme i pezzi.
Ma dove li prendeva?
Forse c’eran dei negozi nascosti che li vendevano: “Vorrei due gambette con i piedini, due braccine con le manine, un corpicino, la testolina no…ho una bellissima bambola lenci di quando ero piccola…ci metto quella. “Chiederò a mamma, quando sarò più grande che mi spieghi come ha fatto a confezionarmi.
Ora siamo nel 2013. Da allora sono passati molti anni. Sono arrivata agli 84 il 18 luglio. Faremo una bella festa tutti insieme.
Quando Jacopo era piccolo, a Natale arrivavano regali da ogni parte…più i nostri.
Li posavamo tutti sul tavolone della sala da pranzo. Come il bimbo si svegliava lo si portava tenendolo in braccio davanti a tutto quello che aveva portato il Bambin Gesù. Ci si incantava a guardarlo.
Meraviglia, felicità, grida, risate. “Grazie Bambin Gesù…grazie!!!” gridava guardando verso il soffitto come fosse il cielo…poi seduto sul tappeto a scoprire e godersi i suoi giochi.
All’arrivo della torta con le candeline, non riuscivamo a convincerlo a soffiare per spegnerle.
“Lo devi fare! Soffia!!”
“Perché?”
“Perché cresci più in fretta! Soffia!”
Era un bimbo molto curioso e pensoso. Chiedeva sempre: e cosa vuol dire questo e perché no…Una volta sui 5 anni, stava appoggiato al davanzale del balcone su di una sedia con un filo in mano che agitava. “Che fai Jacopino?”
“Do da mangiare al vento…”
Ero un po’ preoccupata.
Mi diverto molto con le mie nipotine. Quando Mattea (la figlia di Jacopo) era piccola, sui sei anni e veniva a trovarci a Sala di Cesenatico a passare l’estate con noi, le preparavo una festa alla grande. Compravo al mercato di tutto…non che spendessi tanto. Nascondevo i regalini spargendoli nel giardino tra alberi e cespugli e via con il gioco del “freddo e caldo”: si girava di qua e di là…davo segnali dei nascondigli dicendo “fredddo… freddo… tiepidino caldino… caldo, caldissimo… oddio brucia!” Mattea infilava la manina nel cespuglio, trovava il pacchetto, si sedeva su prato e lo scartava mandando grida di gioia.
Una mia cara amica, Annamaria Annicelli aveva un grande negozio dove vendeva di tutto e mi regalò per Mattea un mare di Barbie con fidanzato Ken. Cartoncini con guardaroba completo: abiti per tutte le occasioni.
Come ogni estate per anni, arrivò la mia dolce bimba più bella che mai. Le sbatto un uovo con zucchero e cacao – la rusumàta si chiama a Milano – che le piace tanto. Se la mangia leccandosi i baffi.
“Vieni, andiamo a fare il gioco del caldo-freddo.”
Lancia un urlo di felicità.
Le avevo preparata una festa alla grande. E via che si parte: freddo… freddo… tiepidino… caldo… caldissimo! E dal cespuglio estrae una Barbie…poi un’altra…poi il fidanzato Ken, cartelle con abiti…ad un certo punto si lascia andare sull’erba sfinita: “E’ troppo nonna… è troppo!” Quando Jacopo, dopo tre mesi, veniva a prenderla era un momento triste per tutte e due. Ce ne stavamo abbracciate e silenziose in attesa della partenza. Saliva in macchina. La salutavo con la mano e mi scendevano le lacrime…pure lei piangeva. Cercavamo tutte e due di sorridere… ma si faceva fatica.
Una gran fatica.
Una volta, quando eravamo più giovani Dario ed io ci si faceva festa ai compleanni. Festa? Una festicciola…nulla di speciale. La torta, le candeline…dell’anno prima, qualche amica, amici…Ricordo invece un fantastico compleanno, il mio settantesimo a Sala di Cesenatico. Non mi aspettavo nulla di speciale. Invece…
Quella mattina mi svegliai un po’ tardi, Jacopo venne a prendermi in camera dicendomi che Dario aveva bisogno di me…Neanche la mattina del mio compleanno posso restare disoccupata…scendo le scale, esco in veranda, e lì mi trovo una folla con i musicisti che suonavano, clown e maschere e tanta gente, amici venuti da ogni parte, ci saranno state cento persone, tutti a cantare tanti auguri a te…Mi sono messa ad abbracciare tutti uno per uno…Erano veramente tanti, che a un certo punto mi sono dovuta sedere…Anche per l’emozione. Poi siamo andati a mangiare fuori, sul porto canale di Cesenatico, e anche lì c’erano parecchi amici che erano venuti a festeggiarmi. Ogni tanto mi stupisco di quanta gente mi voglia bene. È proprio una grande fortuna…
UNA STELLA SUL LETTO?!
Una volta mi piaceva guardare il cielo di notte. Specie in inverno. Sottozero il blu è più intenso. Le stelle spiccano come brillanti.
Preziose.
Ieri notte niente. Ce ne erano poche ma una ha attirato la mia attenzione era una stella senza luce, piatta come fosse di plastica opaca.
“Vieni qui” le ho detto… hai dei problemi? Ti vedo giù….” In un attimo eccola sul mio letto, senza nemmeno rompere i vetri della finestra.
La guardo incredula… non so come comportarmi…
UNA STELLA SUL LETTO?!
L’astro si rizza su una punta… prendendo colore lentamente.
Una luce iridescente illumina la mia stanza…ma non smargiassa di chi vuol strafare…appena appena per farsi notare.
“E’ così facile avere una stella vera in casa? Basta chiamarla?” penso. “E’ facile per forza… – mi risponde – sono te.”
“Sono una stella?” – dico senza meraviglia, anzi un po’seccata – mi stai prendendo per il sedere?” Avrei detto volentieri culo, ma non volevo darle confidenza.
“Dì pure culo cara, non mi scandalizzo…” e fa una risata a piena gola.
Una stella che dice culo e mi sghignazza dietro!
Ero scandalizzata! Non c’è più religione!
“Bigottona! Son qui per aiutarti… sono te, quindi la tua più grande amica. Sei giù di morale…hai pensieri fissi che ti fan dormire male. Perché vuoi ammazzarti?”
Mi manca il respiro. Un qualcosa mi sale lento dallo stomaco alla gola: un magone che mi soffoca.
“Lasciati andare… non trattenere le lacrime…ci sono io vicino a te…sono scesa apposta da lassù…tutta per te!”
Le lacrime non si fanno pregare, si rincorrono sulle mie guance una dopo l’altra. I singhiozzi escono strazianti anche se in realtà non si sentono.
Allunga una punta, quella di sinistra e mi fa una carezza.
Ma dai…sto sognando…la stella sul letto in punta di stella che mi accarezza con la sinistra…una stella mancina…Mio dio…ha pure 5 punte!
Una stella delle Brigate Rosse!
“Non stai sognando…conosco la ragione della tua voglia di morire ma solo se ne parli, se svisceriamo il problema insieme, lo risolviamo. Parola di Stella!”
Respiro profondamente. Sto per dire qualcosa che mi costa.
“Sono tanto triste perché sono disoccupata. Ho perso il mio lavoro.”
“Come hai perso il tuo lavoro? Sei dalla mattina alla sera al computer…scrivi, scrivi, scrivi senza alzare nemmeno gli occhi.”
“Sì lo so, ma questo non è il mio lavoro. Sono nata il teatro, a 8 giorni ero già in scena…ho sempre recitato. Da 8 giorni a 81 anni… avevamo in scena “L’anomalo bicefalo” una satira su Berlusconi. Ci divertivamo un sacco! Ma eravamo nell’’83… quanti anni son passati?”
“Ti stai dimenticando di Mistero buffo,….L’avete fatto tanto…”
“Sì hai ragione…ma ora non si fa più nemmeno quello.
Poi uno spettacolo ogni morte di vescovo, che ne muoiono pochissimi.
Sono felice di aiutare Dario che è il MIO TUTTO, curare i suoi testi, prepararli per la stampa, ma mi manca qualcosa… quel qualcosa che non mi fa amare più la vita.
È per questo che voglio morire.
Ma non so come fare.
Immersa nella vasca da bagno e tagliarmi le vene?
Poi penso allo spavento di chi mi trova in tutto quel rosso.
Buttarmi dalla finestra, ma sotto ci sono gli alberi e finisce che mi rompo tutta senza morire: ingessata dalla testa ai piedi.
Avvelenarmi con sonniferi…ci ho già provato una volta…tre, quattro pastiglie e acqua… avanti così per un po’ e mi sono addormentata con la testa sul tavolo…
Insomma, morire è difficilissimo!
A parte che mi ferma anche il dolore che darei a Dario a Jacopo alla mia famiglia, Nora, Mattea, Jaele (la più bella della famiglia) e tutto il parentado…alle amiche, amici.
Penso anche al mio funerale e qui, sorrido. Donne, tante donne, tutte quelle che ho aiutato, che mi sono state vicino, amiche e anche nemiche… vestite di rosso che cantano “bella ciao”.
Che tristezza essere disoccupata. “Hai messo in scena molti spettacoli che hanno avuto gran successo ed eri sola – prosegue la Stella…Tutta casa letto e chiesa, Parliamo di Donne, Sesso? Grazie tanto per gradire, Legami pure che tanto spacco tutto lo stesso, Il funerale del padrone, Il pupazzo giapponese, Michele ‘Lu Lanzone e altri ancora che non mi ricordo… dovrei andare su internet ma non ne ho voglia.
Perché non ne rimetti uno in scena?”
Ma…sono abituata con Dario…
L’ho conosciuto in palcoscenico nel ’51… abbiam fatto tourné, avuto successo… anche troppo. Dopo anni di fermo abbiam debuttato per due soli spettacoli in settembre del 2012 con “Picasso desnudo”.
E adesssssso? Ci metto sei S per sottolinearti bene il concetto. Adesso nulla! Nessun programma futuro. Deglutisco per mandar giù il magone
Dovresti aiutarmi tu Stella, dammi la forza… la voglia.
“Che piagnona! – mi urla, mi hai proprio rotto i…No, non lo posso dire perché lassù si incaz…Mamma mia solo parolacce mi vengono…è perché sono scesa in terra…qui ci si sporca!
Potresti mettere in scena un testo da recitarti tutto da sola…hai un mare di materiale a disposizione. Li conosco tutti i tuoi monologhi mai rappresentati.”
“Ma smettila, conosci i miei monologhi….”
“Certo, sono te!”
“Ah sì…Hai ragione…Sì, potrei farlo…ma poi penso a Dario la sera sperduto davanti alla tv… che se ne va a letto senza chiudere né tapparelle, né porta. Lo sento che si gira e rigira tra le lenzuola pensandomi…preoccupandosi e…quindi sto qui, accanto a lui. Lo amo tantissimo…ma sono proprio triste… infelice…ciao me ne vado…”
“Ma dove vai? Ti vuoi nascondere a piangere? Piangi qui piccola…tra le mie braccia…”All’improvviso si ingrandisce a vista d’occhio si trasforma in una coperta di lana morbida lucente e mi avvolge tutta. Un brivido di piacere attraversa il mio corpo… mi sento via via rilassata e sulla bocca mi spunta un sorriso…il più dolce della mia vita
Caro Dario tutto quanto ho scritto è per dirti che se non torno in teatro muoio di malinconia. Un bacio grande…


domenica 27 gennaio 2013

Facewash per ripulire il proprio profilo - Inventato da tre studenti, l'app permette di ricercare parole su Facebook ed eliminarle dalla propria vita digitale

Nella vita reale per ripulire la reputazione ci vogliono anni, in quella digitale basta un'app. Si chiama Facewash, letteralmente lavaggio del viso, e rimuove tutte le impurità da un'altra faccia ben conosciuta, quella di Facebook o faccialibro, che dir si voglia.

FACILE DA USARE - Il funzionamento è semplice: basta andare sul sito Facewa.sh, cliccare Get Started e consentire l'accesso ai nostri dati. A questo punto non resta che inserire una o più parole, meglio se separate con un meno, per far partire il motore di ricerca. Come un fido segugio l'applicazione andrà a caccia di modifiche di stato, immagini, commenti, link e post in cui compare il lemma incriminato restituendoli in una lista ben ordinata che consente di rivederli per poi decidere se cancellarli o meno. 
FATTA IN DUE GIORNI - Nonostante sia ancora in fase di sviluppo, l'applicazione funziona benissimo, tanto più se si pensa che è stata sviluppata in meno di due giorni in occasione di un hackaton, una gara tra sviluppatori. E non c'è da sorprendersi che tutto sia partito da tre universitari americani: ormai siamo abituati a piccoli geni dalle grandi idee ma soprattutto gli studenti fanno parte della categoria sociale che più di altre posta foto, video e commenti poco adeguati per il futuro. «Ci siamo resi conto che ci sono un sacco di contenuti che potremmo desiderare di non mostrare a un futuro datore di lavoro», rivela il 22enne Daniel Gur, uno degli ideatori insieme a Camden Fullmer, 21, e David Steinberg, 24, e a quanto pare sono parecchi a essere d'accordo con loro.  
USATA IN TUTTO IL MONDO - Finora infatti i lavatori di profili sembrano parecchi: l'applicazione ha fatto il giro del mondo in ben meno dei proverbiali 80 giorni e gli utenti che la usano sono già decine di migliaia. Per il futuro invece Gur ha in mente di aggiungere più lingue al motore di ricerca. All'interno del programma infatti sono già registrate parole sconvenienti che vengono cercate in automatico ma sono solo in inglese. Significa quindi che chi parla la lingua britannica può ripulire tutto con un solo clic, noi altri invece dobbiamo inserire ogni singola parola. Ma è una fatica che si fa con piacere.
(Corriere della Sera - 27 gennaio 2013)

Il ritorno di Dalemoni

Massimo D’Alema ha molti difetti, ma non la mancanza di franchezza. Trattandosi del principale azionista politico del Pd e della segreteria Bersani, le sue parole vanno prese estremamente sul serio. L’altro ieri, presentando a Torino il suo ultimo libro dal titolo spericolato Controcorrente, ha preannunciato le linee guida della prossima “riforma della giustizia” (anzi dei pm, in perfetta continuità col berlusconismo). Non una parola sulla durata di processi e prescrizioni, sulla necessità di ripristinare il falso in bilancio (tipo Mps), mandare in galera gli evasori, punire i rapporti dolosi con la mafia, l’autoriciclaggio e la corruzione sbaraccando la legge-fuffa Severino.Ben altre sono le priorità dalemiane: eliminare “la confusione tra indipendenza della magistratura e difese corporative” che consente “a ogni sostituto procuratore di fare quel che vuole: questo è anarchismo distruttivo, altro che indipendenza. Bisognerà mettere mano a una riforma” puntando “sulla responsabilità dei capi degli uffici, perché se ogni pm fa come vuole non serve avere i capi”. È la fotocopia della “riforma epocale della giustizia” (cioè delle procure) annunciata due anni fa da B&Alfano e fortunatamente abortita. Il potere “diffuso” di ogni pm di aprire indagini su ogni notizia di reato è il naturale corollario dei principi costituzionali di indipendenza e autonomia di ogni singolo magistrato e di obbligatorietà dell’azione penale: ma è già stato duramente limitato dall’ordinamento giudiziario Castelli-Mastella, approvato dal centrosinistra con la complicità della destra nel 2007-2008. Quella controriforma – votata anche dall’allora ministro D’Alema, forse a sua insaputa – già aumenta a dismisura il potere dei capi delle procure a scapito dei sostituti, secondo il modello verticale degli anni ’50, quelli dei porti delle nebbie e delle sabbie, quando bastava controllare un pugno di capi per imbavagliare tutti i pm: infatti si indagava solo sui delitti dei poveracci e mai su quelli dei colletti bianchi.
Il programma minacciato da D’Alema è ancor più pericoloso se si pensa che il futuro ministro (“non mi dispiacerebbe far parte del governo, se qualcuno mi verrà a cercare”) stava parlando di Ingroia, definito “quintessenza della peggiore cultura dell’estremismo e del moralismo basato sul ‘tanto peggio tanto meglio’”, entrato in politica “col nobile scopo di impedirci di avere la maggioranza al Senato per costringerci all’alleanza con Monti e poi gridare che siamo traditori”. Ora, a parte il fatto che il Pd con Monti è alleato da 15 mesi, non è stato Ingroia, ma Bersani e Fassina ad annunciare che il Pd governerà con Monti anche se avrà la maggioranza. Ed è stato Violante a chiedere sottobanco al pericoloso estremista di ritirare le liste al Senato in cambio di 4-5 “senatori mascherati” nelle liste Pd. Ancor più preoccupante (almeno per gli elettori Pd) è il giudizio di D’Alema sul pm che ha fatto arrestare decine di mafiosi e condannare Dell’Utri e Contrada: sulla trattativa Stato-mafia Ingroia “ha usato il suo ruolo per processare la storia del nostro Paese”. Ecco: uomini dello Stato han trattato sotto banco con la mafia, consegnandole le chiavi della Seconda Repubblica, ma Ingroia doveva voltarsi dall’altra parte in barba alla Costituzione per non infangare “la storia del nostro Paese”. Come se a infangarla non fosse chi trattò con i boia di Cosa Nostra, ma chi l’ha scoperto. Segue l’accusa, anch’essa copiata da B., di aver “concluso l’inchiesta con una candidatura”.
Forse D’Alema confonde Ingroia con qualcun altro. Anni fa un pm di Bari, Alberto Maritati, indagava su un politico illegalmente finanziato con 20 milioni di lire da un imprenditore malavitoso. L’accusa finì in prescrizione e il pm in Parlamento. Lo candidò lo stesso politico indagato e prescritto, che poi lo portò nel suo governo. Era un certo Massimo D’Alema.
 
 
 

I meriti della Lega e il governo europeo

Nei primi anni '90 irruppe sulla scena politica italiana la Lega. Dopo trent'anni di dittatura partitocratica si presentava una vera forza di opposizione dato che il Pci si era consociato al potere. La comparsa della Lega permise le inchieste di Mani Pulite che scoperchiarono il verminaio di Tangentopoli che ci è costata 630 mila miliardi, un quarto del debito pubblico. Prima dell'avvento della Lega i magistrati che avevano tentato di indagare sul fenomeno criminale delle tangenti erano stati stoppati. Angelo Milana, pretore a Piacenza, fece nel 1988 un'inchiesta che anticipava di qualche anno quelle di Mani Pulite: mise in carcere un sindaco comunista, uno socialista e un importante imprenditore del nord, Romagnoli. Si sollevò tutto l' 'arco costituzionale' e non, e persino il vescovo della città gridando all'infamia. Milana fu deferito al Csm che ne propose il trasferimento nella vicina Trieste. Era un vecchio giudice e reagì andandosene in pensione. Il Pm Carlo Palermo, magistrato a Trento, ebbe la sfortuna di imbattersi, in un'indagine su un traffico d'armi, nel nome di Craxi. Fu trasferito d'imperio nella vicina Trapani dove, dopo tre mesi, subì un attentato dinamitardo detto 'di mafia'. Cosa aveva potuto scoprire sulla mafia in soli tre mesi? Nulla. Palermo se la cavò, ma nell'attentato rimasero uccise una giovane madre e i suoi due figlioletti. Rammento questo episodio perché in Italia ci si ricorda solo dei morti eccellenti, anche quando mascalzoni, la 'gente comune' cade subito nel dimenticatoio.
Ma veniamo al punto.. La prima Lega di Bossi e Miglio propose di dividere l'Italia, senza minarne l'unità, in tre macroregioni: Nord, Centro, Sud. Era un'idea innovativa e intelligente perché si tratta effettivamente di tre realtà diverse: per economia, socialità, cultura e clima (non si può chiedere a uno che vive in Sicilia di lavorare 13 ore al giorno come un industrialotto di Varese, ma non può nemmeno pretendere di averne lo stesso tenore di vita). Come tutte le idee intelligenti fu ferocemente avversata (“le tre repubblichette”) dal ceto politico stanziato a Roma che vede le cose solo dall'angolo di visuale capitolino (limite che ritrovo anche nel Fatto). Poi l'idiozia e la spocchia della sinistra regalarono la Lega a Berlusconi e delle tre 'macroregioni' non si parlò più. Roberto Maroni ritira fuori adesso l' 'Euroregione del Nord' (Lombardia, Piemonte, Veneto, Friuli). Paradossalmente proprio l'Unione Europea rende questa ipotesi più praticabile, anche se sul lungo periodo. Se infatti l'Europa riuscirà ad unirsi anche politicamente, con un unico governo, i suoi punti di riferimento periferici non saranno più gli Stati nazionali, che spariranno, troppo deboli per assicurare da soli la difesa e una coerente politica estera, e troppo poco coesi per esaudire le istanze identitarie che, in tempi di globalizzazione, tornano sempre più prepotentemente alla ribalta, ma aree geografiche omogenee che potranno anche superare i vecchi confini (l'Alto Adige col Tirolo, la Riviera di Ponente con la Provenza, l'Aosta con la Savoia, eccetera). Naturalmente i più feroci avversari di un' Europa ad unico governo saranno le leads politiche nazionali e in particolare quella italiana. Che posto avrebbero in un governo europeo, i La Russa, i Fini, i Casini, i Bersani, le Finocchiaro, i Berlusconi, gli Alfano, i Cicchitto? Quello dei pulisci cessi. Ma la Storia mi pare andare in questo senso, sempre che noi non si voglia rimanere eternamente succubi dell' 'amico americano'.



sabato 26 gennaio 2013

Elezioni, scoperta la “cartiera” di firme false. Coinvolta La Destra di Storace

L'inchiesta della Procura di Lodi partita da un elenco di 500 sottoscrittori del partito dell'ex governatore del Lazio, "firmato" da un giudice di pace che in realtà non l'aveva mai visto. La replica: "Siamo parte lesa, già partita una denuncia". Sequestrati a MIlano anche timbri di Comuni e tribunali. Il Pd chiede chiarimenti al ministro dell'Interno.

 

Le firme elettorali portano male a Francesco Storace, leader di La Destra, che a fine ottobre 2012 è stato assolto in appello per la vicenda dell’accesso al sistema informatico dell’anagrafe di Roma, con l’obiettivo di scoprire eventuali irregolarità nelle carte presentatae dalla rivale Alessandra Mussolini per le regionali del Lazio del 2005.
Un’indagine della Procura di Lodi ha portato alla scoperta di una rete specializzata nel fornire firme false ai movimenti politici intenzionati a presentarsi alle elezioni regionali e politiche. In diversi appartamenti e in uno studio legale di Milano sono stati trovati 83 timbri con i nomi di giudici di pace di diverse regioni (Lombardia, Liguria, Piemonte, Molise e Lazio), timbri dei Comuni di Monza e Pavia e del tribunale di Milano, elenchi di firme e moduli in bianco. Tutto materiale necessario per produrre la documentazione richiesta per presentare le liste.
L’indagine è partita dalla scoperta, il 22 gennaio a Lodi, di un elenco di 500 sottoscrittori di La Destra, per il collegio Camera 3 e per le regionali della Lombardia, controfirmato da un giudice di pace che in realtà non lo aveva mai neppure visto. Per questo la lista di la Destra è al momento esclusa dalla corsa elettorale nella circoscrizione che comprende le province di Mantova, Lodi, Pavia e Cremona
“Pensiamo di aver scoperto una ‘cartiera’ che, analogamente a quell che realizzano fatture false per le aziende, in questo caso sembra realizzasse falsi elenchi di sottoscrittori per le liste elettorali”, ha spiegato il procuratore di Lodi Vincenzo Russo, secondo quanto riporta il giornale locale “Il Cittadino”. Nell’inchiesta sono emersi anche i nomi della “Lega lombardo-veneta” e del “Movimento Italia Giusta“. 
“La vicenda di Lodi ci vede come parte lesa”, ha dichiarato Storace, candidato presidente di Pdl e La Destra alle regionali del Lazio, “stamane l’avvocato Proietti ha presentato apposita denuncia”. Così il leader di La Destra ha replicato alle richieste di chiarimento arrivate, tra gli altri, dal Pd: “Presenteremo immediatamente un’interrogazione parlamentare al ministro Cancellieri per fare luce sull’intera vicenda”, ha annunciato la capogruppo del Pd nella commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti, capolista in Lazio 2. “Certamente, apprendere questa notizia proprio nel giorno in cui vengono depositate le liste per il Lazio, getta ombra sulla regolarità delle liste che fanno capo a Francesco Storace”.



 

Scandalo Mps, l'allarme del Pd: "C'è chi non vuol farci vincere"

Ora Bersani inizia davvero a temere per il risultato finale. L'attacco concentrico di Monti, di Ingroia, di Grillo e del Pdl, la rapidità con cui è stata decisa l'audizione del ministro Grilli a Camere sciolte, i rumors di altri clamorosi colpi di scena in arrivo, i sospetti su una maxitangente rilanciati dal Giornale e da Mentana, tutto ciò sta rendendo la vicenda del Monte dei Paschi di Siena ad altissimo rischio. "Si respira di nuovo l'aria avvelenata del 2005", sospira un dirigente del Nazareno. Il 2005: l'Opa dell'Unipol di Consorte su Bnl, quando l'allora presidente della Margherita, Arturo Parisi, arrivò a rinfacciare al Pds il ritorno della "questione morale".

Per Bersani il sospetto, confidato ieri a un amico, è che il bersaglio grosso sia proprio il Pd e il risultato elettorale: "Ci sono ambienti di questo paese che stanno facendo di tutto per farci perdere le elezioni". Il rischio c'è e ne sono consapevoli i maggiori esponenti del partito. "Stare sulla difensiva per un mese su questo tema potrebbe portare danni immensi - riflette preoccupato un pd di provenienza democristiana - e l'idea che 150 finanzieri abbiano setacciato per giorni la sede della banca e le abitazioni di Mussari e Vigni (ex presidente ed ex direttore generale di Mps, ndr) non tranquillizza nessuno. Sulla banca si è giocata una faida interna ai Ds". La paura insomma è che la saga Mps-Antonveneta sia soltanto alla prima puntata.

Nel quartier generale del Pd la tensione è alle stelle e ogni dichiarazione viene soppesata con il bilancino. Per questo ha fatto scalpore ieri a Largo del Nazareno l'attacco durissimo sferrato da Mario Monti. Non solo perché arrivato da una persona che formalmente sarebbe ancora il premier sostenuto dal Pd e probabile alleato di governo nel futuro.
Bersani e i suoi hanno infatti letto in quell'affondo di Monti un disegno preciso per affossare il centrosinistra. E si sono attrezzati con le prime contromisure. "Monti - ha sussurrato ieri Bersani a un vecchio "compagno" della Cgil all'Eur - prova a fare il furbo sul Monte dei Paschi ma non mi sembra nella posizione di poter dar lezioni". Nel Pd ora si fa notare la partecipazione di Francesco Gaetano Caltagirone, suocero del leader Udc, al vertice del Monte dei Paschi, di cui è stato fino a un anno fa vicepresidente e secondo azionista. O la candidatura al Senato per Scelta Civica di Alfredo Monaci che, come ricorda Francesco Boccia, "è stato membro del consiglio di amministrazione di Mps dal 2009 al 2012 con Mussari, ex presidente di Biver Banca e tuttora è presidente di MPS immobiliare". Insomma, non proprio un passante rispetto alle vicende che tengono banco.

Ma sono tante le "strane coincidenze" che ai piani alti del Pd fanno pensare a un intervento orchestrato per procurare più danni possibili. Anche l'audizione lampo del ministro dell'Economia Grilli, che parlerà dello scandalo Mps martedì prossimo a Montecitorio, rientra tra queste. Un'audizione concordata dal presidente della Camera con Monti su richiesta di un deputato ex Idv, Francesco Barbato, "che normalmente - dicono al Pd - viene considerato da Fini un cavallo pazzo e tenuto in nessuna considerazione".

Come mai stavolta la domanda di Barbato, uno che ha chiesto l'iscrizione al partito dei Pirati e se l'è vista negare, salvo poi fondare giorni fa un suo movimento personale ("Democrazia liquida"), è stata accolta con tanta solerzia? Questa è una delle domande che si fanno in queste ore al Nazareno. Anche il ruolo di Anna Maria Tarantola, montiana di ferro e nominata dal premier al vertice della Rai, è passato al microscopio visto che era lei il capo della vigilanza della Banca d'Italia all'epoca dei fatti. Quella stessa Bankitalia che fin dalla scorsa primavera aveva aperto il dossier Mps, chiedendo a Rocca Salimbeni la rimozione del direttore Vigni e del presidente Mussari.

Ma al di là dei sospetti per le presunte manovre in corso, quello che conta per il vertice del Pd è togliersi dal mirino nelle ultime settimane prima del voto, smettere di stare sulla difensiva e uscirne con una proposta forte. Bruno Tabacci - che sulla battaglia intorno ad Antonveneta si alzò quasi da solo in Parlamento per denunciarne le storture - avrebbe un consiglio per i suoi nuovi alleati del Pd: "A questo punto ci vuole una soluzione forte, traumatica. Dovrebbero invitare il governo a commissariare la "loro" banca".


 

UN PROGRAMMA PER GOVERNARE L’ITALIA

 

ALTERNATIVO A BERLUSCONI E A MONTI


Vogliamo realizzare una rivoluzione civile per attuare i principi di uguaglianza, libertà e democrazia della Costituzione repubblicana, nata dalla Resistenza.
Vogliamo realizzare un “nuovo corso” delle politiche economiche e sociali, a partire dal mezzogiorno, alternativo tanto all’iniquità e alla corruzione del ventennio berlusconiano, quanto alla distruzione dei diritti sociali, del lavoro e dell’ambiente che ha caratterizzato il governo Monti.

Per l’Europa dei diritti, contro l’Europa delle oligarchie economiche e finanziarie.

Vogliamo un’Europa autonoma dai poteri finanziari e una riforma democratica delle sue istituzioni. Siamo contrari al Fiscal Compact che taglia di 47 miliardi l’anno per i prossimi venti anni la spesa, pesando sui lavoratori e sulle fasce deboli, distruggendo ogni diritto sociale, con la conseguenza di accentuare la crisi economica. Il debito pubblico italiano deve essere affrontato con scelte economiche eque e radicali, finalizzate allo sviluppo, partendo dall’abbattimento dell’alto tasso degli interessi pagati. Accanto al Pil deve nascere un indicatore che misuri il benessere sociale e ambientale;

Per la legalità e una nuova politica antimafia

che abbia come obiettivo ultimo non solo il contenimento ma l’eliminazione della mafia, che va colpita nella sua struttura finanziaria e nelle sue relazioni con gli altri poteri, a partire da quello politico. Il totale contrasto alla criminalità organizzata, alla corruzione, il ripristino del falso in bilancio e l’inserimento dei reati contro l’ambiente nel codice penale sono azioni necessarie per liberare lo sviluppo economico;

Per la laicità e le libertà.

Affermiamo la laicità dello Stato e il diritto all’autodeterminazione della persona. Siamo per una cultura che riconosca le differenze. Aborriamo il femminicidio, contrastiamo ogni forma di sessismo e siamo per la democrazia di genere. Contrastiamo l’omofobia e vogliamo il riconoscimento dei diritti civili, degli individui e delle coppie, a prescindere dal genere. Contrastiamo ogni forma di razzismo e siamo per la cittadinanza di tutti i nati in Italia e per politiche migratorie accoglienti;

Per il lavoro. Non vogliamo più donne e uomini precari.

Siamo per il contratto collettivo nazionale, per il ripristino dell’art. 18 e per una legge sulla rappresentanza e la democrazia nei luoghi di lavoro. Vogliamo creare occupazione attraverso investimenti in ricerca e sviluppo, politiche industriali che innovino l’apparato produttivo e la riconversione ecologica dell’economia. Vogliamo introdurre un reddito minimo per le disoccupate e i disoccupati. Vogliamo che le retribuzioni italiane aumentino a partire dal recupero del fiscal drag e dalla detassazione delle tredicesime. Vogliamo difendere la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro;

Per le piccole e medie imprese, le attività artigianali e agricole.

Deve partire un grande processo di rinascita del Paese, liberando le imprese dal vincolo malavitoso, dalla burocrazia soffocante. Vanno premiate fiscalmente le imprese che investono in ricerca, innovazione e creano occupazione a tempo indeterminato. Vanno valorizzate le eccellenze italiane dall’agricoltura, alla moda, al turismo, alla cultura, alla green economy;

Per l’ambiente.

Va cambiato l’attuale modello di sviluppo, responsabile dei cambiamenti climatici, del consumo senza limiti delle risorse, di povertà, squilibri e guerre. Va fermato il consumo del territorio, tutelando il paesaggio, archiviando progetti come la TAV in Val di Susa e il Ponte sullo Stretto di Messina. Va impedita la privatizzazione dei beni comuni, a partire dall’acqua. Va valorizzata l’agricoltura di qualità, libera da ogm, va tutelata la biodiversità e difesi i diritti degli animali. Vanno creati posti di lavoro attraverso un piano per il risparmio energetico, lo sviluppo delle rinnovabili, la messa in sicurezza del territorio, per una mobilità sostenibile che liberi l’aria delle città dallo smog;

Per l’uguaglianza e i diritti sociali.

Vogliamo eliminare l’IMU sulla prima casa, estenderla agli immobili commerciali della chiesa e delle fondazioni bancarie, istituire una patrimoniale sulle grandi ricchezze. Vogliamo colpire l’evasione e alleggerire la pressione fiscale nei confronti dei redditi medio-bassi. Vogliamo rafforzare il sistema sanitario pubblico e universale ed un piano per la non-autosufficienza. Vogliamo il diritto alla casa e il recupero del patrimonio edilizio esistente. Vogliamo un tetto massimo per le pensioni d’oro e il cumulo pensionistico. Vogliamo abrogare la controriforma pensionistica della Fornero, eliminando le gravi ingiustizie generate, a partire dalla questione degli “esodati”;

Per la conoscenza, la cultura, un’informazione libera.

Affermiamo il valore universale della scuola, dell’università e della ricerca pubbliche. Vogliamo garantire a tutte e tutti l’accesso ai saperi, perché solo così è possibile essere cittadine e cittadini liberi e consapevoli, recuperando il valore dell’art.3 della Costituzione, rendendo centrali formazione e ricerca. Vogliamo portare l’obbligo scolastico a 18 anni. Vanno ritirate le riforme Gelmini e il blocco degli organici imposto dalle ultime leggi finanziarie. E’ necessario accantonare definitivamente qualsiasi progetto di privatizzazione del sistema di istruzione e stabilizzare il personale precario. Vogliamo valorizzare il patrimonio culturale, storico e artistico, come afferma l’art. 9 della Costituzione. Vogliamo una riforma democratica dell’informazione e del sistema radiotelevisivo che ne spezzi la subordinazione al potere economico-finanziario. Vogliamo una legge sul conflitto di interessi e che i partiti escano dal consiglio di amministrazione della Rai. Vogliamo il libero accesso a Internet, gratuito per le giovani generazioni e la banda larga diffusa in tutto il Paese;

Per la pace e il disarmo.

Va ricondotta la funzione dell’esercito alla lettera e allo spirito dell’articolo 11 della Costituzione a partire dal ritiro delle truppe italiane impegnate in missioni di guerra. Va promossa la cooperazione internazionale e l’Europa deve svolgere un’azione di pace e disarmo in particolare nell’area mediterranea. Va abrogata la riforma Monti delle Forze Armate, vanno tagliate le spese militari a partire dall’acquisto dei cacciabombardieri F35 e di tutti i nuovi armamenti.

Per una nuova questione morale ed un’altra politica.

Vogliamo l’incandidabilità dei condannati e di chi è rinviato a giudizio per reati gravi, finanziari e contro la pubblica amministrazione. Vogliamo eliminare i privilegi della politica, la diaria per i parlamentari, porre un tetto rigido ai compensi dei consiglieri regionali e introdurre per legge il limite di due mandati per parlamentari e consiglieri regionali. Vogliamo una nuova stagione di democrazia e partecipazione.


Fiorella Mannoia legge "La mia rivoluzione"



Che cosa evoca oggi la parola rivoluzione? Che cos’è oggi rivoluzionario? Viviamo in una sorta di mondo alla rovescia, dove l’illecito è diventato normale, dove i politici fanno spettacolo e gli attori, i cantanti, i comici, si occupano della politica. Dove viene scambiato il diritto per il favore. Dove la cultura è giudicata superflua e dispendiosa, praticamente inutile. Dove chi dovrebbe dare il buon esempio si vanta delle sue malefatte e giudica stupido chi si ostina a credere nella legalità, e lo discredita, lo calunnia, lo annienta. E la parola rivoluzione assume un significato più profondo, che riguarda anche il comportamento di ognuno di noi. Provo a fare un elenco di quello che per me oggi è rivoluzionario:
Rivoluzionario è il coraggio, rivoluzionaria è la sobrietà, l’educazione, la cultura, l’arte, rivoluzionario è il diritto alla scuola, al lavoro, alla salute, rivoluzionario è l’accesso alla conoscenza, rivoluzionario è il rifiuto della volgarità, anche quella dilagante dell’ostentazione del lusso, rivoluzionario è il rifiuto della violenza, anche quella verbale, rivoluzionario è dire a chi cerca di corromperti: “No, grazie”. Rivoluzionario è insegnare ai propri figli il rispetto di tutte le diversità, l’accoglienza, la compassione, la fratellanza, la capacità e la volontà di provare a condividere il dolore degli altri, rivoluzionario è combattere il pregiudizio, rivoluzionaria è la ricerca della bellezza, rivoluzionario è spegnere la televisione e dedicarsi ai propri cari, coltivare delle passioni, continuare a giocare, rivoluzionario è il sorriso, la gentilezza, l’umiltà, il saper ridere anche di noi stessi e delle nostre miserie, rivoluzionaria è la semplicità, il godere di un buon cibo, di un buon vino, rivoluzionario è divertirsi ballando fino alle quattro del mattino senza bisogno di additivi chimici, rivoluzionario è guardarsi allo specchio senza vergognarsi di ciò che vediamo riflesso, rivoluzionario è non sentirsi al centro dell’universo e guardare altro oltre noi stessi, rivoluzionario è fare bene il proprio lavoro qualsiasi esso sia, rivoluzionaria è l’onestà, anche e soprattutto quella intellettuale, rivoluzionaria è l’etica, rivoluzionario è il coraggio delle proprie idee, rivoluzionario è chiedersi sempre che cosa si nasconda dietro le notizie dell’informazione ufficiale, non smettere mai di cercare, ragionare con la propria testa e porsi sempre delle domande, rivoluzionario è l’approfondimento contro la superficialità, rivoluzionario è il giornalismo della “seconda domanda”, rivoluzionario è non piegare la testa di fronte ai potenti, chiunque essi siano. Rivoluzionario è schierarsi sempre dalla parte degli ultimi, chiunque essi siano.
Rivoluzionaria è la curiosità, la libertà di pensiero, rivoluzionaria è la coerenza, la gratitudine, la capacità di chiedere scusa, rivoluzionaria è la dignità, il rispetto, il perdono, rivoluzionaria è l’indignazione per l’ingiustizia ovunque si verifichi e avere il coraggio di gridarla, rivoluzionario è combattere l’avidità che è il più pericoloso dei mali, rivoluzionario è dare un senso alla propria vita rivendicando il diritto alla felicità ma avendo la consapevolezza che questo non passa solo attraverso il denaro. Rivoluzionario è fare ognuno il proprio dovere di cittadino ricercando sempre laverità, che è la più grande delle rivoluzioni.

Fiorella MannoiaTratto da Il Fatto Quotidiano


venerdì 25 gennaio 2013

Monti Bilderberg sparisce dal web

Monti insieme a Bilderberg, su Wikipedia non si trova più. Qualcuno ha rimosso la voce durante le feste.
In un articolo firmato da Stefano Filippi su Il Giornale, si legge infatti che, su Wikipedia, è stato depennato il collegamento e l'adesione del professore al club Bildeberg e alla "Trilaterale", così come l'accenno alla sua iscrizione allo "steering committee" del Gruppo Bilderberg, o alla presidenza onoraria del think tank del club Bruegel di Bruxelles. "Ogni volta che qualche utente tenta di infilare queste voci nel profilo di Monti - si legge ancora nell'articolo - subisce una censura. I moderatori sono intervenuti e hanno ripristinato la voce precedente, mondata da ogni riferimento che associasse il limpido curriculum montiano a lobby influenti, reti di potere esclusive, élite più o meno segrete capaci di orientare le politiche delle organizzazioni internazionali come dei singoli governi". "La storia della censura wikipedica è raccontata nei dettagli sulla pagina principale di Buio.org, un sito «multiautore» di estrema sinistra. Si può ricostruire la discussione sulla voce relativa alla Commissione Trilaterale con le numerose purghe operate dai «liberi censori», la relativa cronologia, e la stessa operazione è possibile ripetere per le voci sul Bilderberg e il Bruegel. Vengono riportati anche i «nickname» degli amministratori di Wikipedia che sono intervenuti a ghigliottinare le informazioni sgradite. Sembra siano «tra i più attivi e "autorevoli"» dell'edizione italiana dell'enciclopedia web. C'è un occhio di riguardo, dunque, su Mario Monti. Se sul Professore circola qualche informazione che potrebbe metterlo in cattiva luce, scatta immediatamente il tentativo di censurare o sminuire. Soltanto in questi ultimi giorni è successo altre due volte. La prima è stata venerdì, quando il quotidiano online Formiche.net (il cui fondatore, Paolo Messa, è nello staff del ministro Clini dopo essere stato capo ufficio stampa dell'Udc, fonte Wikipedia) ha rivelato il luogo in cui si stava svolgendo la riunione segreta tra Monti e i centristi: un convento di suore sul Gianicolo legate alla Comunità di Sant'Egidio. Immediata pioggia di false smentite. Ieri, altra sequela di precisazioni e distinguo verso il Sole24Ore che ha fatto i conti in tasca al governo scoprendo che i tecnoministri hanno realizzato soltanto il 25 per cento del programma". Le forbici della wiki censura pro Monti hanno operato persino nella santa notte di Natale. Alle 22.28 del 24 dicembre si potevano leggere i dati non lusinghieri dell'economia italiana durante l'anno del governo tecnico: disoccupazione, Pil, debito. L'indomani, alle 10.18, qualcuno aveva già spazzato via tutto. Le due versioni sono a disposizione a questo indirizzo



MPS, BANKITALIA E CONSOB SAPEVANO

L'ultimo che può parlare sul fenomeno della commistione tra banca e politica e del fenomeno storico banche-politica, è il presidente del Consiglio Mario Monti, strapagato consulente di Goldman Sachs, una delle banche di affari maggiormente responsabile della crisi sistemica e massima esperta in prodotti derivati e nella creazione del denaro dal nulla.
Uno dei pochi soggetti titolati a parlare di derivati e di commistione banche -affari-autorità di controllo, quali principalmente Bankitalia e Consob sempre a braccetto coi vigilati, è l'Adusbef, che è bene ricordarlo oggi, nel momento in cui tutti fanno finta di aver preso le distanze dai 700.000 mld di derivati tossici che hanno infestato l'economia, creato un buco nero nei bilanci degli enti locali, costretto fior di aziende, ricattate dalle banche ed obbligate a sottoscriverli, come la Divania di Bari da parte di Unicredit al fallimento, con una mina da 218 miliardi di euro, subì un processo ed una sanzione da 100.000 euro dalla Consob per averne denunciato rischi e pericolosità.
Ed è proprio Unicredit, la banca che fu amministrata da Alessandro Profumo, cacciato a suo tempo dai soci e prontamente ricollocato al Monte dei Paschi di Siena, guida la classifica delle banche maggiormente esposte coi derivati per un valore di 118 miliardi di euro, seguita a distanza dal Monte dei Paschi, con una esposizione di 18,3 miliardi.
Invece di approntare difese d'ufficio interessate sulla Banca d'Italia, che non ha vigilato secondo le carte ed i documenti ispettivi, che già sono al vaglio delle Procure della Repubblica per lo scandalo dei derivati tossici del Monte dei Paschi di Siena, sia il Presidente Monti che altre altissime istituzioni, farebbero bene a leggere i documenti che provano l'omessa vigilanza di Consob e di Lamberto Cardia, occupato a garantire dorate consulenze al figlio (sui bilanci del MPS palesemente falsi) e di Bankitalia, i cui massimi responsabili sono Mario Draghi, Anna Maria Tarantola, Fabrizio Saccomanni.
Leggendo infatti gli atti ispettivi sul MPS del maggio-agosto 2010- pubblicati oggi anche da organi di stampa- la cui relazione della Vigilanza di Bankitalia allora diretta dalla signora Anna Maria Tarantola, è firmata da Vincenzo Cantarella, Biagio De Varti, Giordano Di Veglia, Angelo Rivieccio, Federico Pierobon, Omar Qaram, emergono risultanze parzialmente sfavorevoli, sia sulla regolamentazione delle operazioni finanziarie, che sulla mancanza di competenza nella capacità di gestire i rischi assunti, con il Risk managment che non riscontra le valorizzazioni dei fondi hedge e di private equity, né le posizioni detenute da numerose controllate estere.
Erano proprio le controllate estere a fare le famose operazioni Alexandria e Santorini, di cui oggi Bankitalia dice di non sapere nulla, nonostante sulla relazione ispettiva scriveva: "Alcuni investimenti a lungo termine presentano profili di rischio non adeguatamente controllati né riferiti dall'esecutivo all'organo amministrativo. In particolare si sono determinati consistenti assorbimenti di liquidità (oltre 1,8 miliardi) riferiti a due operazioni, del complessivo importo nominale di 5 miliardi di euro, stipulate con Nomura e Deutsche Bank Londra". Bankitalia sapeva di queste operazioni rischiose e di Cdo tossici, Consob sapeva perché erano iscritte a bilancio, tutti sapevano e non hanno mosso un dito per garantire piccoli azionisti e lavoratori dal crack MPS.
Adusbef, che dopo aver denunciato i derivati tossici alle Procure della Repubblica, subì la rappresaglia di un processo, una sanzione amministrativa poi cancellata in Appello, ed il discredito sui mass media ordita dalla Consob di Cardia, che invece di indagare sui derivati tossici, indagò sui denuncianti, è certa che la verità processuale penale sull'omessa vigilanza e le gravissime responsabilità di Consob e Bankitalia, saranno accertate e doverosamente sanzionate.



lunedì 21 gennaio 2013

Oblio digitale, il trattamento dei dati personali dopo la morte di una persona

Password, post su blog e social network, immagini e frammenti di vita privata: cosa ne è di tutti i dati personali sparsi nella Rete dopo la morte di una persona?

  La morte può assumere tante facce. E soprattutto, la fine della nostra vita può essere improvvisa. È una delle poche cose che ancora non possiamo controllare. Per questo, quando un nostro caro muore improvvisamente, potremmo trovarci a fare i conti con delle impellenze che non avevamo messo in conto. Una di queste, tra le più arzigogolate e in un certo fastidiose, è quella relativa al trattamento dei dati personali. La legislazione di questi casi è affidata al Decreto Legge 196 del 2003, ovvero il “Codice in materia di protezione dei dati personali”. L’articolo 9, comma terzo, regola l’accesso ai dati personali da parte di “chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell'interessato o per ragioni familiari meritevoli di protezione”. In ambito europeo, un ruolo molto importante è stato svolto dall’ENISA (Agenzia Europea per la Sicurezza delle Reti e dell’Informazione), che nel corso della sua attività ultradecennale ha sempre promosso la difesa e la sicurezza dei dati sensibili.
Ed è sempre il decreto legge 193/03 (e sempre l’articolo 9) a regolare l’accesso anche a quelli che potremmo definire i nostri dati personali virtuali. Con la crescente diffusione di social network e servizi di posta elettronica, il Web viene riempito dai dati sensibili di miliardi di persone (basti pensare, ad esempio, che il solo Facebook ha oltre un miliardo di utenti). Tra questi, troviamo sicuramente quelli degli oltre 40 milioni di italiani che, mensilmente, accendono alla Rete. Cosa succede a questi dati, se l’utente dovesse morire? Come si comportano i vari Facebook, Twitter, Google, Yahoo e Myspace (solo per citarne alcuni) dopo che un loro utente è morto? I comportamenti sono bene o male molto simili, dato che la legislazione, sia nazionale che internazionale, ha favorito una sorta di standardizzazione del diritto. Vediamoli più o meno nello specifico.
Google, ad esempio, garantisce in casi eccezionali l’accesso ai servizi legati all’account della persona deceduta. Ciò che i suoi cari dovranno fare è inviare una richiesta formale agli uffici californiani di BigG nella quale si esplicita il nome e cognome del richiedente, l’indirizzo postale e l’email, l’account a cui si è interessati e il certificato di morte del defunto tradotto in inglese. Per informazioni più dettagliate, basta visitare questa pagina. I portavoce della società di Mountain View, comunque, hanno specificato che tutti i contenuti legati all’utente deceduto rimarranno online. Dovranno essere i cari, una volta entrati in possesso dell’account, a cancellarlo se lo riterranno opportuno.
Una procedura simile è utilizzata da Microsoft con account di Hotmail, Outlook e Live. Nel caso che un familiare o una persona a noi cara muoia, bisognerà avviare una procedura tramite l’indirizzo di posta elettronica msrecord@microsoft.com. Una volta avvenuto il contatto vi verrà richiesto di inviare una documentazione simile a quella richiesta da Google e, a quel punto, potrete entrare in possesso dei contenuti digitali dell’account – mail, allegati e file – ma non del nome utente e della password. Maggiori informazioni potrete reperirle a questo indirizzo.
Rimanendo in ambito di servizi di posta elettronica, con Yahoo le cose cambiano leggermente. Yahoo lega a doppio filo l’esistenza del tuo profilo personale alla tua stessa vita. Nel caso in cui qualcuno faccia richiesta dei dati d’accesso all’account di un utente deceduto, Yahoo negherà l’accesso all’account appellandosi alla clausola No Right of Survivorship and Non-Transferability delle Condizioni Generali per l’Utilizzo del Servizio nella versione in inglese. I dati saranno quindi inaccessibili, ma resteranno comunque online fino a quando un familiare non invierà una copia del certificato di morte richiedendo, di fatto, la cancellazione dell’account e di tutti i dati a esso collegati.
Passando ai social network, il comportamento di Facebook  e Twitter è leggermente differente.
Per Facebook sarà necessario compilare un apposito form per richiedere la cancellazione o la trasformazione dell’account del defunto in un account commemorativo. Nel primo caso, naturalmente, tutti i dati verranno cancellati e la richiesta dovrà essere fatta da un familiare; nel secondo, invece, il profilo resterà per sempre uguale al momento dell’ultimo aggiornamento effettuato e gli amici potranno continuare ad accedervi e scrivervi (tutte gli altri iscritti al social network di Menlo Park, invece, non potranno avere accesso alla Time Line), in questo caso la richiesta può essere fatta anche da un amico.
L’account di Twitter, invece, potrà essere solamente cancellato dietro richiesta di un congiunto del morto. In questo caso non sarà sufficiente compilare un form online, ma si dovrà seguire una procedura simile a quella richiesta da Google e Microsoft per i loro servizi web. Una volta che la pratica è stata accettata, i tweet e le interazioni del defunto potranno essere scaricati su un computer locale.
Wikipedia regola il trattamento dei dati sensibili di un proprio utente secondo queste linee guida. Per l’utente deceduto verrà creata una pagina commemorativa, mentre l’account verrà bloccato così da non subire insulti post-mortem.
Se si vuole “tramandare” ai nostri eredi anche la nostra vita digitale allora sarà necessario esplicitarlo nel testamento, se fatto. Se inseriremo il nostro “patrimonio digitale” tra quelli a disposizione dell’esecutore testamentario o dei nostri familiari, anche tutti i nostri dati personali presenti sulla Rete dovrebbero essere loro accessibili. È questa la direzione che la legislazione internazionale sta prendendo: il Governo degli Stati Uniti d’America consiglia a tutti i possessori di web account o di account sui social network di lasciare per iscritto le proprie Social Media Will, specificando come devono essere trattati i vari account, se garantire l’accesso e a chi garantirlo e così via. Eh sì, anche la morte deve essere al passo con i tempi…

22 gennaio 2013 Copyright © CULTUR-E


 

sabato 19 gennaio 2013

L'Occidente fomenta il terrorismo

Da una settimana caccia francesi, sostenuti sul piano logistico dalla Gran Bretagna e, più discretamente, dagli Stati Uniti (informazioni via satellite), stanno bombardando le truppe degli islamici integralisti e dei Tuareg che, dopo aver preso il potere, con l'appoggio della maggioranza della popolazione, (all'80 per cento musulmana) nel Mali del Nord, facendone uno stato secessionista con Gao come capitale, puntano ora verso sud per unificare l'intero Paese e imporre la sharia.
Il presidente francese, il socialista Hollande e il suo ministro degli Esteri Fabius giustificano l'intervento come « lotta al terrorismo  che non interessa solo la Francia ma l'intera Europa ». E Bernard-Henry Levy, dopo aver parlato, a proposito delle truppe islamiche, di 'esercito del terrore', scrive che l'intervento militare francese « Conferma sul piano dei principi il dovere di protezione già stabilito dall'intervento in Libia: una volta, crea un precedente, due volte fa giurisprudenza... per chi pensa che la democrazia non abbia più frontiere é un passo avanti.... Riafferma l'antica teoria della guerra giusta di Grozio e San Tommaso.... Ripete infine il ruolo eminente della Francia, in prima linea nella lotta per la democrazia». Contro questo unanismo 'patriottico' delle élites francesi (che Céline, nel suo 'Viaggio al termine della notte', riferito alla prima guerra mondiale, sferzo' ferocemente bollandolo per quello che era: un modo per mandare allegramente al macello i giovani francesi in nome di un'astrazione che soddisfaceva i concretissimi interessi della borghesia delle retrovie) si é levata solo la voce di Dominique de Villepin, l'ex ministro degli Esteri transalpino, già noto per il celebre discorso all'Onu contro Colin Powell e la guerra all'Iraq. Villepin ha denunciato «una missione dagli obbiettivi poco chiari, l'unanismo dei favorevoli alla guerra  il 'déjà vu' degli argomenti contro il terrorismo».
Villepin ha ragione. Qui il terrorismo, almeno, per il momento, non c'entra nulla. Come si possono considerare 'terroristi' milioni di islamici, sia pur integralisti, e un'intera etnia come quella dei Tuareg? Sono dei ribelli che considerano il governo centrale di Bamako troppo prono ai voleri dell'Occidente e ai suoi stili di vita e che vogliono invece conservare i propri. Si tratta di una classica guerra civile fra fazioni di uno stesso Paese che hanno concezioni diverse dell'esistenza. Che diritto ha l'Occidente (parlo di diritti, di principi quelli richiamati da Bernard-Henry Levy non di interessi) di ingerirsi, con la violenza, con i bombardamenti, con i Mirage che partono da migliaia di chilometri di distanza, nelle vicende interne di un Paese che gli é lontanissimo geograficamente e culturalmente? Nessuno, con buona pace di Grozio, di San Tommaso, di Hollande e di Bernard-Henry Levy. Il fatto é che l'Occidente totalizzante vuole omologare a sè tutte le realtà che non le sono omologhe o i Paesi che non si mettono al suo servizio (se lo fanno possono applicare la sharia, come in Arabia Saudita, nel più feroce dei modi, non olet, altro che i sacri principi).
Col pretesto di combattere il terrorismo noi lo stiamo fomentando. Nella guerra 'asimmetrica' dove l'Occidente usa mezzi tecnologici sofisticatissimi, irraggiungibili, imbattibili e chi non ci sta ha a disposizione solo pick-up, mitragliatrici, granate e i propri corpi, a costoro resta solo il terrorismo . Ed é quanto, prima o poi, avverrà e anzi, sia pur non in Mali, sta avvenendo (vedi l'attentato in Algeria). Un preannuncio ci viene proprio dal Mali «Voi ci avete attaccato, senza ragione, sul nostro territorio - hanno detto i ribelli del Mali - e allora noi abbiamo il diritto di attaccarvi sul vostro, in Francia, in Europa, ovunque ». Se dopo l'Afghanistan, l'Iraq, Somalia, la Libia, il Mali la protervia occidentale continuerà su questo passo non potremo meravigliarci se anche nella tranquilla e, tutto sommato, ancora ben pasciuta Europa, comincieranno a saltare in aria i grandi magazzini.



mercoledì 16 gennaio 2013

Impresentabili, ora e sempre Desistenza

Il Pd gradirebbe che Rivoluzione Civile di Ingroia, Di Pietro & C. ritirasse i suoi candidati in Lombardia, in Campania e in Sicilia, cioè nelle tre regioni decisive per assicurare al primo classificato la maggioranza non solo alla Camera, ma anche al Senato. Sulla carta, l’auspicio per un patto di desistenza è perfettamente comprensibile e persino legittimo. Nella realtà dei fatti accaduti in questo inizio di campagna elettorale, un po’ meno. Vediamo perché.Al momento della sua entrata in politica, Ingroia si appellò alle forze ritenute più vicine, cioè al Pd e a Grillo, per dialogare sui programmi ed eventuali alleanze. Grillo rispose che non era interessato, ma rispose: stima per la persona di Ingroia, ma non per il suo ruolo di “foglia di fico” dei vecchi partiti che aderiscono alla sua lista. Bersani nemmeno gli rispose al telefono, anzi sguinzagliò i giannizzeri ad attaccare Ingroia come portatore di un non meglio precisato “giustizialismo” e di una fantomatica “guerra al Quirinale” (che, come i nostri lettori ben sanno, non è mai esistita). Pensavano, gli strateghi di via del Nazareno, che Rivoluzione Civile fosse un pelo superfluo da ignorare o almeno snobbare. Naturalmente non è così: vedi i sondaggi, che danno il movimento sopra il 5 per cento, quanto basta già ora per superare il quorum d’accesso alla Camera. E per ridicolizzare il famoso Casini, noto frequentatore di se stesso e di parenti stretti, per anni inseguito dai geni pidini che l’avevano scambiato per un trascinatore di folle oceaniche.
Ora, Rivoluzione Civile ha al primo punto la questione morale e al secondo quella sociale, come dimostrano alcuni suoi candidati-simbolo. E anche il Pd, almeno a parole. Nei fatti, però, dietro alla foglia di fico di alcuni sindacalisti, schiera l’ex dg di Confindustria, Galli, e il professor Dell’Aringa, che considerano la Fornero una blanda mammoletta. E, dietro alla foglia di fico dell’ex procuratore nazionale antimafia Grasso, candida condannati, imputati, indagati, portatori di conflitti d’interessi e amici degli amici. Soprattutto in Campania e in Sicilia, cioè in due delle tre regioni dove Ingroia dovrebbe accettare la desistenza. Che cos’è, uno scherzo?
Domani (oggi, ndr), finalmente ma con comodo, dovrebbero riunirsi i garanti, la celebre Commissione di Garanzia, presieduta da Luigi Berlinguer, che da un mese sfugge alle domande del nostro giornale sugli impresentabili che il suo illustre sinedrio dovrebbe cancellare dalle liste a norma di Codice etico. Prima che ne escano con la solita furbata da magliari, è bene sapere che non sono chiamati a giudicare reati (semmai a prendere atto dei reati già accertati dalla magistratura ), ma comportamenti. Quale credibilità può avere il Pd sulla lotta alla corruzione se candida Antonio Luongo, rinviato a giudizio per corruzione? E sulla lotta ai reati finanziari, se candida Nicodemo Oliverio, imputato per bancarotta fraudolenta? E sulla trasparenza amministrativa, se candida Antonio Papania, che ha patteggiato una condanna per abuso d’ufficio, e Andrea Rigoni, condannato e poi prescritto per i lavori fuorilegge in casa sua, e Nicola Caputo, indagato per truffa e peculato nell’inchiesta napoletana sui rimborsi d’oro? E che senso ha proibire nel Codice etico la “gestione clientelare del potere”, le logiche di “scambio”, i “conflitti d’interessi” e gli “incarichi a familiari”, e poi candidare il re del clientelismo e delle amicizie mafiose di Enna, Vladimiro Crisafulli (per giunta indagato per abuso), e il principe della parentopoli e dei conflitti d’interessi a Messina, Francantonio Genovese?
Con che faccia si chiede a Ingroia di farsi gentilmente da parte e di ritirare i suoi candidati puliti per far eleggere questi gigli di campo? Poi, naturalmente, tutti contro Santoro perché resuscita Berlusconi. Lui.

Marco Travaglio (Il Fatto Quotidiano, 15 gennaio 2013)

martedì 15 gennaio 2013

Almeno allo stadio lasciateci fischiare

Dopo i cori razzisti contro Boateng nell'amichevole Pro Patria – Milan, la FIGC e il Viminale hanno deciso di varare la 'linea dura'. Lo stesso giocatore preso di mira dai cori razzisti potrà rivolgersi all'arbitro che, in accordo col responsabile dell'ordine pubblico, potrà decidere per la sospensione temporanea ma anche definitiva della partita.
Va da sé che il razzismo allo stadio é incivile, cretino e anche un po' ridicolo (spesso i tifosi che contestano il 'negher' dell'altra squadra hanno tre o quattro giocatori di colore nella propria, il che, per la verità, attenua la gravità del fenomeno e fa dubitare che si tratti di razzismo vero e proprio). Tuttavia non sono d'accordo con la 'linea dura'. Lo stadio di calcio non é solo un luogo di sport e di spettacolo, oggi anche, e forse soprattutto, di un business che sta svuotando questo gioco dei suoi contenuti mitici, rituali, simbolici, identitari che ne hanno fatto la fortuna per più di un secolo.E' un'arena. Dove parte degli spettatori – non necessariamente solo i giovani – va per sfogare i propri istinti e quell'aggressività che una società moderna, civile, illuminista comprime in tutti i modi. Ma un 'quantum' di aggressività é necessaria all'essere umano perché fa parte della vitalità (quella vitalità che noi italiani abbiamo perduto e che ci fa cosi' tremebondi davanti agli immigrati balcanici o magrebini che invece l'hanno conservata). L'aggressività non puo' quindi essere completamente eliminata da una società, perché é vitale e perché, se troppo compressa, finisce poi per esplodere, all'improvviso, nelle forme più violente e pericolose, come il coperchio di una pentola tenuta troppo a lungo sotto pressione. Le società preilluministe lo sapevano benissimo e si sono ingegnate a creare istituti in cui canalizzare l'aggressività, senza annullarla, ma tenendola sotto controllo ed entro limiti accettabili. La festa orgiastica, la guerra 'ritualizzata', (diembi) dei neri africani, ma anche il carnevale europeo durante il quale ci si poteva permettere cose proibite durante il resto dell'anno, hanno questo significato. Non é un caso che nell'antica Grecia il 'capro espiatorio' fosse chiamato 'pharmako's', medicina. Si scaricava su di lui l'aggressività collettiva che, altrimenti, agendo all'interno della comunità l'avrebbe distrutta.
Naturalmente noi moderni non possiamo più avvalerci di questi antichi espedienti. Ci manca anche la guerra, per noi la fanno le macchine. Ci rimane solo lo stadio. Ecco perché credo che allo stadio la violenza, finché rimane verbale, vada tollerata. Altrimenti a furia di imporre la tolleranza a tutti i costi, il 'politicaly correct' , le buone maniere si finisce nei delitti delle ' villette a schiera', come li ha chiamati Ceronetti, dove tutto é lindo e pulito, corretto, ma un mattino uno si alza e sbudella una mezza dozzina di vicini.
Infine, i Paesi occidentali, con l'intrusione violenta del loro modello, hanno distrutto l'economia, la socialità, l'equilibrio delle popolazioni dell'Africa nera e le hanno ridotte alla fame. Ma di questo le 'anime belle' non si curano. Per loro l'Intollerabile é dare del 'negher' a un nero. Schifosi ipocriti.


lunedì 14 gennaio 2013

Il ‘complotto’ Stato-mafia tra spie e politica

Il 26 giugno scorso subivo uno strano furto nella mia camera di hotel. A 50 metri dalla Camera dei Deputati, a Piazza Montecitorio, quella sera presidiatissima dalle forze dell’ordine perché era in corso il voto di fiducia sulla riforma Fornero, qualcuno si introduceva nella mia camera e portava via computer, ipad e chiavetta usb.
Un episodio inquietante, che ti lascia un fastidioso e sgradevole pensiero difficile da scacciare; una vicenda di grave violenza anche psicologica, e tanto strana quanto singolare nelle sue implicazioni eppure al tempo stesso di estrema chiarezza se collocata in un contesto. Quale contesto? Il ‘complotto‘ della trattativa Stato-mafia e lo sconcertante spionaggio illegale a cui sono stati, e probabilmente continuano ad essere, sottoposti i pm di Palermo. Hanno assai probabilmente ragione Attilio Bolzoni e Salvo Palazzolo a scrivere su La Repubblica di ieri che qualcuno cercasse dati scottanti nei miei strumenti di lavoro.
E perché? Soltanto perché un’ora prima ero stato a discutere con Antonio Ingroia? Chi e perché mi hanno seguito? Perché mi hanno sottratto computer e ipad? Forse hanno pensato, costoro, che Ingroia mi avesse ‘passato’ informazioni riservate? Ma davvero può pensarsi che una persona integerrima come Antonio Ingroia avesse potuto ‘passare’ informazioni coperte da segreto o riservatezza a un cittadino, violando la legge? E, secondo alcuni, quale uso avrei potuto farne? Ma soprattutto perché tanta paura? Cosa si teme possa essere divulgato?
Ingroia e i pm della sua squadra continuano a seminare un terrore infinito nell’Italia della non verità, delle stragi impunite e dei depistaggi. Sono del tutto convinto, come la stragrande maggioranza degli italiani, della bontà dell’inchiesta della procura di Palermo: un’inchiesta gigantesca senza precedenti nella storia delle democrazie occidentali su fatti enormi e gravissimi che hanno terribilmente ipotecato gli ultimi vent’anni della vita politica e democratica del paese.
Io sto con Antonio Ingroia! Per il coraggio con cui ha condotto l’inchiesta sul più fetido grumo nero dei rapporti tra politica, istituzioni e mafia, per la determinazione con cui ha tenuto la schiena dritta e non si è piegato neppure dinanzi alle più irresistibili pressioni istituzionali. L’Italia democratica ne è grata e mi auguro che il prossimo Parlamento possa varare una commissione d’inchiesta. Insomma, è tempo di Rivoluzione…civile…
Post scriptum. Sagaci signori dei servizi, restituitemi almeno quei file che contengono il frutto di mesi di studio e di ricerche: magari vi saranno sembrate cose strane, astruse. Ebbene, non si tratta di informazioni da decrittare. Non ci sono dati sensibili, o che so che altro! Si tratta, più banalmente, di appunti, note, ricerche di Diritto romano e di Epigrafia e Papirologia giuridica… Credetemi, non ci capireste un granché, anche perché bisognerebbe studiare, e voi non ne avete il tempo, visto le incombenze illegali a cui vi dedicate con gran dedizione. Per favore restituitemi almeno quelli!

 

Memoria a sostegno della richiesta di rinvio a giudizio



Proc. Nr. 11719/12 R.G.N.R.DDA
PROCURA DELLA REPUBBLICA presso il Tribunale di Palermo

                    Al Signor Giudice della Udienza Preliminare
                    Dott. Piergiorgio MOROSINI

Oggetto: Memoria a sostegno della richiesta di rinvio a giudizio

Il presente procedimento, giunto ora all'udienza preliminare, costituisce la summa di una lunga, complessa e laboriosa indagine, che comprende la lettura sintetica ed organica di una gran mole di atti processuali di fonte eterogenea (dichiarazioni di collaboratori di giustizia e testimoni, documenti, intercettazioni, telefoniche ed ambientali, sentenze di varie AA.GG.), tutti inerenti la vicenda della c.d. “scellerata trattativa”, sviluppatasi a cavallo delle stragi del '92-'93 fra i massimi esponenti di Cosa Nostra ed alcuni rappresentanti dello Stato.
Quest'Ufficio non esita ad evidenziare l'importanza della ricostruzione probatoria contenuta in questo procedimento, che rappresenta l'esito di un faticoso ed ambizioso sforzo investigativo, frutto dell'impegno di tanti magistrati che si sono avvicendati negli anni, in ruoli e con funzioni diverse, e del quotidiano impegno di pochi e valorosi investigatori di varie Forze di Polizia, soprattutto della D.I.A., che ha così onorato, lavorando in condizioni davvero difficili, l'investimento che su questo organismo investigativo fecero uomini come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Straordinari risultati investigativi sono stati acquisiti anche grazie alla passione per la verità e la giustizia ed al rigore etico-morale e professionale di magistrati di altre Procure – fra tutti Gabriele Chelazzi – che tanto si sono impegnati per accertare la verità sulla stagione delle stragi e della trattativa, nonostante i tanti, troppi, depistaggi e reticenze, spesso di fonte istituzionale.
Proprio per questo articolato impegno investigativo, frutto di anni di indagini, l'approccio di questo Ufficio con il materiale probatorio non è stato certamente pressapochista, né superficiale (come spesso si è inopinatamente affermato, senza rispetto delle energie generosamente profuse da tanti uomini dello Stato), bensì estremamente rigoroso nella valutazione delle prove, come dimostrano anche le ripetute archiviazioni richieste – nel corso degli anni – allorquando, a differenza di oggi, gli elementi di prova erano apparsi inadeguati a sostenere proficuamente l’accusa in giudizio.
Invero, si tratta del primo procedimento penale incentrato sulla c.d. "trattativa Stato-mafia", che ha fatto emergere ipotesi di reato a carico di importanti uomini politici e di alcuni dei vertici nazionali dei più qualificati apparati investigativi del Paese. Né può trascurarsi che, nella storia delle indagini antimafia degli ultimi anni, questa è di certo una delle più "sentite", perché ha costituito il momento più alto del contributo che la Procura di Palermo ha offerto alla ricerca della verità sulla stagione in cui hanno perso la vita due uomini-simbolo come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, indimenticati maestri e componenti, in anni diversi, di questa Procura della Repubblica.
Secondo la ricostruzione emersa dalle risultanze finora acquisite, la trattativa, dal lato di Cosa Nostra, venne originariamente gestita direttamente dall'odierno imputato Salvatore RIINA, all'epoca capo assoluto del sodalizio mafioso, mentre, da parte dello Stato, venne condotta da alcuni alti ufficiali dei Carabinieri ovvero il Comandante del ROS Gen. Antonio SUBRANNI, il suo Vice Col. Mario MORI e il Cap. Giuseppe DE DONNO, a loro volta investiti dal livello politico (ed in particolare dal sen. Calogero MANNINO, all'epoca Ministro in carica ed esponente politico siciliano di grande spicco), che contattarono Vito CIANCIMINO – a sua volta in rapporti con Salvatore RIINA per il tramite di Antonino CINA’ – nel 1992, nel pieno dispiegarsi della strategia stragista.
In quello stesso periodo, il medesimo col. MORI venne in contatto – attraverso l'intermediazione del M.llo Roberto TEMPESTA e di Paolo BELLINI – con i capi di Cosa Nostra lungo il parallelo asse costituito da Antonino GIOE’ e Giovanni BRUSCA.
E' stata l’analisi complessiva di tali atti che ha determinato la doverosa instaurazione del procedimento in oggetto, anche sulla base delle risultanze dei processi davanti alle Corti d’Assise di Caltanissetta e Firenze relativi alle stragi del ’92 e del ’93, di cui sono state acquisite le relative sentenze. Rilevano, a titolo emblematico, le affermazioni contenute nella motivazione della sentenza depositata il 2 marzo 2012 con la quale la Corte d’Assise di Firenze ha condannato Francesco TAGLIAVIA per concorso nelle stragi del ’93, ove in premessa si legge che "una trattativa indubbiamente ci fu e venne, quantomeno inizialmente, impostata su un do ut des. L'iniziativa fu assunta da rappresentanti delle istituzioni e non dagli uomini di mafia".
Va altresì evidenziato che l'odierno procedimento è frutto dello stralcio dal procedimento penale n. 2566/98 RGNR (c.d. procedimento Sistemi Criminali): era già allora centrale la vicenda delle interlocuzioni instauratesi fra l'ex Sindaco di Palermo Vito CIANCIMINO e gli ufficiali del ROS. Anche dalle dichiarazioni rese dagli stessi interlocutori (Vito Ciancimino, da una parte, il Col. MORI e il Cap. DE DONNO, dall’altra) si evinceva che le “ambasciate” che RIINA faceva pervenire allo Stato si risolvevano nella minaccia di proseguire nella strategia stragista qualora non fossero state accolte alcune richieste di benefici in favore di “Cosa Nostra”.
Come è noto, è proprio in tale contesto che si inserisce la vicenda del c.d. “papello” delle richieste che, secondo dichiarazioni di più collaboratori, Cosa Nostra fece recapitare ai suoi “interlocutori” istituzionali per ottenere, in tal modo, i benefici in cambio dei quali avrebbe posto fine alla strategia omicidiaria avviata nel 1992 (circostanze queste di cui collaboratori di giustizia del calibro di Giovanni BRUSCA e Salvatore CANCEMI – già appartenuti alla Commissione provinciale di Palermo di Cosa Nostra – hanno dichiarato di avere avuto notizia personalmente da Salvatore RIINA).
Ed è, pertanto, proprio in tale ambito di verifica e approfondimento che è stato attenzionato anche il diverso aspetto concernente la c.d. “altra trattativa” del 1992, apparentemente autonoma e distinta dalla prima, ma che con essa si intreccia ed in parte si sovrappone per scansione temporale, oggetto, finalità e soggetti coinvolti (così come prospettato – in particolare – nelle dichiarazioni di Giovanni BRUSCA): e cioè, la vicenda del diverso canale di dialogo avviato lungo l‘asse GIOÈ –BELLINI –TEMPESTA – MORI, nell’ambito del quale Cosa Nostra offrì la restituzione di pregiatissime opere d'arte rubate, richiedendo come contropartita la concessione degli arresti domiciliari ad alcuni esponenti di vertice dell’organizzazione, tra i quali Bernardo BRUSCA e Pippo CALO'.
Gli sviluppi investigativi e l'acquisizione di ulteriori elementi hanno consentito di ampliare la visione delle vicende inerenti la trattativa e di coglierne meglio genesi, matrice, obiettivi ed esiti. Un ruolo prodromico di nuove certezze derivava innanzitutto dalle dichiarazioni di un testimone privilegiato dei fatti, l'odierno imputato Massimo CIANCIMINO, fonte di prova dalla controversa attendibilità intrinseca (visto che in questo processo assume anche la veste di imputato del delitto di calunnia), ma a cui, d'altra parte, va riconosciuto di aver fornito notizie e informazioni, che, laddove ed in quanto riscontrate, si sono rivelate preziose: queste hanno infatti consentito di ricostruire genesi, dinamiche ed esito dei contatti intercorsi fra i capi di Cosa Nostra e i rappresentanti delle Istituzioni, attraverso il canale dell‘ex Sindaco di Palermo, Vito CIANCIMINO, padre del dichiarante.
E di particolare valore e significato sono state, di certo, le successive e conseguenti rivelazioni di "testimoni eccellenti", alti esponenti delle Istituzioni del tempo, i quali, solo allorquando sono venuti a conoscenza delle dichiarazioni di Massimo CIANCIMINO (in parte divenute pubbliche), sono stati finalmente indotti a riferire, per la prima volta, circostanze che avevano a lungo taciuto e che, una volta inserite nel mosaico probatorio, evidenziavano in modo più chiaro uomini, protagonisti e complici della trattativa.
Nel contempo, da ulteriori risultanze, e tra queste in particolare dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di elevata affidabilità ed attendibilità come Antonino GIUFFRÈ (peraltro successivamente corroborato da numerosi altri collaboranti di stretta osservanza “provenzaniana“, fra i quali Ciro VARA, Stefano LO VERSO, per non parlare di quanto sul punto già risultava dalle confidenze del capomafia nisseno Luigi ILARDO al Col. RICCIO e al ROS dei Carabinieri), si evidenziava che la trattativa non si era affatto conclusa entro il limitato arco temporale del 1992, essendosi invero proiettata anche nel corso del 1993: è questo un anno decisivo per Cosa Nostra, che incontrò sempre maggiori difficoltà operative anche a causa dell'applicazione del duro regime carcerario del 41-bis, che proprio per questo, secondo le dichiarazioni di numerosissimi collaboratori, costituiva una delle norme di cui Cosa Nostra chiedeva l'eliminazione o l'attenuazione, unitamente ad altre, in materia di collaboratori di giustizia, sequestri di beni, e limitazione dei poteri del Pubblico Ministero.
Peraltro, anche in riferimento a questa stagione, nuovi testimoni riferivano ignote circostanze, che attribuivano anche agli odierni imputati, che consentivano così di delineare, ancora una volta, una “doppia visione“ convergente, proveniente da punti di vista diversi: i collaboranti, dall’angolo visuale di Cosa Nostra e, dall'altro lato, gli uomini dello Stato. Anche se – va detto per inciso - questo Ufficio è consapevole del fatto che non si è del tutto rimossa quella forma di grave amnesia collettiva della maggior parte dei responsabili politico-istituzionali dell'epoca (un'amnesia durata vent'anni), che avrebbe dovuto arrestarsi, se non di fronte alla drammaticità dei fatti del biennio terribile '92-'93, quanto meno di fronte alle risultanze (anche di natura documentale) che confermavano l'esistenza di una trattativa ed il connesso – seppur parziale - cedimento dello Stato, tanto più grave e deprecabile perché intervenuto in una fase molto critica per l'ordine pubblico e per la nostra democrazia.
Il complesso probatorio, seppur non esaustivo, appare sufficiente per ricostruire la trama di una trattativa, sostanzialmente unitaria, omogenea e coerente, ma che lungo il suo iter ha subìto molteplici adattamenti, ha mutato interlocutori e attori da una parte e dall'altra, allungandosi fino al 1994, allorquando le ultime pressioni minacciose finalizzate ad acquisire benefici e assicurazioni hanno ottenuto le risposte attese.
In questo quadro, può dirsi che è proprio dal suo epilogo del 1994, che viene ancor meglio in evidenza la vera posta in gioco di tutta la “trattativa“.
Essa non è stata limitata a singoli obiettivi “tattici“, come la tregua per risparmiare gli uomini politici inseriti nella lista mafiosa degli obiettivi da eliminare, o l'allentamento del 41 bis e gli altri punti del papello, ma – assai più ambiziosamente – ha avuto ad oggetto un nuovo patto di convivenza Stato-mafia, senza il quale Cosa Nostra non avrebbe potuto sopravvivere e traghettare dalla Prima alla Seconda Repubblica. Un patto di convivenza che, da un lato, significava la ricerca di nuovi referenti politici e, dall'altro lato, la garanzia di una duratura tregua armata dopo il bagno di sangue che in quegli anni aveva investito l'Italia.
E' proprio questo il senso più profondo della strategia violenta che ebbe inizio con l'omicidio LIMA. Fu certamente la risposta di Cosa nostra allo Stato che, dopo la sentenza di Cassazione del maxiprocesso, aveva messo in crisi la credenza d'impunità dei boss, condizione essenziale per la sopravvivenza dell’organizzazione criminale mafiosa stessa. Ciò nonostante, è indubbio che il programma omicidiario-stragista nacque dalla necessità per i boss di ristrutturare radicalmente ed in modo irreversibile e violento il rapporto con la politica. Uno scontro che ha portato il Paese a un capovolgimento politico e istituzionale.
Va, in proposito, rammentato che la sentenza della Cassazione costituisce soltanto l’epilogo di un rapporto che si era già usurato a cominciare dalla seconda metà degli anni ’80. 
Invero, in quel periodo e fino agli anni ’90, Cosa Nostra attraversò una fase estremamente delicata e di transizione, speculare rispetto alla fase, altrettanto delicata e di transizione, attraversata dal nostro Paese, ove si verificavano importanti mutamenti politici e istituzionali, specie dopo la caduta del Muro di Berlino ed il conseguente e rapido crollo del c.d. “comunismo reale” alla fine degli anni ’80. 
Cosa Nostra – come è noto – non è soltanto un’organizzazione criminale, ma anche e soprattutto un vero e proprio sistema di potere criminale, che fonda la sua forza anche sull’interlocuzione con gli altri poteri, in particolare con quello politico e con quello economico, dai quali trae legittimazione e concreti benefici. Sicché, è normale che, nei momenti di tensione e crisi all’interno degli altri sistemi di potere, con i quali la mafia interagisce, si determinino delle immediate ripercussioni nell’universo criminale. E’ quel che accadde nella seconda metà degli anni ’80, ove a tale macro-fenomeno politico-economico, si aggiunsero le più specifiche e contingenti difficoltà dei capi di Cosa Nostra, che subirono proprio in quel periodo le conseguenze più negative del maxiprocesso, non solo sul piano meramente repressivo, ma anche su quello della propria “autorevolezza”:
1) l’arresto di numerosissimi uomini d’onore, capi, gregari esemplici “soldati” determinò un concreto depauperamento delle capacità operative dell’associazione mafiosa;
2) le prime collaborazioni con la giustizia di uomini d’onore come Tommaso BUSCETTA, Salvatore CONTORNO (e poi Antonino CALDERONE e Francesco MARINO MANNOIA), causarono una profonda ferita, mai più rimarginata, alla legge dell’omertà interna;
3) il rinvio a giudizio prima, e la condanna in primo grado poi di tantissimi mafiosi, alla fine di un processo caricato di grande significato politico-simbolico, misero in crisi il mito dell’impunità dei mafiosi.
E’ anche e proprio da qui che iniziò una nuova presa di coscienza all’interno dei vertici dell’organizzazione mafiosa. E’ proprio dagli effetti nefasti (per l’associazione mafiosa) del maxiprocesso che prese avvio la crisi dei rapporti di Cosa Nostra con i referenti politici tradizionali, che agli occhi dei capimafia avevano fallito su uno dei terreni più importanti per i quali la mafia a loro si rivolgeva: la garanzia dell’impunità.
Ecco allora che Cosa Nostra mutò atteggiamento ed elaborò una nuova politica di “alleanze”, tendente a rinnovarle e a verificare la praticabilità di altri “canali”, di altri “terminali”, verso i quali eventualmente indirizzare la propria capacità di orientare i consensi elettorali.
Naturalmente il rapporto fra il potere mafioso e gli altri poteri non è un rapporto “piano”, fondato sul dialogo e su accademici scambi di opinione. Tutt’altro: esso è fondato, invece, sulla logica dei rapporti di forza e spesso sul linguaggio della violenza, vera o sublimata. Proprio perciò è soltanto con l’uso di questo linguaggio che i capi di Cosa Nostra concepiscono il loro relazionarsi con la politica, soltanto con l’uso della violenza pensano di poter realizzare un qualsiasi progetto di “rinnovo” dei propri rapporti con quel mondo.
Di tale logica fu sintomo il tentativo - prima attuato e poi rientrato - da parte di Cosa Nostra di mutare alleanza politica, allorquando, in occasione delle elezioni del 1987, dirottò i propri appoggi dalla Democrazia Cristiana al Partito Socialista Italiano.
Durante lo svolgersi di questo travagliato percorso di transizione, si arrivò così alle soglie del nuovo decennio, quando, all’inizio degli anni ’90, la situazione politica nazionale ed internazionale si fece ancora più complessa.
Il crollo del muro di Berlino e il disfacimento dell’impero sovietico ridisegnarono gli equilibri politici internazionali sull’intero scacchiere mondiale. La fine della contrapposizione bipolare Est-Ovest, fondata sull’equilibrio nucleare e su una guerra fredda combattuta su più fronti, fu la “grande madre” di una catena di eventi.
La grande criminalità aveva approfittato della copertura politica della guerra fredda per intessere, all’interno del sistema politico-istituzionale, una serie di rapporti che hanno fatto dell’Italia uno degli snodi degli interessi macroeconomici del crimine mondiale. Ebbene, fu proprio il crollo del muro di Berlino a determinare la fine della giustificazione storica della “collaborazione” con la grande criminalità.
Nel frattempo, nel panorama nazionale, l’eccesso di tassazione, portato dell’utilizzazione distorta della spesa pubblica, aveva determinato la rivolta della borghesia commerciale e della piccola imprenditoria di varie regioni del Nord, espressa nella vertiginosa crescita politica del fenomeno delle Leghe. Anche al Sud l’emergere di un fenomeno politico spontaneo e nuovo come quello della “Rete” si rivelò quale ulteriore sintomo della crisi dei partiti tradizionali.
Fu il combinarsi di tutte queste circostanze a far sì che dal cuore del sistema politico nazionale vennero precise indicazioni per “voltare le spalle” alla grande criminalità. E non è forse un caso che proprio in quel periodo – pur in assenza di una vera e propria emergenza d’ordine pubblico (del genere di quella che si era realizzata agli inizi degli anni ’80 e come ancor più si realizzò durante la stagione stragista del “biennio terribile” del ’92-’93) - la politica criminale registrò taluni significativi segni di mutamenti in senso repressivo.
Nessuno poteva ormai fermare il corso degli eventi. Si era chiusa in modo irreversibile una fase storica ed il vecchio sistema era ormai alle corde. Il che poi esplose fragorosamente nei primi anni ’90, anche per effetto di talune importanti inchieste giudiziarie che travolsero i vertici di alcuni dei più importanti partiti politici.
E’ in questo quadro complessivo, è in questo contesto generale che va inserita la strategia di alleanze che Cosa Nostra organizzò in quella nebulosa e complessa fase storica di transizione e concepì il piano destabilizzante del quadro politico tradizionale iniziato con l’omicidio LIMA, poi sfociato nella logica della “trattativa“ per costruire un nuovo “patto politico mafioso di convivenza fra Stato e mafia“.
Due frasi assumono importante valore simbolico. Una è quella di Totò RIINA, che spiega ai suoi soldati: «Dobbiamo fare la guerra allo Stato per poi fare la pace». Un modo rozzo di esprimere la ragione dello stragismo mafioso all'ombra dello spirito della trattativa. L’altra è del boss Leoluca BAGARELLA: «In futuro non dobbiamo più correre il rischio che i politici possano voltarci le spalle». L'obiettivo strategico è costruire le premesse per un nuovo rapporto con la politica, perché – come diceva sempre BAGARELLA – fosse Cosa Nostra ad esprimere direttamente le scelte politiche attraverso i suoi uomini, senza alcuna mediazione. Annullare la politica ed i politici tradizionali per favorire l'ingresso della mafia in politica, tout court.
Le stragi costuirono la premessa necessaria della ristrutturazione dello scambio dialettico con la politica. BAGARELLA all’inizio pensava di rifondare il rapporto con la politica tramite il progetto separatista di «Sicilia libera», un movimento di diretta espressione della mafia, per conquistare un più immediato controllo della politica. Ma il progetto originario risultò troppo elementare e fallì. Il completamento e lo sperato esito della trattativa politica“ attraverso la stipula del patto politico-mafioso“ si dispiegò attraverso vari tentativi in successione, nell’arco temporale che va dal 1992 fino al 1994. Nel piano criminale di quella stagione non ci fu una progressione rigidamente predeterminata, almeno da parte di Cosa Nostra, che dimostrò al contrario la capacità di adattarsi agli eventi, secondo la sua migliore tradizione.
Nel 1992, la posta in gioco era soprattutto la vita dei politici inseriti nella lista nera di Cosa Nostra che andavano salvati, e perciò la trattativa ebbe per oggetto la rinuncia agli omicidi già programmati in cambio dell‘allentamento della morsa repressiva. 
Nel 1993, la trattativa sembrò inizialmente non produrre gli esiti sperati e si resero necessarie ulteriori minacce che, questa volta, produssero qualche frutto: l'allentamento del 41 bis. Il cedimento“, consistito nell’inopinata mancata proroga di oltre 300 decreti di applicazione del 41 bis, costituì il segnale che si volesse andare incontro ai desiderata di Cosa Nostra, lanciando quel segnale di distensione“, peraltro letteralmente auspicato nella Nota che il Capo del DAP CAPRIOTTI indirizzava al Ministro della Giustizia CONSO in data 26/6/1993. Ma non bastò. Non poteva bastare. La presenza di un governo tecnico determinò la necessità di continuare dietro le quinte una trattativa più squisitamente politica, finalizzata cioè a trovare un nuovo referente politico, azione poi sfociata nell'accordo politico-mafioso, stipulato nel 1994, non prima di avere rinnovato la minaccia al governo Berlusconi appena insediatosi.
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Venendo alla sostanza giuridica delle contestazioni, occorre rammentare che il presente procedimento non ha per oggetto in senso stretto la trattativa. Nessuno è imputato per il solo fatto di aver trattato. Non ne sono imputati i mafiosi e neppure gli uomini dello Stato.
Oltre ai mafiosi (RIINA, PROVENZANO, il medico Antonino CINA', BRUSCA e BAGARELLA), almeno sette uomini dello Stato sono, invece, ritenuti responsabili di precise e specifiche condotte di reato realizzate nell’ambito della trattativa. Tre sono gli uomini degli apparati che hanno fatto da anelli di collegamento fra mafia e Stato: MORI, DE DONNO e il loro superiore dell’epoca SUBRANNI. Due sono gli uomini politici – cerniera, cinghie di trasmissione della minaccia: MANNINO prima e DELL'UTRI dopo. Poi c’e’ Massimo CIANCIMINO, imputato di concorso esterno in associazione mafiosa per il suo ruolo permanente di tramite fra il padre Vito e Bernardo PROVENZANO. Due sono, infine, gli uomini di Governo, CONSO e MANCINO, sui quali si è acquisita prova di una grave e consapevole reticenza. MANCINO è imputato per falsa testimonianza; CONSO, con l’allora Direttore del DAP Adalberto CAPRIOTTI e l’on. Giuseppe GARGANI sono tuttora “soltanto“ indagati per false dichiarazioni al PM, esclusivamente in ossequio alla previsione di legge che impone il congelamento della loro posizione in attesa della definizione del procedimento principale.
La condotta è stata contestata a ciascuno degli imputati in funzione della rispettiva posizione nell’ambito della trattativa. I boss mafiosi RIINA, PROVENZANO, BRUSCA, BAGARELLA e il ‘’postino’’ del papello Antonino CINA’, sono gli autori immediati del delitto principale, in quanto hanno commesso, in tempi diversi, la condotta tipica di minaccia ad un Corpo Politico dello Stato, in questo caso il Governo, con condotte diverse ma avvinte dal medesimo disegno criminoso, a cominciare dal delitto LIMA. Omicidio che fu la prima esecuzione della minaccia rivolta verso il Governo tutto ed in particolare indirizzata verso il Presidente del Consiglio in carica Giulio ANDREOTTI. L‘avvio di una campagna del terrore contro il ceto politico dirigente dell'epoca al fine di ottenere i benefici ed i vantaggi che furono poco dopo specificati nel papello di richieste che RIINA fece pervenire ai vertici governativi.
La predisposizione ed inoltro del papello ai destinatari della minaccia costituì, pertanto, un ulteriore momento esecutivo della condotta tipica, dispiegatasi ancora negli anni successivi attraverso i gravissimi messaggi minacciosi che si succedettero nel 1993 e all’inizio del 1994, anno in cui, al Governo presieduto dall’on. BERLUSCONI, BRUSCA e BAGARELLA fecero recapitare, attraverso il canale MANGANO-DELL'UTRI, l'ultimo messaggio intimidatorio prima della stipula definitiva del patto politicomafioso.
Si completò, in tal modo, il lungo iter di una travagliata trattativa che trovò finalmente il suo approdo nelle garanzie assicurate dal duo DELL'UTRI-BERLUSCONI (come emerge dalle convergenti dichiarazioni di SPATUZZA, BRUSCA e GIUFFRE‘).
Quanto alle condotte degli uomini dello Stato imputati di concorso nella minaccia al Governo (SUBRANNI, MORI, DE DONNO, MANNINO e DELL’UTRI), sono tutti accusati di aver fornito un consapevole contribuito alla realizzazione della minaccia, con condotte atipiche di sostegno alle condotte tipiche che si sono risolte nell'avere svolto il ruolo di consapevoli mediatori fra i mafiosi e la parte sottoposta a minaccia, quasi fossero gli intermediari di un’estorsione. Con l'aggravante, nel caso di specie, che il soggetto “estorto“ è lo Stato e l'oggetto dell'estorsione è costituito dal condizionamento dell'esercizio dei pubblici poteri, così sviati dalla loro finalità istituzionale e dal bene pubblico.
Per completezza, si segnala, infine, il ruolo di concorrenti nel medesimo reato assunto da altri uomini delle istituzioni oggi deceduti. Ci si riferisce all'allora Capo della Polizia Vincenzo PARISI ed al vice direttore del DAP Francesco DI MAGGIO, che, agendo entrambi in stretto rapporto operativo con l’allora Presidente della Repubblica Oscar Luigi SCALFARO, contribuirono al deprecabile cedimento sul tema del 41 bis.
Diventa così più agevole la comprensione dei reati contestati, della tipologia della condotta ascritta a ciascun imputato e delle ragioni del radicamento della competenza davanti all'Autorità Giudiziaria di Palermo.
Invero, premesso che si procede per un classico reato di minaccia, la condotta tipica va ravvisata in ogni minaccia grave contro un corpo politico amministrativo come il Governo, esercitata dai vertici dell'organizzazione mafiosa. In particolare, la minaccia, come descritta nel capo di imputazione, è consistita nell'aver prospettato agli "uomini-cerniera", perché ne dessero comunicazione a rappresentanti del Governo, l'organizzazione e l'esecuzione di omicidi e stragi ed altri gravi delitti ai danni di esponenti politici e delle Istituzioni se lo Stato non avesse accolto la richiesta di benefici di varia natura che veniva formulata dai capi di Cosa Nostra.
Va, ovviamente, sempre tenuto conto che, ai fini della consumazione del reato, è del tutto irrilevante che i benefici richiesti siano stati effettivamente ottenuti, essendo del tutto indifferente per un mero reato di pericolo, come nel caso di specie, che la vittima sia stata concretamente intimidita e quindi costretta a compiere gli atti richiesti, con conseguente turbamento dell'attività di Governo.
Invero, la condotta incriminata ha trovato il suo principio di esecuzione nell'omicidio dell'on. Salvo LIMA che ne ha costituito la prima realizzazione minacciosa, indirizzata ai destinatari finali del messaggio a contenuto intimidatorio: il Sen. Giulio ANDREOTTI e il Sen. Calogero MANNINO, entrambi all’epoca componenti del Governo.
Il primo, quale Presidente del Consiglio in carica, e riferimento nazionale dell'on. LIMA, fu certamente il più immediato destinatario della minaccia nella duplice veste di Capo del Governo e di esponente politico che Cosa Nostra riteneva responsabile della mancata realizzazione delle sue aspettative in merito all’aggiustamento del maxiprocesso.
Il secondo, l'odierno imputato Calogero MANNINO, nella doppia qualità di componente del Governo, quale Ministro per gli Interventi Straordinari nel Mezzogiorno, e soprattutto di principale esponente siciliano della corrente politica DC facente capo a livello nazionale all’allora segretario nazionale del partito. 
Ciò rileva ancor di più ove si pensi che MANNINO era stato individuato dai vertici di Cosa Nostra come successiva ed ormai designata vittima del progetto omicidiario in danno dei politici che non avevano mantenuto i patti.
Il MANNINO, secondo la ricostruzione dei fatti desumibili dalle risultanze acquisite, si attivava per sollecitare i propri terminali sul territorio a richiedere a Cosa Nostra la contropartita utile ad interrompere la strategia di frontale attacco alle Istituzioni politiche, così di fatto proponendosi come intermediario per conto dell’organizzazione mafiosa nella ricerca di nuovi equilibri nei rapporti con la politica.
La condotta degli altri concorrenti nel reato di cui all'art.338 c.p. è di ausilio nell'aver agevolato Cosa Nostra a portare a destinazione il messaggio intimidatorio. In particolare, questo è il ruolo oggetto di contestazione ai tre Ufficiali del ROS (SUBRANNI, MORI, DE DONNO) che, attivati nel 1992 da MANNINO e da altri esponenti del livello politico della trattativa non tutti ancora compiutamente individuati, aprivano un canale di interlocuzione con i vertici di Cosa Nostra e finivano per determinare, o comunque rafforzare, negli stessi il convincimento dell’utilità della minaccia, prestandosi poi a recapitare il contenuto dei messaggi intimidatori al Governo, destinatario ultimo della minaccia e titolare del potere per concedere i benefici di varia natura richiesti dai mafiosi.
In questo contesto, si inserisce la contestazione di falsa testimonianza a carico dell'odierno imputato Nicola MANCINO. 
E‘ sicuramente emerso che chi condusse la trattativa fece un’attenta valutazione: il Ministro dell'Interno in carica Vincenzo SCOTTI era ritenuto un potenziale ostacolo, mentre MANCINO veniva ritenuto più utile in quanto considerato più facilmente influenzabile da politici della sua stessa corrente, ed artefici della trattativa come il coimputato MANNINO, e da chi lo circondava, a cominciare dal Capo della Polizia PARISI. E rispetto al ruolo di quest'ultimo, va evidenziato il dato, non trascurabile, che mentre i primi approcci della trattativa erano nati su iniziativa ed ispirazione di chi poteva avere un interesse immediato e personale, in quanto più esposto, nel frattempo il quadro si era aggravato perché all'omicidio LIMA aveva fatto seguito la strage di Capaci. E quindi l’affare non riguardava più solo la sorte dei politici, ma l’intero Stato. E' il momento, in cui irrompe sulla scena una male intesa (e perciò mai dichiarata) Ragion di Stato che fornisce apparente legittimazione alla trattativa e che coinvolge sempre più ampi e superiori livelli istituzionali.
Ed invero, anche l’ex Guardasigilli Claudio MARTELLI, percepito anche lui come un ostacolo alla trattativa, finisce per essere politicamente eliminato (anche per effetto di un'inusuale collaborazione giudiziaria del capo della P2 Licio GELLI) più in là nel ’93, quando si tratta di ammorbidire il 41 bis. E nello stesso contesto temporale, viene tolto di scena anche il capo del Dap Nicolò AMATO, ritenuto inizialmente un possibile strumento utile e inconsapevole della trattativa per il suo acceso garantismo, ma poi diventato inaffidabile, anche per avere messo inopinatamente nero su bianco (in una sua nota del 6 marzo 1993 indirizzata al neo-Ministro CONSO) che PARISI aveva espresso «riserve» sull’eccessiva durezza del 41 bis, a margine della riunione del Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica del 12 febbraio 1993.
D'altra parte, occorre considerare che la condotta di alcuni protagonisti istituzionali della trattativa del 1992 (MORI e MANNINO, in particolare), non rimase circoscritta entro quei confini temporali in relazione al triangolo di rapporti CIANCIMINO-CINA'-RIINA, ma si protrasse certamente fino al 1993, allorquando, chiusa la Prima Repubblica con la caduta del Governo Amato, e quindi nella successiva fase di debolezza del quadro politico che favorì la formazione di un "Governo tecnico" come il Governo CIAMPI (che fu anche un "Governo del Presidente" e cioè del Presidente della Repubblica, Oscar Luigi SCALFARO), si affievolì il potere dei politici garanti“ del primo accordo stipulato a margine della prima trattativa in costanza della Prima Repubblica. Tale ruolo venne più proficuamente assunto e mantenuto, in quel particolare momento, dagli uomini degli apparati“ sopravvissuti alla Prima Repubblica. In particolare, il Capo della Polizia Vincenzo PARISI ed il Gen. Mario MORI in questo contesto assunsero un ruolo di particolare protagonismo: gli uomini-cerniera divennero uomini-artefici della trattativa, decisivi nel garantire l'adempimento degli accordi presi, e quindi garanti della controprestazione in termini di allentamento della stretta repressiva, specialmente sul fronte carcerario in materia di 41 bis.
E' in quel momento che si delinea in tutta la sua importanza il ruolo di Francesco DI MAGGIO, uomo fidato dei Servizi di Sicurezza e da sempre legato al ROS dei Carabinieri ed uomo forte della Amministrazione Penitenziaria, che darà il suo indirizzo imponendolo a CAPRIOTTI, il nuovo Direttore del DAP, ed al Ministro CONSO. Ciò con l'avallo che gli derivava anche dai suoi rapporti con il capo dello Stato, Oscar Luigi SCALFARO ( a sua volta influenzato da PARISI). Capo dello Stato che, come emerso da varie e convergenti deposizioni testimoniali, ebbe un ruolo decisivo negli avvicendamenti SCOTTI-MANCINO e MARTELLI-CONSO, e nella sostituzione di Nicolò AMATO col duo CAPRIOTTI-DI MAGGIO, attraverso i quali seguì l'evoluzione delle vicende del 41 bis strettamente connesse all'offensiva stragista del 1993.
Ma certamente l'allentamento sul fronte carcerario, con alcune significative mancate proroghe di regime ex 41 bis nei confronti di boss mafiosi di assoluto rango, non poteva esaurire l'iter della trattativa che, dalla parte dei capi di Cosa Nostra, aveva ben più ambiziosi e duraturi obiettivi, mirando ad ottenere garanzie a tutto campo, con la stipula di un nuovo duraturo patto politico-mafioso. Ed è per questa ragione che le minacce di prosecuzione della stagione stragista non si arrestarono e proseguirono fin tanto che, subentrata la Seconda Repubblica ed insediatasi una nuova classe politica dirigente con la quale trattare“, all'ultima minaccia portata al neo-Governo Berlusconi tramite il canale BAGARELLA-BRUSCAMANGANO-DELL'UTRI, seguì la definitiva saldatura del nuovo patto di coesistenza Stato-mafia.
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Così compendiato l'iter complessivo della trattativa“ e la ricostruzione delle risultanze probatorie in ordine alla dinamica delle condotte oggetto della contestazione, alla loro concatenazione finalistica e al loro dipanarsi nel tempo, diviene più agevole dissipare ogni eventuale dubbio residuo in ordine alla competenza radicata davanti all'Autorità Giudiziaria di Palermo.
Ciò per un triplice ordine di considerazioni, anche fra loro alternative:
a) in primo luogo, la condotta di violenza e minaccia ha inizio certamente a Palermo con la commissione dell'omicidio LIMA che rappresenta, per le ragioni sopra esposte, il primo atto con il quale si dà esecuzione alla minaccia, nei confronti del Governo ANDREOTTI allora in carica, di prosecuzione della progettata serie di delitti di uomini politici di spicco della Prima Repubblica;
b) in secondo luogo, vi è, altresì, connessione fra l'omicidio LIMA e i singoli atti di minaccia indirizzati al Governo, in relazione all'identità di disegno criminoso originario, unica determinazione di sottoporre a minaccia il Governo in carica anche attraverso la commissione di alcuni specifici omicidi di uomini politici (così come riferito da alcuni collaboranti, ed in particolare da Giovanni BRUSCA);
c) in terzo luogo, anche a voler prescindere dei primi due motivi di competenza territoriale, gli indizi finora acquisiti fanno ritenere che il primo atto di minaccia nei confronti del Governo ANDREOTTI sia stato recapitato a Palermo nei confronti dell'allora Ministro Calogero MANNINO.
Quanto sinteticamente esposto, e con riserva di ulteriore illustrazione nel corso della discussione innanzi alla S.V., sostanzia le ragioni per le quali si è ritenuto doveroso esercitare l’azione penale nei confronti degli odierni imputati, nella ferma convinzione che l’unica vera Ragione di Stato è quella verità che questo Ufficio non ha mai smesso, e mai smetterà, di cercare.
Nella consapevolezza che è doveroso adesso sottoporre tali risultanze al vaglio della S.V., giudice nel contraddittorio delle parti.

Palermo , il 5 novembre 2012

IL PROCURATORE DELLA REPUBBLICA AGG.
Antonio Ingroia

I SOSTITUTI PROCURATORE DELLA REPUBBLICA
Lia Sava Antonino Di Matteo Francesco Del Bene Roberto Tartaglia