sabato 31 maggio 2014
Elezioni, tra populismo solite partitocrazie e Gattopardo-Renzi
Un
fantasma terrorizzante si aggira in Europa. Lo chiamano populismo. E
hanno ragione di temerlo perché il cosiddetto populismo, sia di estrema
destra che di estrema sinistra od oltre la destra e la sinistra com'è
quello di 5Stelle, non è semplicemente un euroscetticismo, ma la
contestazione radicale delle partitocrazie che, mascherate da
democrazie, si sono impadronite di ogni Paese del Vecchio Continente.
Emblematica
è la situazione italiana. Si è detto e scritto che la maggioranza degli
italiani ha scelto la stabilità e un rinnovamento moderato, peraltro,
per il momento, più promesso su twitter che applicato. E' vero
esattamente il contrario. Se si sommano le astensioni (41,3%) ai voti di
5Stelle (21,2%) si vede che la maggioranza degli italiani non ne può
più del sistema dei partiti e vorrebbe divellarlo dalle radici. Matteo
Renzi non rappresenta il 40% della popolazione ma solo il 20% e forse
meno perché agli astensionisti bisognerebbe aggiungere le schede bianche
e nulle di cui il Viminale non dà dati, o solo con molto ritardo e
nascondendone, fra le righe, la consistenza. Renzi, a parte il parlar
tosco, non rappresenta nulla di nuovo, ma al contrario il più vecchio
dei vecchi perché da quando ha 22 anni, e quindi da quasi venti, ha
fatto tutta la sua carriera all'interno della partitocrazia e in un
partito, il Pd, che ha gli apparati più forti in ogni settore della vita
pubblica e privata. In un certo senso era più libero, più voto di
opinione, più scelta antipartitocratica quella fatta per il primo
Berlusconi che proprio alla partitocrazia si opponeva. Vi ricordate i
discorsi contro «il teatrino della politica»? Purtroppo appena
Berlusconi vi è entrato è diventato la primadonna di questo teatrino
anche se ci sono voluti vent'anni di inefficenza e di malefatte
giudiziarie perché fosse tolto di mezzo (in Egitto a Morsi, regolarmente
e legittimamente eletto, è bastata l'accusa di essere stato
inconcludente per un anno per essere abbattuto da una sommossa popolare e
da un colpo di Stato militare). Renzi è solo l'abile Gattopardo messo
alla guida del Paese per far finta che tutto cambi purché nulla cambi.
Qualche notazione a margine. L'altra sera sono stato a SevenGold
per commentare, insieme ad altri ospiti, i risultati di queste
elezioni. Mi ha colpito l'atteggiamento del consigliere provinciale
della Lega Igor Iezzi. Il suo disprezzo e la sua denigrazione per il
movimento 5Stelle. «Ma non capisci -gli ho detto- che il tuo
atteggiamento è lo stesso che la partitocrazia ha avuto nei confronti
della Lega delle origini cui dici di essere appartenuto dall'inizio».
Non capiva. Continuava a rimarcare i 20 punti percentuali che separano
il Pd da 5Stelle. «E' vero» ho detto «che i 5Stelle sono la metà del Pd,
ma voi siete un quarto dei 5Stelle e nella vostra lunga vita politica,
passata per dieci anni al governo, non avete mai raggiunto e nemmeno
avvicinato non dico il 26% di Grillo ma nemmeno l'attuale 21,2%». Ma
questo tal Iezzi ormai ben incistato nel potere non capiva. E' per
questi soggetti, e non per il passionale e idealista Bossi, che la Lega
ha fatto la fine miseranda che ha fatto. La stessa fine che,
probabilmente, farà il 5Stelle, non per colpa del passionale e idealista
Beppe Grillo, ma dei suoi adepti. Perché come canta il maestro Battiato
«il tempo passa e ci scoraggia». Scoraggia anche i migliori.
Figuriamoci i peggiori, alla Igor Iezzi.
Massimo Fini (Il Gazzettino, 30 maggio 2014)
Ecco perché il M5S è indispensabile (per lo meno in Sicilia, aggiungo io)
Un estratto dall’articolo di oggi su La Repubblica.
Sulla home page del sito del Movimento 5 stelle di Palermo campeggia
una frase di Buckminster Fuller: “Non cambierai mai le cose combattendo
la realtà esistente. Per cambiare qualcosa, costruisci un modello nuovo
che renda la realtà obsoleta”. Tutto si può contestare ai grillini,
tranne di non aver fatta propria questa massima.
La sconfitta elettorale suggerisce, anzi impone, al Movimento di cambiare modello, perché la realtà si è appena rifatta il look restituendo con gli interessi quei “vaffa” che aveva assorbito in anni di appassionate contestazioni. Che sia la strada del dialogo all’Ars o quella di una degrillizzazione dell’enclave siciliana, con toni meno aspri e maggior esercizio di relativismo politico in ossequio al fatto che siamo sempre nella terra di Pirandello, poco importa in questo momento. Ciò che è giusto analizzare è il motivo per cui il Movimento – che piaccia o no – è ormai fondamentale per questa terra.
La sconfitta elettorale suggerisce, anzi impone, al Movimento di cambiare modello, perché la realtà si è appena rifatta il look restituendo con gli interessi quei “vaffa” che aveva assorbito in anni di appassionate contestazioni. Che sia la strada del dialogo all’Ars o quella di una degrillizzazione dell’enclave siciliana, con toni meno aspri e maggior esercizio di relativismo politico in ossequio al fatto che siamo sempre nella terra di Pirandello, poco importa in questo momento. Ciò che è giusto analizzare è il motivo per cui il Movimento – che piaccia o no – è ormai fondamentale per questa terra.
I ragazzi a 5 stelle hanno suonato la sveglia in una generazione
catatonica da vent’anni, rimbambita da miracoli di cartapesta e
assuefatta alla figura del giovane politico tutto kit e distintivo. Lì
dove c’era il menefreghismo come arma di difesa o la militanza come mero
strumento di guadagno facile, è tornata la passione, con tutti i suoi
difetti. E per una magia, un po’ telematica un po’ analogicamente
culturale, ci sono stati ventenni e trentenni che hanno cominciato a
parlare di politica, a riunirsi la sera per sognare senza “additivi”, a
inanellare progetti.
Il Movimento è figlio di una congiuntura economica e in essa ha proliferato: in Sicilia più che altrove.
(…)
Non è da poco il pressing sulla lotta agli sprechi del M5S siciliano e rimarrà sempre da esempio la correttezza con cui i deputati hanno restituito parte dei loro stipendi, destinandola al microcredito per le piccole imprese. L’archetipo dell’onorevole ricco e potente si è sfaldato assieme alla sua nemesi della politica che è tutta un magna magna, anche grazie a questi giovani che ci hanno mostrato che non è vero che l’occasione fa l’uomo ladro, ma può farlo anche mediamente coerente.
La politica dei professionisti è rimasta scossa dalle ingenuità dei cittadini a 5 stelle, che tra strafalcioni e innegabili passi falsi, hanno insinuato un paio di dubbi nel nostro sentire comune: perché a un politicante navigato, con un albo di cariche pubbliche da figurine Panini, con un passato costellato da cambi di casacca, magari con qualche precedente penale, si perdona un passo falso più che a un grillino che sbaglia un congiuntivo? Perché si tende a essere più realisti del re con i cortigiani e non con i reali?
Risposta intuitiva: perché il Movimento 5 stelle ha sempre ostentato (troppo spesso in modo verbalmente violento) la sua intransigenza e ha finito col pagare a caro prezzo il fallimento di una tattica d’attacco che non prevedeva paracadute in caso di insuccesso. Chi fa della propria virtù un’arma offensiva, deve essere pronto a inventarsi un buon argomento in caso di sconfitta.
E anche in questo caso i grillini hanno dimostrato di avere un ruolo importante, giacché in uno scenario politico in cui nessuno, storicamente, ha mai ammesso di aver perso, in cui persino i trombati simulano sollievo, in cui col 4 per cento ci si vende subito al 100 per cento, loro hanno addentato i loro trent’anni e masticato amaro, piangendo e disperandosi come solo chi ha passione sa fare.
E, a parte tutto, già questo li ha resi speciali.
Il Movimento è figlio di una congiuntura economica e in essa ha proliferato: in Sicilia più che altrove.
(…)
Non è da poco il pressing sulla lotta agli sprechi del M5S siciliano e rimarrà sempre da esempio la correttezza con cui i deputati hanno restituito parte dei loro stipendi, destinandola al microcredito per le piccole imprese. L’archetipo dell’onorevole ricco e potente si è sfaldato assieme alla sua nemesi della politica che è tutta un magna magna, anche grazie a questi giovani che ci hanno mostrato che non è vero che l’occasione fa l’uomo ladro, ma può farlo anche mediamente coerente.
La politica dei professionisti è rimasta scossa dalle ingenuità dei cittadini a 5 stelle, che tra strafalcioni e innegabili passi falsi, hanno insinuato un paio di dubbi nel nostro sentire comune: perché a un politicante navigato, con un albo di cariche pubbliche da figurine Panini, con un passato costellato da cambi di casacca, magari con qualche precedente penale, si perdona un passo falso più che a un grillino che sbaglia un congiuntivo? Perché si tende a essere più realisti del re con i cortigiani e non con i reali?
Risposta intuitiva: perché il Movimento 5 stelle ha sempre ostentato (troppo spesso in modo verbalmente violento) la sua intransigenza e ha finito col pagare a caro prezzo il fallimento di una tattica d’attacco che non prevedeva paracadute in caso di insuccesso. Chi fa della propria virtù un’arma offensiva, deve essere pronto a inventarsi un buon argomento in caso di sconfitta.
E anche in questo caso i grillini hanno dimostrato di avere un ruolo importante, giacché in uno scenario politico in cui nessuno, storicamente, ha mai ammesso di aver perso, in cui persino i trombati simulano sollievo, in cui col 4 per cento ci si vende subito al 100 per cento, loro hanno addentato i loro trent’anni e masticato amaro, piangendo e disperandosi come solo chi ha passione sa fare.
E, a parte tutto, già questo li ha resi speciali.
lunedì 26 maggio 2014
Pil, Mib, Pin, Borsa. La vita è "una prigione" di numeri e denaro
«Il
Pil nell'eurozona nel 2014 salirà del 1,2% e nel 2015 sarà del 1,7%,
mentre in Italia è +0,6% nel 2014 e dovrebbe essere del +1,2% nel 2015.
Questo secondo la Commissione europea. Per l'Istat invece la crescita
italiana nel 2015 sarà dell'1% e quella degli investimenti sarà
dell'1,9% nel 2014 e dovrebbe salire del 3,5% nel 2015. La spesa delle
famiglie nel 2014 è di +0,2% mentre la disoccupazione è al 12,7%, ma per
la Commissione europea salirà al 12,8%...». Così ci informava lunedì il
TG1, per poi dare variazioni microdecimali nei giorni successivi. Poi
c'è la Borsa («il fulcro della razionalità pura» secondo Hegel), il Ftsi
Mib, il Nasdaq, altri numeri in perenne oscillazione. Le nostre vite
dipendono da entità astratte, Fmi, Bce, Wto, sigle come nel mondo di
Orwell, che si esprimono anch'esse in cifre di cui non capiamo nulla. Se
nevica poco questo fatto naturale è immediatamente tradotto in cifre,
quelle della perdita economica degli imprenditori del settore e degli
albergatori. Se piove poco si calcolano i danni per gli agricoltori, se
piove troppo si fa il conto dei danni economici prima ancora che delle
vittime. Poi ci sono l'Iban, il Pin, la carta di credito, il bancomat,
il codice fiscale, ancora numeri, sempre legati al denaro. Il denaro
sarà anche «la logica della materia» come dice ancora Hegel o
'razionalità pura' come scrive Max Weber, ma bisogna cominciare a
prendere atto che si tratta di una razionalità e di una logica che ci
sono diventate nemiche.
Viviamo
in un mondo matematico, numerico, quantitativo da cui l'uomo sembra
scomparso. E' esso stesso cifra, numero, statistica. Nella migliore
delle ipotesi siamo stati degradati a 'consumatori' o piuttosto a tubi
digerenti, a lavandini, a water che devono ingurgitare nel più breve
tempo possibile ciò che altrettanto rapidamente produciamo. Altrimenti
crolla il sistema economico. Ma dobbiamo essere, al tempo stesso,
risparmiatori, altrimenti crolla il sistema economico. E' una delle
conseguenze dell'astrattezza illuminista. E il denaro è l'astrazione
delle astrazioni. E' un niente, un puro nulla, è una logica proiettata
verso un futuro che, quando l'astrazione supera certi limiti, diventa
inesistente. In circolazione, come fa notare Giulio Tremonti, uno dei
pochissimi che sembra aver capito dove stiamo andando a parare, ci sono
cento trilioni di dollari, una bolla che prima o poi ci cadrà sulla
testa con conseguenze apocalittiche. Altro che puntare sulla crescita
come affermano tutte le leadership mondiali che non si comprende se 'ci
sono o ci fanno', cioè se hanno capito benissimo e se ne fregano
continuando a drogare il cavallo già dopato nella speranza che faccia
ancora qualche passo oppure se non hanno capito niente. Probabilmente
sono tutte e due le cose: degli imbecilli in malafede.
In
ogni caso, anche grazie al denaro («la tecnica che unisce tutte le
tecniche» secondo Simmel), abbiamo creato un mondo troppo complesso e
interconnesso che, con tutta evidenza, non siamo più in grado di
governare. Come ha scritto uno scienziato americano basterebbe un black
out della Rete di una settimana per creare un altro tipo di apocalisse
(se permettete è il tema di un mio romanzo, 'Il Dio Thoth').
Ho
nostalgia di un mondo più semplice. Qualche estate fa mi ero spinto
fino a uno dei paesi più sperduti del centro della Corsica, Muna. C'era
un uomo, Paulo, che teneva un baracchino. Mi offerse un bicchiere di
vino e abbiamo fatto amicizia (lì funziona così, o gli vai a sangue o è
meglio che giri al largo). Alla fine gli ho chiesto: «Di nome come
fai?». «Che vuol dire? Sono Paulo de Muna». Anch'io vorrei essere
«Massimo de Muna».
Massimo Fini (Il Fatto quotidiano, 9 maggio 2014)
Se - If, Lettera al figlio
Se - If, Lettera al figlio
"Se riesci a non perdere la testa quando tutti intorno a te
la perdono e ti mettono sotto accusa.
Se riesci ad avere fiducia in te stesso
quando tutti dubitano di te,
ma a tenere nel giusto conto il loro dubitare.
Se riesci ad aspettare senza stancarti di aspettare
o essendo calunniato a non rispondere con calunnie,
o essendo odiato a non abbandonarti all'odio,
pur non mostrandoti troppo buono,
né parlando troppo da saggio.
Se riesci a sognare senza fare dei sogni i tuoi padroni.
Se riesci a pensare senza fare dei pensieri il tuo fine.
Se riesci ad incontrare il successo e la sconfitta
e trattare questi due impostori allo stesso modo.
Se riesci a sopportare di sentire le verità
che tu hai detto distorte da furfanti
che ne fanno trappole per sciocchi o vedere le cose
per le quali hai dato la vita distrutte e umiliarti
a ricostruirle con i tuoi strumenti oramai logori.
Se riesci a fare un solo fagotto delle tue vittorie
e rischiarle in un solo colpo a testa e croce
e perdere e ricominciare da dove iniziasti senza
mai dire una sola parola su quello che hai perduto.
Se riesci a costringere il tuo cuore, i tuoi nervi,
i tuoi polsi a sorreggerti anche dopo molto tempo
che non te li senti più ed a resistere
quando ormai in te non ce più niente
tranne la tua volontà che ripete "resisti!"
Se riesci a parlare con la canaglia
senza perdere la tua onestà
o a passeggiare con i re
senza perdere il senso comune.
Se tanto nemici che amici non possono ferirti
se tutti gli uomini per te contano
ma nessuno troppo.
Se riesci a colmare l'inesorabile minuto
con un momento fatto di sessanta secondi
tua è la terra e tutto ciò che è in essa
e quel che più conta sarai un uomo, figlio mio."
Rudyard Kipling
(pubblicata sul blog di Beppe Grillo all'indomani delle europee)
"Se riesci a non perdere la testa quando tutti intorno a te
la perdono e ti mettono sotto accusa.
Se riesci ad avere fiducia in te stesso
quando tutti dubitano di te,
ma a tenere nel giusto conto il loro dubitare.
Se riesci ad aspettare senza stancarti di aspettare
o essendo calunniato a non rispondere con calunnie,
o essendo odiato a non abbandonarti all'odio,
pur non mostrandoti troppo buono,
né parlando troppo da saggio.
Se riesci a sognare senza fare dei sogni i tuoi padroni.
Se riesci a pensare senza fare dei pensieri il tuo fine.
Se riesci ad incontrare il successo e la sconfitta
e trattare questi due impostori allo stesso modo.
Se riesci a sopportare di sentire le verità
che tu hai detto distorte da furfanti
che ne fanno trappole per sciocchi o vedere le cose
per le quali hai dato la vita distrutte e umiliarti
a ricostruirle con i tuoi strumenti oramai logori.
Se riesci a fare un solo fagotto delle tue vittorie
e rischiarle in un solo colpo a testa e croce
e perdere e ricominciare da dove iniziasti senza
mai dire una sola parola su quello che hai perduto.
Se riesci a costringere il tuo cuore, i tuoi nervi,
i tuoi polsi a sorreggerti anche dopo molto tempo
che non te li senti più ed a resistere
quando ormai in te non ce più niente
tranne la tua volontà che ripete "resisti!"
Se riesci a parlare con la canaglia
senza perdere la tua onestà
o a passeggiare con i re
senza perdere il senso comune.
Se tanto nemici che amici non possono ferirti
se tutti gli uomini per te contano
ma nessuno troppo.
Se riesci a colmare l'inesorabile minuto
con un momento fatto di sessanta secondi
tua è la terra e tutto ciò che è in essa
e quel che più conta sarai un uomo, figlio mio."
Rudyard Kipling
(pubblicata sul blog di Beppe Grillo all'indomani delle europee)
sabato 24 maggio 2014
Grillo è 'aldilà' della Destra e della Sinistra
I
sondaggi danno i 5Stelle primo partito fra i giovani con percentuali
che vanno dal 32 al 34%. Si dirà che i giovani sono per loro natura
antisistema ed estremisti e che quindi il fenomeno è destinato a
sbollire. Ho qualche dubbio. Grillo raggiunge i maggiori consensi, il
34%, nella fascia tra i 24 e i 34 anni, un'età in cui, in genere, i
bollori rivoluzionari si sono intiepiditi e si ha una consapevolezza più
matura (i 'sessantottini', che se la davano da rivoluzionari, erano
universitari e la loro età andava, in media, dai 19 ai 24, 25 anni).
Stupisce
invece che Pd e Forza Italia riprendano quota fra i cittadini che hanno
più di 45 anni. Perché sono proprio queste le generazioni che hanno
potuto constatare di persona e 'de visu' le malversazioni, la
corruzione, il clientelismo sfacciato e insomma tutte le nefandezze di
cui si sono macchiati i cosiddetti partiti tradizionali, Pd in testa
perché nell'arco degli ultimi trent'anni è stato al potere, o consociato
ad esso, più di Forza Italia. E' comprensibile invece che Grillo crolli
fra gli over 65 (8%) mentre Pd (46%) e Forza Italia (23%) hanno le loro
performance migliori. I vecchi sono conservatori. Perché sono fragili e
ogni cambiamento li manda in tilt. Ma noi vecchie ciabatte dovremo pur
morire, prima o poi, consentendo alle nuove generazioni di costruirsi se
non un mondo almeno un'Italia migliore di quella che noi, anche quando
abbiamo combattuto le malefatte della partitocrazia (e io mi permetto di
annoverarmi fra questi), gli abbiamo lasciato.
Vauro
ha bollato Grillo come 'fascista'. E Santoro ha affermato: «Io mi
auguro che Grillo la smetta con questi toni illiberali, deve cambiare
registro e iniziare a rispettare i giornalisti altrimenti anch'io potrei
andare nelle piazze dove è passato lui e dire come stanno le cose
battendomi per la libertà d'informazione». Non mi pare che Michele
Santoro sia il pulpito più adatto in tema di 'toni illiberali'. Comunque
una delle maggiori responsabilità della Tv italiana è stata quella di
creare questo tipo di conduttori di talk show che confondono la potenza
del mezzo con la propria e credono di essere dei padreterni. Dice: anche
Grillo, a suo modo, è stato conduttore. Sì, ma è uscito dalla Tv un
quarto di secolo fa e da allora ha lavorato, spendendovi tutta la sua
energia fisica e intellettuale, per costruire un movimento politico che
sta avendo un successo clamoroso. Santoro non lo può nemmeno scalfire.
Sul Giornale
invece Antonio Signorini considera Grillo un veteromarxista. Quello che
non si è capito è che Grillo è 'al di là' della destra e della
sinistra, categorie vecchie di due secoli e mezzo che non sono più in
grado di comprendere le esigenze più profonde dell'uomo contemporaneo
che, al di là delle apparenze, non sono economiche ma esistenziali. In
questo senso, per esempio, vanno intesi i discorsi del leader 5Stelle
contro il mito del lavoro, che è altrettanto marxista che capitalista, e
il 'salario di cittadinanza' (anche se questo ha un risvolto economico
perché la 'tecno', il solo settore in crescita, continua a sbattere la
gente fuori dal lavoro e quindi i disoccupati sono destinati ad
aumentare in modo esponenziale).
Infine
Grillo salva, involontariamente, la democrazia dei partiti. I sondaggi
valutano l'astensione al 40%, ma potrebbe essere molto di più. Il
governo lo teme e non fa che mandar fuori spot perché si voti
sull'Europa. Se i 5Stelle non ci fossero i loro voti, si tratti del 25 o
del 30%, finirebbero all'astensione che potrebbe raggiungere il 70%. In
questo caso la democrazia italiana uscirebbe dalle Europee
completamente delegittimata.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 10 maggio 2014)
RENZINGUER
Nella sua esagitata campagna elettorale, Beppe Grillo almeno un
risultato l’ha ottenuto: costringere Matteo Renzi a nominare – per la prima
volta in vita sua, o quasi – Enrico Berlinguer. Il che dimostra uno dei tanti
paradossi dei 5Stelle: volenti o nolenti (spesso a loro insaputa), svolgono la
stessa funzione dei predatori in natura: migliorano le prede che vogliono
cacciare, aiutandole dunque a sopravvivere. Come ricorda Scanzi nel suo blog,
senza i 5Stelle in Parlamento col cavolo che il Pd avrebbe votato subito e col
voto palese per la decadenza di B. e per l’arresto di Genovese (nel 1998-’99
avevano salvato persino Previti e Dell’Utri). Se poi Renzi fosse sincero fino
in fondo, dovrebbe ammettere che, senza il terrore di Grillo, il Pd allora
dalemian-lettian-bersaniano non gli avrebbe spianato la strada alla segreteria
e poi al siluramento del governo Letta. “Sciacquati la bocca quando parli di
Berlinguer”, ha urlato giovedì il premier a Grillo da una piazza del Popolo
semipiena o semivuota. E, se Grillo si fosse paragonato all’ultimo vero leader
della sinistra italiana, da cui quasi tutto lo divide, si sarebbe meritato
anche di peggio. La verità è che non l’ha fatto: anzi, ha precisato di avere
tutt’altra storia, però ha raccontato un fatto vero e facilmente verificabile.
E cioè che l’avvocato Giuseppe Zupo, responsabile giustizia e legalità del Pci
di Berlinguer (posto ora occupato dalla Morani e dalla Picierno, per dire
l’evoluzione della specie), ha scritto una lettera a Grillo e rilasciato
un’intervista a Micromega in cui riconosce ai 5Stelle il loro impegno sulla
questione morale di Berlinguer abbandonata dai suoi presunti eredi.
E allora chi dovrebbe sciacquarsi la bocca? Non abbiamo titoli per
rispondere, ma per porre qualche domanda forse sì. L’altro giorno abbiamo dato
atto a Renzi di aver rinunciato, dimettendosi dall’azienda di famiglia, alla
sua pensione privilegiata, nata da un trucchetto che è già costato processi e
condanne ad altri politici che l’avevano tentato e che il Fatto ha svelato in
beata solitudine. Berlinguer si sarebbe fatto beccare con un simile sorcio in
bocca? Berlinguer fu pubblicamente processato da Napolitano & miglioristi
sfusi perché non voleva allearsi con Craxi (lo chiamava “il gangster”), e
finché ebbe un respiro in gola denunciò l’inquinamento della P2: ve lo vedete
mentre riceve il compare di Craxi, tessera P2 n. 1816, per concordare non solo
la legge elettorale (mossa obbligata dopo il diniego di Grillo), ma anche la
riforma della Costituzione? Ve l’immaginate che risponde a B. “del
presidenzialismo se ne può parlare?”.
Ve lo figurate che governa col piduista Cicchitto? Che nomina un
rinviato a giudizio vice-ministro dell’Interno e tre inquisiti sottosegretari?
Che candida alle Europee imputati, inquisiti e (in Sicilia) il professor
Fiandaca, noto giustificazionista della trattativa Stato-mafia? Che piazza Emma
Marcegaglia, azionista e dirigente di un’azienda condannata per tangenti
all’Eni, alla presidenza dell’Eni? Che si tiene nel partito Giancarlo
Quagliotti, condannato con Greganti per una tangente Fiat sui rispettivi conti
svizzeri, dunque braccio destro del sindaco renziano Fassino? Nel
forum-intervista con il Fatto, abbiamo discusso con Renzi degli inquisiti in
politica. La sua posizione, purtroppo, è la stessa di tutto il resto della
vecchia casta: la presunzione di innocenza come scudo e alibi per non cacciare
nessuno. Per Renzi non c’è alcuna differenza fra chi è indagato (o addirittura
imputato) e chi non lo è: sono tutti gigli di campo, anche dopo il rinvio a
giudizio, come se i magistrati si divertissero a inquisire e a mandare a
processo la gente così, per sport, a casaccio. Per lui la differenza la fanno
solo le condanne in Cassazione. Dunque, visti i tempi della giustizia,
qualunque delinquente può restare in politica e nelle istituzioni per dieci
anni. Se, per dire, il suo vicino di casa fosse indagato o imputato o
condannato (ma non definitivo) per pedofilia, Renzi gli affiderebbe serenamente
i suoi figli quando si assenta da casa e attenderebbe la Cassazione per
rivolgersi a qualcun altro. Ma qui non c’è neppure bisogno di scomodare la
buonanima di Berlinguer, o di sciacquarsi la bocca: basta collegarla al
cervello.
Marco Travaglio (Jack's Blog - Il Fatto Quotidiano - 24 maggio 2014)
mercoledì 21 maggio 2014
Così il Bel Paese è diventato il regno del malaffare
Nella
prima conferenza stampa, all'indomani dell'arresto di Claudio Scajola,
il Procuratore di Reggio Calabria Cafiero De Raho, ha dichiarato:
«L'aspetto che colpisce è come una persona che ha ricoperto ruoli al
vertice dello Stato possa curarsi di un'altra persona condannata e
latitante nella consapevolezza di chi si muove come se essere condannati
per associazione mafiosa non conti nulla. E' impressionante». Scajola è
stato ministro dell'Interno cioè colui che dovrebbe contrastare il
fenomeno mafioso e ogni forma di criminilità. In contemporanea è esploso
lo scandalo Expo, poi quello degli sperperi milionari e clientelari
della Sogin e da ultimo il coinvolgimento, sia pur a livello di indagini
preliminari, di Giovanni Bazoli, ex consigliere di Ubi, banchiere di
lungo corso, cattolico, finora 'al di sopra di ogni sospetto', in affari
poco chiari della quinta Banca italiana.
Sì, è impressionante ciò a cui stiamo assistendo in Italia. Adesso Renzi, per l'Expo, ha nominato una task force
che dovrebbe controllare la legalità delle operazioni. Chiude la stalla
quando i buoi sono scappati. Ma a parte questo non c'è nessuna certezza
che fra i controllori ci siano soggetti migliori dei controllati («Qui
custodiet custodes?»). Perché in Italia il più pulito c'ha la rogna. E'
un Paese marcio fino al midollo.
L'altro giorno La Stampa
mi ha intervistato per chiedermi se ci trovavamo di fronte a una nuova
Tangentopoli. Una domanda finto-ingenua. Tangentopoli non è mai finita.
Semplicemente, come un virus mutante, la corruzione ha cambiato alcune
sue modalità. Del resto che cosa ci si poteva attendere di diverso se
quasi all'indomani di Mani Pulite, con i testimoni del tempo ancora in
vita, tutta la classe politica e buona parte di quella giornalistica,
con un gioco delle tre tavolette trasformò i magistrati nei veri
colpevoli, i ladri in vittime e Antonio Di Pietro, da idolo delle folle,
divenne l'uomo più odiato d'Italia? Nel frattempo tutti i governi, di
destra e di sinistra, hanno inzeppato i Codici penali di norme dette
'garantiste' che rendono quasi impossibile perseguire i reati
economico-finanziari, quelli di 'lorsignori', e comunque di far fare
qualche anno di gabbio ai responsabili.
Ma
al di là delle sanzioni penali, manca la sanzione sociale. A me colpì
la vicenda di Luigi Bisignani. Bisignani, già trovato con le mani sul
tagliere della P2 (uffa, che barba, storia vecchia), nella stagione di
Mani Pulite fu condannato per reati contro la Pubblica Amministrazione.
Il cittadino normale si sarebbe aspettato che uno così non avrebbe mai
potuto mettere più piede in un ufficio pubblico. Ma nel 1996 lo troviamo
bel bello come principale consigliere di Lorenzo Necci, amministratore
straordinario delle Ferrovie arrestato in quell'anno. Evidentemente
esiste una vastissima framassoneria di politici, di ex politici, di
amministratori, di ex amministratori, di finanzieri, di imprenditori, di
brasseur d'affaires, uomini che si fiutano, si riconoscono, si
cooptano, si autotutelano per combinare insieme affari sporchi
ultramilionari. Il che ha dei riflessi sul cittadino comune che, di
fronte a questo mulinar di denaro criminale si dice: «Ma proprio io devo
far la parte del cretino e ostinarmi a rimanere onesto?». Per rimanere
onesti in Italia bisogna essere dei frati trappisti. Perché una
differenza con la vecchia Tangentopoli c'è. Allora la gente scese in
strada colma di indignazione. Oggi non si muove foglia. In parte siamo
diventati, a nostra volta, dei disonesti, in parte ci siamo
mitridatizzati e consideriamo la corruzione, anche la più sfacciata e
macroscopica, un fatto normale, banale, che fa parte nostra vita.
Pubblica e privata.
Massimo Fini (Il Gazzettino, 16 maggio 2014)
LA RABBIA E LA PAURA
Beppe Grillo è andato da Bruno Vespa con
un’apparente contraddizione. Come condottiero della protesta più
scatenata e più ostile a tutto il resto della politica italiana: “O noi o
loro”. Ma anche con la faccia del leader in grado di governare la
“rabbia buona” e per dimostrare “alla gente di una certa età che ha un
pregiudizio su di me” di non essere “né Hitler né Stalin”. È riuscito a
tenere insieme incazzatura e senso di responsabilità? Diciamo subito che
ha fatto il pieno di ascolti, ma che nei quattro milioni e
duecentosettantamila spettatori non c’erano solo fan del M5S o anziani
da rassicurare, oppure gente incuriosita da un evento spettacolare (il
comico più dissacrante a cospetto dell’anchorman più istituzionale,
comunque incalzante), perché davanti alla tv c’erano soprattutto
elettori ancora incerti che hanno aspettato lunedì sera per decidere sul
da farsi. Quanti di questi Grillo ne avrà portati dalla sua parte lo
capiremo solo la notte del 25 maggio, ma certamente ha fatto breccia ciò
che gli viene di più rimproverato, e cioè l’insofferenza urlante verso
chi ha ridotto l’Italia allo stremo: istituzioni , ministri, banchieri,
corrotti e bancarottieri, sì tutti nello stesso mazzo perché la collera
non fa distinzioni.
Chi parla di mal di pancia fa finta di
non capire cosa bolle nella profondità di una nazione, in quegli strati
sociali massacrati dalla crisi che non credono più a una parola della
politica tradizionale o nei compromessi: o noi o loro, appunto. Quel
rancore rappresenta il propellente di un movimento che alle ultime
elezioni ha raccolto quasi nove milioni di voti e non ha tutti i torti
il capo a dire che, senza il frangiflutti grillino, la protesta avrebbe
potuto esondare in una violenza di massa. Poi ci sono quelli che pensano
di votare Grillo per dare un ultimo segnale all’immobilismo delle
classi dirigenti, ma che lo faranno nel segreto dell’urna perché sotto
sotto sentono che esiste un rischio nel lasciare troppo spazio a un
fenomeno incontrollabile. È la paura su cui punta Renzi, convinto che il
limite dei Cinque Stelle sia nella loro stessa forza dirompente che non
ha altro programma di governo se non la conquista stessa del governo.
Il premier sa benissimo che la sua vittoria è affidata al timore
dell’avventura e dell’ignoto che suscita l’avversario, più che agli 80
euro o agli annunci di mirabolanti riforme. La rabbia e la paura: mai
elezioni furono più emotive.
Antonio Padellaro (Il Fatto Quotidiano - Jack's Blog - - 21 maggio 2014)
lunedì 19 maggio 2014
Legge elettorale, il viceministro Nencini: ‘Italicum nato per mettere fuori gioco M5S’
“L’Italicum è stato concepito per mettere fuori gioco Beppe Grillo“.
Obiettivo il bipolarismo e tenere fuori dall’influenza del governo il
terzo partito. Lo dice apertamente il viceministro alle Infrastrutture e
ai trasporti Riccardo Nencini intervenendo ad Agora su
Rai 3. Parla di una riforma della legge elettorale debole e incapace di
raggiungere lo scopo, ma che soprattutto rischia di non sopravvivere al
risultato delle prossime Europee. “L’Italicum era stato concepito per
mettere fuori gioco Grillo e per ridurre a due i partiti, centrodestra
contro centrosinistra, con una proposta di legge che però era troppo
debole per raggiungere questo obiettivo. L’Italicum nasce per mettere
fuori gioco il terzo partito e impostare un bipolarismo europeo. Se
Grillo diventa il secondo partito alle Europee l’Italicum cade“.
A inizio aprile l’aveva dichiarato l’ex ministro della difesa Mario Mauro:
“Questa legge non è vero che è contro i piccoli partiti”, aveva detto a
“Porta a porta” a fine gennaio, “è una legge per fare fuori un grande
partito: il Movimento 5 stelle”. E su Rai 3 lo conferma oggi anche Clemente Mastella (Forza
Italia): “Il 25 maggio segnerà lo spartiacque della politica italiana,
ed è ovvio che, laddove Grillo prenderà molti voti, l’Italicum è
completamente fregato, cioè bisogna cambiare i meccanismi. Tutto sommato
Grillo può arrivare anche al 25-30 per cento – ha aggiunto Mastella –
però rimane una minoranza sostanziosa. Certamente, non è la maggioranza
del Paese”.
Così la riforma della legge elettorale, figlia del patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi, appena cominciata, rischia di essere già finita. Dai toni trionfali delle prime cronache, ora i ritardi. Dopo l’approvazione sul filo del rasoio alla Camera è stata rimandata la discussione al Senato dopo le elezioni Europee. E mentre il ministro per le riforme Maria Elena Boschi
assicura: “Approvazione entro l’estate”, i risultati del voto per
Bruxelles rischiano di cambiare le carte sul tavolo. Anche per le
richieste che potrebbero arrivare dallo stesso ex Cavaliere: il tonfo
alle urne lo porterà a nuove modifiche per evitare di essere spazzato
via.
La riforma per garantire la governabilità, con il leit motiv del Partito democratico,
rischia di portare però ad un risultato inaspettato nel caso in cui il
Movimento 5 stelle ottenesse molti voti alle prossime Europee. Lo sa
bene il leader Grillo: “L’Italicum”, aveva detto a inizio maggio in un
comizio a Bari, “l’hanno fatto per non far partecipare noi alla gara
delle elezioni. Ma hanno fatto una legge talmente del ‘ca…’che se l’applicassero vinciamo noi”. Il deputato Pd Pippo Civati addirittura dal palco di Bologna l’ha chiamata “Pizzarottum”:
“L’Italicum non funziona più, perché, fatti due conti ci si è accorti
che è diventato un Pizzarottum”, aveva ironizzato sulla legge elettorale
mettendola in relazione con l’esito delle elezioni amministrative di
due anni fa: un ballottaggio fra centrosinistra e Movimento 5 Stelle che
alla fine ha visto prevalere il candidato sostenuto da Beppe Grillo,
ovvero l’attuale sindaco di Parma. Si era detto che la riforma
elettorale e quella del Senato sarebbero state approvate entro il 25
maggio. E’ chiaro che era una forzatura. Io spero che dopo le Europee ci
siano le condizioni per riprendere il percorso che mi pare sia in
grande difficoltà, soprattutto per l’Italicum: lo hanno votato quasi tutti, ma non piace a nessuno“.
Redazione Il Fatto Quotidiano | 19 maggio 2014
Jesus Christ Superstar, un Cristo hippy come la 'grande Olanda' di quei tempi
Da ieri al Sistina si ridà per l'ennesima volta Jesus Christ Superstar.
Io lo vidi a Londra nel 1972 in un teatro del West End prima che nel
1973 se ne facesse un film che gli diede fama internazionale. Ma a
teatro è meglio perché è più essenziale. Eravamo un gruppo di ragazzi e
ragazze a Londra per perfezionare il nostro inglese. Jesus era in scena
da tre giorni. Prendemmo i biglietti e andammo. Allora era tutto più
semplice, oggi per un concerto di Zucchero devi prenotarti sei mesi
prima.
Jesus Christ Superstar è la più perfetta opera hippy. Non a caso è coeva alla 'grande Olanda' dei Neeskens, dei Cruijff, dei Krol, l'Olanda del 'calcio totale', che non ha nulla a che vedere con l'andirvieni monotono e scontato dei terzini di oggi, dove i giocatori facevano tutti i ruoli, il portiere Jongbloed, un pazzo, stava costantemente nel cerchio di centrocampo, e giocavano per divertirsi, dentro e fuori del campo e in ritiro portavano le mogli e le fidanzate, cosa proibitissima allora. L'Olanda hippy appunto. Che perse due finali mondiali perché le giocò sul campo dei padroni di casa nel 1974 con la Germania, che perlomeno era una grande Germania, con Beckenbauer e Breitner, e con gli assassini dell'Argentina che falciarono subito Neeskens che dovette giocare tutta la partita col braccio al collo (ah, quel palo di Resenbrink all'ultimo minuto, dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, che Dio non esiste, il che ha qualcosa a che vedere con Jesus Christ Superstar). Il movimento hippy era nato in realtà negli anni Sessanta ma trovò le sue migliori espressioni, Jesus Christ appunto e il calcio olandese, quando ormai era finito ed imperversavano i sessantottini e postsessantottini che sbandieravano Marcuse senza averlo letto nè tantomeno capito (per questi imbecilli Adorno e Horkheimer erano già troppo).
Il Cristo di Jesus è un borderline, uno che delira, che crede veramente di essere figlio di Dio. Memorabile è la scena in cui Ponzio Pilato, in tunica rossa, infligge, su un parterre a scacchi blu e rossi che somiglia a un flipper, le famose 39 frustate a Cristo, che si è spogliato della veste bianca, perché la smetta di dire che è figlio di Dio. Pilato in realtà vuole salvarlo perché il mob, alias gli ebrei, ne pretende la crocefissione per questa blasfemia. Sullo sfondo ballano ragazzi inglesi, capelli lunghi, tipo Beatles. E' il coro greco in versione moderna. Ma Cristo Superstar non può rinnegare se stesso. Alla fine Pilato gli dice «You are foolish Jesus Christ. How can I help you?» se sei così testardo, non ti rendi conto che la tua vita è nelle mie mani? «You have nothing in your hands. Everything is fixed and you can't change it». Cosa che farà dire a Giuda, in un passaggio precedente, quando si impicca: «Se ogni cosa è già stata stabilita allora tu Cristo, se sei veramente il figlio di Dio, sei il mio assassino (you have murdered me)». Ma Cristo non è il figlio di Dio. E' solo uno che crede, da folle, di esserlo. E questo rende ancora più commovente il passo del Vangelo quando Cristo, inchiodato sulla croce, dubita, umanamente dubita: «Padre, padre. Perché mi hai abbandonato?».
Jesus Christ Superstar fa piazza pulita di tutti i luoghi comuni della Chiesa cattolica, del suo insopportabile senso di colpa -Giuda (il bello del senso di colpa è che la pena ricade sempre sulla testa degli altri) dà agli ebrei la parte di fanatici che ebbero in quell'occasione, restituisce a Pilato il ruolo, degno, che ebbe e soprattutto all'uomo, impersonato da Jesus Christ, la sua umanità.
Jesus Christ Superstar è la più perfetta opera hippy. Non a caso è coeva alla 'grande Olanda' dei Neeskens, dei Cruijff, dei Krol, l'Olanda del 'calcio totale', che non ha nulla a che vedere con l'andirvieni monotono e scontato dei terzini di oggi, dove i giocatori facevano tutti i ruoli, il portiere Jongbloed, un pazzo, stava costantemente nel cerchio di centrocampo, e giocavano per divertirsi, dentro e fuori del campo e in ritiro portavano le mogli e le fidanzate, cosa proibitissima allora. L'Olanda hippy appunto. Che perse due finali mondiali perché le giocò sul campo dei padroni di casa nel 1974 con la Germania, che perlomeno era una grande Germania, con Beckenbauer e Breitner, e con gli assassini dell'Argentina che falciarono subito Neeskens che dovette giocare tutta la partita col braccio al collo (ah, quel palo di Resenbrink all'ultimo minuto, dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, che Dio non esiste, il che ha qualcosa a che vedere con Jesus Christ Superstar). Il movimento hippy era nato in realtà negli anni Sessanta ma trovò le sue migliori espressioni, Jesus Christ appunto e il calcio olandese, quando ormai era finito ed imperversavano i sessantottini e postsessantottini che sbandieravano Marcuse senza averlo letto nè tantomeno capito (per questi imbecilli Adorno e Horkheimer erano già troppo).
Il Cristo di Jesus è un borderline, uno che delira, che crede veramente di essere figlio di Dio. Memorabile è la scena in cui Ponzio Pilato, in tunica rossa, infligge, su un parterre a scacchi blu e rossi che somiglia a un flipper, le famose 39 frustate a Cristo, che si è spogliato della veste bianca, perché la smetta di dire che è figlio di Dio. Pilato in realtà vuole salvarlo perché il mob, alias gli ebrei, ne pretende la crocefissione per questa blasfemia. Sullo sfondo ballano ragazzi inglesi, capelli lunghi, tipo Beatles. E' il coro greco in versione moderna. Ma Cristo Superstar non può rinnegare se stesso. Alla fine Pilato gli dice «You are foolish Jesus Christ. How can I help you?» se sei così testardo, non ti rendi conto che la tua vita è nelle mie mani? «You have nothing in your hands. Everything is fixed and you can't change it». Cosa che farà dire a Giuda, in un passaggio precedente, quando si impicca: «Se ogni cosa è già stata stabilita allora tu Cristo, se sei veramente il figlio di Dio, sei il mio assassino (you have murdered me)». Ma Cristo non è il figlio di Dio. E' solo uno che crede, da folle, di esserlo. E questo rende ancora più commovente il passo del Vangelo quando Cristo, inchiodato sulla croce, dubita, umanamente dubita: «Padre, padre. Perché mi hai abbandonato?».
Jesus Christ Superstar fa piazza pulita di tutti i luoghi comuni della Chiesa cattolica, del suo insopportabile senso di colpa -Giuda (il bello del senso di colpa è che la pena ricade sempre sulla testa degli altri) dà agli ebrei la parte di fanatici che ebbero in quell'occasione, restituisce a Pilato il ruolo, degno, che ebbe e soprattutto all'uomo, impersonato da Jesus Christ, la sua umanità.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 19 aprile 2014)
venerdì 16 maggio 2014
L’INSOPPORTABILE TRUFFA DEI TALK-SHOW TELEVISIVI
I talk-show: letteralmente, lo spettacolo della
conversazione. E tuttavia di conversazione ce n’è pochissima: lo scopo
dei cosiddetti ospiti è far fare una figura barbina agli altri, ognuno
cercando di dimostrarsi più bravo, più spiritoso, più autorevole. E
siccome, in queste trasmissioni, gli ospiti sono sempre tantissimi, il
risultato è una rissa permanente, fatta di persone che si interrompono,
si parlano addosso, qualche volta si insultano, sempre si deridono. Se
poi si tratta di politici, il pronome io è quasi sempre sostituito dal
pronome noi; quasi che una stupidaggine condivisa da molte persone (il
partito, la corrente, il Parlamento, il governo, la giunta, etc. etc.)
cessi di essere una stupidaggine. Tra questa gente, l’intellettuale, la
persona colta, colui che sa e ha informazioni da condividere, è messo
nell’impossibilità di intervenire. Non solo perché tutti gli altri lo
soverchiano con il loro schiamazzo; ma anche perché lo stesso conduttore
mal tollera un’argomentazione che superi i 2, 3 minuti. Sicché quando
non sono gli altri a interrompere, è lui stesso a sollecitare un
intervento pur che sia.
E poiché, come ho detto, lo scopo dei partecipanti allo show non è
quello di dibattere ma quello di apparire o, quantomeno, oscurare gli
altri, il risultato è un cicaleccio assordante, privo di significato e
molto irritante. Queste riflessioni si ripresentano puntuali ogni volta
che, per via del mestiere che faccio adesso, mi forzo ad assistere a uno
di questi show. E sempre mi chiedo se l’assurdità che mi stanno
propinando tale sembri a così poche persone.
Mi chiedo cioè come sia possibile che la cosiddetta audience
raggiunga misure tanto elevate; che gli spettatori siano davvero
interessati a queste esibizioni di superficialità e aggressività. La
risposta me l’ha fornita un libro fantastico che, molto colpevolmente,
non avevo ancora letto: La civiltà dello spettacolo di Mario
Vargas Llosa. Secondo questo premio Nobel (l’attributo infastidirà i
molti che non sono disposti a riconoscere le gerarchie intellettuali) il
problema sta nel fatto che la cultura è stata mercificata.
Nell’organizzazione sociale odierna (appunto la civiltà dello
spettacolo) la cultura è assoggettata all’industria del divertimento:
deve intrattenere, distrarre, illudere. Esattamente il contrario di
quanto faceva prima che la maggioranza delle persone cominciasse a
detestare di pensare. È per questo che parlare alla pancia della gente è
molto più produttivo di consenso che parlare alle loro teste. Ed è per
questo che chi propone banalità ossessivamente ripetute e progetti
miracolistici garantisce alla tv commerciale (per tornare da dove sono
partito) ascolti assai più alti rispetto a chi illustra realtà spesso
poco piacevoli e che possono anche non avere soluzioni positive.
Insomma, i talk-show sono una truffa:
promettono un approfondimento che è – in realtà – una mistificazione. E
sono anche pericolosi: perché chi li segue ne esce convinto di sapere.
Vargas Llosa racconta di una persona di questo genere: un tassista
peruviano ammiratore del dittatore Fujimori, gran brava persona che
“aveva rubato solo il giusto”. Quando i difensori dei molti ladroni che
funestano il nostro Paese troveranno impossibile sostenere che questi
loro amici non hanno rubato, forse ricorreranno all’argomentazione del
tassista. E, nel mezzo di un talk show ben confezionato, la cosa
sembrerà plausibile.
Bruno Tinti (Jack's Blog - Il Fatto Quotidiano - 16 maggio 2014)
giovedì 15 maggio 2014
International Family Equality Day: 4 maggio 2014 - A Firenze la festa delle famiglie 'diverse'
E se invece di pensare la famiglia come modello statico si cominciasse a immaginarla in modo dinamico, come arcipelago di mondi, di modi diversi di amarsi e crescere insieme? Connessi e vicini, ma ognuno con caratteristiche uniche. Un nido di affetti capace di custodirli e generarli, certo, con genitori, figli e magari qualche animale domestico, ma senza sottomettersi al dogma degli standard. In poche parole, non sono famiglie anche quelle con un solo genitore, magari vedovo? O una coppia di persone con un animale cui dedicarsi? O due genitori separati o divorziati ma che continuano insieme a tirare su la prole? E genitori e figli adottivi dove li mettiamo? E i genitori con figli nati con tecniche di riproduzione assistita? Le declinazioni degli affetti e dei progetti sono moltissime, forse infinite, e comprendono anche le famiglie omogenitoriali, ossia formate da due donne o due uomini e i loro figli, siano essi nati da progetto condiviso, con tecniche di fecondazione assistita, oppure provenienti da precedente famiglia eterosessuale. Ecco il perché dello scendere in piazza, domenica 4 maggio a Firenze, insieme ai genitori "arcobaleno", riuniti da ogni parte dello stivale per sfilare coi loro bambini per le vie della città e raccontare, con la loro sola presenza, un modo nuovo di essere felici e di rendere felici i "nuovi" bambini (tratto da un articolo ANSA di Eugenia Romanelli - https://www.ansa.it/web/notizie/canali/inviaggio/news/2014/04/30/a-firenze-la-festa-delle-famiglie-diverse_31a34aa7-4fc2-48f6-9b70-323966e3bac3.html).