Signor Presidente, quando uno dei suoi migliori predecessori, Sandro
Pertini, fu eletto capo dello Stato nel 1978, Indro Montanelli gli inviò
il seguente telegramma: “Che Dio le conceda il coraggio, Presidente, di
fare le cose che si possono e si debbono fare; l’umiltà di rinunziare a
quelle che si possono ma non si debbono, e a quelle che si debbono ma
non si possono fare; e la saggezza di distinguere sempre le une dalle
altre”. È un vero peccato che Montanelli, essendo scomparso nel 2001,
non abbia potuto inviarlo anche a lei quando fu eletto nel 2006 e
rieletto nel 2013. Le sarebbe senz’altro servito a evitare un sacco di
errori, abusi di potere e deragliamenti dai confini fissati dalla
Costituzione, che invece hanno costellato l’intero suo settennato e
anche il post-scriptum degli ultimi 20 mesi. Manca lo spazio per
riassumerli tutti: li troverà, nel caso in cui le servisse un ripasso,
nel libro Viva il Re!
uscito un anno fa. Qui ci limitiamo a quelli del suo secondo mandato,
che da soli bastano e avanzano a fare di lei il peggior presidente della
storia della Repubblica.
A termine e a condizione. Lei, il 20 aprile 2013,
quando smentì ciò che aveva ripetutamente giurato agli italiani e
accettò la rielezione al Colle su richiesta delle cancellerie europee,
di Mario Draghi, del governatore di Bankitalia Ignazio Visco, ma
soprattutto dei vecchi partiti (terrorizzati dalla candidatura di
Stefano Rodotà, che avrebbe impedito la riedizione delle larghe intese
Pd-Berlusconi, già peraltro bocciate dagli elettori due mesi prima),
annunciò subito che il suo secondo mandato sarebbe stato “di scopo”,
limitato a misteriosi “termini entro i quali ho ritenuto di poter
accogliere in assoluta limpidezza l’invito ad assumere ancora l’incarico
di presidente”. Sarebbe così gentile da indicarci quale articolo della
Costituzione prevede l’elezione condizionata e temporanea del capo dello
Stato, visto che l’articolo 85 stabilisce in assoluta limpidezza che
“il presidente della Repubblica è eletto per sette anni”?
L’abbraccio allo Statista. In quei giorni il Corriere
scrisse che – per indurla ad accettare il bis – “decisivo sarebbe stato
il colloquio tra Napolitano e Berlusconi. Il presidente avrebbe dato
atto all’ex premier di avere avuto, in questa difficile fase, un
‘comportamento da statista’. Prima del congedo, fra i due vi sarebbe
stato un lungo, caloroso abbraccio, talmente toccante da suscitare
emozione nel portavoce di Napolitano, Pasquale Cascella”. Dal Quirinale,
nessuna smentita. Davvero, Presidente, bastava un sì alla sua
rielezione per trasformare un pluriprescritto per reati gravissimi,
plurimputato per concussione e prostituzione minorile e per corruzione
di senatori, nonchè condannato in appello per frode fiscale, in un
insigne “statista”?
La Repubblica di Falò. Il 22 aprile 2013, mentre lei
preparava il suo discorso di reinsediamento, i giudici di Palermo erano
costretti da un’inaudita sentenza della Corte costituzionale a
distruggere i cd-rom contenenti le quattro conversazioni legittimamente
intercettate sui telefoni di Nicola Mancino, coinvolto nelle indagini
sulla trattativa Stato-mafia. Vuole spiegarci, una volta per tutte, cosa
contenevano di tanto imbarazzante per lei quelle telefonate, al punto
da spingerla a sollevare un inaudito conflitto di attribuzioni con la
Procura di Palermo per sottrarre ai cittadini un fondamentale elemento
di conoscenza su un capitolo così buio della storia d’Italia?
Il Discorso del Re. Lo stesso 22 aprile 2013, nel
pomeriggio, lei si affacciò alle Camere riunite per un discorso
programmatico del tutto sconosciuto alla Costituzione e alle democrazie
parlamentari, tipico dei discorsi della Corona e dei capi delle
repubbliche presidenziali. Dopo aver giustificato il suo bis con la
favola del “drammatico allarme” per l’“impotenza” del Parlamento a
eleggere il suo successore (si era votato per appena due giorni, mentre
in passato i tentativi a vuoto per l’elezione del Presidente erano
durati anche 12 giorni), lei intimò al Parlamento di “riformare la
seconda parte della Costituzione” in base ai “documenti dei due gruppi
di lavoro da me istituiti il 30 marzo” (i famosi “saggi” nominati al di
fuori del Parlamento, non si sa bene con quale legittimità democratica).
A che titolo lo fece, visto che aveva appena giurato per la seconda
volta di difendere la Costituzione, non certo di rottamarla? Non
contento, lei minacciò il Parlamento che l’aveva appena rieletta e il
governo che lei stava per formare: “Ho il dovere di essere franco: se mi
troverò di nuovo dinanzi a sordità come quelle contro cui ho cozzato
nel passato, non esiterò a trarne le conseguenze dinanzi al Paese…
Eserciterò le funzioni fino a quando la situazione del Paese e delle
istituzioni me lo suggerirà e comunque le forze me lo consentiranno”.
Cioè: se e finchè fate come voglio io, resto e vi salvo dai guai; se mi
disobbedite, me ne vado e vi lascio nelle peste. Si è mai reso conto che
questo si chiama ricatto a due poteri dello Stato – il legislativo e
l’esecutivo – che da quel momento non sono stati più liberi né sovrani
di operare, sotto la spada di Damocle della sua minaccia?
Il Governo del Presidente. Incurante del popolo
sovrano che appena due mesi prima aveva platealmente bocciato le larghe
intese (e dell’impegno preso da Pd e Pdl con i rispettivi elettori di
non governare mai più insieme), lei aggiunse di aver accettato la
rielezione per propiziare un governo di “convergenza fra forze politiche
diverse”. Ma non tutte: solo quelle dell’“appello rivoltomi due giorni
orsono”. Cioè dei partiti che le avevano chiesto il bis (Pd, Pdl, Centro
montiano, Lega Nord). Esclusi dunque i 5Stelle, Sel e Fratelli
d’Italia. S’è mai reso conto che il capo dello Stato, durando in carica 7
anni e avendo il potere di nominare il capo del governo e i ministri
(che durano in carica al massimo 5 anni), non può subordinare la sua
elezione al crearsi di questa o quella maggioranza governativa? Appena
due giorni dopo, lei incaricò Enrico Letta, scelto da Silvio Berlusconi
in persona, cioè da colui che aveva perso sonoramente le elezioni con
6,5 milioni di voti in meno. E fece subito capire chi era il vero
premier, imponendo al Letta travicello cinque suoi fedelissimi in
altrettanti ministeri-chiave: Saccomanni all’Economia, Bonino agli
Esteri, Cancellieri alla Giustizia, Giovannini al Lavoro, Quagliariello
alle Riforme. Conosce qualche precedente simile, nella storia delle
democrazie perlamentari?
Saggi su saggi. Il 29 maggio il governo Letta, in
accordo con lei, nominò altri 35 “saggi” extraparlamentari, quasi tutti
di stretta obbedienza quirinalesca, per scrivere le riforme
costituzionali da approvare – assicurò il premier – in Parlamento “entro
18 mesi” per “dare immediato seguito all’impegno preso nel momento in
cui si è chiesto a Napolitano di essere rieletto”. E, per abbreviare i
tempi, partorì un ddl costituzionale che stravolgeva tempi e modi
dell’articolo 138 della Costituzione, quello che regola le riforme
costituzionali, e apriva la strada a ogni possibile scassinamento della
Carta a tappe forzate. Il 1° giugno lei diede a governo e Parlamento un
anno per varare le riforme che le garbavano: “Di qui al 2 giugno del
prossimo anno l’Italia dovrà essersi data una prospettiva nuova”, anche
perchè l’esecutivo “è una scelta eccezionale e senza dubbio a termine”.
Come lui. Il 5 giugno Barbara Spinelli criticò sul Fatto l’ennesima sua
interferenza nel potere esecutivo e legislativo, e lei si autosmentì,
definendo “ridicolo falso” la notizia che lei avesse “posto un termine
al governo”. Poi il 6 giugno, non si sa a che titolo, ricevette i nuovi
saggi ricostituenti col ministro Quagliariello, per giunta a porte
chiuse. Può dirci quali articoli della Costituzione le consentivano
quelle invasioni di campo?
Un condannato al Quirinale. Il 24 giugno Berlusconi
fu condannato a 7 anni dal Tribunale di Milano per concussione e
prostituzione minorile e sparò a palle incatenate sulla magistratura,
paragonata a un “plotone di esecuzione”. Due giorni dopo lei invitò e
ricevette il neocondannato “per un ampio scambio di opinioni sul momento
politico e istituzionale”. Tutto normale, Presidente?
Cicciobomba cannoniere. Il 29 giugno Camera e Senato
approvarono una mozione Sel-M5S che impegnava il governo a sospendere
l’acquisto di cacciabombardieri F-35 dall’americana Lockheed fino al
termine di un’indagine conoscitiva del Parlamento sui costi e la
sicurezza dei velivoli. Lei, furibondo, il 3 luglio riunì il Consiglio
Supremo di Difesa ed esautorò il potere legislativo: “La facoltà del
Parlamento non può tradursi in un diritto di veto su decisioni che…
rientrano tra le responsabilità costituzionali dell’esecutivo”. Se n’è
mai pentito?
Dissidente deportata, Alfano salvato. Il 16 luglio
il ministro dell’Interno Angelino Alfano lesse in Parlamento una
relazione piena di bugie sul rapimento in Italia e la deportazione in
Kazakhstan di Alma Shalabayeva – moglie di un dissidente kazako – e
della figlioletta Alua a opera della polizia e dei vertici del
Vi-minale. I 5Stelle e Sel presentarono una mozione di sfiducia
individuale contro di lui. Il Pd di Epifani, su pressione di Matteo
Renzi, chiese le sue dimissioni, ma poi fece marcia indietro quando lei
monitò: “È assai delicato e azzardato invocare responsabilità oggettive
per dei ministri”. Presidente, s’è poi accorto dell’articolo 95 della
Costituzione: “I ministri sono responsabili… individualmente degli atti
dei loro dicasteri”?
Troppa grazia, San Giorgio. Il 1° agosto 2013 la
sezione feriale della Cassazione presieduta da Antonio Esposito emise la
sentenza definitiva del processo Mediaset: B. condannato a 4 anni per
frode fiscale. Mentre il Caimano tuonava contro i giudici in un
video-messaggio eversivo, lei monitò dalla Val Fiscalina un incredibile
elogio per il “clima più rispettoso e disteso” che aveva accompagnato il
verdetto e auspicò “che possano ora aprirsi condizioni più favorevoli”
per la riforma della giustizia. I berluscones chiesero a gran voce la
grazia presidenziale per il capo. Lei, il 2 agosto, non la escluse,
anzi: “C’è la legge a stabilire quali sono i soggetti titolati a
presentare la domanda di grazia”. Poi ebbe una lunga conversazione
telefonica col neopregiudicato. Bondi, Cicchitto e Santanchè intanto le
rammentavano i protocolli segreti della sua rielezione e delle larghe
intese: “pacificazione”, cioè grazia. Il 5 agosto, di ritorno dalle
ferie, lei ricevette i capigruppo Pdl Brunetta e Schifani venuti a
chiederle la grazia e promise di “esaminare con attenzione tutti gli
aspetti delle questioni prospettate”. Csm e Pg della Cassazione
avviarono col suo consenso un procedimento disciplinare e una pratica di
trasferimento per il giudice Esposito, imputandogli un’intervista a Il
Mattino e ignorando che era stata manipolata per inserirvi riferimenti
alla sentenza su B., mai pronunciati dal magistrato. Il 13 agosto lei
diramò una lunga nota in cui spiegava a B. che fare per ottenere la
grazia: “presentare una domanda”; accontentarsi di una grazia sulla
“pena principale” (quella detentiva e non quella accessoria
dell’interdizione dai pubblici uffici); “prendere atto” della sentenza e
rispettare i giudici, anche se è “comprensibile” il “turbamento e la
preoccupazione per la condanna a una pena detentiva di personalità che
ha guidato il governo… leader incontrastato di una formazione politica
di innegabile importanza”; sostenere lealmente il governo. Ripensandoci,
non trova incredibile che lei, appena 12 giorni dopo una sentenza,
abbia speso tanto tempo e tante parole per far balenare una grazia
incostituzionale a un politico condannato per un delitto così grave e
ancora imputato in altri processi?
Lodo Napolitano-Violante. A settembre la giunta per
le elezioni del Senato iniziò a discutere della decadenza del condannato
B., prevista in automatico dalla legge Severino. Ma ecco farsi avanti
un plotoncino di giuristi legatissimi al Quirinale e capitanati dal
“saggio” Luciano Violante che invocavano uno stop in attesa che la
Consulta e le Corti europee si pronunciassero sulla legittimità della
Severino e della sentenza della Cassazione, per salvare il seggio al
neopregiudicato che ricattava tutti minacciando il governo. Lei fece
sapere di aver “letto con attenzione e apprezzamento” il “lodo Violante”
(poi fortunatamente ignorato dalla maggioranza in Senato). Presidente,
s’è mai vergognato di quell’ennesima interferenza? E, già che ci siamo:
intervistato da Bruno Vespa per il suo ultimo libro, il ministro Alfano
ha rivelato che lei, in un incontro a quattr’occhi nel settembre 2013,
si disse “pronto a concedere la grazia”, anche motu proprio (cioè senza
domanda), se B. si fosse dimesso da senatore prima che il Senato votasse
la sua decadenza e, per soprammercato, a lanciare un appello al
Parlamento per un provvedimento di amnistia e indulto (cosa che fece l’8
ottobre, fortunatamente inascoltato). Lei non ha mai smentito. Sono
dunque ridicole panzane quelle che lei ha poi raccontato il 20 ottobre
2013, quando definì “ridicole panzane” le notizie sulla sua promessa di
grazia a B.?
Testimone obtorto Colle. Da quando, il 17 ottobre
2013, la Corte d’Assise di Palermo la convocò come teste nel processo
Trattativa, lei fece il possibile e l’impossibile per sottrarsi al suo
dovere di testimoniare, sostenendo di non aver “alcuna conoscenza utile
da riferire” su quanto le scrisse il suo consigliere Loris D’Ambrosio
(poi scomparso) su confidenze fattele a proposito di “indicibili
accordi” fra Stato e mafia. Perchè allora quando il 28 ottobre 2014 si
decise finalmente a testimoniare, parlò per più di tre ore, rivelando
importanti fatti che aveva taciuto per vent’anni (il progetto di
attentato mafioso contro di lei e Spadolini nel luglio ’93; il timore di
un “colpo di Stato”; la consapevolezza dei vertici dello Stato che le
bombe mafiose fossero finalizzate a ricattare il governo Ciampi per
ottenere l’alleggerimento del 41-bis)?
Nessuno tocchi Nonna Pina. Nel novembre 2013 finì
nei guai la ministra della Giustizia Cancellieri, indirettamente
intercettata sui telefoni della famiglia Ligresti mentre solidarizzava
con gli amici imprenditori plurinquisiti per il crac della Fonsai (di
cui era manager il figlio), si metteva a loro disposizione, brigava per
fare scarcerare Giulia Ligresti e si abbandonava a dure critiche ai
magistrati. Dinanzi alla mozione di sfiducia di M5S e Sel e alla
richiesta di dimissioni avanzata anche da Renzi, lei tornò a
interferire, ricevendo la ministra e auspicando “l’ulteriore pieno
sviluppo dell’azione di governo da lei avviata”. Letta telefonò a Renzi:
“Ho sentito il presidente della Repubblica, ti chiediamo di ritirare la
tua richiesta”. E l’indecente ministra si salvò, come Alfano. Signor
Presidente, che cos’è per lei il Parlamento?
Parlamento abusivo, dunque è ok. Il 4 dicembre 2013
la Consulta cancellò il Porcellum, giudicandolo illegittimo sia per
l’abnorme premio di maggioranza al partito o alla coalizione più votati,
sia per le liste bloccate che “alterano per l’intero complesso dei
parlamentari il rapporto di rappresentanza fra elettori ed eletti…
coartano la libertà di scelta degli elettori… contraddicono il principio
democratico, incidendo sulla stessa libertà del voto”. E così
delegittimò in radice l’attuale Parlamento eletto con quella legge, il
presidente della Repubblica e il governo da esso espressi, nonché la
maggioranza che non esisterebbe senza il premio abnorme ora cassato. Ce
n’era abbastanza per mettere subito in cantiere una riforma elettorale
purchessia (semprechè non si condividesse quella disegnata dalla Corte
depurando il Porcellum dai suoi profili incostituzionali: il
proporzionale puro con preferenza unica, simile alla legge elettorale
con cui si votò nel 1992) e poi sciogliere le Camere infette e
restituire rapidamente la parola agli elettori, cioè al popolo sovrano.
Lei invece, il 5 dicembre, prim’ancora che la Corte depositasse le
motivazioni della sentenza, se ne infischiò: decise che “questo
Parlamento è legittimo” e gli dettò un programma per l’intera
legislatura: “riforma elettorale che superi il sistema proporzionale” e
“modifiche costituzionali almeno per il numero dei parlamentari e per il
bicameralismo perfetto”. Ma come si permise il presunto “garante della
Costituzione” di imporre a un Parlamento appena dichiarato
antidemocratico e abusivo dalla Consulta di restare in piedi sino a fine
legislatura, e addirittura di modificare la Costituzione e la legge
elettorale, dandogli per giunta precise indicazioni sui modelli da
seguire?
Un anno vissuto indecorosamente. Il 2014, che sta
sta per concludersi, è stato l’anno di Matteo Renzi. Che il 18 gennaio
siglò, con la benedizione del Colle, il Patto del Nazareno con B. per
farlo rientrare dalla finestra dopo che era uscito dalla porta a fine
novembre, abbandonando il governo Letta all’indomani della sua decadenza
da senatore. Il giovane e spregiudicato segretario del Pd, a metà
febbraio, defenestrò Enrico Letta per prenderne il posto e il 22
febbraio giurò nelle mani di un Napolitano inizialmente contrariato, poi
sempre più rassegnato, infine addirittura complice. Lei comunque,
Presidente, non rinunziò a mettere le mani nella lista dei ministri: non
per escluderne gli impresentabili , ma per cancellare dalla casella
della Giustizia l’elemento migliore della lista renziana: il pm
anti-’ndrangheta Nicola Gratteri, cassato in nome di un’inesistente
“regola non scritta” che escluderebbe a priori i magistrati dalla carica
di Guardasigilli (e allora perchè lei, nel 2010, nominò a
quell’incarico il magistrato forzista Francesco Nitto Palma, nel terzo
governo B.?). Con Renzi a Palazzo Chigi, i suoi moniti ed esternazioni
si sono fatti più radi, ma non per questo meno discutibili o indecenti
(almeno quanto certi suoi silenzi).
Presidente, non conosceva proprio un giurista meno compromesso con l’Ancien Regime
e in conflitto d’interesse di Giuliano Amato da nominare alla Consulta?
Sicuro di aver detto tutta la verità sulla nascita del governo Monti
nel novembre 2011, alla luce delle rivelazioni di Alan Friedman sui suoi
abboccamenti col Professore fin dall’aprile di quell’anno?
Perché lei ha smesso di sferzare il Parlamento affinché elegga il
quindicesimo giudice costituzionale, lasciando la poltrona vacante ormai
da sei mesi?
Anziché telefonare un giorno sì e l’altro pure ai due marò imputati
in India di un duplice omicidio ed elevarli a eroi nazionali, perché non
ha mai trovato il tempo e le parole per esprimere la solidarietà e la
vicinanza dello Stato al pm Nino Di Matteo, condannato a morte da Cosa
Nostra (con tanto di tritolo già acquistato dai boss e nascosto a
Palermo) e al pg Roberto Scarpinato, minacciato fin dentro il suo
ufficio da uomini di apparato ben sicuri dell’invisibilità e
dell’impunità?
Con che faccia il 2 aprile scorso ha ricevuto al Quirinale il
pregiudicato B. “per parlare delle riforme e del fronte giudiziario”
(Corriere della sera, mai smentito)?
Come si è permesso, a luglio, di bloccare il Csm che stava per votare
per Guido Lo Forte come nuovo procuratore di Palermo, costringendo il
Plenum a seguire l’ordine cronologico delle nomine (mai seguito prima)
solo per rinviare la decisione al successivo Consiglio, che poi ha
nominato Franco Lo Voi, guardacaso il candidato meno titolato ed
esperto, ma più gradito ai politici di destra e di sinistra, e
naturalmente a lei?
A che titolo una figura super partes quale dovrebbe essere la sua ha
continuato a difendere il Jobs Act e le controriforme della giustizia e
della Costituzione, invitando opposizioni, sindacati e Anm a non
opporsi?
Come si è permesso di imporre al Csm, con una lettera rimasta
segreta, di sbianchettare le critiche all’operato del procuratore di
Milano Edmondo Bruti Liberati nella gestione del conflitto aperto con il
suo aggiunto Alfredo Robledo, incancrenendo così lo scontro
nell’ufficio giudiziario più cruciale d’Italia?
Quando ha scoperto che “il bicameralismo perfetto fu un errore dei
padri costituenti”, visto che lei entrò in Parlamento nel lontano 1953
senza mai dire una parola? E perchè non s’è accorto che “il Senato è un
inutile doppione della Camera” nel 2005, quando accettò la nomina a
senatore a vita senza fare un plissè?
Che le è saltato in mente di cerchiobottare fra guardie e ladri, mettendo sullo stesso piano il dilagare di corruzione e crimine organizzato – divenuti un tutt’uno nel sistema Mafia Capitale – e il presunto e imprecisato “protagonismo dei pm”?
Come può chiedere ai magistrati di “non guardare con diffidenza i politici”, quando i politici sono i più corrotti dell’Occidente? E con che faccia può definire “eversiva” la cosiddetta “anti-politica”, quando la politica si riduce alla fogna degli scandali Expo, Mose e Mondo di Mezzo, questi sì “eversivi”?
Che le è saltato in mente di cerchiobottare fra guardie e ladri, mettendo sullo stesso piano il dilagare di corruzione e crimine organizzato – divenuti un tutt’uno nel sistema Mafia Capitale – e il presunto e imprecisato “protagonismo dei pm”?
Come può chiedere ai magistrati di “non guardare con diffidenza i politici”, quando i politici sono i più corrotti dell’Occidente? E con che faccia può definire “eversiva” la cosiddetta “anti-politica”, quando la politica si riduce alla fogna degli scandali Expo, Mose e Mondo di Mezzo, questi sì “eversivi”?
Perchè non ha detto una parola – da garante della Costituzione –
sull’Italicum che riproduce gran parte dei profili di incostituzionalità
già sanzionati dalla Consulta nel Porcellum?
Quando invoca il “rinnovamento” contro i “conservatorismi”, non le
viene da ridere, essendo il primo freno al cambiamento, con la sua
rielezione a 88 anni e con l’imbalsamazione dell’Ancien Regime di cui è sempre stato il santo patrono e il lord protettore?
Non s’è pentito di aver così platealmente attaccato, anche in
campagne elettorali, un movimento politico con milioni di voti come i
5Stelle, tacendo invece sull’ultima versione sempre più razzista e
fascistoide della Lega Nord?
Perché, dopo averlo duramente censurato ai tempi di Prodi e in parte
di B., ha smesso di denunciare l’abuso di decreti e fiducie da parte dei
governi Monti, Letta e Renzi, guardacaso i tre creati o avallati da lei
all’insaputa degli elettori?
S’è mai domandato perché, fino a tre anni fa, lei godeva di oltre
l’80% di consenso nei sondaggi, mentre dal governo Monti in poi è sceso
sotto il 50?
§Non crede di aver abusato del suo potere lanciando continue minacce
al governo e al Parlamento, tipo “riforme o me ne vado”, ma anche
“riforme o resto”?
Siccome tutti nel Palazzo sanno che il 14 gennaio 2015 lei annuncerà
le sue dimissioni, non le pare il caso di comunicarlo anche ai cittadini
italiani, anziché seguitare a sfidarli con sciarade e indovinelli?
Siccome è al passo d’addio, non crede che il bilancio del suo secondo
mandato sia un fallimento totale, con tutti gli indicatori economici in
picchiata (tranne quelli della corruzione, dell’evasione e delle mafie)
e nessuna delle riforme da lei dettate nel messaggio di reinsediamento
approvate?
Può rassicurarci sul fatto che ora non interferirà nella scelta del
suo successore per rifilarci un suo clone, tipo Giuliano Amato o Sabino
Cassese?
E, siccome considera il Senato un ente inutile, si impegna a evitare
di frequentarlo da senatore a vita e a ritirarsi a vita privata?
È un peccato che Montanelli non sia più fra noi. Altrimenti potrebbe
dedicarle il Controcorrente che riservò nel 1985 a Sandro Pertini quando
lasciò il Quirinale: “Il senatore Pertini ha annunciato che intende
rientrare nella vita politica e ingaggiare battaglia per il
riavvicinamento tra Psi e Pci. Con quest’uomo abbiamo sbagliato due
volte. La prima, mandandolo al Quirinale. La seconda, rimettendolo in
libertà”.
Marco Travaglio (Il Fatto Quotidiano, 31 dicembre 2014)
Il discorso di fine anno di Giorgio Napolitano
Il discorso di fine anno di Giorgio Napolitano