sabato 29 gennaio 2022

Stavolta lo “Schettino” di turno è stato bloccato per tempo



Molti cittadini italiani saranno oggi contenti per la riconferma del Presidente uscente, anche se coscienti del fatto che si viene a riproporre una anomalia già successa e che questa eventualità era stata lucidamente evidenziata dallo stesso Sergio Mattarella. Quanto è oggi accaduto appare grave per quella democrazia tanto decantata che però tristemente - e da tempo - non corrisponde alla situazione reale del paese.
I retroscena che vanno venendo fuori, ancor prima della proclamazione della riconferma, pongono molte interrogativi sulla qualità dei singoli componenti della classe politica, per l'evidente esplosione che si sta ribaltando nei partiti e nei movimenti tutti.
La progressiva frammentazione di queste rappresentanze politiche appare ormai fuori controllo e sembra sempre più andare oltre, per l’assenza di una minima disciplina interna anche causata dallo svuotamento ideologico delle diverse fazioni in campo.
Non a caso in molti ora interpretano la politica e la cosa pubblica come una forma d’impiego ben remunerato e non già come una missione volta a ricoprire un ruolo sociale di alto profilo.
Se a ciò si aggiungono poi le tante cooptazioni, con la candidatura e l’elezione di fedeli seguaci, decise da presunti leader politici assurti spesso casualmente al vertice di partiti, anche la declamata presunta onorabilità del particolare incarico rimane una aggettivazione solo nominale.
Inoltre trasmigrazioni fra schieramenti per tanti motivi e cause, sembrano aver reso anche aleatorio ogni stabilità degli assetti politici.
La problematica in Italia interessa anche il fronte politico della destra. La frammentazione che interessa anche loro, ha fatto venir meno il sacrale principio di obbedienza, che era tipico e quasi inossidabile nell’ideologia che da sempre l’ha caratterizzato.
Però, così come il belusconismo ebbe a riesumare quei famosi voti “di Almirante memoria” mantenuti “in frigorifero”, lo stesso movimento liberista ha insinuato il virus dell’opportunismo politico che ha fatto nascere lo stesso partito Forza Italia, dal dubbio concepimento, gestazione e parto.
Nel centro sinistra l’evoluzione politica non è andata tanto meglio. Il relativo raggruppamento è divenuto anche esso campo di conquista per spregiudicati avventurieri, organizzati talvolta anche in “cerchi magici”, interessati principalmente alla presa del potere, e di tanti altri barbari mercenari (più o meno nuovi) intenti a ritrovarsi per raggiungere ruoli di rilievo immediati o prossimi, ma sempre raggiungibili. In ogni modo tutti quanti rivolti come parassiti a gestire le casse della cosa pubblica ancorata allo Stato.
Ma ogni dissertazione oggi rimane fine a se stessa, atteso che in fondo la politica che ci rappresenta è lo specchio che riflette, sintetizzandola come rappresentanza, la variegata miscellanea che compone, ne più e ne meno, i sessanta milioni di cittadini italiani.
I prossimi giorni non offriranno scenari tranquilli e non si escludono riassestamenti nel governo e nelle stesse attuali rappresentanze politiche chiamate a sostenerlo.
Forse l’unico risultato positivo nella riconferma del Presidente della Repubblica uscente è che stavolta il “capitano schettino” di turno (Forrest Gump de noartri, aspirante al Colle) è stato bloccato per tempo, perché non gli è stato permesso di abbandonare in piena tempesta la plancia di comando della nave da crociera chiamata Italia.

Buona luce a tutti!

© ESSEC

mercoledì 26 gennaio 2022

Il tempo scorre



Ogni opera di street art ha in sé una estetica specifica. Le scelte operate dall’autore seguono uno stile personale che, attraverso una serie di riproposizioni, diviene in breve riconoscibile.
Le tecniche in campo sono oggi le più variegate, come pure i messaggi che sottendono a ogni installazione.
In genere, per molti grafitari, prevale una fase concettuale e di progettazione che talvolta rendono pure visibili attraverso la pubblicazione di pagine dei loro piccoli taccuini, ma ciò non è una regola fissa.
Taluni, specie i writers, amano spesso improvvisare e sviluppare i loro disegni secondo l’estro del momento o in relazione agli spazi disponibili.
Come in tutte le arti figurative, fotografia compresa, nel creativo tutto è ammesso e ciascuno può procedere secondo un suo percorso, indipendentemente dall’empatia o dall’approvazione di altri.
Catalogare le correnti di pensiero oggi può essere solo effettuare uno scatto fotografico che fissa un momento, atteso che tutto è mutevole e ogni giorno c’è sempre un qualcuno che si propone con nuove idee o che le cambia.
Propenderei, quindi, a spostare la visuale riflessiva ponendomi dalla parte dell’osservatore generico a cui è sempre rivolta ogni opera, piuttosto che andare a impantanarsi sui singoli autori e sulle tante branche di riferimento.
Come spesso viene anche detto in fotografia, quindi, soffermandosi a valutare quanto ogni progetto ideato abbia potuto raggiungere l'obiettivo di “bucare lo schermo”, catturando l’attenzione. Ciò indipendentemente dalla specifica metodologia prescelta.
La narrazione storica, per esempio, induce a riflettere secondo una logica didattica sequenziale che alla fine tende ad alludere. Flash urlati, invece, fissano un'idea, illuminano l’attualità per richiamare su argomenti e situazioni, come se andasse a scrivere con dei titoloni a caratteri cubitali in una prima pagina di giornale.
Si può comunque affermare che tutte le “semantiche visive” sono ammesse purché siano accessibili, ovvero comprensibili e di facile lettura.
C’è chi si esprime con tratti minimalisti (es. Exit.Enter) e chi si caratterizza per le tipiche sembianze dei loro personaggi (es. Whoisnemos). Altri interpretano la street art prevalentemente in chiavi pittoriche, applicando tutte le composite peculiarità delle correnti che le riguardano.
Quanto è stato fin qui detto può essere integralmente applicato anche nell'affollato campo della fotografia o in qualunque altra forma d'arte creativa prodotta e proposta, in ogni tempo e luogo.
Alla fine - e sempre - sarà chi osserva in un preciso momento storico colui che andrà a premiare l'opera con il suo sguardo attento; se ne resterà ammirato per le fattezze creative o, eventualmente, saprà cogliere il retromessaggio sottostante (qualora ce ne fosse uno leggibile).
In tutto questo, come accade per ogni forma artistica, le produzioni intanto aumentano numericamente in modo esponenziale (Joan Fontcuberta docet). Si rincorrono idee, formule, progetti culturali, messaggi sociopolitici, espressi in maniere esibizionistiche, emulative, empatiche, ripetitive, ossessive, originali, banali e chi più ne ha più ne metta.
Il tempo scorre più o meno lentamente a seconda dell'età e del pensiero di ciascuno.
Il mondo gira. Tutto si muove mentre noi viaggiamo in un universo sconosciuto dove, culture umane migrano, si succedono, si sovrastano, si miscelano, trovano pace, alimentano conflitti, coltivano illusioni e sempre cavalcando utopie che resteranno eterne.

Buona luce a tutti!

© ESSEC

domenica 23 gennaio 2022

"ANNA, EQUILIBRIO INSTABILE" di Cristina Corsi e Antonio Lorenzini



Chattando ieri con Antonio per parlare dei suoi futuri impegni, alla fine lui mi ha chiesto …. “a proposito, che ne pensi del lavoro su Anna? Ti andrebbe di scrivere qualcosa?”
Oggi ci provo.
Venire a parlare di un lavoro ampiamente illustrato da tanti altri commentatori e che ha già avuto importanti riconoscimenti da esperti chiamati a leggere questo portfolio non è facile. 
Il rischio è sempre quello di risultare ridondante nel ripetere parole/considerazioni già dette e di non aggiungere, quindi, nulla di nuovo.
La recensione di Serena Marchionni e Daniele Cinciripini, riportata, a commento delle foto, nel numero di Fotoit “12-01” dice tutto e illustra in modo esaustivo il portfolio premiato.
Le esposizioni dei due fotografi nel corso della presentazione del lavoro durante la serata streaming Fiaf dello scorso 16 dicembre, gli ulteriori commenti dei predetti autori del cennato articolo di Fotoit e quello di Chiara Innocenti hanno poi aggiunto altre osservazioni e forse l’argomento potrebbe chiudersi qui. Ma qualcosa in più può essere detta? Forse per definire meglio i profili dei due autori.
In verità su Cristina e Antonio avevo avuto modo di scrivere per un altro loro lavoro realizzato, volto a raccontare quanto girava attorno a un mulino dell’aretino (“L’oro del mulino”).
Un portfolio assai diverso da questo proposto ora, che evidenziava però un’indubbia e consolidata intesa fra due bravi fotoamatori, impegnati anche allora a osservare con attenzione i contesti, per raccogliere indizi secondo punti differenti, necessari ad arricchire le scelte nell’editing narrativo.
Anche se sono entrambi impegnati da tempo nel parlare del patologico sociale e, quindi, avvezzi a leggere realtà spesso difficili da rappresentare attraverso singoli scatti, tutti e due amano avventurarsi anche in altre tematiche. 
Le loro produzioni, editate sempre in bianco e nero, non disdegnano infatti la ricerca di argomenti sempre nuovi e fra i più diversificati, nonché sperimentare il loro editing visivo con nuove proposte.
Al riguardo, non secondario appare la considerazione di come la classificazione al secondo posto, fra i ventidue portfolio selezionati durante le varie letture del circuito Prix Italia Fujifilm 2021, dimostra con il loro lavoro che la fotografia di reportage, quando è ben realizzata, riesce a sviluppare felicemente tematiche complesse, come nel racconto rappresentato su Anna.
Nel loro caso, la fotografia documentale è però solo una parte del prodotto.
Le sensibilità, l’intesa e la complicità dei due amici fotografi costituisce, infatti, quel valore aggiunto che riesce sempre a cogliere oltre l’apparente l’assenza/presenza che c’è anche nel quotidiano della storia raccontata.
Le loro fotografie, in qualche modo, coi decisi primi piani e i particolari tagli, sembrano collegate a un unico filo che accomuna e riesce quasi a dare la parola alla protagonista.
Concentrandosi nell’osservare con attenzione le immagini, scorrendole, nel guardare e riguardarle, si potrebbe perfino avere la sensazione di coglierne la voce.
Ecco, per concludere, sembra quasi che con il loro reportage fotografico Cristina e Antonio siano proprio riusciti a dare un suono agli sguardi che, attraverso i singoli fotogrammi, consentono ad Anna di parlarci con gli occhi; a far cioè percepire a noi, con il livello di sensibilità di cui ognuno dispone, la flebile voce che è possibile ascoltare, anche solo immaginandola.

Buona luce a tutti!

© ESSEC

giovedì 20 gennaio 2022

"Blues" di Sura Bizzarri



Ancora un nuovo racconto abilmente narrato dall'amica Sura che mi fa piacere condividere. Chi ha avuto modo di apprezzarla già nei precedenti racconti, per la gradevole scrittura e l'originalità delle sue storie, potrà avere una ulteriore conferma delle capacità letterarie dell'autrice e non rimarrà neanche stavolta deluso dei contenuti, mai banali, che lasciano il segno. Buona lettura.

© ESSEC

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BLUES

Le cose belle, quelle veramente belle, non hanno bisogno di mediazioni. Ti entrano dentro, ti bucano, ti trapassano. Sorpassano il clamore, le grida e gli eccessi della volgarità.
Dallo schiamazzo di un bazaar orientale ti ritrovi nella pace mistica di un riad, nel quale giungono solo, da direzioni diverse, i canti dei muezzin che richiamano alla preghiera.
Le cose veramente belle sono sostanzialmente sporadiche; una musica, una melodia che raggiunge l’apoteosi, diventa un cliché se ripetuta continuamente.
Il tripudio del pubblico, così trascinante nel momento di gioia e commozione collettiva, si lascia impoverire e banalizzare dalla ripetizione costante, fino a diventare tedio.
Sono le note giunte inaspettatamente all’orecchio, le pitture con le quali ci incontriamo, o scontriamo, casualmente, le parole concatenate e pronunciate con tono pacato ad assumere una valore assoluto, irraggiungibile, invalicabile. Poichè abbiamo coscienza che da quel momento non saranno più sulle nostre labbra, che sono l’istante irriproducibile di collegamento con la nostra coscienza. E in quella consapevolezza tutti i sensi convergono per rendere l’attimo irripetibile. Una sorta di orgasmo dell’anima.

Clara da molto tempo vive nel silenzio. Non ha bisogno del clamore, della folla, della gente. Lei abita il suo mondo pallido in modo da poterlo colorare attraverso se stessa. Perché da diverso tempo ha imparato a vivere di sé, a contare solo sulla forza della sua stessa forza.
Era un mattino d’inverno, presto presto, quando la morte venne a trovarla.
Si era appena svegliata per preparare i vestiti, la colazione, per attizzare il fuoco nella stanza delle sue bimbe in modo che potessero svegliarsi in un ambiente caldo, prima di andare a scuola.
Rimase sorpresa nel vedere quella signora anziana, evidentemente buona, davanti alla sua porta. Corse subito ad aprirle, come se fosse il gesto più naturale del mondo, sebbene fosse sicura di non aver mai visto quella donna.
Lei entrò con un sorriso pacato e sereno, con gentilezza, con il timore di dare fastidio tipico di un estraneo che si introduce all’interno di una famiglia che non conosce.
C’era un’attrazione misteriosa fra Clara e l’anziana signora. Il bisogno di fare domande, il bisogno di avere risposte, la consapevolezza che quel momento fosse straordinario e irriproducibile, proprio come la melodia ascoltata per caso e subito sfuggita dal campo sonoro, persa per sempre.

Senza parole le due donne sedettero l’una accanto all’altra, vicine fino a toccarsi.
La morte cinse le spalle di Clara presentandosi per quello che era. E in quell’abbraccio c’era un calore particolare, di quello che scalda da dentro, che induce una sorta di trance ultraterrena.
Le parole che aveva da dire non erano facili, ma lei sapeva come spiegare i concetti inimmaginabili, sapeva comunicare l’emozione. E, soprattutto, sapeva insegnare a controllarla, a renderla digeribile, meno offensiva, per quanto fosse possibile farlo.
“Insomma… sei venuta a prendermi”.
La morte sorrideva di un sorriso buono, rassicurante, misericordioso. Non era un nemico ma una madre. E Clara pendeva dalle sue labbra, la ascoltava senza battere ciglio, imprimendo dentro sé la sua voce morbida, provando conforto dalle mani di lei che stringevano le sue, amorevolmente.
“Io sono una madre, sono sola, a chi lascerò le mie figlie?”
“No, Clara, non sono venuta a prenderti. Non te!”
Il volto della donna si illuminava, si distendeva in una dimensione magica man mano che l’argomento si addentrava nel suo significato nascosto. Man mano che il velo si sollevava lasciando nudo l’oggetto della visita. Così che Clara non sentisse freddo, così che il mistero non finisse per ucciderla, per soffocarla. Poiché la realtà è quello che è, nessuno può modificarla, nemmeno la morte. Il sole cominciava a tingere le forme indefinite dell’alba mentre le mani della morte massaggiavano tiepidamente, con movimenti circolari, quelle della giovane donna alla quale era venuta a far visita.
“Spiegami morte, non puoi prendere mia madre o mio padre perché sono già morti, io sono sola, forse hai bussato alla porta sbagliata…”
Si era alzato il vento, un vento impetuoso che muoveva i rami nudi degli alberi e il suo suono era un rumore di sottofondo basso e continuo, come nelle giornate di tempesta, quando nevica forte e il rumore dell’aria che si sposta è un muglio senza interruzioni.

La morte procedeva piano, i suoi occhi parlavano per lei mentre il massaggio alle dita di Clara si intensificava con evidente scopo anestetico.
“Non sei sola, Clara, l’hai detto tu stessa. Hai le tue bimbe che ancora dormono nel letto”.
Gli occhi della giovane donna si erano fatti grandi, le pupille dilatate nello sforzo di capire.
“Le mie bimbe hanno solo me, non capisco, cosa c’entrano loro?”
Il momento era giunto; l’abbraccio, la stretta forte, il sorriso triste della morte erano l’unico suo antidoto per soffocare il grido virtuale che si leggeva sul volto di Clara.
“Dimmi cosa devo fare, morte, non puoi prenderti loro”.
“Non sono qui per contrattare, non ne ho il potere. Sto cercando di aiutarti a capire, sto provando a sollevare il tuo dolore. Devi sopravvivere a tutto questo e capire che non c’è modo di sottrarsi.”
“Ma quando, come. Cosa posso fare? Oggi terrò le bimbe chiuse in casa, non le accompagnerò a scuola, non andrò a lavoro, le sorveglierò io stessa, senza mai togliere gli occhi da loro.”
“Non servirebbe a niente. Sono qui per farti capire, non hai colpe, non hai niente di cui pentirti, questa non è una pena commisurata a qualche tuo fallo.”

Il vento si intensificava; il rumore di sottofondo era un brusio molesto che quasi distorceva la voce della morte. Eppure i rami degli alberi erano quasi fermi. Non c’era corresponsione fra il suono e la realtà. Nel contempo le mani della morte erano sempre più calde e il suo abbraccio era un rifugio tranquillo, nel quale Clara nascondeva il viso.
La sera precedente le sue bimbe erano andate a letto sorridendo, giocando fra loro ai mestieri degli adulti, immaginando il loro futuro come maestre, parrucchiere, infermiere.
La sera precedente lei aveva misurato l’altezza delle sue bimbe facendo la tacca sul muro con la matita e si era complimentata con loro per quanto fossero cresciute. Presto ci sarebbero stati da comprare vestiti nuovi. Che i bimbi indossano poco i loro abiti per quanto crescono in fretta.
Clara raccontava tutto questo alla morte, ma era come se parlasse con se stessa. Sentiva, sentiva profondamente quanto le sue parole fossero poca cosa, quanto non avessero il potere di cambiare le cose, di influire sul futuro delle proprie figlie. Quelle parole che venivano coperte e confuse dal suono del vento, in esso si perdevano, disperatamente. E non esisteva modo di renderle più incisive, di commuovere la morte che, pure, piangeva insieme a lei.
“Morte, prendine una sola. Lasciane una a me!”

Il respiro della morte, l’ansare del suo petto era regolare. Nessuna parola, nessun brivido di Clara erano capaci di incepparne l’andamento, di intensificarlo o rallentarlo.
Ma non tardava a rispondere, sempre senza inflessioni, con la calma di chi sa perfettamente cosa deve dire, con la pietà ormai impressa da anni nei suoi gesti e nella sua pacatezza.
“Non sono qui per contrattare, ma per farti comprendere quello che dovrai affrontare.”
Le braccia nude di Clara si afferravano al corpo forte della morte, si aggrappavano a lei in modo che la forza della conoscenza potesse sostenere la sua debolezza umana.
“Tu sai che le mie figlie non hanno padre, sai che l’uomo che le ha generate mi prese con la forza, sai quanto io mi ribellassi e quanto il suo gesto sia stato per la mia intera vita un dolore intollerabile, ripagato solo dalla loro presenza. Perché non ti prendi lui, in modo che sia fatta giustizia sulla mia famiglia e sull’intero genere umano? Perché non compi un gesto generoso che dia ragione alla vita e ricacci la violenza?”
La morte ora la guardava con intensità, troppo forti, troppo vere erano le sue parole. Ma proprio questo doveva farle capire. Non esiste una giustizia superiore, la vita va e viene seguendo un algoritmo che non è calcolabile. E in questo sta la sua grandezza. Nell’imprevedibilità, nella insicurezza in virtù della quale ogni giorno potrebbe essere l’ultimo o, viceversa, solo un piccolo cerchio della catena infinita di azioni e pensieri che consumano corpi destinati a decadere in vecchiaie interminabili.

Il sole si era alzato ma i suoi raggi erano filtrati dalla turbolenza dell’aria e la luce appariva opaca, come filtrata attraverso una tenda. In quell’atmosfera irreale Clara cercava di capacitarsi e di districarsi attraverso il dolore per provare a giocare ancora qualche carta. Tentava di confondere la morte, di farla ragionare così come tentano di farlo gli umani. Era un avvocato che portava prove, testimonianze, che cercava di difendere le due imputate evidentemente innocenti.
D’altronde davanti a sé non stava un giudice imparziale, ma una madre che cullava la figlia nel tentativo di poter sollevare il suo dolore. Lei e la morte non erano avversarie, ma testimoni comuni della storia che la vita le invitava a percorrere.
Clara provava a toccare il viso della morte, accarezzava le sue guance pallide, spianate da ogni ruga, cercava nei suoi occhi profondi il significato della vita, di quello che le stava accadendo.
La morte la lasciava fare, la invitava a trovare conforto nel suo abbraccio, a tuffare il volto sul suo petto e a consumare quel tempo maledetto che pure doveva percorrere, non esisteva altra soluzione.
Ogni volta che Clara alzava la testa per trovare un segnale di corrispondenza la vecchia signora incoraggiava la sua forza e la affiancava nel percorso che le era toccato di vivere. “Prendi anche me, morte. Voglio stare con te, nella tua misericordia”.
Lei taceva, senza mai smettere di accarezzare i suoi capelli setosi.
“Non posso. Non puoi farlo. Questo è il momento che ti è stato dato, non puoi che viverlo.”
“Allora rimani con me, per sempre. Solo accanto a te, alla luce della tua verità, io posso farcela!”
“Non è possibile. Ci sono altre donne e uomini come te, ne è pieno il mondo. Con loro devo fare la stessa cosa che sto facendo con te. Io non appartengo a nessuno ma sono di tutti”. “Andiamo insieme, in camera, a svegliare le mie bambine!”
“Non ancora, Clara. Non sei ancora pronta”.

Il mattino cresceva e galoppava sui minuti. Inspiegabilmente il tempo procedeva con un passo diverso, si addentrava nell’aria densa di quel mattino particolare e Clara temeva che la morte potesse andarsene. Aveva bisogno del suo aiuto, non avrebbe potuto farne senza.
Le strade erano vuote, o forse era quel particolare evento atmosferico brumoso a impedire la vista della gente, a filtrare i rumori, le voci, a isolare il suono.
Com’è possibile avere un rapporto filiale con la morte, desiderare di non doversi più staccare da lei? Clara studiava qualche strategia per trattenerla, per prendere tempo, per escogitare un piano. Ma l’orologio le era nemico; continuava a ticchettare, le lancette si facevano strada sul quadrante bianco e scavalcavano i segni disegnati con cura. I secondi, i minuti. Era passata più di un’ora dall’arrivo della signora e nessuna alternativa era apparsa praticabile.
Dalla camera delle bimbe nessun rumore, evidentemente dormivano ancora, nonostante l’ora del risveglio per la scuola fosse ormai trascorsa.
Clara contava di rimandare ancora il momento del loro risveglio, di posticipare l’evento come se fosse possibile cancellarlo, disinnescarlo.
Così chiedeva alla morte di raccontarle altre storie, simili alla sua. Lei ne aveva viste tante di madri e figli, genitori e nonni, mogli, mariti, amanti. Attraverso i suoi racconti, attraverso le esperienze altrui Clara avrebbe potuto imparare ad accettare la sua. La guardava, la morte, la guardava intensamente per acquisire dalla sua calma il segreto per sopravvivere. La osservava, la toccava, la abbracciava e la stringeva. Le si gettava fra le braccia come fosse sua madre, per farsi cullare da lei come quando da bambina cercava conforto alle sue paure. Bastava chiudere gli occhi, fra le sue braccia, e i mostri sparivano sgretolati dal calore, dalle certezze degli adulti.
In quel momento Clara provava a fare lo stesso. A chiudere gli occhi per riaprirli in una nuova dimensione, appesa alle consapevolezze della morte come a quelle della vita; quando, espulsa dal corpo materno, era esplosa nel primo respiro che, dolorosamente, le aveva aperto i polmoni. Che le aveva dischiuso la vita.
Solo nell’abbraccio compassionevole sentiva tutta la pienezza di se stessa. E la voglia di lottare svaniva nell’accettazione sorda di qualcosa che era inevitabile.
Il tempo era diventato fondamentale; Clara, come Sheherazade, cercava di posticipare all’infinito il momento in cui la morte se ne sarebbe andata. L’attimo preciso che avrebbe diviso il prima dal dopo.
Quello sarebbe stato lo spartiacque, il crinale da superare. Prima un’esistenza normale, dopo l’abisso. Come sarebbe riuscita a colmarlo? L’idea di rimanere sola era terribile.
“Quando avverrà?”

La morte conosceva bene i comportamenti degli umani. Sapeva perfettamente che la reazione naturale della madre sarebbe stata quella di gettarsi nella camera delle bimbe e sollevarle, stringerle, tentare in ogni modo di strapparle ad una sorte che non doveva appartenere loro. Sapeva anche che il motivo per cui la donna si tratteneva dal farlo era la paura di aprire quella porta, il dubbio che i corpi che le appartenevano fossero già senza vita. Questo faceva sì che il bisogno di stare vicina, di intrattenere, di corteggiare la morte fosse quasi uno spasimo.
Il vento aveva pettinato il cielo; così come nella vita di Clara i nembi sfilacciati, come nebbia sottile, si erano disposti a strati e avevano suddiviso l’orizzonte in due zone nette, l’una fumosa, l’altra tersa e luminosa. In quella luce estremamente bianca, che metteva a nudo, le parole di Clara si erano fatte accattivanti, convincenti. Era disposta a tutto per evitare quel dolore.
La morte rispose sottovoce, con un sorriso buono, pieno di pietà.
“Devi essere pronta, sono qui per aiutarti. Cosa significa quando? Ora, oggi, domani, fra qualche giorno? La tua vita deve proseguire, ci sarà un tempo difficile, affonderai ma dovrai rialzarti. Saluta le tue bambine, devi lasciarle andare”.
Sulla fronte di Clara il sudore si era cristallizzato. Nel cuore un tonfo sordo, il rumore del vento negli orecchi era il suono del suo incubo, ad esso lo avrebbe associato per il resto della vita.
Le immagini delle figlie si confondevano con quelle di altri bambini visti in foto di guerra; in loro si condensava la spaventosa ingiustizia della natura. Era un concetto inconcepibile, inimmaginabile, una nausea che rigettava il suo intero corpo la scuoteva in conati violenti. Era la nausea verso se stessa, tanto più crudele poiché era impossibile sfuggirle.
Era la morte stessa a vacillare, tutta la sua misericordia non era abbastanza per sovrastare il rumore incessante di pensieri e immagini sferraglianti che si rincorrevano nello stridore della ruggine nel corpo e nell’anima di Clara. Eppure non esisteva scelta, quel dolore che non aveva uguali, che era la somma di tutti i dolori mai provati, non era procastinabile.
La morte decise che il momento era arrivato; prese con gentilezza la mano di Clara e la invitò ad alzarsi. La donna stentava ad assecondare il movimento che le veniva indicato, era fredda e sudata, bianca e tremante, dura come fosse di pietra. Muoveva i passi senza volontà, un martello dentro la scatola cranica segnava i secondi, ogni gesto infinitesimale, fino alla morbida mano sulla maniglia che spalancava l’abisso.
Un colpo forte, come il passaggio di un treno, un violento terremoto, l’esplosione di un’arteria e il sangue che fuoriesce a fiotti.
Quanto tempo era trascorso, quanta parte di esistenza avevano portato via le parole con la morte, quanta sbadataggine aveva innescato la tragedia…

La stufa mai accesa aveva riempito la stanza di monossido di carbonio e i volti fermi delle bambine la guardavano e la giudicavano attraverso le palpebre chiuse.
L’ultima carezza della morte, una mano grande e calda che addensava tutta la forza necessaria, l’aiuto muto e incondizionato. Poi se ne andò. Clara. Sola, davanti all’abisso. E guardandovi dentro si accorse che era appena sul primo gradino, quelli che avrebbe dovuto scendere erano molti, tanto che non si vedeva il fondo. La sua resistenza si sgretolò.
Il corpo senza più scopo e la rabbia capace di innescare un ciclone. Comunque inutile.
Quante volte avrebbe dovuto scendere e risalire l’abisso prima di trovare un equilibrio che potesse rendere la vita un luogo accettabile.
Clara si sdraiò fra le sue bimbe ancora tiepide, man mano che il tempo, trascorrendo, le lasciava fredde ed estranee se ne allontanò. Le aveva ormai salutate, non si sarebbe mai data pace del suo errore, non avrebbe mai perdonato se stessa.
Da sola, nella cucina percorsa verticalmente dalla luce diafana e crudele di quel mattino, si abbandonò al suo dolore emettendo gemiti e parole che dessero un suono alla devastazione; il suo blues, una musica dolcissima e contemporaneamente intrisa di desolazione. Si lasciò cullare dal suo stesso dolore, come una coperta sempre addosso che la avrebbe isolata dagli altri.

Le cose belle, quelle veramente belle, non hanno bisogno di mediazione; ti bucano, ti trapassano, poiché le labbra sanno quanta verità si nasconda in esse.
Il suo canto, così inesprimibilmente magico, non fu mai ascoltato da nessuno. Insieme a milioni di altri canti strepitosi, scaturiti da dolori ineguagliabili, che non conosceremo mai.

© Sura Bizzarri

mercoledì 19 gennaio 2022

Fui colpito anche dal silenzio degli “specialisti”



Si propone di seguito la lettura di un interessantissimo confronto fra esperti del mondo finanziario, che prende spunto da recenti risvolti sul caso diamanti oggetto d’attenzione da parte della trasmissione Report di Sigfrido Ranucci, per allargare il discorso sull’intero sistema, mettendone in risalto rischi e risvolti.
Testimonianze utili per rileggere la storia e focalizzare le scelte intraprese da Istituzioni Pubbliche delegate e dalle classi politiche nel tempo.
(fonte: https://www.linkedin.com/feed/update/urn:li:activity:6889208701081677824/)

Buona luce a tutti!

© ESSEC

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Fulvio Coltorti • 2° Adjunct professor at Università Cattolica del S.C., Milano 1s •

Diamanti: reloaded
Mi era sfuggito questo illuminante articolo che Beppe Scienza ha pubblicato il 5 gennaio su Il Fatto. Mi sembra chiaro che le nostre grandi falle nella finanza sono alimentate e mantenute da connivenze negli organi dell’informazione.
In genere un giornalista sa scrivere bene, ma non può essere uno specialista e suo malgrado diventa spesso preda della sua fonte. Questo vale per la maggior parte delle testate citate da Scienza, ma non per Il Sole 24Ore che è (o dovrebbe essere) un giornale specializzato.
Problemi simili li ebbi quando guidavo l’Area studi dì Mediobanca e, su sollecitazione di Enrico Cuccia e Vincenzo Maranghi inventai un’indagine che consentiva di capire un po’ meglio le azioni dei gestori dei fondi comuni. Contrariamente alle aspettative costoro non creavano ricchezza per i risparmiatori, ma la distruggevano e badavano solo a vivere di rendita applicando commissioni elevate sui patrimoni loro affidati.
Fui letteralmente assalito! Ricordo che solo Beppe Scienza, professore di matematica, e Daniela Venanzi, professoressa di finanza, vennero decisamente dalla mia parte. I gestori “occuparono” i giornali facendo scrivere che Mediobanca sbagliava le formule! Cosa non vera, ovviamente. Fui colpito anche dal silenzio degli “specialisti”: i lucrosi incarichi per consulenze facevano e fanno gola…
I gestori si diedero molto da fare, ma ribattei loro colpo su colpo, dimostrando così assai meglio (e piacevolmente per i lettori) le modalità delle loro operazioni. Ad esempio la smania di rigirare il patrimonio donde commissioni di negoziazione che spesso le banche (azioniste dei fondi) si retrocedono.
Ricordo che l’indimenticabile Giuseppe Turani su Repubblica consigliò ai gestori di starsene fermi e di andare in vacanza, in modo da non combinare troppi danni.
I vari Presidenti dell’associazione dei gestori (per la verità non sempre all’altezza) accusavano regolarmente Mediobanca di voler screditare i fondi per collocare le sue obbligazioni. Queste accuse erano chiaramente infondate e nella Mediobanca di Cuccia e Maranghi non producevano alcun timore. Successivamente qualcosa deve essere cambiato perché quell’indagine è stata abolita qualche anno fa insieme alle altre che mi avevano sollecitato i due miei mentori. In questo modo si è spento un faro che aveva la funzione di illuminare la scena (non solo a beneficio di Mediobanca), come predicavano Luigi Einaudi in Italia e Louis Brandeis in America.
Resta il problema, grave, segnalato da Scienza: i giornali. Fin quando le maggiori tirature saranno controllate dai grandi gruppi non ne usciremo.
Si può rimediare solo vietando ai gruppi maggiori di detenere il controllo o partecipazioni qualificate nei grandi media e ciò per l’inevitabile conflitto d’interessi.
Una legge è grandemente necessaria: qui si vedrà se Mario Draghi è solo uno scaltro economista che ha buona stampa, oppure è il grande statista stimato da Macron.

Daniele Corsini
Sono i mercati, bellezza, direbbe qualcuno! È che su di essi non operano solo attrezzati venditori e ingenui compratori, ma tutta una serie di altri soggetti non da poco in funzione sia attiva (altri intermediari imbonitori in una catena di interessi, compresa la stampa specializzata) che passiva (le Autorità di controllo, assenti). L’investitore, che spesso viene additato come avido e bisognoso di educazione finanziaria, deve combattere con forze molto più grandi di lui, in una impari lotta, in cui è destinato a soccombere.

Fulvio Coltorti
Più che di mercati qui parliamo di veri e propri imbrogli! E di autorità che non sono tanto inattive, ma incompetenti e per questo colluse… L’investitore onesto non deve rassegnarsi a soccombere, ma pretendere che gli incompetenti e i collusi vengano cacciati con disonore.

Daniele Corsini
Il mio riferimento ai mercati come forma pura di incontro di domanda e offerta era ovviamente ironico. Dopo tutto Akerlof ha da tempo teorizzato i suoi lemons (1). Ma lei va anche giù duro con “le Autorità incompetenti e, per questo, colluse”, perché dai diamanti ai coevi default bancari esplosi a ripetizione in quegli anni con conseguente distruzione di risparmio il passo non è poi tanto lungo. È stato così anche per questi fallimenti del mercato?

(1) Termine introdotto da G. Akerlof per indicare un bene di cattiva qualità, le cui caratteristiche sono note solo al venditore e non all'acquirente.

lunedì 17 gennaio 2022

Eterni "Metinculi e pianculi", non tanto i prodotti dell'era 2.0



Il mio amico Cristian ha inviato stamani al ristretto gruppo di whats app cui appartengo questa amara considerazione di Sigmund Freud:
“Viviamo per avere il consenso altrui, sul consenso altrui costruiamo la nostra immagine, sull'approvazione altrui ci percepiamo come "qualcuno", perdendo intanto sempre più la connessione con ciò che realmente siamo, e portandoci appresso quel sacco osceno di falsi consensi reciproci che ogni tribù si confeziona, potremmo dire, per sentirsi migliore delle altre, e su cui i membri di ogni tribù (coppia, famiglia, amici, Stati) si costruiscono un'immagine che non mostri loro il vuoto che vedrebbero di fronte a uno specchio.”
Uno scritto che potrebbe apparire perfettamente calzante nella rappresentazione della società attuale.
Ma se ci riflettiamo e osserviamo più attentamente i fatti ci accorgiamo che la realtà è molto più complessa, composita; shakerata, secondo ruoli ereditati, i profili umani, le opportunità di base che ci vengono offerte.
E’ legata all’apprendimento e ai confronti, pertanto dipende fortemente anche dalle caratteristiche di coloro che ci stanno intorno, alle causalità socio economiche che accolgono l'individuo alla nascita e a quelle che si sviluppano intorno alla sua crescita.
A prescindere dalle potenzialità di ciascuno, la massa di insicuri è - più in generale - forse solo il prodotto che deriva dall’organizzazione politica contingente, più o meno volutamente determinata dallo spazio oggettivamente consentito a tutti per poter ambire ad opportunità dell'ascensore sociale, dalle illusioni diffuse dai media, dalla triste pratica delle porte girevoli, accessibili a pochi privilegiati del feudalesimo moderno.
Gioco forza, però, a questo punto, non si può fare a meno di tornare a distinguere a priori la massa umana nelle due principali categorie raccontate dal vecchio amico Giacomo. Il quale, già in età giovanile, differenziava fondamentalmente gli abitanti del mondo in due principali categorie: “metinculi e pianculi”.

Buona luce a tutti!

© ESSEC

venerdì 14 gennaio 2022

Coincidenze, studio, convergenze, scopiazzature, completamento di tracce? ….. e chi lo sa?



Talvolta accadono delle strane coincidenze che consentono di vedere secondo angolazioni diverse idee simili o forse, per meglio dire, lo sviluppo ulteriore di un concetto accennato.
Nella serata di giovedì 13 dicembre, mentre su canale 5 veniva trasmessa in chiaro la partita di Coppa Italia Milan-Genoa, attraverso la rete internet si svolgevano in streaming, in contemporanea, due appuntamenti fotografici con ospiti Mimmo Jodice (Veneto Fotografia) e Giorgia Fiorio (Evento Fiaf). Per uno come me che ama il calcio si poneva un problema non di poco, ma in breve optavo per la scelta.
Poter seguire tutto era impossibile ma avventurarsi nel tenere parallele le due serate sulla fotografia era praticabile.
Quasi in aiuto, peraltro, intervenivano fortunatamente dei ritardi nell’inizio in uno e dei prolissi cappelli introduttivi nell’altro.
Come al solito, Christian Mattarollo (nel primo ambiente web) e Michele Smargiassi (nell’appuntamento Fiaf) sono riusciti a esporre e a supportare sagacemente i due personaggi protagonisti della serata e le loro opere.
Già da subito apparivano le differenza sostanziale nei due percorsi di crescita artistica di Jodice e Fiorio.
Partiti gli eventi, Mattarollo, nel suo ottimo racconto, riusciva a mostrare l’evoluzione del fotografo napoletano, riveniente sostanzialmente da studi e didattiche connesse alle sue competenze in storia dell’arte. Un background non indifferente che ha indubbiamente aiutato l’artista nelle sue proposte fin dall'origine, con concettualizzazioni che poi lo hanno spinto a sviluppare sempre più un suo specifico percorso mistico e talvolta lambente il surreale.
Sotto l’input di Michele Smargiassi la Fiorio, invece, mostrava quello che per certi versi amo definire “l’animale fotografico” che c’è nel personaggio.
Con onestà Giorgia Fiorio, mostratasi da subito abile comunicatrice, non nascondeva i limiti, anche culturali, che avevano accompagnato i suoi esordi nel campo fotografico. Una miriade di aneddoti, anzi, consentivano all’ascoltatore di cogliere l'essenza del suo lavoro. Un’attività fotografica che, una volta avviata, aveva visto sempre più crescere la qualità di scelta nelle idee e nell’approccio estetico sul modo di fotografare.
In tutto questo, forse suffragata e aiutata da Giovanna Calvenzi, che, a detta della stessa Fiorio, ha avuto e ha di sicuro tuttora un ruolo molto importante nella evoluzione del suo percorso fotografico e non solamente in esso.
Nell’ultima opera proposta Giorgia Fiorio appare poi sorprendente, almeno rispetto alle sue produzioni precedenti, perché sembra riprendere - con una notevole forza espressiva - un discorso concettuale già avviato, con una differenti scelte estetiche, da Mimmo Jodice (serie di ritratti e pitture in un caso, di ritratti di volti di statue nell’altro, con mostre entrambe tenute esposte anche a Parigi).
Come la stessa riporta nell’articolo su “In One - Humanum” (https://www.giorgiafiorio.com/) la Fiorio dice su questo lavoro di interrogarsi sulla dialettica presenza-visone della figura umana tra realtà e apparenza.
Il video, realizzato con sapiente efficacia, riesce a trasmettere in effetti un messaggio che rappresenta, attraverso una sapiente miscellanea di musica, parole e immagini, quasi un trattato sulla potenza intrinseca della fotografia.
Una interessante e autorevole voce per meglio conoscere Giorgia Fiorio risulta quella di Denis Curti (https://youtu.be/19v5kL8GJPk) che, soffermandosi nel commentare la mostra a Venezia intitolata “Il Dono”, fornisce anche un quadro abbastanza completo della fotografa.
Un filo conduttore unisce, infine, Mimmo Jodice e Giorgia Fiorio. A mio parere, da entrambi gli autori viene fuori uno spaccato molto interessante, perché seppur dopo differenti percorsi, appare come se entrambi si fossero dati un appuntamento nell'incontrarsi in “In One - Humanun".
Al riguardo però, mentre le fotografie di Jodice (nel suo mix di pitture e ritratti) invitavano fin da subito l’osservatore alla meditazione nel silenzio, le foto della Fiorio (con immagini di soli volti di statue variamente adombrate) sembrano gridare senza emettere suoni, alludendo a delle verità nascoste.
Coincidenze, studio, convergenze, scopiazzature, completamento di tracce? ….. chi lo sa?

Buona luce a tutti!

© ESSEC

P.S. – La serata evento su Giorgia Fiorio è visionabile nel canale You Tube della Fiaf.

giovedì 13 gennaio 2022

Sciacquare i panni in Arno – Omaggio al Prof



Sciacquare i panni in Arno è un modo di dire che si deve al Manzoni, il quale lo usò per indicare la sua volontà di sistemare il testo de “I Promessi Sposi” per adattarlo il più possibile alla lingua fiorentina, allora considerata la lingua italiana per antonomasia. Più in generale, quindi, questa espressione sta ad indicare l’intenzione di usare nei testi scritti dei termini e modi più corretti.
Come qualche tempo fa ebbi modo di dire, questa è una tecnica a cui io ricorro di frequente, prospettando al mio amico Prof la pubblicazione di alcuni dei miei articoli nello spazio web - fiorentino per l'appunto - da lui curato.
Chi mi segue nel blog ha avuto già modo di accorgersi come spesso nella mia scrittura si annidano frasi contorte, anche per l’utilizzo di periodi troppo lunghi, che talvolta distolgono l’attenzione, mettendo financo il bilico il proseguimento della lettura.
Con l’intento di voler dettagliare sempre più sui termini dell’argomento, infatti, si innescano frequentemente dei veri e propri mini loop fuorvianti che, più che chiarire aspetti, confondono e girano nel ribadire concetti già esplicitati.
Come fosse dotato di una bacchetta magica, arriva l’intervento del mitico Prof, il cui nome corrisponde a quello di un saggio antico profeta ebreo che significa "Dio giudica", il quale genera un’efficace alchimia letteraria che elimina scorie e lubrifica i testi. In brevi attimi, per incanto, in un batter di ciglia, i concetti espressi diventano fluidi con semplificazioni o utilizzi di parole che risultano piacevolmente scorrevoli e invogliano alla lettura.
Rapportato alla fotografia, quanto detto, si evidenzia in una analogia altrettanto importante; in particolare, riguardo a talune funzioni differenziate presenti fra i soggetti che praticano la materia. Accade, infatti, che di frequente dei bravi fotografi trovano difficoltà a esprimere il loro reale talento e per vari motivi.
Eccessive produttività che si accavallano, disallineamenti fra idee e forme di comunicazione, scarso distacco oggettivo nel saper valutare e selezionare quanto viene proposto e tanti altri motivi generano confusioni che interdicono nelle scelte, anche se oculate per l’autore.
Per aiutare negli intenti, la funzione di un critico d’arte, di un bravo professionista nel campo dell’editing, di un bravo editore o, più semplicemente, di un lettore di portfolio fotografico, possono costituire buone soluzioni per il fotografo e per qualunque artista in genere che non sia autoreferente.
In qualunque collaborazione o confronto, costante e insostituibile rimarrà il sano approccio fra le parti, che dovrà essere improntato, come viene ripetutamente detto ma non sempre praticato, al rispetto reciproco e all’umiltà. Basi minimali e indispensabili per il raggiungimento di un obiettivo che possa essere classificato come il migliore risultato percorribile in quel momento.
Tutte le parti in causa sapranno comunque che qualunque presunta eccellenza in prospettiva rimarrà relativa, perché ogni opera rimane circoscritta al giudizio assegnato nell’ambito operativo del momento cui si riferisce. Tutto potrà, quindi, essere messo in discussione nel tempo.
Importante pertanto rimarrà la disponibilità di tutte gli attori coinvolti, che dovranno rimanere sempre aperti a rivisitazioni e revisioni nelle acque limpide dei vari fiumi che andranno a scorrere.

Buona luce a tutti!

© ESSEC

martedì 11 gennaio 2022

I fotografi, nel loro insieme, seguono sostanzialmente un solco antico



La fotografia in pratica non è altro che uno strumento innovativo per rappresentare la realtà.
I fotografi, nel loro insieme, seguono sostanzialmente il solco antico della narrazione nata attraverso i graffiti, che nel tempo si sono progressivamente sviluppati attraverso forme rappresentative variegate e di cui restano ancora tracce in funzione dei materiali e della scelta comunicativa.
Molti antichi graffiti disseminati in tutti gli angoli del globo terrestre, sviluppano tracce iniziali che accomunavano gli uomini del tempo forse e solo verso riti propiziatori primordiali. La deriva dei continenti di certo ha fatto sì che le dislocazioni più disparate giustificassero poi le attuali lontananze, con messaggi che si andavano evolvendo assai diversamente secondo i cambiamenti nelle rispettive culture autoctone.

Diverse sono anche state le civiltà che hanno sviluppato le loro forme rappresentative che, da propiziatorie, si sono sempre più trasformate in racconto.
Le tracce a noi pervenute non testimoniano la totalità degli sviluppi, legati, oltre ai cambiamenti socio-culturali delle differenti etnie, anche alla materia adoperata nei lunghi processi.
Escludendo le operazioni distruttive conseguenti agli eterni conflitti bellici, testimonianze più o meno significative di tali operazioni si ritrovano ancora nei rinvenimenti archeologici oggi percettibili grazie all’utilizzo di materiali resistenti, quali il marmo o altri, che hanno consentivo di conservare nel tempo tracce significative di disegni, bassorilievi, sculture e quanto altro ancora potesse poi preservare dalle intemperie del tempo.
In tutto questo, però, mentre è possibile ammirare i resti delle civiltà assire, babilonesi, egizie, inca, atzeche, etc, quasi nulla rimane delle pur importanti opere realizzate nel loro glorioso passato da dinastie asiatiche, altrettanto importanti culturalmente ma basate, nel realizzo dei manufatti, principalmente sull'utilizzo di materie assai deperibili, quale il legno o altri elementi non resistenti.
Le tracce originarie testimoniano, in ogni tempo e luogo, i punti di origine di ogni civiltà nel relativo sviluppo.
I differenti livelli evolutivi sono, senza ombra di dubbio, legati agli incontri (o scontri in molti casi) di differenti popoli. Le migrazioni fisiche di masse hanno anche consentito trasferimenti e confronti fra culture che via via hanno generalmente affinato, seppur con logiche differenti, le civiltà nei diversi continenti.
La storia da sempre ci insegna come principalmente dalle masse indoeuropee è derivata la civiltà greco-romana, che costituisce il fulcro del nostro attuale mondo capitalistico globalizzato.
Questo ampio preambolo, vuole in qualche modo distinguere i due momenti essenziali che caratterizzano in genere la cultura, ma anche ogni qualsiasi evoluzione sociale maturata attraverso le interconnessioni fra le comunità umane.

Fermo restando in dilemma se prima è nato l'uovo o la gallina, propenderei intanto per l'evoluzione teorizzata da Charles Darwin. In ogni caso c’è sempre un prima e un dopo. Il prima costituisce il seme che sviluppa la pianta che si insedia in un territorio per poi riprodursi o estinguersi a seconda delle condizioni dell’ambiente in cui è portata a crescere (il dopo).
Anche nella pratica fotografica ci sono delle epoche che differenziano i tempi.
La visione storica ormai ci consente di poter distinguere le tante fasi del fenomeno; dalla creazione, ai pionieri, agli attuali appassionati fruitori che l’hanno oggi assurto l'espressione fotografica a forma d’arte.
In origine la fotografia era un mondo riservato e sostanzialmente circoscritto a due categorie: chi la utilizzava per scopi lavorativi e chi per hobby, spesso grazie alle non indifferenti disponibilità economiche familiari.
Nel primo caso poi c’era chi esercitava l’attività di fotografo artigianalmente, per ritrarre soggetti o paesaggi in chiave quasi pittorica e per ovvi scopi commerciali, o chi, invece, la utilizzava come strumento per attività documentale e di reportage (giornalismo, scopo antropologico/scientifico, urbanistico, etc).
Col miglioramento medio delle condizioni economiche delle diverse classi sociali e grazie a un maggiore sviluppo tecnologico, l’accesso alla pratica fitografica si è via via allargata ad ambiti sempre più vasti di popolazione, con utilizzi variegati, specie negli ampi spazi culturali rivolti a velleità artistiche.
La fotografia diviene, a poco a poco e sempre più velocemente, un mondo accessibile a moltitudini sempre più larghe di utilizzatori e praticanti, riducendo progressivamente quel monopolio che ne aveva caratterizzato gli albori.

Grosso modo, se si vuole dare una certa datazione, lo spartiacque potrebbe essere individuabile all'incirca negli anni del ventennio del novecento, quello che va dal 1920 al 1940; quando cioè in Europa i nascenti regimi totalitari individuano la documentazione filmata come un efficace mezzo di propaganda e negli Stati Uniti d’America si approfondiscono a livello governativo tematiche sociali quali quelle connesse alla depressione economica d’inizio secolo, oppure ecologiche, collegate anche agli sviluppi urbanistici che interessano le progressive concentrazioni nei principali centri abitati.
Dall’invenzione o, per meglio dire, scoperta della fotografia ad oggi è ormai passata tanta acqua sotto i ponti e risulterebbe assai impegnativo districarsi fra i tanti pionieri e gli straordinari utilizzatori della macchina fotografica che si sono succeduti.
Qualunque particolare attenzione, quindi, apparirebbe di certo discriminatoria e parziale rispetto a un fenomeno complesso e variegato.
Ciascuno di essi ha, in ogni caso, praticato la fotografia in base allo strumentario disponibile nei rispettivi tempi d'azione, ma differenziandosi gli uni dagli altri per filosofie e tecniche talvolta legate anche a esperienze personali pregresse o connesse (a seconda dei casi e dei personaggi), spesso strettamente riconducibili alle vicine arti figurative.

A questo punto potrebbe risultare partigiano qualunque cenno a qualsivoglia dei tanti, molti fotografi, che hanno fatto la storia della fotografia e non solo.
Ognuno potrà quindi crearsi una propria opinione e continuare a seguire l’autore che più preferisce in base al modo di vedere e alla proposta fotografica nel suo insieme che valuterà più consona nell'ampia letteratura testuale e visiva disponibile; immaginandola funzionale agli utilizzi e agli scopi diversi, siano essi estetici, rappresentativi, documentali, intimistici, astratti, surreali, utopici, illusionistici e ogni altra idea culturale o vagamente sociale più in generale a cui si ama associarla.

Ci si appassionerà ai protagonisti di questo universo visionario, indipendentemente dal luogo e contesto storico di appartenenza.
Così come ci sono storici dell’arte specializzati in arti antiche, ce ne sono altri dediti principalmente a quelle moderne. Lo stesso accade anche in fotografia, senza però mai dimenticare o disconoscere continuazioni, sovrapposizioni e contaminazioni che inevitabilmente implementano il DNA insito in ogni idea, che si nutre e matura diversificandosi nelle tante attualità moderne.
Tirando in ballo il grande Pirandello, drammaturgo, poeta e scrittore premio Nobel per la letteratura, potremmo citare intanto dei titoli di sue complesse opere, quali: “Così è se vi pare” o “Uno, nessuno e centomila”, per rendere un po’ più calzante l’idea.

La popolarità e le opportunità offerte dal veloce sviluppo del mezzo di ripresa, specie nel mondo capitalistico, in un breve lasso di tempo hanno intanto portato una parallela evoluzione della macchina fotografica, strumento principale di ripresa. Fino a fare diventare oggi, quello che era all’origine un rudimentale arnese meccanico (reflex, mirrorless o cellulare che sia) quasi un mini computer, inglobante di tanti automatismi impensabili atti a facilitare anche gli utilizzatori neofiti (in argomento si rimanda a un precedente articolo che si sofferma sul tema).

Una cosa è ormai certa, quella cioè che i tanti strumenti fotografici disponibili, associati ai media e social oggi esistenti, hanno fatto finalmente capire l’importanza del messaggio visivo.
Anche se questo può essere maldestramente utilizzato (per fornire una rappresentazione falsa della realtà), di certo che attraverso di esso si è in grado oggi di rendere quell’immediatezza comunicativa da sempre perseguita, che rappresenta poi una sintesi assoluta, completa ed efficace di un intero discorso.

In conclusione, tutto questo rivela, altresì, come la macchina umana, per nulla meccanica ma ancora a noi misteriosa, con i recettori che sono presenti nella sua struttura complessa e, per molteplici aspetti, ancora sconosciuta, è pronta a riconoscere i segnali che vengono abilmente confezionati e trasmessi da manipolatori esperti. Per farne oggi strumento essenziale nella organizzazione sociale e nella comunicazione politica specialmente.

Buona luce a tutti!

© ESSEC

mercoledì 5 gennaio 2022

Dei così detti "neuroni-specchio"



A commento di quanto proposto da Economia & Finanza Verde, con due eccellenti testimonianze sul significato e il processo creativo di un’opera d’arte, avevo scritto:
“Questi due preziosi filmati testimoniano i tratti di un artista a tutto tondo, che molto ancora avrebbe potuto dire.
L’artista ci dice che contemplare l’arte non è utilizzare solo gli occhi, ma tutti quanti i sensi ….. per indirizzare al cervello gli elementi d’insieme, tutto ciò che è possibile cogliere. Quanto viene captato è necessario per una lettura personalizzata che, in ogni caso, sarà sempre differente per ciascun osservatore.
I video proposti sono un esempio concreto di quanto sopra detto.
Il compianto Alinari, che non mancava certo di fantasia e creatività, ci affascina ancor oggi proponendo racconti impregnati di onirico ed evanescenze.
E, come in un dormiveglia o, se si vuole, dal lettino in cui si manifestano le doppie vesti dei soggetti attori in una seduta psicanalitica, Alinari riesce a materializzare abilmente elementi concettuali sfuggenti.
Quasi un esempio di training autogeno in cui, osservando, riesce a analizzare e riflettere sostanzialmente sé stesso.”
Come spesso accade, specie nella scrittura, da cosa nasce cosa.
Stamani, a tambur battente, una puntuale email dall’amico Pippo, nel concordare il commento, allarga l’argomento e viene a scrivere delle considerazioni che impreziosiscono e arricchiscono ulteriormente il quadro.
Mi piace qui condividere, con i tanti appassionati di fotografia e molti altri che amano l'arte in genere, il contenuto del suo messaggio, certo fin da ora di esserne autorizzato, rimandando, in ogni caso, alla consultazione dell’articolo che in origine ha suscitato i nostri rispettivi commenti.
“Ci siamo già intrattenuti su Luca Alinari e sulla sua opera.
Concordo che ‘l'utilizzazione dell'arte’ (meglio, dell'utilizzazione del mezzo artistico) attraversa sia in fase di impressione, espressione, rappresentazione, partecipazione le potenziali risorse dei nostri sensi, sia come conferma della bontà di quanto realizzato, sia come percezione consapevole del suo significato.
Tante volte, in tal senso, dal mio continuo parlare, è venuta fuori un'estetica costruita sotto il condizionamento dei così detti "neuroni-specchio".
Credo che non dobbiamo minimamente preoccuparci in tal senso. La loro esistenza anzi mi conforta: le nostre fantastiche elucubrazioni critiche provengono da precise empatie, materialissime, nelle quali tutti i sensi partecipano con le loro risorse ermeneutiche.
Già l'avevano capito i musicisti nel secolo scorso e ancor più l'avevano sperimentato gli artisti popolari che utilizzavano la loro arte anche in senso terapeutico, liturgico e politico.
Riconducendo la riflessione alla nostra passione ricordiamo che si fotografa bene solo ciò che si ritiene di conoscere (come se stessi). E i nostri sensi fanno parte di questo magnifico lavorio guidato dal nostro corpo-mente. (F.to Pippo Pappalardo)”

Buona luce a tutti!

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martedì 4 gennaio 2022

Roma - Quartiere Testaccio: "Villaggio Globale" (Slide Show)



Con brano musicale degli Indicative Band uno Slide show creato con pochi scatti realizzati all'esterno della struttura romana che costituisce un punto di riferimento per tutti coloro che amano la Street Art. Link per la visione: https://youtu.be/jwBtHx3gFfA

Buona luce a tutti!

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"Ci sono le icone pop, c’è Papa Francesco e ancora Paperone, ci sono tutti i simboli e miti che hanno fatto la storia. Nel quartiere romano di Testaccio al Villaggio Globale nasce la Cappella Sistina della poster art.
Era un muro fatiscente e anonimo, ma grazie a oltre 230 artisti da tutto il mondo è diventato una sorta di album con i più svariati manifesti della poster art mondiale.
Trecento poster su una parete di oltre 20 metri di lunghezza e sei di altezza che hanno tappezzato ogni centimetro creando il Worldwide Wall. Un lavoro durato tre giorni, dalle nove del mattino alle tre di notte, con il risultato che vede che in queste immagini.
La poster art è ormai nell’immaginario collettivo. Una moda scoppiata nelle grandi città da Parigi a Londra, passando da Hong Kong e il Medioriente, che adesso arriva in Italia, nella suggestiva Capitale.
Il Worldwide Wall, considerato il muro che unisce e non divide è diventato quasi un luogo di pellegrinaggio. Tra i posteresti: Merio Fishes, Tzing Tao, Stoker Propaganda, K2m, Aloha streetart, Mr. Minimal, Oral Pro Nobis e Hanshellgretel e Andrea Gandini, l’unico degli artisti romani che ha partecipato alla creazione del muro.
Da fenomeno della realtà virtuale nato su Instagram a un vero e proprio boom mondiale che va anche a sdoganare l’idea diffusa che i poster contribuiscano al degrado cittadino.
Che sia in corso una rivoluzione e che il percorso sia simile a quello della street art? Per adesso, ciò che c’è di certo che una superficie di oltre 170metri quadri che versava nell’abbandono si è colorata, contribuendo alla rinascita di un bellissimo quartiere come il Testaccio." (Fonte: https://www.greenme.it/vivere/arte-e-...)

domenica 2 gennaio 2022

Street art & Fotografia, connubio indissolubile per documentare forme artistiche d'avanguardia.



Per la visione e l’apprezzamento di un’opera d’arte, in genere si ha bisogno una dimensione spazio/tempo prestabilita, adeguata, che ne consenta una piena godibilità.
Se espressa in forma statuale o in una generica installazione, troverà naturale alloggio in una piazza, o in un ambiente museale, allocata secondo una logica pensata dall’autore o dal critico d’arte chiamato a curare l'esposizione. Lo stesso accade grossomodo per i quadri pittorici e ogni altra diversa forma artistica soggetta ad essere esposta per essere adeguatamente contemplata e letta.
Nella street art, invece, escludendo tutte quelle realizzazioni commissionate o collegate a rievocazioni lautamente finanziate, l’artista si muove di norma in un raggio d'azione variabile, con autonomia indefinita e ampia che non ha nulla a che fare con intenti di sfruttamento incentrati ad aspetti economici.
Oggi, il moderno fenomeno artistico, molto diffuso, incontra tolleranze in molte amministrazioni pubbliche, le quali non vedono più queste forme espressive come azioni vandalistiche ma, anzi, le valutano come possibili incentivi per cercare di riqualificare interi quartieri cittadini spesso trascurati, siano essi del centro o di periferia.
Molti sono i comuni che promuovono queste iniziative artistiche, facendo sì che edifici fatiscenti o capannoni abbandonati divengano dei veri e propri potenziali spazi per graffitari creativi, che necessitano di manifestarsi culturalmente e a loro modo, attuando liberamente come preferiscono il proprio estro.
Negli agglomerati urbani talune zone sono diventate oggi veri e propri punti di riferimento per artisti e fotografi che amano rispettivamente esporre le loro opere o documentarle. Instagram forse è il principale veicolo mediatico più diretto che consente agli interessati un monitoraggio quasi immediato dei quartieri e dei luoghi che ricevono, con flussi costanti, testimonianze delle varie e differenziate produzioni.
In genere accade che ogni opera creata per l’artista abbia una funzione e una logica propria, che spesso dialoga con l’ambiente urbano in cui viene collocata ovvero può anche stridere, per volute provocazioni surrealiste, astratte o altro; tutto ciò al fine di sollecitare l’immediata attenzione dell’osservatore comune a cui mira e si rivolge.
Nel tempo, il deperimento e la trasformazione delle opere costituisce per queste formule creative un fatto normale. L’invecchiamento, in qualche modo, si viene ad associare pienamente alla naturale evoluzione che interviene nel nostro vivere, inevitabilmente destinato ad avere una sua logica involuzione e una conclusione fisica, per rimanere nella memoria di taluni e poter anche essere raccontata ad altri.
Il disfacimento fisico delle tante opere esposte alle intemperie meteorologiche modifica costantemente le materie, i disegni; velocizzando il processo degenerativo, anche in funzione della qualità intrinseca del materiale che è stato adoperato in origine.
E qui, ad un certo punto, compare massicciamente la documentazione via via attuata con la fotografia.
Appassionati d’arte e fotografi o filmaker interessati a qualsiasi manifestazione fisica da riprendere, raccontare e riprodurre, che pure possono coincidere con gli stessi autori dei graffiti realizzati, sono quelli che vengono a catalogare fortunatamente le tante opere. Fissando le fasi dei vari momenti realizzativi, dalla creazione al deperimento, fino alla scomparsa fisica o anche per delle sovrapposizioni con altri nuovi manufatti.
Interessanti - se non preziose - possono rivelarsi, quindi, le testimonianze raccolte nel tempo. È anche questo il motivo che rivisitare periodicamente degli stessi graffiti può quasi costituire lo scrivere pagine di un racconto. Può capitare talvolta che mutazioni possano riservare novità sorprendenti, generando estetiche originali e inattese, forse neanche pensate o ancor meno immaginate dagli stessi autori.
Innovazioni edilizie per demolizioni complessive o parziali, rifacimenti di facciate, nuove destinazioni di ambienti o radicali ripuliture di alcuni muri, porte o finestre, spesso determinano cancellazioni definitive o parziali che, fortunatamente, rimangono custodite nelle testimonianze fotografiche.
L’avvento della fotografia, in qualche modo, resta pertanto l’unico mezzo che va a storicizzare e a mantenere sempre vive le tante opere. Come detto, spesso sono gli stessi graffitari che oggi, con i loro cellulari, catturano nell'immediato il risultato artistico prodotto e, qualche volta, ne filmano anche le varie fasi del progressivo processo elaborativo.
Accade pure che stratificazioni di altri graffitari generino talvolta strani mutamenti e per vari motivi; sovrapponendo delle nuove opere ad altre preesistenti o per il solo cattivo gusto di andare a danneggiare o cancellare un messaggio di altri ben riuscito. In questo ultimo caso, l’invidia e il vandalismo costituiscono solo solita testimonianza di stupida ignoranza.
Può però, come accennato, anche accadere che delle sovrapposizioni possano venire a creare un impensato connubio armonioso; generando un quasi completamento di opere grafiche che, pur in origine disomogenee, si vengono a miscelare quasi naturalmente. Cosa che si realizza assai raramente ma che, quando succede, rappresenta un fatto imprevedibile, quasi fosse una inconscia segreta collaborazione fra graffitari di livello, che parlano un comune linguaggio espressivo, anche quando esso è attuato con disegni e con l’applicazione di generi estetici differenti, sempre però riconoscibili e personalizzati.
La vastità dei lavori prodotti e la vetustà delle opere appaiono, quindi, oggi principalmente visionabili grazie ai portali web e i vari social ove, oltre ai diversi artisti, anche appassionati di questo genere espressivo pubblicano un’infinità di scatti. E il tutto appare come in una grande galleria, dove una miniera di graffiti sono resi fruibili in modo globalizzato; con riproposizioni che talvolta comprendono panoramiche anche parziali dei luoghi in cui si trovano allocati, aggiungendo, quindi, delle particolari personalizzazioni di ripresa e una certa maniera di fotografarle nell’intero contesto.
Nella street art s’innestano anche tante forme artistiche che si differenziano per tipologia estetica e scuole di pensiero, anche per l’utilizzo di materiali diversi, che vengono pure riciclati, per attuare soluzioni differenti da schemi pittorici e creativi più classici.
Alcuni artisti, ad esempio, forgiano mattonelle di animo naif che amano collocare nei quartieri, magari facendo recitare al proprio personaggio tipicizzato alcune frasi tipiche del rione o modi di dire popolari in uso in quel contesto. Personaggi di altri artisti, realizzati magari con metodi da ciclostile o altre forme ripetitive quale lo stencil, si distinguono pure nel veicolare esternazioni correlate specificatamente a temi legati alla socialità; con considerazioni generalmente di contenuto socio-politico, contestualizzate al tempo in cui appaiono e che si pongono quasi sempre in schieramenti partigiani, connotabili al limite tra le fedi socialiste e le molteplici fiammelle di quell’anarchia utopica che non invecchia mai.
Il movimento artistico della street art è ormai accettato e si è esteso a macchia d’olio e, in qualche modo, si associa al sempre più altrettanto diffuso fenomeno tatoo.
In quasi tutte le parti del mondo - e di certo in tutti i luoghi in cui è consentito un modello politico liberista di tipo occidentale - si distinguono e differenziano le peculiarità specifiche di queste nuove forme democratiche d'arte moderna, variamente contaminate dagli ambienti socio culturali in cui si manifestano.

Buona luce a tutti!

© ESSEC

P.S. - Questo articolo, rivisitato nel testo e con l'inserimento di una serie di immagini di opere di Street Art scattate a Roma (Villaggio Globale) nello scorso dicembre è accessibile attraverso nel sito Economia & Finanza Verde.