giovedì 25 luglio 2024

"Zolletta. Buongiornouncazzo" di Florinda Cerrito



Un libro molto ben confezionato e alquanto unico nel suo genere, anche per l’eccellente equilibrio dei contenuti letterari con l’originale grafica, quasi fumettistica (non intesa in senso riduttivo, anzi).
Una lettura che scorre veloce e che, tra un sorriso e l’atro per le figure e le efficaci didascalie, induce anche a riflessioni successive come accade nei racconti delle barzellette sui carabinieri.
“Sorvolo strade, quartieri, città, campi, pianure, mari, boschi, a volte zampetto solamente sopra i tetti delle case, tra un ramo e l’altro come il Barone Rampante, attraverso nuvole, sola o abbracciata a qualcuno” dice di sé Zolletta.
In verità attraverso il suo alter ego Florinda, con il suo libro “Zolletta, buongiorno un cazzo”, affronta con apparente leggerezza una serie di tematiche, per sviluppare molteplici riflessioni su valori e l’esistenzialismo umano.
Il femminismo manifestato attraverso Zolletta è una chiara chiave di lettura che, se per un verso, consente di sottolineare tipici aspetti di una atavica società patriarcale, dall’atro fornisce efficaci metodologie di analisi, assolutamente indipendenti da genere ed età. Zolletta si racconta, mettendo in risalto e senza inibizioni, esperienze e sogni.
Il libro di Florinda, per i tanti concetti che incorpora, potrebbe essere considerato quasi una summa (tipo un piccolo bignami) di trattati scientifici di sociologia scritti dai vari Galimberti, Recalcati, Crepet, Morelli, e via dicendo, citando solo italiani. Con il vantaggio della visione alla Wim Wnders, nell’osservare il tutto dall’alto, ma con la vista da falco, attraverso i voli ampi e panoramici come quelli narrati da Italo Calvino per il suo Barone Rampante.
In ogni caso, la centralità del dubbio, che prevale in ogni considerazione, assicura onestà intellettuale nelle osservazioni, che garantisce la relatività necessaria per non omologare tutto quel che accade in certezze.
Zolletta/Florinda ama dormire, perchè è l’unica condizione che le permette di sognare (e qui potremmo forse scomodare Sigmund Freud). Confessa infatti: “Sogno fino a quando aprendo gli occhi, sento tutto il peso corporeo materializzarsi e quello dell’esistenza. Pervasa da un effetto bradipo, mi muovo lentamente sotto le coperte. Da uno stato embrionale mi evolvo verso uno stato di quasi umana appartenenza. Ci metto quindi un tot a svegliarmi e se per caso qualcuno, in questa fase di lento risveglio, mi dice buongiorno Zolla, purtroppo rispondo quasi sempre ..... #buongiornouncazzo!”
Nel libro stampato da Serradifalco Editore (pagg. 152), non mancano argomenti riguardanti più direttamente la politica, le condizioni e le disparità sociali persistenti, la pseudo democrazia occidentale e sullo stato dei contesti culturali vigenti.
C’è di tutto e di più, materiale sufficiente affinché ciascuno possa trovare conforto e spunti per attente riflessioni, non ultimo anche per ridimensionare il fenomeno dell’astensionismo elettorale.
All’opera prima di Florinda Cerrito con Zolletta Zolla, che sta intanto riscuotendo un meritato successo, sicuramente seguirà un nuovo racconto. Perchè Zolletta, con ironia e sagacia, parla di tutto a tutti e, come lei stessa preannuncia nel libro, ha ancora moltissime altre cose da dire.

Buona luce a tutti!


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mercoledì 24 luglio 2024

CITTÀ SOSPESE indagine sul paesaggio - Collettiva di "Fotografia transfigurativa" - Museo Cordici

Ricevo da Antonella Messina il comunicato stampa della mostra collettiva di "fotografia transfigurativa", da lei organizzata, che mi piace condividere con gli appassionati di fotografia.
Per la cronaca, le sole fotografie esposte realizzate da Antonella hanno composto un omonimo portfolio fotografico presentato in occasione dell'ultima edizione di TrapanInPhoto, al quale la giuria ha assegnato il secondo premio.

Buona luce a tutti!


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CITTÀ SOSPESE indagine sul paesaggio

Il Museo Cordici, La Torretta Pepoli con il patrocinio del comune di Erice sono lieti di presentare "Città sospese", una interessante esposizione di opere fotografiche che esplorano il tema del Paesaggio in chiave transfigurativa.
Questo progetto collettivo è il risultato di un intenso anno di riflessione e ricerca da parte di 41 fotografi contemporanei, con l’intento di offrire una visione unica e diversificata dell'arte fotografica.
La mostra, organizzata dal collettivo di Fotografia Transfigurativa presenterà dal 10 Agosto al 24 dello stesso mese 2024 una raffinata selezione di opere all’interno degli spazi della Torretta Pepoli di Erice L'inaugurazione, prevista per il 10 Agosto 2024 alle 11:00, rappresenta un'opportunità imperdibile per immergersi nell'essenza della "Fotografia Transfigurativa".
Gli autori saranno presenti per approfondire i principi fondamentali che guidano questa corrente espressiva. Immaginare un paesaggio in chiave transfigurativa significa affidarsi ai filtri diffrattivi ed espansivi propri del sogno e dello sguardo metafisico. “Se le guardi a lungo con intenzione, dopo un po' le cose ci parlano”.
Di cosa ci parlano i nostri paesaggi? Di noi, certo, dei territori che abbiamo esplorato con le nostre fotocamere, ma ci parlano anche del genere fotografico in sé: il nostro è un paesaggio sul Paesaggio. Nel nostro percorso non abbiamo inteso compiere un'analitica ricognizione geografica, ma proporre una rivisitazione del genere Paesaggio attraverso l'approccio transfigurativo.
Il paesaggio a cui abbiamo dato luce è il nostro pensiero sul mondo, un ritratto della natura, cioè tutto quanto le nostre emozioni possono cogliere di ciò che ci è intimo, che ci sta intorno e dentro, e a cui sentiamo di appartenere. Un pensiero condotto con gli occhi socchiusi del sognatore, sfrangiato, mosso, vignettato; oppure fermo, silenzioso, riflessivo.
Le nostre città sono sospese perché quello è lo stato del sogno, quando tutto si ferma e si entra a far parte di una cosmogonia sovraordinata, che unisce gli esseri, le cose, i sentimenti e tutta la grazia del creato dentro un clic.
Il nostro paesaggio ha un rapporto conflittuale con la bellezza. Molto diversa dal paesaggio tradizionale, che di un certo conformismo estetico troppo spesso si nutre.
La bellezza che noi cerchiamo si muove fuori dalle orbite del sensazionalismo e della spettacolarizzazione. Le nostre immagini ci cullano dentro armonie fatte anche di brutture, di buio o di angoscia, perché è quella la nostra realtà prima. Che spesso rifuggiamo, proteggendoci dietro il paravento di un bello già collaudato, ma che invece vogliamo provare a riparare, attraverso il recupero di assetti formali più coinvolgenti e meno stereotipati.
Abbiamo suddiviso il nostro mondo in quattro quadranti, come altrettante dimensioni metaforiche. Nord, Sud, Est, Ovest sono categorie esistenziali, inclinazioni dell'anima, stati dello spirito. Li abbiamo assunti per verificarli, e eventualmente sconfessarli, per uscire dallo stigma sociologico, ribaltando ataviche convinzioni.
Da questo punto di vista, la nostra è una vera indagine sul mondo, dall’esito per nulla scontato, che ognuno potrà esplorare in una sorta di messa alla prova dei propri pregiudizi. Abbiamo fotografato il paesaggio non per spiegarlo, ma soprattutto per capirlo. F.to Carlo Riggi

Dettagli dell'Evento: Data: 10 / 24 Agosto 2024 Luogo: sala conferenze museo Cordici presentazione mostra e omonimo libro, Torretta Pepoli mostra espositiva. Inaugurazione: Sabato 10 Agosto, ore 11:00



lunedì 22 luglio 2024

“Il potere piace proprio perché suscita invidia”



Nicola Carraro e Alberto Rizzoli sono due cugini che, in un libro scritto a quattro mani, intavolano una corrispondenza volta a raccontare storie incrociate che hanno interessato la loro famiglia.
Ne viene fuori un ricco racconto della dinastia Rizzoli, vissuto in comune anche per il prolungato impegno di entrambi nell’impero editoriale creato dal loro nonno Angelo Rizzoli con la sua intraprendenza e l’indiscutibile talento.
Tra le righe si ha anche modo di leggere il tenore di vita, le opportunità e i privilegi riservati a tutti i rampolli del capitalismo e dell’alta borghesia, con annessi oneri e onori; che non sempre poi riescono a consolidare e a mettere in sicurezza i patrimoni di cui sono divenuti quasi inconsapevolmente eredi.
Le pagine del libro, che sostanzialmente raccontano cento anni di una dinastia vista dal suo interno, filtrano gli eventi attraverso i sentimenti percepiti e direttamente respirati dai narratori.
Due angoli visuali, quindi, focalizzano sia i più importanti episodi che gli accadimenti comuni, esponendo con lealtà e reciproco rispetto in forma epistolare eventuali differenti punti di vista.
Così ciascuno rievoca i momenti, attendendo dall’altro di ricevere verifiche o completamenti con informazioni mancanti, nel reciproco intento di far rivivere, nel raccontarsi e raccontare, le figure che hanno inevitabilmente condizionato e modellato la loro crescita.
Al momento della stampa del libro da parte della Mondadori (2015), con il titolo “Rizzoli – La vera storia di una grande famiglia italiana”, i due autori, nati rispettivamente nel 1942 e nel 1945, erano entrambi ultra settantenni, con esperienze e maturità pertanto sufficienti per saper positivamente discernere, anche sulle differenti scelte operate dai loro genitori, una volta venuto meno il padre (per loro, il nonno).
Specie per il loro tenore di vita, le loro storie si possono forse traslare ad altre realtà consimili. Per immaginare le vite condotte in altre famiglie analoghe appartenenti all’alta borghesia, anch’esse spesso emerse e affermatesi nel panorama economico industriale del dopoguerra, al nord come al sud.
La chiave di lettura con cui approcciare dovrà, quindi, essere essenzialmente rivolta all’interesse di poter procedere verso una forma di arricchimento culturale e non già al desiderio di cercare di spiare dal buco della serratura; seppure sollecitati da pregiudizi etico-sociali, invidie classiste o altri propositi di basso profilo.
L'utilità nel leggere questo libro sarà quella, cioè, di venire a colmare ignoranze, per dare possibilmente delle risposte a tante curiosità recondite e magari poter allargare indirettamente le proprie conoscenze. In questo caso attraverso i vissuti di individui più fortunati che avranno avuto occasioni per opportunità non abituali, ovvero, più semplicemente, esperienze estranee ai più comuni mortali.
In proposito, comunque, in questi casi a spingerci nella curiosità e nella voglia di conoscere, sintomatica rimane la citazione del mitico Luciano De Crescenzo che recita: “il potere piace proprio perché suscita invidia” (dal suo primo libro “Zio Cardellino”).

Buona luce a tutti!


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sabato 20 luglio 2024

L'Avvocato Pappalardo ci regala "Qualche considerazione ......"



Il contributo allegato prende origine da un commento ad un articolo di Marco Calamari, pubblicato sul portale Economia & Finanza Verde; di estrema attualità e attinente, in particolare, al bug informatico generato l’altra notte (in Italia) che ha paralizzato variegati sistemi e piattaforme web di mezzo mondo.

A margine dell’articolo avevo annotato le seguenti brevi considerazioni: "Quindi, tutto sommato risulta attendibile l’importanza della punteggiatura nel dare senso a una frase ….. anche informatica.
“Non ho nessuno scopo e sono felice” è la battuta del duo Ficarra e Picone che, nel film “La Stranezza”, cercavano d’insegnare recitazione all’attore amatoriale durante le prove di una piece teatrale. Quello, intercalando una virgola dopo “non ho nessuno” …… andava a stravolgere completamente il reale senso della frase del copione”.

Per il felice accostamento del commento all’articolo di Calamari, venivo spronato a scrivere a mia volta un articolo sulla punteggiatura.
L’intrigante proposta mi piaceva pure ma, appassionato di fotografia, ho provato a trovare una soluzione coinvolgendo nell’operazione l’amico Pippo Pappalardo, che ha fortunatamente raccolto l’invito.
A stretto giro di posta ho quindi ricevuto l’interessante articolo che ripropongo di seguito; che tratta della punteggiatura nell’arte e non soltanto.
Un vero cadeau che illumina, con la giusta enfasi e focalizzando in particolare l'ambito fotografico, discernendo tanti peculiari aspetti rappresentativi del mondo dell’arte.

Buona luce a tutti!


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"Qualche considerazione …..

Da sempre abbiamo considerato la fotografia come uno strumento di comunicazione statica. La sua evoluzione, nel tempo, ci ha permesso, però, di rivedere questa valutazione specialmente alla luce della sua diffusione, condivisione, modalità di proposizione.
Il carattere strumentale posseduto da ogni immagine fotografica (ovvero documentare, narrare, esprimere, rappresentare, etc…) ha inevitabilmente contribuito alla focalizzazione di sentimenti, emozioni, sensazioni da parte di chi fruisce dell’immagine; ed, in effetti, noi rispondiamo agli elementi costitutivi dell’immagine fotografica, e, quindi, al colore, al dinamismo compositivo, allo schema grafico, all’energia del “cosa”, e, perché no?, Al ricordo, alla nostalgia, con modalità che possono (ripeto, “possono”) essere ricollegabili alla funzione grammaticale – sintattica della cd. “grammatica dei segni di punteggiatura”.
Torniamo, allora, per un attimo, sui banchi di scuola. Qui, ci si insegnava che il punto chiudeva il periodo dell’esposizione logica e ci rimandava ad altro o alla sua conclusione definitiva. Al “punto” occorreva accordare una pausa di riflessione, o di lettura, che aveva però modalità espressive differenti dalla virgola, considerata segno di pausa necessario ma di tono minore, da non confondere con tutti gli elementi di costruzione della scrittura (parentesi, trattini, grafismi di vario genere, prestiti da altre alfabeti) di cui ci avvaliamo (spero il meno possibile) per rendere più attraente la lettura del ns. testo (e mai l’esposizione).
Torniamo alla fotografia, testo visivo per eccellenza che, allorquando rimanda ad echi sonori, olfattivi, tattili, lo fa per evidenti ragioni di analogia di carattere indicale, di “mimesis”. Il carattere statico della sua immagine non presuppone la necessità svolta dalle funzioni dei segni di punteggiatura. Solo quando la fotografia si struttura in “sequenza”, forse, allora, abbiamo bisogno dei segni succitati (ma sappiamo, in tal caso, che la ripartizione e la sequenzialità organizzata dall’autore dovrebbe bastare). Ed in effetti, con l’eccezione del pannello multimmagine e del collage (non so immaginarne altri) la necessità o l’uso dei segni di interpunzione letterale sta solo nella testa di chi cerca complicazioni inutili.
Altra strada potrebbero suggerirci i segni di interpunzione espressiva (punti esclamativi, interrogativi). Invero, la grammatica della narrazione cinematografica e televisiva fa da sempre uso di questi strumenti in senso volutamente espressivo ed emotivo. Pensate all’accostamento filmico col l’esperienza sonora che diviene l’equivalente di un esclamativo, oppure di una dissolvenza, della sovrapposizione di fotogramma, di un cambio di ripresa, che pone tanti interrogativi dell’uno e dell’altro genere (Hitchcock, Kubrik etc.). L’uso di questi strumenti (sempre, ovviamente e regolarmente annotati “a posteriori”) è spesso solo suggerito e quasi mai non espresso chiaramente; semmai è lasciato alla suggestione del lettore.
Quindi, se il segno visivo e quello letterario hanno evidenti elementi di connessione, tali unità, a mio avviso, non consentono di poter accostare gli elementi costitutivi di ogni singola grammatica se non nella misura di qualche strumentale necessità.
Peraltro, tanti grandi ed illustri poeti hanno proposto l’eliminazione del punto esclamativo e di lasciarlo solo agli attori, ai giornalisti, e ai politici (e, aggiungo, sempre con diffidenza). Altri (il premio Nobel Claude Simon) hanno provato a comporre romanzi senza ricorrere alle virgole ed altri hanno eliminato i punti per scoprire dei testi diversi, inconsci,non concepiti dell’autore medesimo).
Per concludere: se avete provato a cantare una buona canzone sapete cosa voglio dire; non sul testo trovate questi benedetti segni, ma sullo spartito e, ancor più, nella libera interpretazione dell’opera artistica.
A creare confusione (dal mio punto di vista) nelle vs domande è arrivata, purtroppo, la vicenda “portfolio” che, nata secondo le migliori intenzioni (Crocenzi, Vittorini, Monti, Giacomelli, Torresani, Bicocchi, almeno in Italia), sta divenendo una cloaca inarrestabile di gente che è rimasta “infans”, senza parole e, conseguentemente, senza immagini.
Allontaniamoci da questa esperienza e crediamo ai ns. occhi.

F.to Pippo Pappalardo

N.B.: Scusate la mia non padronanza dell’uso corretto della punteggiatura."

mercoledì 17 luglio 2024

"Compagni di strada, compagni di avventura, compagni di poesia" di Pippo Pappalardo.



In qualche modo si ripropone con costanza il parallelismo fra pittura e tecnica fotografica.
Ripercorrendo la genesi e l’evoluzione storica della seconda, efficacemente illustrata da Giséle Freund (Fotografia e società) e alla quale si rimanda, appare evidente come entrambe le discipline ormai costituiscono strumenti per nulla in concorrenza, diversamente da quanto temuto all’origine; anzi entrambe si rivelano oggi utili, complementari ed efficaci per svolgere percorsi intrisi di tematiche concettuali e continui intenti creativi.
L’immagine visiva, ieri come oggi, continua pertanto a costituire – e sempre più - una sintesi volta a manifestare con immediatezza ogni intendimento comunicativo. Virtuale o reale poco importa, purché si riescano a raggiungere gli scopi creativi sottostanti.
Del resto è anche risaputo che l’autorialità, in ogni caso, prescinde dagli obiettivi e dagli intenti originari, in quanto costantemente legata ai luoghi e ai linguaggi convenzionali in uso che, associati, di volta in volta condizionano ogni giudizio e risultato.
Nella sua evoluzione, nata, come fu per Eva nel racconto biblico, dalla costola di Adamo, la fotografia ha via via sviluppato nuove e diverse forme espressive, con tante tecniche, fino a innestare un interscambio spontaneo e naturale volto a confondere i generi.
Nulla di nuovo, anche qui sono ormai leggi di natura, con le contaminazioni e le influenze che connotano le esperienze umane.
Di seguito vengo a proporre l’interessante traccia che lo scorso sabato l’inesauribile Pippo Pappalardo ha sviluppato fra gli amici fotografi e i tanti artisti riuniti presso la “Galleria Vacirca" di Caltagirone, che mi piace condividere nel mio blog per permetterne la lettura e magari contribuire indirettamente a fornire spunti riflessivi ai tanti appassionati di fotografia che possono trovarsi interessati.
Dalla lettura deriva marginalmente, oltre che qualche riferimento all’argomento del giorno e che tanto preoccupa (IA), anche un aspetto un po’ accennato da Pappalardo nello scritto e che è, a mio parere, anch’esso molto importante nelle proposte artistiche di oggi, ovvero l’allestimento.
Indipendentemente dalla valenza intrinseca ad ogni opera artistica, la presentazione estetica e l’interrelazione logistica nelle mostre allestite da curatori, costituiscono elementi indispensabili e molto importanti per indicare la narrazione artistica e magari rafforzare il dialogo delle opere esposte.
Per quest’ultimo aspetto si rimanda a un eventuale altro regalo che, nel caso e se lo riterrà opportuno, l’amico Pippo, vorrà proporci.

Buona luce a tutti!


© ESSEC

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Compagni di strada, compagni di avventura, compagni di poesia.

A quale genere ascriveremo questa breve nota fotografica? In effetti non abbiamo avvertito alcuna necessità di costruirla come una presentazione sulla personalità dei nostri artisti; né l’abbiamo immaginata come un dispositivo critico ed esegetico utile per illustrare la loro opera e le loro opere; e, volutamente, non intendevamo suggerire percorsi interpretativi circa il senso e la qualità dei loro elaborati. Ed allora?
Più semplicemente, siam voluti tornare sulla “scena del delitto” e, pertanto, tentare di capire quel momento iniziale (nella contrapposta vicenda artistica tra fotografia e pittura) che ha dato il via ad un nuovo modo di vedere le cose e di rappresentarle.
E se, dapprima, fu la presunta “oggettiva visibilità” del risultato fotografico a impressionare gli occhi dei nostri antenati, ben presto la riflessione su questo risultato - che rimane pur sempre “un risultato virtuale” -, insieme con la ricerca scientifica sulle risorse e sui limiti della percezione visiva, e sul carattere effimero di quanto intravisto, ci convinsero che il reale, dentro e fuori di noi, è ancora avvolto nel mitico velo di Maja; e la fotografia e la pittura, insieme e consapevolmente, hanno compiuto, ed ancora compiono, sforzi non indifferenti, per squarciarlo.
Eppure davanti un’immagine fotografica esclamiamo ammirati: “Bellissima. Sembra un quadro”. E davanti alla verosimiglianza di un quadro, proferiamo: “Magnifico! Sembra una foto”. Sappiamo, per esperienza, che tali reazioni irritano i loro Autori: da tempo, il “combattimento per un’immagine” è senz’armi e senza ragioni di belligeranza; eppure, ancora oggi, la cosiddetta “aura artistica” è chiamata in causa allorquando alle pareti sono accostate e contrapposte paradossalmente le diverse testimonianze della medesima radice espressiva e, quindi, dell’immagine e della sua rappresentazione e condivisione.
Invero, sui due fronti, si sono schierati i migliori cervelli degli ultimi secoli, contraddicendosi e confondendosi. E noi, qui, proviamo, ancora una volta, a penetrare tale complessità arricchita da una tecnologia che non ha ancora esaurito di stupirci. Ad ogni buon conto, con l’aiuto di Benedetto Croce, sottoscriviamo che l’esperienza visiva, quando si propone come esperienza artistica, muove da un’impressione sensuale, fisica, che si fa emozione nella ricerca di una sua intima definizione e diviene espressione di un’idea che liberatasi dai suoi gravami ormai è pronta per la sua rappresentazione e condivisione. Così il nostro filosofo, che, però, non attribuiva valore estetico o artistico alle fotografie perché troppo semplici da eseguire (e non è rimasto il solo!).
Adesso, volendo allestire una sequenza fotografica che dialogasse con i nostri pittori, si intendeva mantenere le domande di cui sopra, e proporre la possibile comprensione dei due fenomeni/esperienze da tempo contrapposte e che pure invadono i pensieri dei nostri giorni: da una parte, in fotografia, la constatazione di una ricerca che va verso l’occultamento dell’autore, quasi un timore ossessivo per la sua presenza autoriale, tutta a favore di una sua scomparsa (vedi gli ultimi esempi di applicazione della cosiddetta Intelligenza Artificiale della fotografia digitale); e, dall’altro, l’orgogliosa riaffermazione dell’individualità artistica, romanticamente e titanicamente (ri)proposta quale espressione di autonomia identitaria, di individualità creatrice, di libertaria risoluzione espressiva del genere umano.
Ed allora? Si è preferito prendere lo strumento in mano (quello fotografico), portarlo all’altezza degli “occhi, del cuore, del cervello”, e farlo interloquire con le persone, con gli strumenti, con gli ambienti che con altrettanta dovizia tecnica ed altrettanta passione continuano a dare una forma al tempo, una nuova matematica allo spazio, una nuova figura alla fantasia. Badate bene: l’esperienza è assai vecchia. Conosciamo infatti lo scambio tra le due avventure visive praticato già con disinvoltura dai pittori del secolo scorso fino all’eclettico Picasso; ed a tutti è nota l’epocale mostra “Combattimento per un’immagine”, 1973 – GAM Torino, curata da Carluccio e Palazzoli; e non possiamo prescindere dal magistrale contributo di Ugo Mulas che ci ha lasciato con “New York, arte e persone” un corretto, onesto, criterio per sciogliere ogni contrasto rifuggire ogni polemica.
Pertanto, andando a casa dei nostri artisti, nei loro studi, e guardando i loro attrezzi, sbirciando i loro progetti e catturando i loro gesti , il documento fotografico che è emerso dalla loro visione si è fatto motivo di emozione, causa di espressioni diverse ed oggi è qui accanto alle opere pittoriche per parlare con il linguaggio differente non di un “attimo fuggente” ma di un laboratorio di idee e di sentimenti affidato pur sempre a superfici confinate, a colori creati, a linee connesse non dal caso ma da un pensiero a lungo meditato; molto a lungo.
Questi accessi ci hanno riportato gli scambi tra fotografi e pittori come Degas, Cézanne Matisse, Duchamp e agli scultori come Brancusi, Messina, Pomodoro, Ceroli, Alik, Paladino. E con loro, la convivenza artistica e l’arricchimento reciproco scaturito da sodalizi stupefacenti come quello tra Giacomelli e Burri, tra Berengo Gardin e Nespolo. Straordinario, aggiungo io, l’incontro dei fotografi con l’opera di Morandi e, quasi una lezione d’arte per tutti, la visione di Piero della Francesca.
Ma cosa significa fotografare un’opera d’arte pittorica, un gesto pittorico? Certamente è cosa assai diversa riprendere un momento teatrale: in studio la tela sta ferma, la statua non si muove e riceve una luce spesso assai costante. Ma davanti ai tagli di Fontana, tra gli equilibri sospesi di Calder, tra le “colature” di Pollock, dentro l’obbiettivo del fotografo non passa forse il dinamismo di un pensiero, di una ricerca, di un incontro, di una partecipazione? Non diciamo sempre che “dietro l’obiettivo c’è un’idea, e davanti c’è il reale”?
Ebbene, proprio queste sensazioni ci hanno guidato ad una comunione. Una comunione che come racconta Scianna, riportando il suo incontro con Mulas, è una sfida: “troppo facile fotografare il barbone affamato; prova a puntare la macchina da un’altra parte, scegliti il “tuo” punto di vista e fattene una ragione”.
In effetti queste sequenze sono come delle “tracce, delle tappe”, sono figure attraverso cui la nostra coscienza di visitatori della Galleria abbatte le distinzioni, le categorie enciclopediche e converge sulla condivisione, sulla partecipazione.
“Non pensiamoci, allora, come due rive opposte: noi siamo il fiume” (Borges)".
Pippo Pappalardo

sabato 13 luglio 2024

Giacomo Barone – Delegato Fiaf della provincia di Palermo



Si riportano di seguito le informazioni che ha inserito Giacomo nella sua pagina web.

Giacomo, palermitano classe ’84, laureato, sposato con Sabrina e dipendente di un’azienda siciliana. Scopro la fotografia poco tempo fa e ne comincio lo studio da autodidatta, curioso di conoscere gli immensi orizzonti che grazie ad essa posso scoprire. La frequentazione dell’Associazione per le Arti Visive in Sicilia (ARVIS) ed i consigli di fotografi professionisti ed amici, mi hanno permesso di approfondire conoscenze tecniche e continuare a coltivare la passione con particolare riguardo al ritratto e alla street photography. Mi diverte ricercare l’anima dei soggetti, il loro divenire, il respiro che non senti, ma sai che è li. Amo i fotogrammi in controluce perché ogni soggetto può esprimere il meglio o il peggio di sé. Lo scopo del diario fotografico virtuale è quello di esprimere la mia passione permettendo a chiunque di poterne sfogliare le pagine. Sono fermamente convinto che l’immagine fotografata vada esposta e non “archiviata” all’interno di hard disk o la memoria di un cellulare. Per questo motivo ho inaugurato questo sito web permettendo anche ad altri appassionati come me, o fotografi dilettanti, di “potersi esporre.”

A seguito del recente rinnovo delle cariche sociali, conseguenti all’ultimo Congresso elettivo FIAF, oggi Giacomo riveste l’incarico di Delegato per la Provincia di Palermo, seguendo in tale veste le orme del suo predecessore, veterano della fotografia (fra i soci fondatori dell’ARVIS) Pippo Consoli.
L’operazione segue un percorso da tempo avviato in Fiaf volto a favorire un continuo ricambio generazionale; supportato dalle esperienze dei veterani, sempre disponibili a fornire loro aiuto, consigli ma anche a farsi da parte per dare occasioni e maggiore spazio a nuove idee atte a favorire la creatività giovanile che da sempre necessita di poter godere di respiri autonomi.
A questo riguardo Giacomo Barone si è da qualche tempo anche avvicinato all’arte - e a quella moderna e sperimentale in particolare - che, nell’ambito palermitano si muove in ombra con numerose proposte creative che di per sé - oltre a costituire interessanti spunti per la fotografica - a loro volta, con una collaborazione attiva, con incroci culturali, e l’entusiasmo giovanile dei fotoamatori in crescita, può beneficiarne in vantaggi.
In altre parole, Giacomo, oltre ad aver frequentato i vari corsi di fotografia classici, si è avventurato in prima persona nelle sperimentazioni d'arte moderna - e non solo - con i suoi reportage fotografici.
Oggi, con il nuovo ruolo di coordinamento con gli iscritti, i due delegati regionali e il responsabile dell’Italia meridionale, in questa sua peculiarità può favorire una maggiore diversificazione delle tematiche fotografiche da sviluppare e consentire l’avvio di un’ampia collaborazione con ambienti culturali locali non istituzionali. Ormai collaudati e dimostratisi altamente fantasiosi, oltre che interessati a portare avanti percorsi culturali che tendono ad accomunare e rendere diversi intenti convergenti.
Le fotografie che hanno illustrato la rivista riepilogativa del progetto sperimentale ideato da Florinda Cerrito e composta da una serie di mostre collettive itineranti nel 2023, denominato “Filoconduttore – C’è un filo invisibile che scorre e gioca in mezzo a noi”, sono state tutte via via realizzate da Giacomo Barone. Le stesse, unitamente ad altre sue immagini, hanno costituito elementi per un video che ha accompagnato l’esposizione conclusiva avvenuta al Baglio Di Stefano di Gibellina Nuova https://laquartadimensionescritti.blogspot.com/2023/10/filoconduttore.html.
In una recente performance d’arte moderna, lo stesso Barone si è pure proposto con un trittico fotografico sperimentale nell’ambito della manifestazione di mostra estemporanea denominata “Senzapelle” (Fabio Ventimiglia & Co.).
L’entusiasmo di Barone e dei giovani che assieme a lui risultano impegnati nell’avventura fotografica, per quanto intuibile, sono gli elementi di novità necessari e indispensabili per far approdare nuova linfa alla fotografia amatoriale.
La piena complicità e disponibilità dei veterani a fornire supporto, indipendentemente dalla portata delle innovazioni introdotte e dalla comprensibilità dei progetti, sono un elemento che introduce al nuovo e rafforza coesione e unità d’intenti nella passione intergenerazionale che accomuna tutti.
Del resto è risaputo che il mondo è bello perché è vario. Ed è anche vero che ciascuno potrà sempre trovare modo per individuare uno spazio dove allocarsi e, nel caso, cercare anche un aiuto nei giovani per comprendere linguaggi che sembrano, a prima vista o almeno in apparenza, assai diversi.

Buona luce a tutti!


© ESSEC

mercoledì 10 luglio 2024

L’autorizzazione agli straordinari è sempre implicita: il parere della Cassazione

In una recente sentenza la Suprema Corte riconosce il diritto alla retribuzione per il lavoro straordinario svolto in assenza di autorizzazioni formali, in linea con l’articolo 36 della Costituzione. Il pronunciamento della Corte di Cassazione si fonda su principi giuridici chiari e ben consolidati.



La Suprema Corte, fra gli altri, ha fatto riferimento all’art. 2126 del Codice civile, il quale stabilisce che il lavoro prestato con il consenso del datore di lavoro deve essere retribuito. Questo principio si applica anche quando il consenso non è formalmente espresso, ma è implicito nel comportamento del datore di lavoro.
Per chi volesse leggere per intero il testo completo della sentenza in questione, si rimanda al documento. (https://www.lentepubblica.it/wp-content/uploads/2024/07/4_6051023528906461538.pdf).
Di regola, ogni emanazione della Corte di Cassazione costituisce un precedente giuridico che, approfondendo specificità e interpretazioni, fa – come usa dirsi - scuola e andrà a condizionare i futuri giudizi inerenti alla materia.
Mi riferisco, ad esempio, a una casistica tranquillamente associabile nel merito a quella collegata alla citata sentenza di cassazione del 6 giugno 2024; pure affrontata nel libro di Celestino Quinto, intitolato “Pesi e Contrappesi”, pubblicato lo scorso anno.
Per rendere maggiormente comprensibile le articolate questioni si riportano di seguito stralci testuali di alcune pagine che, come intuibile, si basano su fatti realmente accaduti.
Inizio citazione:

“In tutto questo appariva peraltro curioso – pur in concomitanza dei tempi e anche l’aperto riconoscimento di cui godeva - il contrastante modo di operare attuato nel Credito Centrale. Un operare che veniva platealmente a dare legittimità anche ad aspetti fiscali anomali, derivanti dal mancato riconoscimento economico al personale in servizio, nel caso di prestazioni straordinarie.
Omero per il ruolo, seppur marginale, in una OOSS operante nel suo Istituto, aveva la possibilità di poter attingere a materiale sindacale probante che coinvolgeva anche realtà diverse dalla sua.
In un altro intervento quasi contemporaneo, apparso nel giornale Dirigenza Nuova del Sindacato direttivo della citata ........, aveva avuto modo di riscontrare che - senza mezzi termini - si denunciavano irregolarità per operatività attuate come prassi consueta in certi contesti; disattendendo con ciò apertamente quell’omogeneità comportamentale che norme interne prescrivevano alle varie dipendenze e per ogni attività.
Passi significativi dell’anzidetto articolo affermavano:
“Sulla base di argomentazioni a mio avviso fantasiose, il riconoscimento ai colleghi delle prestazioni straordinarie non avviene in maniera univoca sul territorio nazionale (con differenza, talvolta, anche fra Filiali limitrofe).”
In un successivo periodo si aggiungeva: “Ora, a mio avviso i diversi rappresentanti dell’Istituto non si rendono conto della pericolosità delle loro libere interpretazioni in mancanza di indicazioni regolamentari o di comunicazioni scritte della Banca e, pertanto, sono necessarie interpretazioni autentiche sulla materia. Infatti, il presupposto è che le segnalazioni riguardanti l’orario di lavoro dei dipendenti debbano corrispondere esattamente alle ore effettivamente prestate. Ciò, innanzi tutto, per le conseguenze di carattere legale e per le responsabilità personali e penali che ne conseguono.”
Nel corpo del suo documento quel sindacalista sosteneva ancora: “ritengo inconcepibile che a fronte di prestazioni similari i colleghi della Filiale X siano retribuiti in modo difforme da quelli della Filiale Y. Tra l’altro questa pratica provoca la diffusione di mentalità e modalità gestionali eccessivamente personalistiche rispetto ai canoni della Banca; costumi in base ai quali, estremizzando, si potrebbe arrivare a chiedere altre tipologie di asservimenti.”
Nel suo Credito Centrale, allo scopo di voler fornire una giustificazione che desse valenza giuridica a un illegale comportamento, per le questioni sollevate, il Direttore dell’epoca nell’accompagnare l’istanza di Omero volta al riconoscimento economico di prestazioni straordinarie, era andato candidamente a scrivere e ufficialmente agli organi superiori (nota conforme poi acquisita in seguito all’accesso agli atti) quanto segue:
“Al riguardo, corre l’obbligo di far presente che non risulta se vi sia stata un’autorizzazione della Direzione dell’epoca allo svolgimento di prestazioni al di fuori del normale orario di lavoro, in un contesto caratterizzato da una prassi – consolidata da tempo – in cui non sono mai stati riconosciuti compensi della specie.”
Nell’azzardata affermazione si sommavano due errori e cioè l’ammissione di una “prassi consolidata da tempo” di non corrispondere la remunerazione per prestazioni straordinarie e anche il fatto che tali prestazioni – qualora rese in sede ispettiva – esulavano da possibili competenze/autorizzazioni delle direzioni locali, atteso che incarichi del genere rispondevano a sfere gerarchiche ben superiori, facenti capo direttamente a uffici centrali (quindi non assoggettabili ad alcuna autorizzazione periferica, che, nel caso era solo obbligata a fare da tramite nel registrare le segnalazioni eventualmente trasmesse dal capo del gruppo ispettivo, per poi procedere alla quantifica- zione e all’annesso pagamento in busta paga).
A questa già avventata affermazione del suo Direttore faceva da contraltare la kafkiana comunicazione dell’Organo superiore che, con nota (anche questa acquisita in copia in seguito all’accesso agli atti), invece di acclarare l’assurdità scritta dall’alto dirigente locale (in ogni caso gerarchicamente subalterno), la andava a sua volta a utilizzare pure come prova e proprio punto di forza, al solo scopo di avallare l’abuso (quindi, ponendo l’affermazione del dirigente locale come inconfutabile prova per legittimare l’eclatante castroneria giuridico-amministrativa dallo stesso sostenuta).
Nello specifico periodo veniva, infatti, riportato che: “tenuto conto di quanto rappresentato da codesta Direzione e del notevole tempo trascorso, non è possibile verificare se le prestazioni lavorative in questione siano state effettivamente rese e preventivamente autorizzate.”
Nel tutto sorvolando sul ruolo di fatto svolto in quella circostanza da Omero, durante il periodo d’incarico ispettivo ricoperto.
Come era risaputo, chi svolgeva quei particolarissimi compiti rispondeva, peraltro, al Capo dell’Ispettorato centrale. Quindi, nelle corrispondenze amministrative, si venivano anche ad assommare – assumendole paradossalmente pure a dispositivo - due evidenti e palesi ignoranze normative.
Per la cronaca appare utile anche far presente che il contenzioso con il Credito Centrale aveva preso origine da un addebito postumo causato da interpretazioni restrittive e alquanto pretestuose; in qualche modo rivelatesi anche innovative rispetto a un documentato precedente e in ogni caso molto discutibili circa la poca coerenza prassi regolamentare.
L’interpretazione penalizzante era apparsa talmente anomala da indurre perfino la stessa segreteria della sede che aveva curato la pratica – motuproprio, cioè di propria sponte e senza che ne fosse coinvolto Omero - a obiettare sulle decisioni “teologiche” e “bizantine” che erano state artatamente assunte dall’Organo Centrale.
Come accennato, era stato pure fatto notare il fatto che la novità sostenuta andava anche a contrastare con un precedente documentato, che aveva già trovato pieno avallo da quelle medesime strutture amministrative che oggi venivano a introdurre delle rettifiche non più recuperabili e risultanti molto onerose.
Venne ben presto fuori che l’addebito, in verità, era stato sollecitato da strane improprie segnalazioni di un’addetta locale, peraltro pure pro- mosse dopo che l’iter amministrativo aveva già trovato validazione con le liquidazioni approvate, dando pertanto piena valenza a rendiconti di diarie e rimborso spese presentate e da rimborsare (per un’attività svolta e – nel caso specifico – assimilabile ad attestazioni rese da un pubblico ufficiale).
In pratica, erano state sollevate obiezioni e presunte anomalie del tutto pretestuose, su soluzioni che avevano peraltro procurato vantaggi economici allo stesso Credito Centrale. Tutto quanto costituiva frutto di un’iniziativa arbitraria sollecitata sottobanco da una subalterna che, nella struttura segretariale, manteneva perfidamente in serbo rancori personali di infimo profilo.
Qui Omero avrebbe potuto raccontare ben altro e si sarebbe potuto aprire un ampio capitolo, sul quale preferiva però stendere solo un velo pietoso e sorvolare, stante il livello etico morale dei personaggi coinvolti.”
Fine citazione autorizzata dall'autore (pagg. 52-58)

La domanda che viene a porsi riguarda, quindi, una questione lapalissiana. Ovverossia, che valenza può assumere una variazione d’orientamento giuridico su una problematica analoga per la quale è intanto intervenuta la tagliola della prescrizione?
Probabilmente resta intangibile la regola del “Marchese del Grillo”, simile a quella che è stata anche l'intitolazione di un libro di PIF: “Futti, futti, ca Diu pirduna a tutti".

Buona luce a tutti!


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venerdì 5 luglio 2024

“Io sono nessuno – Storia di un clochard alla riscossa”



Talvolta i libri si scelgono, altre volte s'incontrano per caso. Non sempre però si continua a leggerli dopo aver sfogliato le prime pagine. Tanti rimangono accatastati, gli uni sugli altri, dimenticati a fare solo d'ingombro. Altre volte capita pure di riprenderli e, anche per il diverso stato d'animo in cui ci si ritrova in quel preciso momento, suscitano un certo interesse o per l'argomento o il particolare punto di vista che intanto è cambiato.
«Non si è liberi se si dipende dalla generosità degli altri, ma solo se ci si costruisce il proprio futuro». Nel 2024 sembrerebbe una banalità ma, ancora oggi, corrisponde a una verità in una organizzazione sociale complessa, nella quale si confondono principi e interessi diversi; talvolta, quasi involontariamente, contrapposti.
Il racconto di Wainer Molteni è la storia di un clochard che, per una serie di concause, si ritrova a diventare tale quasi in modo automatico, ritrovandosi d’improvviso spiazzato e indifeso.
Pur disponendo di un bagaglio culturale ragguardevole, anche per essere cresciuto in un contesto familiare particolare ma che non lo ha privato di attenzioni, quantomeno materiali e logistiche, sono state una serie di concause a trascinarlo in un mondo parallelo affollato da esclusi.
La sua lucidità e la perseveranza gli consentono alla lunga però, non solo di sopravvivere ma di emergere dalla emarginazione che lo ha anche portato a vivere tante esperienze, accomunandolo ad altri compagni d'avventura.
Nel libro “Io sono nessuno – Storia di un clochard alla riscossa” Molteni sviluppa il racconto del suo percorso di vita, che lo ha trascinato al degrado, nel dover vivere d'espedienti; mettendo in luce contraddizioni collegate all’orgoglio e allo smarrimento sociale che lo hanno travolto e che, a un certo punto, lo hanno anche portato ad isolarsi volontariamente dal mondo convenzionale che ci ospita.
La narrazione fluida e coinvolgente obbliga il lettore a guardare cose e avvenimenti con un’ottica diversa; a vedere il fenomeno come quasi una scelta estrema che focalizza una serie di valori che si confondono con convenzioni, abitudini e paradossi. Opulenze e miserie, ordinarietà e improvvisazioni. Generosità ed egoismi, attenzioni e indifferenze.
Tante umanità si sfiorano e s'incrociano anche in questo mondo marginale e l’epilogo positivo che chiude la storia tende a dimostrare come, anche con un po’ di fortuna e di coincidenze, è talvolta possibile trovare un percorso che consente di recuperare un proprio spazio.
I tanti aspetti sociali legati al volontariato, all'associazionismo, al terzo settore, alla politica, pur rimanendo in secondo piano, evidenziano i tanti possibili rimedi utili a consentire di riemergere da qualunque abisso.
Il libro, stampato da Baldini e Castoldi nel 2013, è un vintage, non tanto prezioso per collezionisti ma per l’utilità dei suoi contenuti.
Dell’autore e dell’argomento ebbero a interessati a suo tempo i media. Per la peculiarità e la visuale offerta sui fatti narrati.
Molteni ci narra dei suoi otto anni di un vissuto particolare, che pure si incrociano con importanti avvenimenti sociali, forse volutamente mantenuti dall'autore sfocati e sullo sfondo; che alludono e significano, ma che potrebbero distogliere dalla tematica specifica riguardante l'universo dei clochard che è riuscito a illuminare e focalizzare assai bene.
Anche in un articolo del Sole 24, Rosalba Reggio ne ebbe a raccontare la storia.
Più che dilungarsi ancora nel tentare di descriverlo, forse vale più la pena di andare a leggere il libro.

Buona luce a tutti!


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giovedì 4 luglio 2024

“Conversazione in Sicilia” di Elio Vittorini



Caleidoscopi di ricordi folti e variegati affiorano in un incrocio di specchi che si riflettono e lasciano intravedere sempre altro e oltre.
Conversazione in Sicilia è un’operazione lenta d’atomizzazione dell’esistenza umana individuale, che prescinde dai luoghi, per ciascuno diversi, dalle componenti consolidate e eteree accumulatesi nella materia universale.
La lettura del romanzo fatta in età adulta produce quasi un’analisi terapeutica che, con lo scorrere delle pagine, si insinua e fa affiorare gli elementi di elaborazioni sedimentate nel tempo.
Evaporazioni esalano odori differenti che, associate ad esperienze, rievocano ricordi, personaggi, storie vissute o solamente ascoltate nei racconti e consolidate negli anni.
Effettua una disamina del DNA che si evolve e si arricchisce; profondamente diverso in ciascuno, in relazione alle discendenze e adattato al proprio vissuto.
Paradossalmente il racconto di Elio Vittorini potrebbe andare a rappresentare i tanti abitanti in ombra che alloggiano nelle tante Città invisibili di Italo Calvino.
Paradossi, allegorie e metafore, miscelate a ricordi rievocati, sono pretesti che consentono l’esumazione di concatenazioni inarrestabili che, per ognuno, hanno un senso e una logica differente; frutto di combinazioni e alchimie comuni ma altresì uniche, non tanto per la componentistica, bensì per le differenti strutture venutesi a consolidare.
E ogni musica di sottofondo che accompagna intona melodie differenti; attraverso combinazioni di semplici note, di per sé limitate e sempre uguali, ma proposte con alternanze e successioni di tempi che compongono spartiti differenti.
Pertanto, ciascun autore propone ed elabora una sua opera e lettori differenti, con i loro bagagli culturali e le diverse esperienze, andranno a vedere personalizzando. Elaborando e seguendo canoni propri, che risulteranno sempre originali, pur applicando e alternando l’uso di chiavi comuni.
A di là degli intenti di Elio Vittorini, legati ai messaggi sociali critici nei confronti del fascismo del suo tempo, la struttura del romanzo costituisce di per sé un efficace metodo sempre attuale e infallibile per poter procedere ad analisi introspettive.
Con l’avanzare degli anni poi, leggere Conversazione in Sicilia, consente a tutti di rivedere con assoluta nitidezza le tappe del proprio tempo che, come in un caleidoscopio, presentano immagini che lasciano affiorare tutte le sfaccettature possibili, con annessi gli odori, gli umori, le sensazioni e i sentimenti di una vita apparentemente sepolta, ma che alloggia spesso tizzoni dormienti, sempre accesi.

Buona luce a tutti!


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