venerdì 31 gennaio 2020

Piercamillo Davigo, il nuovo ‘bersaglio grosso’


Gran parte della politica, in Italia, tende ad autoassolversi riducendo il cancro della corruzione sistemica a isolate performance di “mariuoli” o “sfigati” di poco conto. Un “revival” di tale tendenza è la campagna di rivisitazione del ruolo politico di Bettino Craxi. Molti ne sono i protagonisti e gli obiettivi. Fra questi la magistratura, in particolare Mani Pulite. Come ha osservato Barbara Spinelli su questo giornale, definire Craxi non “latitante” ma “esule” è come invalidare le sentenze, con effetti devastanti sulla legittimità del sistema giudiziario.
Circa 27 anni fa, la stagione di Mani Pulite segnò – per il nostro Paese – un forte recupero di legalità. Sembrava prevalere quell’Italia che le regole le vuole applicare in maniera eguale per tutti e non soltanto enunciarle. Poi invece ebbero il sopravvento l’indifferenza o l’ostilità verso chi dall’interno dello Stato cerca di garantire la legalità. Di qui gli attacchi – tra l’altro – alle pretese invasioni di campo dei giudici. Con esiti perversi, perché mettere sotto accusa i magistrati, invece dei corrotti e collusi, comporta per costoro una minore fatica nel ricostruire le fortificazioni sbrecciate dalle inchieste. Esemplare, in questo percorso, è stato l’uso cinico del termine “giustizialismo”. Parola un tempo sconosciuta nel lessico giudiziario; poi introdottavi con la precisa finalità mediatica di diffondere pretestuosamente l’idea di un uso scorretto della giustizia, costringendo il dibattito a partire da una sorta di verità rovesciata; ormai adoperata con la stessa intensità dei “tackle” nelle peggiori partite di calcio, fino a farne un cardine della propaganda ingannevole basata sulla ripetizione assillante che alla fine fa sembrare veri anche i falsi grossolani.
Nei confronti della magistratura questa tecnica è stata applicata in modo implacabile da Silvio Berlusconi. Le indagini milanesi sulla corruzione erano per lui “del tutto estranee a uno Stato di diritto, sintomi di faziosità eretta a regime giudiziario e di una gestione accanita e politicizzata della giustizia penale”. A seguire, ci fu la proposta di una Commissione parlamentare d’inchiesta per “accertare se ha operato nel nostro Paese un’associazione a delinquere con fini eversivi, costituita da una parte della magistratura” (così il portavoce di Forza Italia, on. Bondi). Senza negarsi proteste di piazza contro i giudici “scomodi”, con manifesti osceni tipo “fuori le Br dalle procure”. Portando ai livelli di guardia la compatibilità con le regole di convivenza istituzionale proprie di un sistema democratico.
Oggi – si direbbe – l’insofferenza verso la magistratura registra, dopo la stagione dell’esuberanza (?) berlusconiana, un’inedita declinazione, il cui “bersaglio grosso” è un singolo magistrato: Piercamillo Davigo, il “dottor sottile” di Mani Pulite, componente del Csm, spesso chiamato dai media a intervenire sui problemi della giustizia e del processo, da ultimo il tema della prescrizione. Con un linguaggio non felpato, mai in “giuridichese”, ma chiaro e netto (perciò temuto da chi preferisce le cortine fumogene), Davigo usa prendere posizioni argomentate e graffianti. Dissentire anche con vigore è ben possibile. Ci mancherebbe. Ma gli avvocati sono andati oltre. Quelli di Torino, Lanusei e Reggio Emilia hanno chiesto per Davigo sanzioni disciplinari; quelli di Milano che non possa partecipare alla cerimonia di inaugurazione dell’Anno Giudiziario di sabato prossimo per la quale è stato designato dal Csm. Il “capo d’accusa” degli avvocati è tuono e tempesta: magistrato “accecato da visioni giustizialiste”, colpevole di “un violentissimo attacco allo Stato di diritto”, che nega i “fondamentali principi costituzionali del giusto processo, della presunzione di innocenza e del ruolo dell’avvocato nel processo penale”.
In realtà quelle di Davigo sono idee e proposte tecniche sempre motivate, non comprimibili nel perimetro di antichi slogan a effetto. In ogni caso, le gravi difficoltà della stagione che stiamo vivendo non consentono il lusso del silenzio. Altrimenti, mentre tutti parlano di giustizia, sarebbero solo i magistrati a non poterlo fare. Assurdo: come pretendere che i medici non parlino di sanità o i giornalisti di informazione. La speranza, dunque, è che la furia degli avvocati (i “principi” del contraddittorio) si plachi, recuperando le forme di un articolato confronto. Così da respingere ogni atteggiamento che possa essere letto come pericoloso per la libera manifestazione del pensiero.

Giancarlo Caselli (Il Fatto Quotidiano - 31 gennaio 2020)


martedì 21 gennaio 2020

Craxi a venti anni dalla sua morte



In questi giorni è stato ricordato Bettino Craxi a venti anni dalla sua morte. La figura del personaggio tuttora riesce a dividere fazioni contrapposte. C’è chi lo commemora come statista, chi si concentra sulle vicende finali che lo hanno indotto a preferire di lasciare l’Italia. Qualcuno sostiene che l'ultimo periodo di vita lo ha vissutoi come esule, qualche altro come latitante.
Di certo non si arriverà mai a conciliare le due tifoserie, entrambe contrapposte e infarcite da preconcetti e da analisi in ogni caso parziali - o comunque incomplete - su un personaggio che ha vissuto, nel bene e nel male, un particolare periodo storico travagliato della politica italiana.
A dimostrazione di quanto detto, porto ad esempio due articoli, scritti da due penne non secondarie del nostro giornalismo contemporaneo: Massimo Fini (Vi racconto il lato buono di Bettino) e Marco Travaglio (Il bottino di Bettino: ecco la lista delle spese private).
Entrambi raccontano del personaggio, il primo ricordando anche esperienze collegate a una conoscenza diretta, il secondo incentrando il suo editoriale sugli incartamenti giudiziari che l’hanno interessato nel tragico tramonto del suo socialismo col P.S.I.
La cosa interessante è che i due pezzi non si contraddicono affatto, anzi costituiscono due facce di una stessa medaglia. Parlano entrambi dello stesso personaggio, osservadolo da differenti angolature e in fasi temporalmente diverse.
E come spesso accade, entrambe le tesi risulteranno pertanto veritiere, complementari e inconfutabili, poiché nel caso rappresentano particolari momenti delle diverse stagioni del Bettino Craxi uomo e politico.
Come se non bastassero le occasioni per dibattere, anche il regista Gianni Amelio ha voluto affrontare l’argomento con un suo film (Al riguardo rimando alla lettura dell'interessante articolo scritto da Daniele Corsini, che ha il titolo del film "Hammamet"). Amelio, diversificandosi rispetto ai citati giornalisti, ha però dipinto le scene di quei tempi utilizzando tinte dai cromatismi evanescenti, enfatizzando forse eccessivamente solo alcune tessere di un mosaico di vicende complesse e ricche che, per alcuni aspetti almeno, avrebbero necessitato invece l’utilizzo di un arco di colori più deciso e variegato. Un racconto parziale, quindi, e pure romanzato a tratti.
Il tutto dimostra, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che per esprimere un giudizio su un personaggio oggi, come ieri, non basta neanche più la storia. Specie se ci si pone davanti a specifici periodi di soggetti complessi, magari estrapolando esclusivamente aspetti che caratterizzano contingenze di particolari stagioni della loro vita.
In un più recente articolo (25 gennaio u.s.) Massimo Fini ritorna sull'argomento "ora che le beatificazioni, le santificazioni e la contrapposta, inesorabile, damnatio memoriae vanno fatalmente a sfumare" per dire che "I Craxi erano tre" e tracciare le differenti fasi del socialismo craxiano, con un bilancio finale colorato di "nero". L'analisi è condotta da Fini con i consueti metodi che lo contraddistingono e con argomentazioni difficilmente confutabili perchè riferiti a fatti direttamente conosciuti e in parte noti. 
Ciascuno di noi quindi potrà tessere lodi o dire peste e corna del prossimo in funzione delle esperienze dirette o talvolta prendendo per buono il solo sentito dire, basandosi su fatti comunque legati a periodi temporalmente circoscritti e secondo gli umori vissuti da ciascuna parte in causa, osservatore e osservato.
Ma non sarà quella la verità assoluta perché come ha scritto il sommo Pirandello ciascuno di noi è uno, nessuno e centomila e le maschere indossate nell’arco di una vita saranno sempre molteplici per tutti.

 © Essec


sabato 18 gennaio 2020

Il “cazzeggio” forse oggi è una delle poche vie di fuga


Utilizzo della foto autorizzato dalla fotografa  Luisa Vazquez

In questi giorni ho ricevuto su whats app questo commento: “sono contenta di conoscerti”.
Di certo l’affermazione non aveva secondi fini, se non quello di apprezzare l’attivismo, non certamente atletico, che in questo periodo mi caratterizza.
Oggi un altro amico sollecitato mi risponde: “cacchio … per te ogni cosa è buona x scrivere” e la mia risposta è stata: “il cazzeggio, caro mio, è oggi l’unica cosa che ci salva”.
Se proviamo a pensarci un po’ più seriamente, ci accorgiamo che necessitiamo tutti di almeno un’ora d’aria che ci consenta di sentirci liberi, almeno mentalmente, per uscire anche per un attimo dal grigiore del panorama che magari in quel momento ci attanaglia e che stiamo passivamente vivendo, per affrancarci dalla mediocrità monotona deprimente o per tutto quello che in certi periodi ci sta intorno.
Non è una formula sicura, ma dissertare certamente può aiutare a trovare qualcuno o qualcosa su cui o con cui trovarsi in sintonia, pur limitandosi semplicemente a un dialogo vocale o uno scambio epistolare, qualcosa cioè che in qualche modo abbia un’essenza creativa che consenta di evadere.
Particolarmente interessante può risultare riuscire a scoprire affinità che accomunino in interessi, ma non solo. Perché no? Anche contrapposizioni nette, che si muovano su una “onestà intellettuale”, possono costituire buoni elementi di stimolo, se si è proiettati a ricercare idee diverse e si è disposti a continuare a crescere.
Nessuno è depositario dell’agognata verità che tutti ricercano ma che nella realtà non è a nostra portata.
A tal proposito schiere di filosofi si sono succeduti nel riversare fiumi d’inchiostro, scrivendo montagne di parole sull’argomento, sebbene consci nel sapere che ogni realtà che vediamo o viviamo corrisponde sostanzialmente alla visione di una proiezione piatta, bidimensionale, pur riferendosi a figure poliedriche complesse e differenti, consolidate con atomi diversificati e assemblati in masse solide, liquide e/o aeriformi, talvolta pure bizzarre se non proprio capricciose.
Forse ci si sta allargando troppo nella disquisizione e non è proprio il caso in questa sede, perché in certi campi oltre a dover essere ben ferrati occorre anche avere piena padronanza della materia su cui si tratta.
Meglio il “cazzeggio” allora. Quello sano, che ci lascia liberi di scorrazzare come aquiloni al vento.
E lasciamo pure che gli altri credano ciò che vogliono sulle espressioni dei nostri visi, delle nostre mutevoli maschere giornaliere che, pur esternando tranquillità e sorrisi, talvolta nascondono inquietudini, solitudini e paure che indurrebbero a chiudersi e magari a evitare di scrivere per scongiurare ogni possibilità di esporsi e poter quindi essere letti nell’intimo, rivelando anche una minima parte di quella che è l’essenza di noi stessi.

 © Essec


venerdì 17 gennaio 2020

“APRITEIPORTRAITS – Qmedia Art Residency”



Nel campo artistico, in ogni tempo e luogo, il ritratto è sempre stato uno dei temi più diffusi, intriganti e al contempo difficili da realizzare.
Scrive nel suo blog “Didatticarte” la professoressa Emanuela Pulvirenti che la rappresentazione del viso umano, nella storia dell’arte, è un argomento complesso ma affascinante. Uno di quelli che si possono affrontare in maniera filosofica e dotta oppure in modo più intuitivo e sensoriale.
Dal 15 gennaio Marco Fato Maiorana espone, all’Archivio Storico Comunale di Palermo (via Maqueda 157), cinquanta ritratti scelti fra i circa quattrocento scatti realizzati con la sua Sony. Le miniature di tutti i ritratti realizzati sono inserite in due ampi posters anch’essi esposti in sala.
Il titolo della mostra è “APRITEIPORTRAITS – Qmedia Art Residency” e rimarrà aperta fino al 31 del mese (i lunedì e i venerdì ore 9,00-13,00 e i mercoledì ore 15,30-17,30).
Riguardo ai contenuti riporto di seguito il testo della locandina realizzata per la circostanza.

“I ritratti ralizzati da Marco Maiorana, fotografo trapanese di stanza a Palermo, mostrano la gente ‘comune’ del capoluogo siciliano al fine di valorizzarne la feconda varietà di fisionomie e sguardi, forme espressive di differenti origini etniche, condizioni sociali, orientamenti ideologici e culturali. La bellezza interculturale di Palermo viene così raccontata attraverso i visi di studenti, lavoratori, immigrati …, ovvero attraverso gli stessi cittadini che, nella loro varietà coesistente, dimostrano, ancora una volta, che la cultura si produce nella differenza e nell’incontro. ‘Aprite i portraits’, dunque titolo che, utilizzando l’assonanza, avvicina la libera espressione e rappresentazione del viso – oggetto dell’opera del Maiorana – all’ultima, grande, campagna sociale e politica che si sta svolgendo in Europa e in particolare qui a Palermo, ovvero l’incondizionata apertura dei porti all’umanità migrante.”

Rimane poco da aggiungere se non che le foto sono state realizzate in due location private di Palermo e che i soggetti ritratti hanno tutti spontaneamente risposto a un invito fatto tramite social, semplicemente rivolto a chi fosse disposto a farsi fotografare.
Chi avrà modo di visionare le immagini esposte potrà verificare la bellezza dei volti, variegati e colti con espressioni specifiche e differenti.
In genere, quando ci si accinge a tentare di fare un ritratto si ha spesso a che fare con ritrosie e fisime varie, intime ai soggetti che vorremmo fotografare. In questo caso Maiorana è riuscito a trovare la formula giusta, perché l’adesione spontanea dei diversi personaggi ha abbattuto a monte ogni possibile barriera ed è riuscito a raffigurare figure solari, realizzando evidentemente e immediatamente una complicità empatica fra fotografo e chi ambiva a farsi fotografare.
L’ambiente espositivo, infine, rende unica l’operazione e incasella in un ambiente ricco di storia immagini di visi che rappresentano indubbiamente altrettanti capitoli di vita.
Oltre ai complimenti all’autore, credo non resti nulla da aggiungere se non rivolgere l’invito, per chi può e vuole, di andare a visitare questa bellissima raccolta, che merita di certo un seguito, sia espositivo che di un’ulteriore implementazione con nuove e altrettanto belle immagini.

 © Essec

giovedì 16 gennaio 2020

"Racconto/lettura di una immagine"


Per chi ha partecipato al “gioco” precedente e gradito propongo un altro spunto creativo per uno sviluppo letterario basato, questa volta, su una sola fotografia. Per quanto ovvio si attendono anche componimenti di nuovi narratori.
Allo scopo di aiutare chi non è del luogo e suggerire libere dissertazioni sugli elementi raffigurati preciso:
-       il luogo rappresentato è antistante alla sede principale di un Tribunale,
-       le panchine inquadrate sono quasi tutte occupate e da soggetti diversi,
-       una coppia nel frattempo, forse anche per la calura, dorme profondamente.
Ciascuno può svolgere il suo scritto come vuole, basandosi sulla osservazione pedissequa degli elementi raffigurati. Fantasticando sui pensieri che passano nella mente degli stessi, irrompendo con fantasia nei sogni dei due dormienti.
La stessa foto è esposta a colori e, per enfatizzare e poter cogliere meglio gli aspetti concettuali (come insegnano i maestri di fotografia) in bianco e nero.
Se la cosa piace, anche alla luce dei lavori già realizzati e consultabili nel video riguardante “Un racconto in 240 parole”, può spedire il "Racconto/lettura di una immagine" entro la fine del mese al mio indirizzo email toticle@gmail.com
Anche in questo caso si assicura l’anonimato dei partecipanti e i risultati selezionati saranno riproposti con le stesse modalità di prima.
Buona luce a tutti!

 © Essec

Risultato dell'iniziativa: "Sei panchine in cerca d'autore" https://youtu.be/BWDNP8eWT2s

mercoledì 15 gennaio 2020

Il mio racconto di sei immagini in 240 parole


In questi giorni ho pubblicato il video che documenta la lettura di 15 racconti effettuata dal poliedrico amico Nino Pillitteri nel corso di una riunione dei soci della Sezione palermitana dell’AFA.
I lavori raccolti sono il frutto di una sperimentazione rivolta agli appassionati di fotografia e non solo a loro.
Chi ha aderito all’iniziativa in qualche modo si diletta anche nella scrittura e ha certamente trovato intrigante la formula proposta, che consisteva dello scrivere un racconto ispirandosi alla visione di sei fotografie prefissate, leggendole pure nella sequenza prestabilita.
Per quanto mi riguarda, anche per la continua ricerca che mi piace portare avanti riguardo a nuove forme e modalità espressive, compresa la fotografia, sono rimasto più che soddisfatto poichè l’operazione ha risposto pienamente alle aspettative. I singoli testi sono risultati alquanto interessanti e assolutamente rispondenti all’obiettivo prefissato.
Le diversità di linguaggio, connotate da sintassi differenziate, hanno fornito chiara dimostrazione su come si possano  elaborare in modo variegato le visualizzazioni di un soggetto comune (le sei foto proposte). Per chi volesse poi approfondire l’argomento si rimanda a un interessante articolo attinente alle tecniche narrative, pubblicato nel portale web sololibri.net (https://www.sololibri.net/Le-tecniche-narrative-i-registri-e.html).
Così come ogni individuo costituisce un unicum in ogni sua forma estetica ed espressiva, naturalmente anche il frutto del suo operato rispecchia tali prerogative. Ne deriva che ogni diversità implementa e può contribuire ad arricchire nel far crescere un qualunque progetto, così come l’imprevisto o l’imprevedibile può aiutare a far scoprire nuove formule aiutandoci a innovare, magari alzando sempre più l’asticella.
Dopo questa ampia premessa, che ho ritenuto necessaria per chiarire gli intendimenti che alla base mi hanno convinto a lanciare l’iniziativa - che grossolanamente potremmo definire “fotografico-letteraria” - riporto di seguito il racconto da me scritto, ispirato quindi alle sei foto scelte. Per quanto ovvio, il tutto è stato approntato prima di estendere l’invito agli altri e principalmente per due motivi: quello di sottopormi io stesso al “gioco” e quello di non voler essere condizionato dal contenuto dei componimenti degli altri che sarebbero poi arrivati.
Il voler rendere anonimi gli scritti pervenuti, infine, è stata una scelta voluta per valorizzare i contenuti letterari che, a mio parere, ritengo un valore aggiunto per il successo dell’operazione. Sono infatti pienamente convinto del fatto che, per poter valutare al meglio nel connubio proposto, ogni componimento dovesse rimanere svincolato dalla possibile conoscenza dell’autore. Solo l'anonimato può del resto garantire neutralità di giudizio e un eventuale gradimento necessita di rimanere svincolato dalle caratteristiche e "potenzialità/titoli" del suo autore.
Fermo restando che chi lo ritiene opportuno può ovviamente disporre come crede del proprio componimento, la scelta di pubblicare il mio contributo rimane legata al voler esplicitare chiaramente quali erano le caratteristiche del progetto e, quindi, gl’intendimenti originari della proposta. Del resto queste erano le regole che avevo stabilito per il "gioco" e le adesioni hanno automaticamente avallato tali scelte.


I solidi pilastri posti a sostegno del nobile edificio, dove è situato lo stemma nobiliare conosciuto in tutto il comprensorio, isolano di fatto l’uomo nella sua solitudine.
L’abbandono di Cortigiani e giullari rende ironica nella sera la scritta: “circolo di conversazione” riportata alla base del decoro nobiliare e che identifica il palazzo.
Come pure superflue appaiono ora le inferriate poste a protezione, per un individuo che non ricerca più compagnie.
Dalla fontana che, con l’effigie leonina richiama l’araldica del casato, non sgorga acqua da qualche tempo e i malinconici visi femminili raffigurati nel quadro di famiglia, rievocano ricordi che giustificano il silenzio che sembra aleggiare nei luoghi.
Ci sarà una speranza?
Chissa? Come, quando o dove non è prevedibile a breve.
Servirà che qualcuno individui la porta di entrata per ravvivare l’ambiente e permettere al vento il rinnovo dell’aria, per riportare il dinamismo che necessita alla vita.
Le due croci simboleggiano tanti aspetti. Il misticismo evidente si relaziona col significato che ognuno intimamente intravvede.
È intanto allegorico il fatto che la croce grande non è di per sé vero simbolo di staticità perché, nel caso in questione, necessita di avere tanti più sostegni per rendersi stabile. E comunque alludono alla fine dell’avventura che c’è al termine di un percorso di vita.
Starà, quindi, a significare ben poco la vera dimensione di ogni croce oppure l’assenza di qualunque altro simbolo a ricordo dell’avvenuto passaggio.
Ciò che rimane appartiene alla storia!

giovedì 9 gennaio 2020

Un racconto in 240 parole


https://youtu.be/dEVBov_Zn1M

Premessa:
“Reduce dall’assistere a una serie di letture di portfolio in quel di Trapani (TrapanInPhoto 2019), dove cinque collaudati maestri hanno condotto la lettura dei portfolio fotografici presentati da diversi autori, mi è piaciuto invitare a scrivere una propria “lettura in 240 parole” (circa), basata su sei immagini e seguendone la sequenza.
Non c’era nulla in palio, se non la ricerca di convogliare tutti gli scritti per poi discuterne durante uno dei futuri incontri o in altre circostanze/forme.
Credo potesse essere un buon esercizio per sollecitare la fantasia/creatività di ciascuno nel cercare di sviluppare con parole proprie un racconto che chi lo propone ha già nella sua mente ma che può suscitare variegate “elucubrazioni”.
Il gioco/esercitazione era comunque rivolto a tutti coloro che si volevano cimentare a sviluppare a proprio modo l’idea, indipendentemente dalla parrocchia di appartenenza.”

Svolgimento:
Per chi fosse interessato, avendo attivamente partecipato o perché pur non avendo aderito è rimasto incuriosito di vedere l’esito dell’operazione lanciata qualche tempo addietro, propongo il video che riporta i risultati ovvero la lettura dei 15 testi pervenuti.
Attesa la durata complessiva del prodotto audiovisivo (30 minuti circa) si indica di seguito il posizionamento temporale di ciascun componimento, al fine di agevolare anche un eventuale riascolto parziale, a proprio piacimento.
Nel ricordare che le due uniche regole concordate nella realizzazione dei componimenti erano il numero delle parole (240 approssimativamente) ispirandosi alle immagini scelte e nell’ordine prefissato, sono graditi eventuali commenti costruttivi su quanto sperimentato. I nomi dei compositori dei testi letti nel video, come convenuto a monte, in questa sede rimangono anonimi e, per quanto ovvio, gli stessi rimangono titolari di ogni diritto e utilizzo, fatta eccezione dell’uso in questo video.

1^ Racconto 1’ 18”
2^ Racconto 2’ 48”
3^ Racconto 4’ 35”
4^ Racconto 6’ 08”
5^ Racconto 7’ 52”
6^ Racconto 10’ 15”
7^ Racconto 11’ 50”
8^ Racconto 13’ 32”
9^ Racconto 15’ 03”
10^ Racconto 16’ 24”
11^ Racconto 18’ 10”
12^ Racconto 20’ 05”
13^ Racconto 21’ 48”
14^ Racconto 22’ 46”
15^ Racconto 24’ 15”

Un sentito ringraziamento è rivolto al Prof. Nino Pillitteri che si è gentilmente offerto di leggere tutti i quindici componimenti.
Le letture sono state fatte a Villa Filippina durante un incontro dei Soci della Sezione palermitana della A.F.A. (Associazione Fotografica Alesina).
Riprese e montaggio: Salvatore Clemente (https://angolinodelfotoamatore.blogspot.com/)
Buona luce a tutti!

lunedì 6 gennaio 2020

Diceva sempre “Quello”, volere è potere …… occorre prendere coscienza e mettersi all’opera per scrivere un po’ di storia



Di tanto in tanto mi piace accomunarmi, seduto al tavolino di un bar o nel visitare una mostra o altro ancora, con un caro amico per discutere di qualche particolare idea o, in assenza di progetti in cantiere, argomentare sul più e sul meno senza un tema o uno scopo prefissato.
Da questa buona abitudine, per quanto mi riguarda, nascono ulteriori e sempre nuovi accrescimenti cognitivi di qualunque specie, in ogni campo e genere. L’amico con il quale ho il piacere di intrattenermi costituisce infatti una miniera di scienza e conoscenze, come usiamo dire dalle nostre parti: “unni u tocchi sona” (dove lo tocchi suona).
Noto nel comprensorio per essere stato un brillante giornalista nei quotidiani locali conosce, come usiamo dire, mezza Sicilia e non solo per questioni di cronaca. Si accompagna peraltro con personaggi altrettanto qualificati e, un eventuale coinvolgimento improvvisato in un loro “concistorio”, è un’ulteriore occasione per ascoltare chi ha certamente da dire e molte cose da raccontare.
Le conoscenze dell’amico abituale si allargano anche alla fotografia, che ha praticato e pratica ancora. E’ anche questo uno dei motivi che m’inducono a coinvolgerlo in iniziative che capita di organizzare, nelle quali, oltre a pareri specifici legati all’evento, tira fuori aneddoti personali e citazioni attinenti al caso.
Come tutti quelli che hanno avuto un vissuto pieno da giornalista, sono infiniti i personaggi su cui potrebbe disquisire, dal famoso fotografo, artista o scrittore siciliano ai tantissimi adombrati collaboratori che li hanno affiancati e che spiccavano per specifiche peculiarità dimenticate.
Quest’ultimo è uno dei motivi che m’inducono a spingerlo a scrivere sulle tante cose e i tanti soggetti che si sono, in ogni modo, distinti nel suo tempo.
Basterebbe fare una semplice scaletta e mettere di seguito negli anni avvenimenti e soggetti di ogni tempo, senza aggiungere altro: costituirebbe un indice in premessa.
Nei capitoli successivi saprà certamente esplicitare i tanti contenuti, i personaggi e le rispettive anedottiche.
Questo breve scritto l’ho indirizzato a Nino, sperando che voglia raccogliere il mio invito.
Sarebbe un regalo gradito non solo a me che lo sollecito da tempo, ma a tutti coloro che lo conoscono e che amorevolmente lo circondano.
Diceva sempre “Quello”, volere è potere …… occorre prendere coscienza e mettersi un po’ all’opera per scrivere un po’ di storia (o storie, come meglio aggrada).
Per una volta, provo ad invertire le parti e propongo questo testo come prologo al tuo racconto.
Toti 

sabato 4 gennaio 2020

John Keating invitava gli allievi a salire sul banco allo scopo di ampliare la loro visuale prospettica


Ho rivisto per l'ennesima volta un film del 1989 con protagonista l'indimenticabile Robbie Williams che, a mio parere, conserva ancora, pur essendo datato per le longevità scandite dai nostri tempi, una certa naturale freschezza - forse anche e per certi aspetti ingenua - che ci consente però di continuare a sperare nel rimanere ottimisti riguardo a una potenziale svolta che potrebbero attuare i giovani sul futuro di questa così mal gestita nostra realtà umanoide terrena.
La cosa mi ha riportato alla mente e indotto a rileggere una recensione scritta nel 2016 che trae spunto da quel film e che, per i contenuti metodici, sembra apparire ancora attuale e che ripropongo.

"Nello splendido film "L'attimo fuggente" il professor John Keating invitava i suoi allievi a salire sul proprio banco allo scopo di potere avere una visuale più ampia rispetto a quella limitata offerta dallo stare seduto; nel caso di Federico Rampini scrittore è lui che si eleva per noi, per descriverci panoramiche più ampie e complesse, rispetto a quelle che i nostri occhi vedono e che i media ci ripropongono.
Accendi la TV ed ogni giorno vedi tanti giornalisti parolai che, invece di concentrarsi a raccontare - anche se secondo una loro visuale - più semplicemente i fatti, argomentano su questioni.
Un sempre più folto stuolo di opinionisti, poi, ha diffuso il vezzo di infiorare o preconfezionare notizie usando corollari che talvolta manipolano realtà. Sembra come se l'umanità intera, dedita a distrazioni consumistiche, ormai fosse stanca e ci fossero intellighenzie delegate a ragionare per essa.
Si accresce progressivamente il nugolo di coloro che si incaricano di risparmiarci il cervello da ogni preoccupazione, per confezionarci realtà più comode con un ottimismo light.
In questo scenario Federico Rampini costituisce ancora un rappresentante della sparuta riserva indiana del "giornalismo correct".
Col suo modo di raccontare i fatti, anche seguendo un suo punto di vista culturale apertamente palesato, egli cerca di rimanere fedele a ciò che vede o intravvede.
Con una scrittura semplice ed efficace ci accompagna, con onestà intellettuale, nell'osservare dall'alto e descrivere realtà sempre più complesse; le sue visioni aeree risultano utili perché ci consentono di concettualizzare e relativizzare cose che altrimenti rischierebbero di rimanere occultate o incomprese.
Del resto l'eccessiva vicinanza ai fatti e la scoperta delle contaminazioni o degli effetti domino connesse comporta spesso, in chi racconta, letture e reazioni non sempre illuminate, anche se, razionalmente, umanamente concepibili.
Già in "Rete padrona" egli anticipa tante cose sulle innovazioni che ci condizionano nel quotidiano e che in qualche caso riusciamo solo ad intuire. In "L'Età del Caos" offre una visione cruda e preoccupante della nostra attuale umanità; legge le complessità ideologiche e le realtà politiche che rendono precario e sempre più instabile l'equilibrio socioeconomico dell'intero pianeta.
Illustra verità diversificate che il giornalismo ciarlante non racconta, che forse neanche vede, perché distratto da servilismi utili o affetto da miopie sempre più diffuse, se non congenite.
Splendido poi il paragrafo in cui narra degli strani pensieri che lo assalgono mentre passeggia sotto un sole tropicale dentro il cimitero monumentale dell’Avana. Una radiografia che, filtrata dai colori che tanto spesso distraggono, in una scala di grigi rivela i contrasti e le patologie manifeste o latenti del nostro vivere.
Difficile condensare i contenuti dei due volumi  in così poche parole, l'unica cosa è acquistare questi libri di Rampini e leggerli con attenzione.

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Riporto di seguito un breve stralcio in italiano, tratto dalla sceneggiatura de "L'attimo fuggente"
(desumibile dal film ma copiato per semplicità dal sito web http://guide.supereva.it)

Fischiettando, il professor Keating entra in aula, si avvicina agli alunni, gira trai banchi e si dirige verso il fondo dell’aula, guadagnando l’uscita, poi, sporgendo la testa dentro, invita gli studenti a seguirlo fuori.
Keating: “Su, andiamo!”
Risatine ironiche da parte dei ragazzi.
Un alunno: “Dov’è andato?”
Un altro: “E chi lo sa!”
Molti: Dai, andiamo, su forza!”
Nell’atrio
Keating: “O Capitano, mio capitano!” Chi conosce questi versi? Non lo sapete? È una Poesia di Walt Whitman, che parla di Abramo Lincon. Ecco, in questa classe potete chiamarmi professor Keating o se siete un po’ più audaci, “O Capitano, mio Capitano”. Ora dissiperò alcune voci anziché non inquinino i fatti. Certo, anch’io ho frequentato Welton e sopravvivo, comunque, a quel tempo non ero la mente eletta che avete di fronte, ero l’equivalente intellettuale di un gracile corpicino. Andavo sulla spiaggia e tutti mi tiravano i libri di Byron in piena faccia. Allora, vediamo, Pitts, da qualcuno bisogna cominciare, dunque, chi di voi è Pitts? Molto bene, vuole aprire il suo libro a pagina 503?
Pitts: “O vergine cogli l’attimo che fugge?”
Keating: “Sì, proprio quella, è appropriata, no?”
Pitts: “Cogli la rosa quando è il momento, che il tempo, lo sai, vola e lo stesso fiore che sboccia oggi, domani appassirà”.
Keating: “Grazie mille, Pitts. “Cogli la rosa quando è il momento” in latino, invece, si dice “Carpe diem”. Chi lo sa che cosa significa?”
Maeks alza il dito e risponde: “Carpe diem, cioè cogli l’attimo”.
Keating: “Molto bene, signor?”
Maeks: “Maeks”.
Keating: “Maeks, mi ricorderò il suo nome. “Cogli l’attimo, cogli la rosa quando è il momento”. Perché il poeta usa questi versi?
Charlie: “Perché va di fretta!”
Keating: “No, diing! Grazie per aver partecipato al nostro gioco. Perché siamo cibo per i vermi, ragazzi! Ognuno di noi, un giorno smetterà di respirare, diventerà freddo e morirà. Adesso, avvicinatevi tutti e guardate questi visi del passato – e indica le foto di classe del passato esposte insieme ai trofei e alle coppe nella vetreria dell’Accademia – Lì avete visti mille volte, ma non credo che li abbiate mai guardati, non sono molto diversi da voi: stesso taglio di capelli, pieni di ormoni come voi, invincibili come vi sentite voi. Il mondo è la loro ostrica, pensano di essere destinati a grandi cose, come molti di voi, i loro occhi, pieni di speranza, proprio come i vostri. Avranno atteso finché non è stato troppo tardi per realizzare almeno un briciolo del loro potenziale? Perché vedete, questi ragazzi, ora, sono concime per i fiori, ma se ascoltate con attenzione, li sentirete bisbigliare il loro monito. Coraggio, accostatevi, sentite? “Carpe diem, carpe diem… cogliete l’attimo, ragazzi, rendete straordinaria la vostra vita”.

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